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venerdì 30 novembre 2012

Il CONFITEOR di un banchiere incallito


Qual è il confiteor di un grande banchiere incallito, ormai però giunto all’occaso se non della vita - Cesare Geronzi a 77 anni avrà ancora decine e decine di anni per imperversare - certo degli affari?
E’ lui stesso a sentirsi peccatore. E le sue confessioni dovrebbero dissimulare quelle di Sant’Agostino o filosofeggiare come un moderno Rousseau.
Diciamo che noi ci attendiamo questo suo esplosivo libro da sei o sette mesi. Ora è uscito e ci troviamo a dovere centellinare ben 362 pagine di feltrinelliane confessioni, estorte a dire il vero da un non troppo benevolo Mucchetti.
E noi che per vecchia professione siamo portati a diffidare di tutti e di tutto, pensiamo che un danno enorme quel sapido testo l’ha già provocato. Uscito a ridosso di una importante seduta della Cassazione crediamo che abbia dato aire a giudici sgomenti dinanzi a tante protervie giuridiche per una “esemplare” condanna del pio Fazio, un tempo governatore a palazzo Koch. Non si poteva aspettare un paio di giorni? Perché tanta incontinenza?
Fuge rumores sospirava Baffi. Ma un pensiero pascaliano ebbe a soffiare nel cuore e nella mente del banchiere Geronzi: Sempre in balia dell'incertezza, spinto da un estremo all'altro, l'uomo sente la sua nullità, la sua disperazione, la sua insufficienza, la sua dipendenza, la sua debolezza e salgono immediatamente dal profondo del suo cuore la noia, la melanconia, la tristezza, il cattivo umore, l'irritazione, la disperazione. (B. Pascal)
E volendo parodiare anche Rousseau soggiungiamo noi: Pur muovendo da impulsi disparati e con ragioni e scopi differenti, la maggior parte degli interpreti o seguaci di Rousseau hanno individuato nell’interesse per la politica la nota saliente della sua personalità: è lui [cioè Rousseau] stesso ad ammettere nelle sue Confessions che «tutto dipende radicalmente dalla politica» 11, in quanto un’organizzazione politica equa risolve il problema della teodicea, ridando così moralità alle azioni umane.
Bombardati dai giornali con i loro effetti annunci, ci siamo subito domandati a che tende il dottor Cesare Geronzi? Quale il suo obiettivo? Mughetti, pur nordico, è criptico: dopo si vedrà se vi sarà assonanza con il suo obiettivo: Non vi sarà mai, perché un giornalista è sempre colui che spiega bene agli altri quello che lui non sa, non comprende e spesso non vuol capire. Già, far luce su “trent’anni di potere, banche ed affari”. Ma è lui stesso a dirci che quella sua specifica (o speciosa) luce l’ha già irradiata con tre decenni di lavoro di giornalista.
Noi ci domandiamo: siffatti opposti obiettivi (Geronzi tenterà solo di assolversi o di condannare) stridono con le modeste nostre indagini? Le abbiamo fatte per incarico pubblico, le abbiamo sofferte per dissidenze etiche e politiche, le abbiamo propinate con la dissacrazione icastica che ci riviene dal piccolo borgo del sale e dello zolfo in cui siamo nati.
Sin d’ora noi lo sappiamo: giammai!
Abbiamo sbirciato il grosso volume. Ci colpisce innanzi tutto l’assenza di nomi eccellenti, di protagonisti sotto traccia, di citazioni giudiziarie, di risultanze ispettive, di provvedimenti amministrativi, di sentenze esemplari, di esiti giudiziari.
Qualche esempio: non troviamo Lucio Veneziani, non troviamo il dottor Somma, non troviamo esuli dalla consulenza legale della Banca d’Italia. La vicenda Sarcinelli viene sfiorata secondo le più consunte vulgatae. La storia del Banco di Sicilia, dell’Irfis, dell’Interfinanza sindoniana, tutto nelle brume di chi forse a ragione può dire: non ricordo, perché in effetti non protagonista. Il dottor Desario (scritto senza d minuscolo e senza aristocratica separazione) citato una sola vola. Dini non riusciamo a pescarlo neppure con la più dilatante lente di ingrandimento. E Gnudi? La Moscow Narodny London pare vi sia, ma sepolta chissà dove. Pare solo in una domanda dell’intervistatore.
In compenso, dilatate vicende forse più personali che emblematiche.
Divagazioni su pontefici, cardinali e in un punto su un papa in pectore, lasciano in ombra personalità quali il ministro Colombo.
Avrò di che pensare; avrò di che cercare di spiegarmi.
Quello che mi accora di più è che con questi rumores Fazio forse è definitivamente perduto alla cosa pubblica (ed è una grossa iattura). Geronzi che bene starebbe come ministro dell’economia subirà l’onta dileggiante che mi pare Repubblica anticipa. I reietti resteranno reietti ma i “correi” dell’odierno sbaraglio mediatico non avranno giustizia. Solo ulteriore motivo di gogna.
Calogero Taverna



11 Confessions, IX, in Opere, p. 977.

Fazio condannato: sentenza inappellabile.


Come insignificante e peraltro ottantenne cittadino italiano ho il dovere non solo di rispettare ma anche di plaudire ad una siffatta sentenza. Ma credo di saperne, in questo campo, più e meglio di tutta la cassazione italiana riunita. Ho rispetto assoluto per l’ex Governatore Fazio: lui è cattolicissimo e credentissimo, io assolutamente non credente. Motivo questo che ci divide stellarmente. Lui manco mi volle ricevere quando avevo da presentare mie personali rimostranze sia per quanto attiene alla vertenza della Banca Mediterranea di Potenza, sia per quanto riguarda una vera e propria espoliazione da parte di Ciancaglini nei miei riguardi. E ad essere sinceri, ebbe indifferenze quando il mio inferiore di grado (per poco, però) De Sario mi giubilò con Masera.
Eppure, io ho stima, rispetto, ammirazione per il dottor Antonio Fazio. Strabuzzo gli occhi quando una pasticciera di Milano inventa un sillogismo processuale secondo il quale un inesistente fatto viene infilato irragionevolmente in una estranea norma. Vittorio Emanuele Orlando, il grande giurista di Sicilia, aveva ammonito già negli anni Cinquanta ad avere acume e genio nel coniugare fatto e norma.

 I giudici della Suprema Corte hanno rigettato tutti i ricorsi presentati contro la sentenza emessa il 28 maggio scorso dalla Corte d'appello di Milano. Definitive anche le condanne a un anno e mezzo per l'imprenditore Luigi Zunino e il fiduciario svizzero Francesco Ghioldi (quattro anni e tre mesi). Gli imputati erano accusati, a vario titolo, di aggiotaggio, ostacolo agli organismi di vigilanza e appropriazione indebita. La sentenza d'appello aveva ridotto per tutti le condanne inflitte in primo grado: il tribunale di Milano, nel maggio 2011, aveva infatti condannato Fazio a quattro anni, Consorte e Sacchetti a tre anni, Fiorani a un anno e otto mesi. Il pg di Cassazione, Oscar Cedrangolo, nella sua requisitoria questa mattina, aveva invece sollecitato l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, rilevando "l'incompetenza territoriale" dei giudici milanesi, come lamentato dalle difese degli imputati. Se la Corte avesse accolto le richieste del pg, il procedimento si sarebbe completamente azzerato. La prescrizione, inoltre, sarebbe scattata tra qualche giorno, il 12 dicembre prossimo. La sentenza della Corte d'appello milanese aveva revocato la confisca di 39,6 milioni a Unipol, condannando invece la societa' a pagare 230 mila euro (a fronte dei 900 mila disposti dai giudici di primo grado). La societa' Nuova Parva era stata condannata a versare 100 mila euro (360 mila erano invece stati stabiliti in primo grado).