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martedì 19 febbraio 2013

Sono come Pitigrilli: non ascolto gli imbecilli


Diceva Pitigrilli: oh! Signore fammi baciare un lebbroso ed io te ne bacio dieci, ma non fammi parlare per più di cinque minuti con un imbecille; non ci riesco.

Sappiano taluni che ho staccato la spina e quindi hanno di che ragliare: non rispondo, non li leggo neppure.

Per rispetto a quei tanti tantissimi lettori – intelligenti – che m leggono preciso che nel parlare di padre Giuseppe mi sono avvalso di un documento inedito che solo io posseggo (e padre Martorana): un simpaticissimo quinterno  il cui escatollo recita: Liber in quo adnotata reperiuntur nomina plurimorum Sacerdotum nec non Diaconorum Subdiaconorum et Clericorum huius tarrae Racalmuti jam ex vita discessorum a pluribus ab hinc annis fere … abilibus opere Rev.di Sac. D. Paulum Falletta hoc  anno 1636 pro quarum animarum suffragio semel in mense in … secundae hebdomadae ad eas tandam missam omnses Sac.ti  Diaconi Subdiaconi et Clerici se obbligaverunt  convenire ut in actis. … Sferrazza Racalmuti sub die 26 martii 1638(?).

Mi assillano con queste storie della Caico; leggo la splendida presentazione di Sciascia e mi soffermo su questo passo:

“La signora Caico seppe del passato di padre Giuseppe dopo avere amabilmente conversato  con lui ed avere con lui appresa la storia del paese. Se ne scandalizzò ne fece rimprovero al contadino di Montedoro che le faceva da guida: ‘ Perché cercarlo? Perché farmi conoscere una persona simile?’. La guida rispose: ‘ E’ il solo uomo intelligente che c’è a Racalmuto’. Confesso che il passo non mi pare un capolavoro di consequenzialità.  E non è che Sciascia non sapesse sunteggiare. Aveva qualche riserva mentale (e dopo emerge ben chiara). Da precisare che comunque la frase è “è il solo uomo intelligente che c’è a Racalmuto”. Non “il più intelligente” come qualcuno barando vuol far credere. A meno che il testo della Caico dica ben altro e Sciascia abbia lui barato. Cosa cui non credo. Il testo della Caico ce l’ho a Racalmuto e qui a Roma non sono in grado di controllare.

C’è poi la faccenda dell’arciprete Casuccio. Anche qui Sciascia è sornione: Scrive: di questo prete , nessuno in paese ha ricordo o ha sentito parlare, tranne il vecchissimo ec arciprete (novantasetteanni). Frase criptica che vuol dire tutto o nulla. Solo a questo punto dice Sciascia: Si chiamava Giuseppe Bufalino: Sciascia lo desume da Caico o il cognome glielo svela Casuccio? Lo scrittore è morto per conoscere il vero. Nanà ha obiettivi polemici antimontedoresi per faccende che ora si anno disvelando. Gli avevano rotto l’anima con quell’assidua richiesta di prefazioni ed omelie a scrittorelli o maestri elementari “di un paese piccolo e di non lunga storia” (parole di Sciascia).

Mi chiedo: perché mai l’arciprete Casuccio che pure aveva un debole per Leonardo Sciascia non gli ha mostrato il “liber” che ho ricordato?

Forse perché manco si era sicuri se si trattasse di padre Giuseppe Bufalino o ad esempio del sacerdote don Giuseppe Romano coevo e credo neanche lui in odore di santità (cfr, il LIBER n. 456). Se così fosse, ci sarebbe un bel da ridere!. Non son storico, non faccio appassionate difese di chicchessia (semmai eccedo in ridicolizzazione dei morti, figuriamoci dei vivi e dei vivi con pretese storicistiche o letterarie). Per mestiere facevo l’ispettore e con buoni risultati. Per deformazione professionale continuo ed i reviviscenti mi sollazzano.

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