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sabato 11 maggio 2013

Racalmuto nel 1862


RACALMUTO LA RIVOLTA DEL 1862 – VIVA IL ROMANZO DI NINO VASSALLO

L’esimio Nino Vassallo sta deliziando i lettori di MALGRADOTUTTO con un suo sicuramente pregevolissimo romanzo storico (rectius MICROSTORICO) sulle vicende racalmutesi  del 1862 . Un romanzo storico si può permettere tutto e il contrario di tutto. Io – lo confesso – non l’ho ancora letto; quelle diavolerie informatiche mi annebbiano la vista. Un ottantenne come me, va capito. Aspetto quindi di comprarlo in libreria per centellinarlo ghiottamente e riverentemente. Prima di siffatta improba fatica, mi sia permesso di rievocare qui miei vecchi appunti. Ovviamente mi serviranno per chiosare con magari qualche strale ironico, caratteristica che tutti mi riconoscono o mi addebitano. Consentirà magari allo stimato Nino Vassallo da dove potranno arrivare certi colpi proibiti e schivarli. Spero – se Dio al quale non credo  mi concederà salute e vita sufficiente – di potermi un domani incontrarmi e scornarmi col diletto Nino in un pubblico dibattito magari al Chiaramontano se gli attuali delegati e sovraintendenti dovessero concedercelo.

 

 

 

 

 

Si è visto don Giuseppe Farrauto affiancare nel 1848 i Messana nei fomiti antiborbonici; e dire che dopo i suoi eredi passeranno come borbonici per eccellenza. Ma era avvenuto un incidente gravissimo con tanto di ignomia per una infamante carcerazione. “Signori Farrauto, - apostroferà l’impudente barone Luigi Tulumello nella campagna elettorale del 1873 - che diremo di voi? La storia è a tutti palese, sembra da voi soli non rammentata!!!..”: un parlare per “ ’nnimmi ”; un bell’esempio di “jttari ‘nnimmi”, come direbbe Sciascia, « ... un parlare minaccioso - cioè - e ricattatorio che, ad eccezione della persona cui è diretto, può sembrare strano, strambo.»  Crediamo che il salace barone Tulumello si riferisse alle scudisciate che le famiglie Farrauto e Matrona - ora alleate - si erano inferte nel 1862, al tempo dei fatti del 6 settembre 1862.

Leonardo Sciascia quei fatti li dà in flash in Occhio di Capra (pag. 17) sintetizzando e rivisitando un capitolo di storia paesana che si trova in un’opera di un prefetto dell’epoca; Enrico Falconcini. «Da un prefetto ingiustamente “dispensato” - chiosa il grande scrittore racalmutese - (non destituito, tenne a precisare il ministro) sappiamo come è che anche a Racalmuto si tentò di non cambiare nulla nonostante il tutto che era cambiato (vedi Giuseppe Tomasi, principe di lampedusa e duca di Palma). Il prefetto si chiamava Enrico Falconcini, e della sua amara esperienza, sull’ingiustizia che lo aveva colpito, fece un libro che pubblicò in Firenze nel 1863. Un capitolo è dedicato ai fatti del 6 settembre 1862 a Racalmuto. Racconta che nel paese c’erano due partiti: quello dei Farrauto, che vestiva “in calzon corto ed in coda”, e quello dei Matrona, che “amava indossare la camicia rossa”. Quel giorno, il partito dei Farrauto pensò di “profittare dell’abbattimento che dal fatto di Aspromonte eniva alla parte sua rivale, per correre alle case dei Matrona ed appiccare con questi una volta di più accanita zuffa”. Si fanno rientrare in paese i renitenti alla leva, si bruciano gli archivi, si devasta la caserma dei carabinieri, si devasta il casino di conversazione, si svaligia il corriere postale e si dà fuoco alla corrispondenza; e si pone assedio alle case dei Matrona, che però validamente si difendono. Due giorni dopo arrivano a Racalmuto truppa, procuratore del re e giudice istruttore: e si arrestano i Matrona. Il prefetto Falconcini interviene energicamente a farli scarcerare: ed è molto probabile che anche questo intervento gli sia stato messo in conto nel provvedimento che lo dispensava dal servizio.»

 

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La verità storica sulla ribellione racalmutese del 1862

 

L’indulgenza che Sciascia propina al forestiero prefetto Falconcini è sospetta per vari versi: ma forse Sciascia ebbe sotto mano solo qualche sporadica fotocopia dell’opera del Falconcini e non poté farsene un’idea precisa. Certe sortite di quell’ex deputato, impovvisato prefetto, stentiamo a credere possano essere passate inosservate la loico scrittore racalmuetse e - peggio - venire addirittura condivise. Si pensi che Falconcini ad un certo punto credeva fosse in sua mercé arrestare la gente sospetta per farla ‘cantare’ sotto processo: peggio di taluni eccessi della moderna antimafia - giustamente stilettata dal grande racalmutese.

Falconcini stette pochi mesi a capo della provincia di Girgenti. I suoi metodi dittatoriali, vessatori, improvvidi suscitarono campagne di stampa avverse e attacchi in parlamento, tanto da spingere Silvio Spaventa a destituirlo repentinamente, senza neppure chiedere una qualche giustificazione. La misura era al colmo. Il Falaride di Girgenti veniva detto sulla stampa. Ed a ragione, se diamo appena uno sguardo critico alle vicende racalmutesi in cui fu odioso protagonista.

Falconcini, umiliato ed offeso da provvedimento ministeriale, scrisse un libro a sua difesa - e sicuramente a sue spese - che si premurò di mandare in Parlamento nella speranza - disillusa - che potesse sortire un qualche effetto a suo favore. Stizzosamente, Ubaldino Peruzzi tagliava corto con tal cav. Boggio deputato al parlamento di Torino - in atteggiamento difensivo verso il defenestrato prefetto di Girgenti. Scrivendogli testualmente «egli [falconcini] è stato dispensato, non destituito, dalla carica di prefetto di Girgenti. Prendendo questa determinazione il ministero non ha inteso infliggere al signor Falconcini veruna punizione o biasimo, percché non ne abbia motivo.» Non era vero, ma la sortita burocratica era di quelle da tappare la bocca a chiunque. Non c’era però riprovevole dietrismo come lascia intendere Sciascia. Il prefetto era venuto in Sicilia ed in quella sperduta landa del sud convinto di avere a che fare con dei coloni africani cui raddrizzare le gambe.

Abbiamo il maligno sospetto che si sia lasciato guidare anche dalla malevola animosità contro taluni nuovi ceppi borghesi dell’oriundo avvocato Picone. Costui si era premurato di ospitare questa espressione del nuovo stato sabaudo a casa sua. Poi, pare palesamente pentito per i guai che ciò ebbe a procurargli. Stralciamo dalle sue Memorie.   « 13 agosto 1862- leggesi a pag. 658 -  Giunge il novello prefetto signor Falconcini. Il dopo pranzo giunge un generale con due pezzi di artiglieria di campagna ed altra truppa di linea, che la sera circonda la città. !4 agosto - La sera parte tutta la truppa, lasciando sparutissima guarnigione. Disertano taluni soldati, onde riunirsi a Garibaldi - 21.- Si pubblicano le copie dell’ordinanza di Cuggia, prefetto di Palermo, per le quali si proclama lo stato d’assedio in tutta Sicilia, le quali vengono lacerate. Il dopo pranzo si vedono parecchie pattuglie di soldati, le quali si ritirano ai reclami di taluni uffiziali della guardia nazionale, che trae a sé il peso della custodia dell’ordine. 22.- Giungono lettere che annunziano l’entrata di Garibaldi in Catania. 27.- Giunge un proclama di Garibaldi, per lo quale protesta a favore del re, e contra il ministero. 30.- Giunge al prefetto di Reggio Calabria un telegramma, che annunzia Garibaldi disfatto e ferito in Aspromonte. Lutto, sgomento, pianto nelle famiglie dei garibaldini. 31.- Si vuol fare una strepitosa dimostrazione contro il governo, ma non si giunge a farla. Il malumore aumenta. SETTEMBRE. 1 a 6.- Lo spirito pubblico eccitato. Risse e malumore per la novella moneta decimale. [ ...] 8.- Arrivano per la via di mare circa cinquecento bersaglieri, che si dicono essere di coloro che attaccarono Garibaldi. 9.- Si pubblica un’ordinanza di Cialdini, per la quale si dispone: “Che le bande armate che saranno trovate in campagna, saranno trattate come briganti, e che gli avanzi delle bande garibaldine, nel termine di cinque giorni, dovranno presentarsi, e saranno trattati quali prigionieri di guerra. Scorso quel termine lo saranno come briganti.” Gran malumore! 13.- Giunge il 32° di linea. [...] OTTOBRE. 1.- Per ordinanza del colonnello Eberhard è comandato il disarmo, proibita l’asportazione e la detenzione delle armi, sotto pena di fucilazione. 11.- Un vapore trasporta centosessanta detenuti di s. Vito. 12 al 25.- Giunge il 4° di linea. Innumerevoli arresti di ladri, di galeotti e di galantuomini alla rinfusa. [...] DICEMBRE. 14.- Si vede sulle mura delle case, lungo il corso principale scritto: Abbasso Falconcini. 17.- Mi si invia, per la posta, un biglietto che dice: “ Si prepara una combinazione, che sembra infernale, la quale se verrà ad effetto,la vostra casa andrà in fumo. Ciò si fa non per colpir voi, ma il prefetto.” Questi abita il quarto piano superiore al mio. [...] 1863 - GENNAIO. 13.- Proclama di Falconcini, che promuove una soscrizione contro il brigantaggio di Napoli. 6.- Egli con altro proclama, annunzia la sua destituzione. [...] FEBBRAIO. 12.- Arrivo del novello prefetto Bosi.»

Ma veniamo alla rivolta racalmutese. Tra la variegata documentazione Falconcini scegliamo per primo questo rapporto al Ministro dell’Interno che ci pare il più obiettivo. «Al Ministro dell’Interno. Il paese di Racalmuto è uno di quei luoghi ove malauguratamente ha regnato ben poco l’impero della legge e dell’autorità, per le dissensioni esistenti fra gl’individui delle due famiglie Matrona e Ferrauto, che atteggiandosi a partito politico si facevano lecito ogni azione che fosse creduta invisa al partito avverso.

«Così rima dell’arrivo di Falconcini, n.d.r.] dovè sciogliersi il consiglio comunale [...] Fu inviato un commissario nella persona del consigliere Di Catania [col compito anche ] di ricostruire la guardia nazionale.

«[...] niuno iscritto delle classi 40 e 44era stato obbediente alla chiamata [della leva]. [Racalmuto fu abbandonato] nella seconda metà di agosto dal distaccamento di truppe sotto gli ordini del generale Ricotti per operare nei dintorni di Catania [..]

«Il giorno 6 [settembre 1862] il paese cadde in preda ad un terribile disordine. I malviventi, i rei di omicidio e furti, tutti  latitanti alla giustizia, i coscritti renitenti e persone di mal’affare sopraggiungevano nel paese, quale orda invaditrice cui non opponeva resistenza la guardia nazionale sebbene eccitata e capitanata dal giudice di mandamento.

«Era saccheggiata la caserma dei carabinieri ... si appiccò il fuoco agli archivi del comune e della percettoria ed agli stemmi sabaudi; fu aggredito e saccheggiato il corpo di guardia della milizia nazionale; si saccheggiava il casino di compagnia, si aprivano le carceri ai detenuti, si aggrediva la vettura corriera, derubando i passeggeri  e bruciando in piazza fra l’orda popolare i dispacci postali, e così paralizzata l’azione di ogni autorità, gli abitanti si scambiavano fra loro secondo i partiti colpi di fucile che fortunatamente non produssero lacrimevoli effetti.

« [...] nella notte del 7 settembre una colonna andò sul posto per rimettere l’ordine, arrestare i colpevoli e fare eseguire in ogni parte il proclama del generale Cialdini sullo stato d’assedio.

« [...] Gli arresti furono eseguiti dalla truppa nel numero di sessanta circa.

«[....] molte delle persone compromesse nei disordini, costituiti in banda di circa 150 soggetti, tutti debitori di reati o renitenti alle leve, si accamparono in armi nei monti circostanti al paese quasi gettando una sfida alla truppa, che non poteva agire contro di loro, preoccupata come era nell’interno ad eseguire il disarmo, custodire gli arrestati e mantenere la quiete.

«Una compagnia di bersaglieri sotto gli ordini del maggior comandante il 6° battaglione, moveva da qui nella notte per dare la battuta ai briganti ricoverati nel monte detto Castellazzo [secondo Picone - per noi più correttamente - Castelluzzo  ] Difetto di preventiva intelligenza colla prefettura di Caltanisetta [sic], sebbene richiesta, fece sì che dato l’assalto dalla colonna i briganti retrocessero e non trovata altra truppa che li attaccasse a tergo poterono rifuggirsi isolatamente nella provincia suddetta, ma cessò la loro presenza d’infestare le campagne e minacciare di nuovo Racalmuto.

«Rimasta in questo luogo una compagnia di bersaglieri, che sembrò sufficiente a tenere in rispetto l’autorità del governo, ai 18 settembre fu eseguita la traduzione dei detenuti a Girgenti per disporne come di ragione; ed infatti molti sono stati già liberati dal potere ordinario, i veri colpevoli essendosi resi latitanti, ed altri in minor numero essendo rimasti in carcere come dediti a qualunque azione criminosa.

«Sebbene l’autorità giudiziaria non potesse raccogliere abbastanza prove per incriminarli, risultò da tutto l’insieme che causa dei fatti avvenuti era l’animosità fra le famiglie Matrona e Ferrauto che avevano diviso il paese. Allontanatesi quelle famiglie per timore di severe misure, la popolazione riacquistò quiete invidiabile che rimane inalterata.

«Girgenti, li 8 ottobre 1862. Il prefetto: Falconcini.»

Cattivo prefetto, pessimo profeta: i Matrona ed i Farrauto furono costretti all’esilio - a quanto sembra - ma la quiete a Racalmuto non arrivo; anzi i successivi fatti di gennaio mostrano un’arroventarsi del clima di contestazione. Il popolo di Racalmuto non era dunque quella misera cosa in mano agli ottimati corrispondenti ai Matrona ed ai Farrauto (famiglie solo di recente giunte a Racalmuto: nel settecento; i primi al seguito di un prete funzionario di conti succeduti ai Del Carretto; i secondi con armenti di pecore, come si sopra visto). Non erano costoro che potevano dominare il non irruento ma non succubo popolo di Racalmuto. Il prefetto era male informato. Abbiamo insinuato dall’avvocato Picone.

La nota è importante, poi, per la storia del circolo unione: preso di mira dal popolino, sichiamava ancora “circolo di compagnia”; la prosa prefettizia sembra avvolorare ciò oltre ogni ragionevole dubbio.

Non crediamo che, se Sciascia avesse letto davvero questo passo del libercolo del Falconcini, si sarebbe indotto ai sullodati apprezzamenti positivi.

Il circondario di Girgenti era piuttosto disarmato in quel periodo: tutto l’intero distaccamento bersaglieri, 6° battaglione, presidiava il derelitto Racalmuto e sicuramente ne insidiava le donne, con tanta rabbia dei barbuti - ed in gran parte latitanti - maschi del luogo, pregiudizievolmente renitenti alla leva dei Sabaudi. Come dargli torto?

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