Contra Omnia Racalmuto

...per mestiere spiego bene agli altri quello che per me non comprendo.

venerdì 9 novembre 2012

Il sonno sciasciano

Per anni per decenni ho tenuto sul comodino del letto il mio personale vangelo che non è il Vangelo. Non per cercare il sonno (che se così fosse non smetterei di leggere) ma per dare una giaculatoria ad una giornata più o meno insulsa con un detto intelligente. Parlo – ovvio – delle Parrocchie di Nanà. Ma stasera faccio eccezione, lo pretermetto. Mi sono irritato con la polemica sugli atti di vandalismo alla scuola elementare di Racalmuto, quella accanto, un po’ sopra la mia casa paterna. Ho dileggiato, sì: ho dileggiato il maestro di Regalpetra. Pag. 93:
“Si avvicina l’estate. A scuola mi aggiro tra i banchi per vincere il sonno. I ragazzi scribacchiano stracchi i loro esercizi. Cammino per vincere la colata di sonno che, se siedo, sento mi riempie come uno stampo vuoto. Nel turno pomeridiano, in questo mese di maggio, il sonno è una grave insidia. A casa non dormirei di certo, starei a leggere qualche libro, a scrivere un articolo o lettere agli amici. A scuola è diverso. Legato al remo della scuola; battere, battere come in un sogno in cui è l’incubo di una disperata immobilità, della impossibile fuga. Non amo la scuola; e mi disgustano coloro che , standosene fuori, esaltano le gioie e i meriti di un simile lavoro. Non nego però che in altri luoghi e in diverse condizioni un po’ di soddisfazione potrei cavarla da questo mestiere d’insegnare. Qui, in un remoto paese della Sicilia, entro nell’aula scolastica con lo stesso animo dello zolfataro che scende nelle oscure gallerie.” etc.etc.etc..
Non penso certo che quelli che hanno vandalizzato l’aula Sciascia fossero tanto dotti ed edotti da averlo fatto quasi vindici di tanto disamoramento. Ma va’ a vedere la combinazione!
Oggi dovevano scendere tutti in piazza per stigmatizzare una Racalmuto ormai totalmente in mano alla mafia che si picca di vandalizzare una innocua ed infruttifera scuola elementare o una insignificante aula dedicata ad un locale mostro sacro. Pare però che a parte ilari fanciullini e fanciullette .che così hanno potuto marinare la scuola senza marinarla, il consenso di quel 97% di popolo sano saggio e giusto non è stato poi elevato. Certo, stando a Roma non sono in grado di sapere per via diretta.
L'ingegnere Cutaia, uomo di fino intelletto ( e non stupidamente di tenace concetto) solleva acutamente e significativamente la questione della salvaguardia delle "robbe". Mi redarguisce con ragione accennando al Piano Regolatore. In un primo momento mi associo entusiasticamente; in un secondo comincio a temere. Piano regolatore propinatoci da disinformati commissari entro dicembre. Dio solo sa quali guai in vista. Benevolo occhio per gli amici, fregature per gli ingenui cittadini disinformati. Come nel 1978/79 e sono in grado di difendermi efficacemente e pungentemente se qualcuno osasse denunciarmi. Spero il mio "asino ragliante".
 Ma dottore, mi importunerà il solito ex addetto alle pecore, ma che vuol dire? Picchì nun parla comu cci ‘nsignà so pà e so mà? Picciuottu miu ora ti lu dicu: Petralonga è una contrada di Castrofilippo, nel  PR del 1978/79 ratificato nella G U R del maggio 1980 figura tra le contrade archeologicamente vincolate di Racalmuto. E la topica continua bellamente ad essere pubblicata anche di recente come se nulla fosse. Meglio non toccare il can che dorme. Lì ,sì ,c’è un refuso (concettuale della Soprintendenza di Agrigento e sono in grado di spiegarne l’origine). Per San Bartolomeo si lascia giustamente l’impropria tecnica dell’individuazione delle località da vincolare con semplice specificazione della vetusta denominazione delle contrade e si passa a quella della specificazione con dati catastali. Bene si direbbe? No. Sembra di assistere ad una gimkana per risparmiare questo o quello come se gliel’avesse detto lu signiruzzu che il podere del poveraccio tizio è da vincolare, quello contiguo del signorino Caio, no! Come dopo per li Grutticeddi. Sempre nel PR del 1980 un vincolo (blando ma sempre vincolo) piomba su Bovo ,Villa Nalbone, Serrone come dire mezzo paese campagnolo. Ove si eccettui qualche rado cimelio romano nella cresta più appariscente del Serrone, sfido chiunque a dirmi che vi sono stati trovati reperti archeologici. Ma la fanno franca contrade come la Noce ,Menta, Zaccanello ove persino immense porte di porfido sarebbero state rinvenute e nascoste, per non parlare di tombe a tholos e che incaute deviazioni superstradali hanno finito col darmi ragione in quanto là ,sarebbe prosperata una Statio  romana su una via consolare propedeutica o connessa a Vito Sodano di Canicattì. Hanno picchettato un trentina di metri quadri e “tuttu bbuonu e binidittu”. Mica si possono smantellare piscine con palmeti!
Bella questa: La Fiorentini, sollecitata da Enzo Sardo vincola finalmente la grotta di Fra Ddecu. Nelle  carte lu sutta diventa supra e anche qui “tuttu bbuonu e binidittu”.Riguardando vecchie  mie ricerche mi accorgo che le famose Tegulae o Tabulae sulphuris erano state trovate sotto terra in quel Piano di la Cursa e cchiu ssutta . Vincoli cautelativi non ne trovo. Non ve ne trovo neppure per quella strana tomba sicana più in là vicinu lu Mulinu D’Ercaru e neppure le mie tombe bizantine sutta lu Firraru. E non ho certo il dono della conoscenza per virtù dello Spirito Santo. Altri sanno e più di me .. ma statene certi che non parleranno mai .Tocca alle Autorità di settore vigilare proteggere cautelare ricercare scavare esplicare. Già ,ma per noi Racalmutesi le autorità sono troppo intente a provare infiltrazioni mafiose perseguendo, magari, onesti cittadini che poi vengono assolti con condanna alle spese niente meno che del Ministero dell’Interno. O, ora abbiamo davvero tragicissime apprensioni perché la mafia si è messa ad imbrattare le scuole elementari. Quale arcano li spinge a simili imbecillità nessuno vuol sapere. E’ così comodo ciarlare su una Racalmuto che ha perso la sciasciana ragione e si è imbellamente consegnata ad una mafia mangia bambini come i comunisti.




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Etichette: Mafia, Parrocchie di Regalpetra, Piano Regolatore, Scuola

giovedì 8 novembre 2012

Bando per un concorso di pittura in onore di Leonardo Sciascia

Tempo fa avevo cercato di istituire un concorso nei termini sotto specificati.
Tutto andò a puttane per le ragioni che dirò dopo.
Bando per un concorso di pittura in onore di Leonardo Sciascia. In questa sede ed appena sorto ,il nostro blog , vuol cimentarsi subito in una sfida culturale non consueta: indire un concorso di pittura, possibilmente cromatica, per onorare Leonardo Sciascia e la sua opera  giovanile, ispirata dalla Racalmuto degli anni ’50.
L’opera prescelta è la raccolta di favole mordacemente localistiche quali sono le FAVOLE DELLA DITTATURA che possono gustarsi nell’originaria edizione numerata di Bardi (Roma 1950) oppure nella troppo compressa riedizione postuma del terzo volume edito da Bompiani o nei recenti tipi di Adelphi.
L’artista interessato potrà far pervenire entro il 31 dicembre 2012 una sua rivisitazione di una o due favole sciasciane in piena ed assoluta libertà di espressione ed a qualunque scuola pittorica si voglia ispirare. Ma verrà preferita la lettura più consona alle opzioni estetiche dello Sciascia di quell’epoca, quali si evincono dal profilo di Santo Marino, pubblicato da Sciascia per Salvatore Sciascia (il n. 60 dei quaderni di Galleria edito nel 1963).
A titolo orientativo si richiamano qui alcuni brani: “Il libro illustrato può anche essere bellissimo oggetto, spesso lo è … “ Dicendo questo non intendo dare giudizio di merito”. Ma occorre “…. Oltre che buon talento, una certa finezza di soluzioni, come ad esempio nel figurare … le similitudini” sciasciane.
E noi pensiamo a quel “questa volta non ho tempo da perdere”del lupo per il “balzo” sopra l’agnello per “lacerarlo”; alle scimmie predicatrici dell’ordine nuovo; alla gabbia del canarino il cui canto addolcisce - si fa per dire - la vecchia noia del predace gatto gabbato: alla“lumaca [nel] mastello d’acqua rovesciato tra le pietre”, durante l’ingannevole “notte diaccia”, e via discorrendo.Con ciò bando al calligrafismo figurativo; vanno invece colti gli umori, gli spasimi del gramo vivere, le rabbie per premature dipartite di persone carissime, i ghigni ed i sogghigni della coeva Racalmuto sussunta a Regalpetra parrocchiale, pullulante di pretini come allora li faceva sfilare il pennello scarno di Caffè.A noi pare che quei succhi gastrici sciasciani, estetiche d’avanguardia saprebbero meglio coglierli. Ma anche noi cadiamo solo con in un“nostro pregiudizio”. Libertà assoluta d’espressione, dunque: soltanto una lettura intelligente mentre si va dipingendo per tormenti pittorici magari chiari, magari aperti, magari immediati; eppure con un “segreto, come del resto l’opera di ogni artista vero, che tanto più anzi è segreta, esclusiva, come nell’intimità e continuità di un colloquio, quanto più appare aperta ed immediata.” Ognuno legga quelle auree paginette di “galleria” e poi dipinga come vuole, con lo stile che ha prescelto, con il limite se ha una scuola che lo disciplina.
Gli artisti dovranno segnare in cartigli di proprio gusto l’indicazione della favola prescelta con il solo numero della pagina dell’edizione Bardi 1950, astenendosi da citazioni più lunghe per non scalfire i diritti d’autore di cui a recenti vicende giudiziarie.
Una commissione di cui faranno parte Agato Bruno di Vicenza, Patrizia di Poce di Roma, uno scultore o un cattedratico di Racalmuto, un membro della famiglia Sciascia (si spera), ed autorevoli personalità della cultura, indipendenti e disinteressate, stabilirà la scala dei valori assegnando al più ragguardevole degli artisti partecipanti un riconoscimento simbolico di non più di mille euro, non ripartibili.
Gli artisti ritenuti rappresentativi vedranno esposti i loro lavori in una apposita mostra che verrà allestita nei prestigiosi locali del medievale Castello Chiaramontano. Gli Enti organizzatori potranno ricavarne immagini fotografiche per una pubblicazione con i profili degli artisti e con le note critiche di scrittori e giornalisti legati a Racalmuto ed a Sciascia. I quadri resteranno comunque di proprietà degli autori che ne disporranno in piena libertà (dopo il periodo della mostra), ricadendo ovviamente su di loro ogni rischio patrimoniale o peso assicurativo, se voluto.Allora mi sono convinto a far tentare al mio amico il grande pittore AGATO BRUNO di fare tutto lui ed “ricreare” le FAVOLE DELLA DITTATURA di Leonardo Sciascia. Sorge un problema come titolarle visto che Sciascia a suo tempo (nel 1950) non le titolò?
Ho scritto così a chi credevo che detenesse i diritti di autore.
Gentilissimi Signori,
ho avuto tra le mani l'edizione Bardi del 1950 delle Favole della Dittatura di Leonardo Sciascia. Ho cercato di farle rivisitare da pittori affermati. Un pittore mio amico del Veneto ha quasi finito questa singolare illustrazione come forse riuscirò a farvi vedere dagi allegati. Certo le favole non hanno titolo e qundi è molto arduo farvi riferimento. So, per vie traverse, che i diritti d’autore dopo una certa contesa giudiziaria vi spettano appieno. Le favore risultano pubblicate da Voi al n. 400 di un vostro catalogo. Non voglio assolutamente ledere i vostri diritti. Potreste però indicarmi modi e tempi per concordare una qualche legittima intesa. La mia e-mail è qui già indicata.
Ringrazio per la cortesia he vorrete concedermi e porgo distinti saluti
Stamani mi viene risposto per filo dal responsabile dell’Adelphi; gentilmente, con professionalità. Capisco però che Adelphi ha solo la concessione a pubblicare le Favole ma la proprietà rimane alla famiglia. Mi si chiede una e-mail per chiedere agli eredi il permesso. Io e gli eredi è da tempo che non colloquiamo. La e-mail la mando ma in questi termini:
Gentilissimi Signori,
ho molto apprezzato la signorilità, la professionalità, la schiettezza con le quali avete prontamente risposto per filo alla mia precedente e-mail. Ma ho l'impressione di non essermi adeguatamente spiegato. Avevo cercato di sollecitare l'iniziativa di un concorso tra pittori delle diverse scuole per "rivisitare" le favole della dittatura di Leonardo Sciascia.
Intenti, obiettivi, significato, valere dell’iniziativa credo che siano sufficientemente esplicati nel testo del “concorso” da me redatto e qui sotto riportato. Non se ne fece niente per le più svariate ragioni. Un provincialismo, un certa grettezza culturale, una visione miope e campanilistica credo siano gli elementi ostativi. Ma, quando ho cercato di avere – tramite terzi – una qualche compiacenza degli attuali eredi di Sciascia, lo sbarramento è stato totale. Tra gli eredi (specie la vedova) di Sciascia e il sottoscritto non è mai corso buon sangue. Naturalmente il tutto nella massima ipocrisia del corretto galateo. Sia chiaro, per età, interessi, ambizioni non vi dovrebbe essere alcuna prevenzione nei miei confronti. Certo non le mando a dire quando a mio avviso con la scusa di tutelare la memoria del grande mio compaesano Sciascia, si perseguono piccolissimi interessi di bottega. A me alle volte mi pare che si commetta una sorta di simonia laica. Avere boicottato e fatto sparire FUOCO ALL’ANIMA un toccantissimo testamento spirituale e culturale di Sciascia – mirabilmente chiosato da Manuel Vàzquez Montalban: LO SCRIBA SEDUTO (editore Frassinelli) – a me pare pura follia (salvo altro). Diciamolo francamente, le favole della dittatura non dovevano più essere pubblicate, per divieto testamentario dell’A.
 L’averle poi pubblicate – e non è colpa vostra – così raggrumate, così opposte agli scarni suadenti tipi di Baldi e riportare (autorizzati?) lo scritto pasoliniano del 1951 (più lungo delle stesse favole, non so quanto consenziente Leonardo Sciascia) qualche problema etico lo pone.
Mi si chiederà: ma lei chi è da arrogarsi tanto diritto di critica. Non sono un uomo di lettere, né un pubblicista, né un giornalista. Sono un vetero, veterissimo pensionato, noto a pochissimi ma non alla Milano bancaria per la storiella di una mia ispezione al Sindona della Banca Privata Finanziaria. Diciamo che qualcosa di diritto e di finanza e di fiscalità (ho fatto anche il superispettore del SECIT d Reviglio, per non confonderlo con quelle superfetazioni in decomposizione fino all’atto di morte firmato Tremonti). Invero quello di cui mi vanto di essere: il più grande microstorico della mia Racalmuto (nulla a che fare con la Regalpetra sciasciana), diciamo che non ne son digiuno.
Le favole della dittatura mi servono per il contrappunto della Racalmuto uscita dalla guerra. Nulla di sincero in Sciascia. In controluce però a me dicono molto come può arguirsi dalle prime note di un piccolo saggio che sto scrivendo e che hanno già ospitalità nel mio blog Contra  Omnia  Racalmuto.
Cacciato dalla porta sono rientrato dalla finestra. Il mio amico pittore (un grande pittore) AGATO BRUNO operante nel Veneto, ma grande conoscitore di Racalmuto ed ammaliato da questo splendido paese dell’agrigentino, sta ricreando (non copiando, non plagiando) le favole sciasciane (non antifasciste, non anti dittature; semplice riflesso di un paese malconcio uscito da poco da una strana guerra). Certo abbiamo persino l’imbarazzo di titolarle mancando di titolo quelle pubblicate da Bardi.
Vi ho mandato l’e-mail più per notizia ed eventualmente venire accortamente diffidato. Non intendiamo vulnerare i diritti di nessuno. Naturalmente non sono tipo da subire sopraffazione alcuna. E non sono uno sprovveduto (se non altro per quarantennale professionalità d’alto bordo).
Voi forse potreste avere un qualche interesse, per acquisire Voi lo sbocco dell’iniziativa. E’ certo che nessuna richiesta economica avreste da me e neppure dal pittore mio amico.
Ringrazio e distintamente Saluto
Dottor Calogero Taverna

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Etichette: concorso di pittura, favole della Dittatura, Sciascia

mercoledì 7 novembre 2012

Il sogno “taverniano”

È presto detto: il recupero, la ristrutturazione, l’abbellimento del sotto Barona.
Sotto la Barona si dipana una grande radura tripartibile:
la zona più alta potrebbe ospitare il paese cinquecentesco dell’ex voto del Monte;
la cavea terminale in basso si dovrebbe adattare a teatro greco;
la parte a valle, oggi con acque fetide a cielo aperto, si attaglia ad orto botanico con laghetto pluriuso.
Ecco un bozzetto per chi avesse voglia di meglio afferrare il concetto


Nella parte alta dell’area di risulta del sotto Barona, utilizzando i terrazzamenti costruiti di recenti, dovrebbe sorgere la simulazione del villaggio di Racalmuto come appare al Monte nell’ex voto di destra.
Ne abbiamo scritto tanto. Val la pena però ripeterci






   

Rassegna Storiografica

Chiese e chiese e chiese e conventi e conventi ... Si pensa a chissà chi, ed invece tutto si deve ai rimorsi di Giovanni del Carretto, quello che dominò Racalmuto dal 1520 al 1560 ed alle tante confraternite, nate all'ombra dell'ancora barone, per una grossa speculazione sui morti. Ne morivano tanti a Racalmuto e bisognava seppellirli e seppellirli in chiesa.. Naturalmente a pagamento . Che pacchia per quelle confraternite. Una mafia dei cimiteri ante litteram .. Niente di nuovo sotto il sole.
Pensate che la venuta della Madonna del Monte nient'altro è che una commissione a Palermo da parte della confraternita della già esistente chiesa di Maria di lu Munti di una statua di marmo "una statua di marmaru di nostra signura" dicono le carte. Nessun miracolo. E si era dopo il 1520 (altro che 1503 ed altro che conte o barone Ercole del Carretto. Questo il primo agiografo - padre Cantalamessa - non lo dice).
I colti attuali di Racalmuto - anche quelli atei e marxisti - questa banale verità non sanno accettarla o non vogliono. Chissà quanti voti perderebbero, diversamente. Povera verità!

Frattanto a studiare bene il Trasselli che ebbe a scrivere sui genovesi in Sicilia, è facile arguire che la marmorea statua – tozza, bruttarella ed inespressiva – non è, né può essere, della scuola gaginesca (andatevi a vedere la madonna di Gibilrossa per convenirne) ma del noto scultore genovese Massa, venuto a Palermo con un coltivatore di cave marmoree carraresi, agli ordini dei genovesi, ed i del Carretto erano di sicura origine genovese. Non erano comunque di Finale Ligure – essendo d’uopo sghignazzare sul fallace gemellaggio milionario – ma a tutto concedere, i signori Del Carretto di Racalmuto cominciarono a bleffare vantando un improbabile marchesato su Savona.





Immaginarie scene di famigli che picchiano i pacifici buoi a levare le ancore da Racalmuto .. Vani sforzi cominciò a dire nel 1764 il padre Cantalamessa ... in versi siciliani. Almeno quelli erano piacevoli. Ora ci ammanniscono vocianti cicalecci di improbabili recitanti .. ma i soldi se ne vanno a fiumi e non restano neppure a Racalmuto. 


Ecco era il palazzotto degli Ugo e della Morreale ... Una donna dei nuovi tempi si direbbe.. Sposò giovanissima un La Licata di Favara ... restò presto vedova e senza figli, giacché quel La Licata favarese era già molto vecchio e subito andò nel suo regno dei cieli. Consumò il matrimonio?  Pensiamo di no.

E la ragazzina Morreale forse rimase vergine. Sicuramente inappagata. Prese una schiava negra. Aveva mammelle portentose. La sbirciavano e le sbirciavano i racalmutesi. Non restò loro altro che dare il nome di minni di sclava a certe voluttuose specie nere di fichi. .. Il vecchio marito, corroso da tanta gelosia, cercò di privarla dei beni con un testamento tutto a favore di santa romana  chiesa. Ma la scaltra vedovella fece finta di niente ed assegnò beni e terreni ai suoi nipoti, compreso un monaco di cognome Salvo. Tardivamente il Santo Uffizio se ne accorse; scattarono i suoi rimedi. Nella sacrestia della Matrice le si intentò un processo. Presidente del santo tribunale un bonario arciprete. La protesse e se non l'assolse le inflisse penalità sopportabilissime. Qualcosa in tasca sicuramente gliene venne. Ecco la nostra storia di Racalmuto. Sta scritta - in latino - nei rolli della confraternita di S. Maria di Giesù che ancora padre Puma conserva. Ma fino a quando?

S. Giuseppe, Castello Fontana .. ecco come erano (almeno a metà del '700). Ed ora come sono? Uomini locali, soprintendenti provinciali, preti e nobilotti hanno ridotto in squallidi edifici questo squarcio architettonico della Racalmuto verace. Che Dio li maledica. Ecco uno squarcio della Venuta di La Bedda madre di lu Munti ....é immagine tarda ... risale alla seconda metà del '700.
 
Il padre Cantalamessa - agostiniano centuripino di S. Giuliano - cantava quella vinuta in versi siciliani non spregevoli. Poi il Caruselli credette di dovere italianizzare il tutto e fu un disastro. Della candida, nostrana saga rimase ben poco. La data fu stabilita:. fine maggio del 1503. Oggi tutti vi credono. Beati loro. Sono riusciti a convincere persino vescovi e monsignori. Di certo i canonici minori, quelli in viola per intenderci. E poi tanti sacrestani, e soprattutto le sacrestane, specie le repentite.
 
Noi non ci crediamo, andremo all'inferno. Intanto fiumi di soldi per festeggiare, anche con pretenziosi convegni, quella vinuta. Che la Madonna ci perdoni tutti. Era un tempio del Signore; ne avete fatto una spelonca di ladri... e qui la spelonca è un monte, a dire il vero un monticello, vezzoso ma fallace come quei preti che si sono messi a duplicare, triplicare e moltiplicare quella buffa statua di marmo che sol perché si erge in quel barocco altare di legno appare bella .. anzi bellissima. Dalla cintola in sù, con qualche innegabile vezzo. Dalla cintola in giù .. tozza più delle antiche contadinotte di Santa Nicola o della Funtana.
 
(Calogero Taverna)


I casamenti veri o con materiali moderni, dotati dei dovuti ausili igienici, potrebbero ospitare (ma a giusto prezzo) i mercanti del sabato.

Un Hotel de la Ville – alla francese – del Comune potrebbe accogliere le schiere di visitatori pronti magari a fare del turismo a margherita.

Vi dovrebbe sorgere la chiesa di Santa Rosalia l’ancor vera ed unica “padrona” di Racalmuto.

Zona B

Un gran teatro greco all’aperto potrebbe avere ineguagliabile collocazione nell’ultima ansa del sotto Barona, come abbia già prospettato con un fotomontaggio.




Zona C

Là dove scorrono acque putride, tutto sommato in mezzo all’abitato, con pericoli incommensurabili per la popolazione, un piccolo depuratore e quindi un laghetto, consentirebbe l’impianto di un singolare orto botaniche con piante ed erbe autoctone.
Guardate questa foto:




Ecco il suo vero nome:

Sternbergia lutea (falso zafferano)

L’avevo scambiato per crocus ed invece è pianta medicinale, come piante medicinali sono le seguenti:



I vecchi vitigni poi si potrebbero recuperare per un  vino locale quale lo bevevano i nostri più antichi antenati (e se non ebbero mai fame lo si deve a quell’ubriacante liquore).




 
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Etichette: Barona, maria ss del monte, zafferano

Quando Sciascia scrisse le sue favole della dittatura?

 

 A guerra finita, a dittatura fascista ormai definitivamente cessata. Racalmuto, il suo paese, è malconcio, non per danni di guerra. Un paio di bombe e poco più. Qualche mitragliata. Sciascia all’occaso della sua vita è perentorio: lo sbarco degli americani fu una kermesse    Ma recentissimi studi storici danno torto allo scrittore. 
Il suo è un ricordo ormai appannato, opaco come il vedere ormai vago della sua vista velata.  Invero il paese fu indenne.  Una mitragliata e fu ucciso un carrettiere. “C’è stato l’episodio che ricordavamo, la pattuglia che ha incontrato l’uomo in camicia nera da lutto e ha creduto che fosse un fascista”. A Racalmuto gli americani entrarono come un ritorno a casa. Parlavano siciliano.  E fu come una festa tra parenti, una rimpatriata. Noi abbiamo vaghi ricordi ma non collimano. Sciascia mi pare però schietto quando afferma che “questo ingresso degli americani … mi diede una certa depressione”. Aveva succhiato latte fascista, ne aveva respirato i privilegi in famiglia, specie in quella di una zia sposata senza figli con un gerarca autorevole: e così rammenta  a suo modo che allo scoppio della guerra si trovava a “Racalmuto; era già diplomato e impiegato al Consorzio; la guerra non l’ha fatta. Era magrissimo. Per due anni .. rividibile.  In seguito … addetto ai servizi sedentari”. Schiettamente aggiunge: ma non mi hanno mai preso. Chissà poi perché: altri anche più esili di lui partirono per militare. Sciascia non ha mai confessato che stava per essere esiliato in Africa come fascista a Sicilia “liberata” e solo per l’intervento del sindaco ucciso la fece franca. Racconta sempre Sciascia: gli americani arrivarono con l’elenco dei mafiosi in tasca. I sindaci di quasi tutti i paesi furono scelti tra i mafiosi. … Per cui anche a Racalmuto ci fu un sindaco che era uno di questi. Nel ’44 lo ammazzarono in piazza, misteriosamente. Non si è capito il perché . Noi siamo inclini a pensare che ebbe o delle amnesie – era sul letto di morte – o volle coprire una spiacevole vicenda con il velo del non ricordo. Cosa che all’autore avvenne un’altra volta  e poteva finirgli male (anche se noi pensiamo che alla fine gli fini male e ciò per un non amichevole incontro con il giudice Falcone).  Guarda caso allora non mancava l’ombra del Vizzini postbellico.

 (foto  di Ferdinando Scianna)
Ed allora quale filone di antifascista si celava nelle belle favole della dittatura? Francamente non c’era. Forse una piccola astuzia nel titolare cose diverse per captatio benevolentiae.  Seguiamo Sciascia nella riesumazione di una storia letteraria che a dire il vero aveva lui stesso seppellita, non amando questo aureo libretto di favole.
“Il mio primo libro fu un libro di favole e uscì nel ’50 dall’editore Bardi di Roma. Mi ero appassionato a un poeta romanesco che amo ancora, Mario dell’Arco “ che gli fece stampare il volumetto che “si intitolava Favole della dittatura”. Sciascia le dichiara “favole su fascismo”. Ma quanto a fascismo  manco a cercarlo con il lumicino trovi tracce in queste mirabili  favolette.
Uno Sciascia letterariamente quasi imberbe, senza ancora la sua grande tragedia di famiglia, il suicidio di un giovane fratello che segnò nel profondo il futuro grande scrittore, uno Sciascia dunque che traccia ancora non ipotatticamente trasfigurazioni nel mondo degli animali di piccoli insensi uomini della sua manco Sicilia (troppo grande) ma della Racalmuto contadina e zolfataia, ancor più depauperata da una guerra combattuta altrove e riconquistata dagli emigranti d’America che portano sigarette cioccolata pastrani scarponi ruderi di auto. Uno spiraglio di ideologia rossa era ineludibile, un diniego dell’appena tramontata coinvolgente retorica paesana voluta dal fascismo, dalla DITTATURA, normale come alla fine di uno scivolo. Ho avuto tra le mani cartoline postali inviate da Sciascia quindicenne al suo amico Pidduzzu: sgrammaticatissime da analfabeta ma esultanti per le vere parate fasciste della appena visitata Trieste. Altro che le magre adunate alla Guardia, il giardino della domenica inventato dal podestà fascista Don Enrico Macaluso. Dopo Sciascia dovette impalarsi col fucile di legno e col giummo in testa determinandogli qualche piccolo complesso di bruttezza postpuberale. Tutto qui, il suo anti fascismo. Tutto qui la sua avversione alla DITTATURA, almeno quella fascista. 

Allegati

  • agato sciascia una foto.docx
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Etichette: Fascismo, favole della Dittatura, Racalmuto, Sciascia

domenica 4 novembre 2012

REMEO TRE I carabinieri cercavano casa a Racalmuto.



Bella questa storia della Caserma dei Carabinieri. Regalpetra libera, come al solito riesce a scovare i veri problemi di Racalmuto e preannunciarne gli sviluppi. Meriti giornalistici a iosa: a mio scorno. Pazienza! Vedo che qualche furbetto di paese cerca di intrufolarsi per acquisire meriti che non ha né può avere. Mi dispiace quando da ciò ...
derivano effetti alone negativi per il paese. Non parlare mai male di te stesso: è l’unica volta che ti si crede sulla parola, diceva qualcuno.
La storia della caserma dei carabinieri va raccontata per quella che è stata.
Brevissimamente: varato il piano regolatore del 1978-80, si cerca di ottenere un prestito dalla Cassa Depositi e Prestiti per una caserma dei carabinieri alla Provvidenza, dietro le scuole elementari, nel pieno rispetto di una della nove (mi pare) tavole allegate alla gazzetta siciliana del maggio 1980. Si poteva dare del lavoro ai locali, e ce n’era bisogno. Un costruttore di Aragona ebbe a presentare un progetto (se non sbaglio). Il maresciallo della locale caserma di allora premeva, non gradendo più l’allocazione al Monte. Sia come sia, non se ne face nulla perché un locale “padrone di casa”, autorevolissimo, riuscì a lucrare un congruo affitto dislocando il tutto nei suoi immobili.
E le “pizze” delle intercettazioni fatte durante il periodo più caldo del caso Sindona? E i reperti archeologici che mi si dice il Calderoli avere portato dai carabinieri? Sono dati di archivio che la Benemerita prima o poi deve fornire a noi poveri ricercatori microstorici e archeologi dilettanti. Ne va di mezzo la memoria locale, anche quella preistorica. Il paese di Sciascia merita questo ed altro. Non merita il fango gratuito (e talora inventato) di questo giorni.
Calogero Taverna
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REMEO QUATTRO



Mando questa nota sapendo pur bene che finisce inesorabilmente nel cestino. Come tante altre mie. Non me ne adonto. La coincidentia oppositorum può scattare una sola volta. La seconda è stucchevole; la terza è irriguardosa. Cosa posso valere io – e mia moglie ride quando faccio critica d’arte, sapendomi daltonico all’eccesso? Cosa posso contrappore al validissimo prof. Cipolla in materia di arte, di figuratismo, di cromatismo, di pittura alla Guttuso? Nulla. Eppure non mi nego l’uzzolo di un piccolo dissenso. Guttuso nasce e cresce sotto il fascismo; Croce, pur in sospetto di antitetico liberalismo, regge e governa l’estetica del momento. Già, l’arte per l’arte. Trasborda Guttuso nel postfascismo. Schizzi, grafici, secchezze stilistiche. Sembra del tutto affine ad un ipotattico ma desolato Sciascia. Ma quella di Guttuso è solo un istante di disorientamento. Mattioli, da banchiere che sfotte la liquidità bancaria in greco, salva, pubblica e lancia Gramsci. L’estetica italiana traballa. Viene György Lukács  e chissà quale realismo vuole imporci. Non quello sovietico. Questo è il paese del sole, della luce, della poesia, del colore: quello più vivido, quello più accecante; quello mediterraneo; quello dei fichidindia, quello della Vucceria o quello più complesso del dopo, dei funerali, delle cornici pieni di mostri bagarioti a proteggere figure, composizioni, complessità rappresentative. E poi quel di dietro di una neo contessa che ossessiona; ed una lascivia di caprone che vuole aggredire la sua preda femminile e aggredirla dal retrostante. C’è una via italiana al socialismo; può esserci uno stradone per una divampante pittura italiana che può conciliarsi con un seggio in Via delle Botteghe Oscure.
E Sciascia? Quello di Galleria che chiosa il pauperismo pittorico di un Marino? Che di Guttuso ricorda certi abbozzi per un Vittorini in vena di conversare con depressi piccoli siciliani o con falsi grandi Lombardi. Scrive Sciascia al nostro ineffabile Cacciato – in cerca di alata critica – che lui non si intende di arte, non capisce la grande pittura, i neroidi gli sembrano minchionerie da analfabeti (ed un po’ razziste). Lui è fermo alle xilografie, alle acqueforti, alle acquetinte a quelle cose piuttosto opache che può lasciare – tutte – alla divisata fondazione che per scaramanzia non vorrebbe a suo nome, al limite a quello di un suo simile, un altro eretico di quel di Racalmuto: un diacono mandato all’inferno dall’Inquisizione con pregustazione delle lacerazioni della umana combustione. E la storia politica? E’ cosa seria se dopo qualcosa rimordeva fino a qualche scritto che credo di aver letto sul fatto che non amava il Nostro il ripararsi dietro l’aver famiglia: ed era atroce rimbrotto per chi amico non era più. Ma in quel caso era Guttuso ad avere ragione! L’amore per la verità – quale verità poi? Quella di svelare segreti che potevano mettere a repentaglio il dovere di avere discreti rapporti con stati stranieri per uno Stato Civile quale l’Italia. Tutti possiamo sbagliare: quella volta sbagliò Sciascia. Un solo errore in una vita integerrima. Poco male!

Calogero Taverna
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