CONTRORELAZIONE DI STIMA DEL RAPPORTO DI CONCAMBIO TRA LE
AZIONI DI BANCA MEDITERRANEA E DI BANCA DI ROMA A SUPPORTO DELLE DETERMINAZIONI
DEL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE DI BANCA MEDITERRANEA.
Dott. Calogero Taverna,
ex ispettore di vigilanza bancaria della
Banca d’Italia ed ex ispettore del SECIT, Ministero delle Finanze. – Socio di
minoranza della Banca Mediterranea.
Dott. Giuseppe Taverna,
dottore in giurisprudenza.
St. Un. Cinzia Leone,
laureanda in
giurisprudenza.
Due o tre puntualizzazioni a mo’ di
premessa.
Si dà per letta
la congerie di documentazione messa a disposizione dei soci di minoranza della
Banca Mediterranea in ordine a:
1)
al progetto di fusione per incorporazione della Banca
Mediterranea SpA nella Banca di Roma Spa;
2)
al bilancio di esercizio 1999 della medesima Banca
Mediterranea.
Nella prodromica
assemblea del 9 novembre 1999, l’istanza di chi scrive a coinvolgere – anche in
posizione oltremodo subalterna – i vari comitati di soci nella impostazione
delle stime e delle controdeduzioni ai rilievi della Banca d’Italia della
precedente primavera è stata totalmente disattesa.
Non è stata accettata l’offerta di
«…collaborare per una contrapposizione difensiva avverso la Banca d’Italia.»
Non si è dato
peso al fatto che «se questa proposta dovesse essere accolta, si renderebbe
necessario interrompere l’assemblea e riconvocarla per deliberare sui risultati
che una siffatta commissione mista di cointeressati riterrebbe utile sottoporre
all’approvazione dell’intero sodalizio bancario.»
Men che meno si
è dato spazio ai soci di minoranza intenzionati a «respingere l’intero o.di g.
che viene proposto e predisporre gli strumenti tecnico-giuridici per una difesa
giudiziaria, il cui filo conduttore non può non essere il conflitto di
interessi con il socio di maggioranza – spesso socio tiranno – e con quanti vi
si sono accodati o vi si accodano.»
Ed ecco come si contava in quell’intervento
requisitorio:
Il conflitto
parte da lontano e a dire il vero con una intrusione della Banca d’Italia, per
lo meno, irrituale. Fu infatti il locale direttore della Banca d’Italia a
rappresentare nel 1994 i desiderata dell’Organo Centrale tendente ad imbarcare
la banca del sud nell’alveo del mega gruppo facente capo alla Banca di Roma.
L’autorevole suggerimento trovò spazio in una sede impropria quale è la lettera
ufficiale di contestazione delle risultanze ispettive (nota n. 4626 del 16
settembre 1994): vi si legge, infatti. «... la Banca di Roma dovrebbe acquisire
una quota del 30% del capitale di codesta Banca [Mediterranea] [..]: in tal
modo, codesto ente entrerebbe a far parte del gruppo creditizio Cassa di
Risparmio di Roma. Al riguardo, si è qui dell’avviso che l’accordo debba essere
considerato alla luce dei risultati della verifica ispettiva. In particolare,
l’apporto patrimoniale dovrà essere quantificato tenendo presente la necessità
di fronteggiare il deterioramento dell’attivo e di ripristinare l’equilibrio
reddituale [..]: l’intesa dovrà consentire i più ampi poteri di gestione al
partner prescelto, nel cui gruppo creditizio andrà ricompresa l’azienda ...»
(v. pag. 5).
E potremmo citare altre fonti che
ormai sono di pubblico dominio per i vari processi anche penali in corso.
Ma l’usbergo B.I. non dissolve le
responsabilità Bancoroma.
Nel 1993 figuravano
tra le azioni proprie L. 18.413/m. comprate per la maggior parte a L. 15/mila.
Con accordi del marzo 1994 la Banca di Roma s’impegnava ad acquistare n.
1.568.816 azioni in portafoglio della Mediterranea a L. 15.000 ed a
sottoscrivere integralmente un aumento del capitale per giungere ad una quota
del 30% al prezzo di emissione non inferiore a L. 15.000. Era un accordo
condizionato, ma nella sostanza non poteva essere modificato se non per eventi
allora imprevedibili. L’atto provvidenziale fu la drastica ispezione Scattone
che abbondando in previsioni di perdite su opinabili sofferenze consentì la
riduzione del prezzo da L. 15.000 per azione a L. 8.000 per azione. La Banca di
Roma senza doversi sbracciare più di tanto potè rinegoziare l’iniziale acquisto
delle azioni della Mediterranea nel proprio portafoglio da L. 15.000 ad azione
a L. 8.000; sottoscrivere sempre a L. 8.000 per azione l’aumento del capitale
sociale del novembre 1994 ed a tale prezzo potè aggiudicarsi quello successivo del 1995.
I dati tecnici qui non interessano:
resta però evidente che la Banca di Roma potè acquisire l’attuale 58% o giù di
lì del capitale sociale della Mediterranea adducendo soltanto 339/miliardi circa al posto di L.
636/miliardi circa con una differenza di L. 297/miliardi circa, (miliardo in più, miliardo in meno:
noi non abbiamo per ora i dati precisi). Dobbiamo aggiungere che la cosa, pur
indagata, non ha sinora sortito effetto alcuno presso la magistratura. Il
supporto giuridico sembra essere una perizia di un auditor bancario, di cui la
Banca di Roma è socia, che a dire il vero si è limitato a fare un poco convinto riferimento alle
risultanze ispettive precedenti. Ma particolare di grosso valore, la Banca di
Roma non ha ritenuto, dopo, attendibili le ricostruzioni ispettive e per anni
le sofferenze sono state molto al di sotto rispetto a quelle ispettive. Del
pari le valutazioni delle perdite inerenti.
Oggi, in questa chiamata al giudizio finale, il socio di
maggioranza dovrebbe per lo meno allontanarsi ed il C. di A. con il collegio
sindacale non avrebbe titolo a fare proposte di acquiescenza ai nuovi risultati
ispettivi per la palese confliggenza d’interessi. Una delibera in ordine delle
responsabilità patrimoniali dovrebbe avvenire senza l’interferenza di soci
coinvolti o di amministratori consenzienti.
Non si mancava di scendere
nel dettagli in ordine ai seguenti
indici di anomalia nella gestione bancaria.
a)
la Banca non ci segnala che il nostro
sistema informativo è risultato “obsoleto”; che inadeguato è apparso l’apparato
contabile e segnaletico; che carenti si
sono rivelati i sistemi di controllo interno. Ebbene ciò nonostante che
dal 1994 ad oggi il carico del conto economico per competenze a professionisti
esterni abbia avuto il seguente ingente sviluppo: 1994 L. 5.432.795.176; 1995
L. 3.447.530.240; 1996 L. 4.914.115.300; 1997 L. L. 6.413.846.934; 1998
L. 7.049.931.185 e già nella prima metà di quest’anno l’esborso è asceso a L.
5.671.059.916.
b)
Se siamo bene informati, alla Banca
d’Italia non piace neppure il nostro Servizio Ispettorato - ma per esperienza
diretta noi dobbiamo qui esternare il nostro plauso ai valenti dirigenti della
Mediterranea che vi hanno operato e che ancora vi operano – e tanto rende
inaccettabile l’enorme dispersione di mezzi propri nel pagare ingenti somme
alla Capogruppo per prestito di “personale”. Leggendo gli scarni dati di
bilancio abbiamo che nel quinquennio sono stati sborsati questi emolumenti a
dirigenti estranei distaccati dalla Banca di Roma: 1995 L. 1.434.486.272; 1996
L. 3.049.758.246; 1997 L. 2.281.669.399; 1998 L. 2.531.803.065 e nella prima
metà del 1999 L. 1.400.830.290. In totale dunque L. 10.699,5 milioni di nessuna
utilità, di gratuito aggravio dei vari conti economici, già pesantemente incisi
dall’enorme costo del personale proprio – invero di altissimo livello, se bene
utilizzato – e con incidenze sulle responsabilità degli amministratori, dei
sindaci, nonché con insorgenze conflittuali di interessi nell’ambito delle
assemblee sociali per la presenza determinante del socio tiranno beneficiario
indiretto di codesti indebiti o dispersivi gravami economici.
c)
Per il nuovo ispettore della Banca
d’Italia gli ingenti accantonamenti per ammortamento in conto delle varie
sofferenze ed incagli che hanno devastato i precorsi esercizi sono
insufficienti e necessiterebbero – a dire degli stessi amministratori –
“rettifiche di valore su crediti in sofferenza e ad incagli pari a L. 175,8
mld.” e cioè L.30,8 mld. per “rettifiche di valore analitiche” e L. 143 mld. a
titolo di svalutazione “forfetaria”. Non venendo ragguagliati in nulla, noi
soci di minoranza contestiamo siffatta impostazione di bilancio. Innanzitutto, occorre conoscere il trend
delle sofferenze dalla precedente ispezione alla presente: occorrono i famosi
allegati di supporto agli stringati rilievi. Necessita stabilire se la gestione
delle precorse sofferenze è stata adeguata e proficua; se il socio di
maggioranza ha favorito i suoi grandi clienti esposti anche in
Mediterranea; se via sia stato uno
storno di posizioni incagliate da Roma a Potenza ed altre peculiarità operative
che passano anche attraverso compravendite di azioni preferenziali della
Mediterranea da parte della Banca di Roma a pregiudizievole sistemazione di
taluni grandi debitori della Mediterranea. Questi e tanti altri aspetti su cui
ci si riserva di intervenire nelle competenti sedi rendono particolarmente
grave il contesto delle responsabilità amministrative di amministratori e
sindaci ed inquinano le precedenti delibere assembleari che hanno inteso
suggellare, col solo assenso dell’interessato socio tiranno, un indirizzo
gestionale che ora la Banca d’Italia torna a stigmatizzare pesantemente.
d)
Per la Banca d’Italia, prodottasi in
uno scrutinio del merito di credito nella sua veste di terzietà, diffuse
sarebbero le manchevolezze che vengono giudicate incoerenti con l’ipotizzata
espansione del comparto. L’iniziale intento di convogliare a Potenza da Roma
risorse tecnico-menageriali rivenienti da una impresa bancaria di alto standing
appare del tutto frustrato. La Banca d’Italia non può pertanto lasciare la
Mediterranea in mano a chi ha tradito la sua fiducia: le resta l’ufficio ex
art. 76 TULB cui deve procedere con urgenza perché vanno profilandosi manovre
pregiudizievolmente dilatorie come è la proposta degli amministratori, che, pur
fustigati dai rilievi ispettivi, vorrebbero un “rinvio al prossimo esercizio
dell’adozione degli opportuni provvedimenti di cui all’art. 2446 c.c.” e
ovviamente fidandosi della benevolenza del socio tiranno – per suo verso
interessato a tale conflittuale slittamento di provvedimenti che sarebbero
inceppanti della veridicità e fedeltà del suo proprio bilancio - sperano in una decisione volta a soprassedere
«in questa sede, alla riduzione del capitale a copertura delle perdite al 30/06/99».
e)
Sempre ad avviso dei nuovi ispettori
B.I. gli incagli ufficiali hanno per lo più caratteristica di sofferenza. Si
intuisce, dunque, un deterioramento dell’assistenza creditizia. Le sofferenze
residuano in L. 600/miliardi a seguito di “rettifiche di valore” per L. 595,6
miliardi (la nostra banca ha crediti in sofferenza per L. 1.196 miliardi che gli amministratori di diretta emanazione
del socio tiranno lasciano marcire da anni tra le pieghe dell’attivo). Sono destinate,
per intuizione ispettiva, a crescere ulteriormente. La Banca d’Italia non è
tenuta ai provvedimenti di rigore, ma un inquietante interrogativo la dovrebbe
attanagliare, specie se lascia l’azienda bancaria sotto la sua vigilanza, in
mano di amministratori e di un socio di maggioranza a dir poco distratti.
Aggiungasi che patologico va giudicato il comparto degli interessi di mora:
trattasi di L. 373.293.701.894 svalutate per L. 320.953.587.573, il che la dice
lunga sulla indolenza degli amministratori nel recupero almeno parziale degli interessi
moratori. Ed il rilievo n. 15 è molto significativo al riguardo. S’impone
quindi l’interrogativo circa l’atteggiamento della B.I. che al momento si
limita a contestare cose tanto gravi senza assumere le iniziative che, se non
la forma, l’essenza della vigilanza
prudenziale imporrebbe senza indugio.
f)
Rade sarebbero – sempre per la Banca
d’Italia - le autonome e tempestive azioni esecutive volte al recupero dei
crediti. Da ciò dovrebbe scaturire un’immediata e tempestiva iniziativa nel
senso scandito dall’art. 76 T.U.L.B.
g)
Quanto delicato sia il rilievo sulla
scarsa correttezza contrattuale e sulla rilassata prevenzione dell’utilizzo dei
circuiti bancari a fini criminosi è di palmare evidenza. Un rilievo del genere
rivolto ad uomini per vari versi legati ad uno dei massimi enti bancari
nazionali lascia solo esterrefatti. Ma basta una semplice tirata di orecchie?
h)
Per Barbagallo sarebbe solo
insufficiente l’attenzione che viene prestata all’osservanza della normativa
antiusura. Per quel che ci è capitato di vedere, gli episodi di tracimazione
dai “tassi-soglia” sarebbero tutt’altro che episodici e di modesta misura.
i)
Censurabili in termini di maggior
rigore ci sembrano i casi di devianza dai canoni dell’antiriciclaggio (rilievo
16);
j) Esulando
dalle contestazioni B.I., abbiamo da lamentare l’assoluta inidoneità delle note
illustrative della nota contabile al 30/6/99 e dell’o.d.g che ci viene
proposto. Il rendiconto che ci viene chiesto di approvare ha un taglio
decisamente incomprensibile: nulla si spiega, nulla si dice a chiarimento di
tavole e tavole di aridi numeri, men che meno ci vien fatto sapere perché
all’improvviso si riesumano fatti e vicende di almeno un quinquennio prima e -
divenuto il socio egemone padrone assoluto del consiglio di amministrazione,
dopo il defenestramento o le dimissioni forzate dei pur remissivi esponenti
della minoranza - si è inferto un colpo esiziale alle residue valenze
patrimoniali dei soci minoritari. Abbiamo detto sopra come secondo noi la Banca
di Roma sia divenuta all’improvviso padrona assoluta della Mediterranea senza
conferire - o quasi - alcun apporto per consolidate plusvalenze della
precedente azienda bancaria. Dopo il bilancio 1997 - che a mio avviso va invalidato per nullità
sempre eccepibile – è stato azzerato il “fondo soprapprezzo azioni” che noi
soci di minoranza e noi soli abbiamo costituito, con solo nostri sudati - ed
ora dispersi - capitali freschi; non furono rispettati i divieti per conflitto
d’interessi e fu rimessa alla volontà dittatoriale del socio egemone la
decisione dissolvitrice del patrimonio altrui, senza contemplare gli ostacoli
anche giuridici che vi si contrapponevano. Tre o quattro cifre sintetizzano la
devastazione bancaria che con questo rendiconto semestrale - frutto solo dell’inventiva dei
rappresentanti del socio egemone - ci si propone addirittura di “approvare”,
come se non si trattasse di manovre volte solo a nostro danno, a danno cioè dei
soli ed indifesi soci potentini, e cioè di quei maldestri soci vistisi ridotti
a soci di minoranza quando un tempo erano i proprietari assoluti della Banca,
per non parlare dei soci di Pescopagano che per destinazione del padre di
famiglia vantavano imprescrittibili ed incedibili diritti di prelazione su una
non trasformabile banca popolare. E tutte queste nostre ragioni sono state nel
tempo vanificate per interferenze anche autorevoli.
k) Con
alcune cifre buttate lì, nel rendiconto semestrale, che sconvolgono ogni logica
di economia d’azienda si vuole, con decisione del solo socio di maggioranza,
vanificare i patrimoni dei soci minoritari;
ciò, mentre - per converso – si
lascia integra la partecipazione del socio dominante che potrà alienare ogni
cosa senza nulla perdere.
l) Abbiamo subito conflitti d’interesse a non
finire; siamo stati iugulati con decisioni lesive dei nostri interessi di soci
privati di voto effettivo per il prevalere del socio tiranno, interessato a ben
altro; nessuno può negare che v’erano nel passato fondati sospetti di condotte
ricadenti negli articoli del 2446 codice civile, 2447 c.c. e 2448, sub 4),
pronuba anche una legge bancaria priva di difese per i soci di minoranza,
espoliatrice dei diritti ex art. 2409 c.c.; di una legge bancaria che per
ottenere dalla Banca d’Italia un motivato giudizio – prevedibilmente negativo
per i soci di minoranza – vuole il voto assembleare del ventesimo del capitale
sociale. Ma se vi sono notitiae criminis la Banca d’Italia non è tenuta a fare
rapporto all’autorità giudiziaria, senza indugio? E così ancora una volta
dovremmo subire l’arcigno silenzio sugli eventi che avrebbero improvvisamente
determinato il crollo della nostra banca, dato che il C.d.A. – che
al socio di maggioranza, statene certi, tutto ha già detto – reputa
prudente non fornire adeguati chiarimenti sia in sede di relazione generale sia
in sede di doverosa esplicazione di sibilline poste contabili.
m) Si
pensi ad un fatto devastante: senza eventi imprevisti ed imprevedibili, senza
ragioni inopinatamente sopraggiunte, senza deterioramenti repentini
dell’ordinario operato bancario (del tipo di colossali malversazioni da parte
di dipendenti infedeli), la Banca Mediterranea,
che nel 1998 il suo modesto ruolo di azienda creditizia era riuscita a
svolgerlo per merito esclusivo della pur numerosa e subalterna compagine
impiegatizia, precipita da un risultato passabile ad una catastrofica perdita di periodo (che
vuol dire?)
n) La disavventura è tanto inconsueta, tanto
spaventevole, tanto abissale che avrebbe dovuto spingere i responsabili - alla
fine tutti portavoce del solo socio dominante - a quintali di giustificazioni e
di chiarimenti e di ragguagli e di informazioni tecniche e di spiegazioni
giuridiche, e di lezioni di tecnica bancaria, e di altro ed altro ed altro
ancora. Ed invece nulla, o pressoché nulla - visto che quello che si dice, cripticamente,
innocentemente, sa di scarica barile. Il nostro patrimonio crolla d’improvviso
e si porta a quota 155/miliardi (ed i tecnici sanno per di più che la riserva
per azioni non va conteggiata); in parole povere le nostre azioni che credevamo
valere ancora sulle 8.000 mila lire, non valgono neppure il valore nominale di
L. 5.000, ma solo, salvo ulteriori devastazioni, L. 2.050 (che in prospettiva
potrebbero equivalere a 4 azioni del Banco di Roma all’identico valore nominale
e francamente con questi chiari di luna potrebbe anche convenirci. Basta che ce
l’assicurino sin d’ora).
o)
Ci
pare di riascoltare vecchie giustificazioni che si abbarbicavano ai
cosiddetti “fenomeni di deterioramento
della qualità del credito” (vedasi bilancio 1997). Ma ora i “romani” debbono
spiegarsi meglio: vengono dalla “sapienza” e sono sapienti. Si deteriora
qualcosa che una volta era buona. Si deteriora qualcosa perché malconservata.
Si deteriora qualcosa perché non si sa gestirla. Si deteriora qualcosa perché,
per mille inconfessabili motivi, la si vuol deteriorare, perdere. Si deve
essere più chiari. Qui è in gioco la sopravvivenza della banca, almeno la
sopravvivenza delle partecipazioni minoritarie. Al socio egemone può fare
comodo rimpinzare di riserve, se non occulte, di sicuro potenziali questa
nostra banca; lasciare un residuo barlume di consistenza patrimoniale che
giustifichi la partecipazione al valore di L. 6-7.000 nel bilancio bancario del socio dominante;
vendere a terzi quell’interessenza - magari esteri e meglio ancora se
esterovestiti e meglio ancora se con capitali facili - a prezzi di affezione;
creare le premesse per un successivo azzeramento del capitale sociale per
l’estromissione dei soci dominati e ciò in vista di una ricostituzione del
capitale sociale cui non potranno accedere i soci dominati per inidoneità
finanziarie; facile così la locupletazione degli ipotetici speculatori esteri
(cui gratuitamente accederanno le riverse potenziali per i sovrabbondanti
ammortamenti delle sofferenze). Dovete chiarire e rasserenare i soci di
minoranza, informarli e soprattutto astenervi dalle improvvide politiche di
occultamento di utili con massicce e ingiustificate rastremazioni dei crediti.
p)
“Fuge rumores” dicevano i maestri del
capitalismo italiano. D’accordo: ma qui non è questione di rumori; qui è
l’annuncio di una morte, della morte di una banca. Se non il lamento delle
prefiche - e nessuno di noi lo gradirebbe - almeno una confessione liberatrice
sarebbe doverosa. Da cinque anni abbiamo le tanto conclamate sinergie con il
grande polo della Banca di Roma; caterve di funzionari, dirigenti in
prequiescenza, profluvio di corrispondenza ammonitrice; pareri “pro veritate” -
ma a dire il vero, la verità della casa madre - ultra remunerati;
amministratori venuti da lontano; provvedimenti odiosi; dimissionamenti ex
abrupto di dirigenti tradizionali, e tant’altro: beh! tutto questo non solo non
ha impedito la catastrofe ma l’ha registrata, a dir poco, tardivamente. E per
di più - e qui siamo nell’inaccettabile - la si viene qui a raccontare per
sommi capi, cripticamente, senza ragguagli, misteriosamente, ultimativamente e
con il non nascosto intento di ottenerne la tranchant approvazione del socio
egemone, noncuranti di ogni remora per conflitto d’interesse.
q)
Un tempo ci venne detto che la débacle si era verificata: «a seguito del totale
deterioramento della situazione economico-finanziaria di alcuni clienti e
grandi gruppi che ha comportato, in particolare per nuovi fatti negativi
riscontratisi nella seconda metà del 1997, oltre al passaggio dei relativi
rapporti da incagli a sofferenza, un aumento delle previsioni di
irrecuperabilità,[per cui] sono necessitate rettifiche nette su crediti e
svalutazioni per perdite definitive per circa 275 miliardi.» (v. p. 2 bilancio 1997) . O si mentì allora o si
mente adesso. In ogni caso numerose sono state le inesatte segnalazioni
all’Organo di Vigilanza. L’organo
tutorio fu in quiescenza allora, non mi pare
che possa continuare ad esserlo. Non può quindi lasciare la banca in mano di
chi qualche problema con l’art. 134 T.U.L.B. dovrebbe averlo. Si vocifera - a
dire il vero qualcuno mostra le fotocopie delle missive - che non è da ora che
l’ex Amministratore Delegato pietisse udienza epistolare presso quelli di Roma
per il passaggio a sofferenza di posizioni a lui sgradite; si vocifera che Roma
abbiano fatto finta di non ricevere neppure quelle missive, almeno sino ad una
certa data? Si vuol rispondere in questa
sede? Si vuol chiarire se almeno la consapevolezza di quel deterioramento del
credito c’era già a date pregresse? Vetustamente? Se no, si vogliono fornire le
precisazioni? Sono state almeno fatte le debite segnalazioni all’Organo di
Vigilanza? I moduli di rito (Mod. 135 Vig. di un tempo o quelli attuali di
Matrice) sono stati corretti, ad ogni cadenza? Non v’è pericolo di essere
incorsi nelle censure dell’art. 134 della legge bancaria? O si pensa davvero
che la normativa di Vigilanza valga solo per gli zotici amministratori del Sud
ma non riguardi gli Unti del Signore? Davvero agli “amici sarà dato; ai nemici
sarà tolto”, per esprimerci evangelicamente?
r) Possiamo rigirare quante volte vogliamo la
scarna paginetta di questa nota del C.d.A. (quella dei sindaci è ancor più
risibile): nulla sapremo sullo stato degli impieghi (qualche cifra buttata qua
e là). Ne sapevano di più quelli della FIBA-CISL che ironicamente si andavano domandando “Ma
c’è qualcuno a cui interessano 1.200 miliardi?”. Prosa e sintassi a parte, quel
che in quel foglietto si dice pubblicamente - e i responsabili di questa banca
lo hanno lasciato dire impunemente - credo che interessi a questo consesso. Ma
soprattutto credo che i nostri amministratori dovevano in sede di bilancio
contestare, puntualizzare e precisare le accuse dei cislini. Davvero l’Ufficio
Recupero Crediti si è tramutato in “discarica di rifiuti a cielo aperto”? Non siamo in vena di compassione per chi ha
voglia di fare sapere all’esterno - ma lo stipendio lo riscuote all’interno -
che viene spremuto “uno sparuto numero di addetti alla gestione, sempre più
oberato di carichi di lavoro che hanno condotto alcuni di loro ad un vero e
proprio stress psico-fisico, in un locale sempre più simile ad un cantiere
edile, per non usare altro genere di paragone.” Ma siamo più interessati alla
faccenda dell’amministratore delegato; anche a noi, in sintonia, “sorge
spontanea un’altra domanda: se l’amministratore delegato ha avvertito
l’indifferibile necessità di effettuare le così dette pulizie,
riversando a sofferenza centinaia e centinaia di miliardi si da creare una vera
e propria discarica delle sofferenze, che hanno raggiunto la
ragguardevole cifra di 1.200 mld., al netto di molti altri miliardi girati a
perdite, cioè a babbo morto, ha, al pari, avvertito l’esigenza di
dotarsi di uno strategico piano dei rifiuti?” Dove dobbiamo cercare risposta a
questa ed altre domande consimili? Dal sindacato della CISL? Non abbiamo
diritto ad averle qui quelle risposte? Anzi, non dovevano esserci già? Vorranno
gli amministratori ripensarci, ritirare il bilancio e corredarlo di tali
doverose risposte? Ci vorranno dire che c’entra Mastronardi con le sofferenze,
visto che la CISL lo rimprovera di non avere affrontato “in maniera seria e
concreta .. la questione delle sofferenze”? La CISL si permette di accusare la
banca - ma questa non risponde alla CISL ed omette anche in questa sede di dare
la dovuta informazione - con questi pungenti appunti: «I problemi, quasi tutti
insoluti, sono letteralmente esplosi, rendendosi di più difficile soluzione;
l’eccessiva burocratizzazione e legalizzazione
ha pressoché ingessato il settore rendendolo sempre più simile ad
un’aula di tribunale e sempre meno un ufficio bancario dinamico, moderno,
pragmatico, orientato a recuperare i propri quattrini senza diventare strumento
per bieche affermazioni personali di madame e messeri di turno.» Ci punge
vaghezza di sapere chi sono codeste “madame” e codesti “messeri” a turno nelle
“bieche affermazioni personali”. Ma forse è già partita qualche denuncia.
Almeno, si ha intenzione di segnalarcela? La FIBA-CISL asserisce che “il nostro
amministratore e i suoi detti consulenti ... sono, diversamente dai
sindacalisti, pagati, pardon, stra-pagati!” A noi soci di minoranza si vuol
almeno dare qualche ragguaglio su tali strapagamenti? In bilancio qualche cifra
spunta - ovattata, però, confusa in un mare di dati: qualche cenno l’abbiamo
fornito noi sopra. Tanti soldi spesi per portare la redditività bancaria
abissalmente sotto zero ed il patrimonio da 600 e rotti miliardi ad un
opinabile importo di 155 miliardi. Ma le cifre dicono poco: non sappiamo quanto
abbia preso l’amministratore delegato e quanto sia finito ai numerosi membri
degli organi aziendali. Abbiamo già detto delle decine di miliardi erogati a
“professionisti esterni”: a chi, a quale titolo, perché? Mistero. Ci piacerebbe
tra l’altro sapere se corrisponde al vero che si sia ritenuto necessario
consultare un legale esterno della Banca di Roma per sapere come comportarsi
nell’acquisto delle proprie azioni; se è
poi vero che costui si sia limitato a sintetizzare quello che aveva già scritto
in un vecchio suo lavoro pubblicato e stravenduto; che abbia dato consigli così
vaghi che gli esponenti aziendali si sono sentiti riassicurati sul loro vezzo
di comprare da beneaccetti, fingendo persin di credere a cervellotiche
motivazioni, e di negare l’acquisto a chi gradito o perlomeno compaesano
(pugliese) non era; che per somma beffa, quel vacuo parere sia costata una
tombola alla banca. Sono questi solo pettegolezzi di borgata? Vorranno i nostri
progettisti del bilancio, chiarire, rasserenare, fugare gli equivoci? Oppure
reputano la faccenda, coperta dal .. segreto bancario? Le Autorità di Vigilanza
non sono davvero interessate alla questione? La provenienza di quei consulenti
può avere un peso?
s) Per
inciso, la petulante domanda della FIBA-CISL è del 23 marzo 1998, in tempo per
consentire ai nostri amministratori - se davvero ne avevano voglia - di fornire
in questa sede tutte le spiegazioni possibili, il ragguaglio su tutte le difese
percorribili. Il silenzio è, per converso, eloquente. Sorprende davvero quello
che viene lasciato cadere, quasi inavvertitamente, a pag. 2 del bilancio 1997:
“Perdite definitive per 275 miliardi” vengono segnalate come se ci si
ragguagliasse su una gita scolastica. Che cosa sono le perdite definitive per
“rettifiche nette su crediti”? Perché definitive? Si tratta di valori numerari
certi? Se sì, ci vogliono venire spiegati? A pagare siamo noi, soci di
minoranza. Si consultino tutti i testi di economia aziendale e di tecnica
bancaria e non si riuscirà a comprendere la portata gnoseologica di una
definitività in momenti valutativi dei crediti: la ragioneria ci dirà che siamo
in presenza di “perdite temute”, di eventualità, dunque. Ed allora? La
informazione ha senso se si vuol dire che la banca, in vena di munificenza, si
sia messa ad assecondare clientela di favore con formali rinunce delle proprie
ragioni creditorie. Magari, basandosi su un incidente di percorso di qualche
maldestro ex direttore generale che non si è avveduto che la garanzia doveva
essere novennale anziché annuale. E basta tanto per considerare “perdita
definitiva” qualche grazioso omaggio, magari di una cinquantina di miliardi,
“per necessitata rettifica netta su crediti e svalutazioni”? Vogliono, lor
signori, informarci, o rasserenarci? Abbiamo diritto alle indispensabili
informazioni? Ove si trovano nei bilanci che avete progettato e fatto approvare
dal cointeressato socio tiranno?
t) Ma ritorniamo ai 688,1 miliardi di “perdite
ammortate” per temuta irrecuperabilità di partite in sofferenza. Non crediamo
che si tratti di creditorie perdenti alla data del 24 marzo 1998 o a quella del
16 settembre 1999 (data di consegna del rapporto, visto che pare i signori
amministratori si siano rifiutati di firmare in ante-prima i famosi allegati di
vigilanza ispettiva). Sicuramente, si tratta di incagli risalenti alla notte
dei tempi. A quando? Si è posta attenzione al fatto che l’importo della perdita
era tale da sovrastare il capitale
sociale? Non vi erano altre perdite? Non è colpa nostra se non è facile capire
cosa gli amministratori abbiano voluto dire con la ridda di cifre dei vari
bilanci relative alle perdite “temute”. Le quali perdite - qualsiasi alchimia
contabile si tenti, a qualsiasi scuola di pensiero si aderisca - per lo meno
hanno, da anni, determinato quel paralizzante buco patrimoniale di cui all’art.
2446 codice civile. Perché allora non si è proceduto alla convocazione
dell’assemblea “senza indugio” in tempi non sospetti? Noi siamo tentati di sospettare che un conto
è per il socio egemone svilire l’esposizione creditizia della concorrente banca
dominata, un conto è svilire formalmente il capitale sociale della banca
dominata, pena la necessità di ammortare la propria partecipazione - e Dio solo
sa se la Banca di Roma può permettersi svalutazioni siffatte - e la doverosità
degli apporti di capitali freschi propri nella stessa banca dominata. Ma
palmare è il conflitto d’interessi che
ne scaturisce. C’è da domandarsi allora se si è operato con accortezza, se si è
deliberato nel passato con le debite astensioni. Se non si vuol rispondere in
questa sede, prima o poi ed in ben altre assise
si sarà costretti a farlo.
u) Per
non venire tacciati di fare un discorso “senza costrutto”, siamo costretti ad
essere puntuali sino alla pignoleria. Una pregiudiziale deve essere però subito
evidente. Mentre a noi soci di minoranza non è dato di sapere nulla sulla
nostra banca, fuori di qui, nelle sedi sindacali - lo abbiamo visto - in quelle
politiche, presso il Consiglio di Basilicata, e presso la stampa (l’orgia di
questi giorni ci ha infestati tutti), carte, rapporti ispettivi, consulenze
giudiziarie, interrogatori, documentazione riservata ecc. circolano come
romanzetti d’appendice. Noi abbiamo avuto la fotocopia dell’interrogazione di Pietro
Simonetti del 23 marzo 1998. L’iniziativa politica è stata resa di pubblica
ragione con il corredo degli atti riguardanti la nostra banca. Quel che i
nostri amministratori ci tengono segreto, lì è dato in pasto del pubblico.
Quanto andremo dicendo si avvale di quei documenti. Ma trattandosi di
nominativi, di imprenditori, di gente che ha diritto alla riservatezza, ci
guarderemo bene dal divulgare - da parte nostra - le generalità di siffatta clientela bancaria.
* * *
A noi interessa avere risposta in ordine
ai fatti che stravolgono la gestione della nostra azienda: i nomi a chi
interessano. Ci serviremo quindi di riferimenti indiretti a tutela della
riservatezza di tali soggetti.
Il Simonetti,
nell’invitare il Consiglio Regionale di Potenza a costituirsi parte civile nel
noto processo che coinvolge solo taluni degli ex amministratori della nostra
banca, allega i rapporti di due ispezioni della Banca d’Italia. Là abbiamo una
messe di notizie sullo stato degli impieghi della nostra banca. Emerge così che
«l’esame del rischio creditizio in essere al 31.12.1993 poneva in evidenza:
a) posizioni in
sofferenza ed incagliate per un ammontare rispettivamente pari a L. 847,1
miliardi e L. 465,3 miliardi, sulle quali si prevedevano perdite complessivamente
pari a L. 508,6 miliardi;
b) incrementi
rispetto alle segnalazioni all’Organo di Vigilanza per L. 619,9 miliardi sulle
sofferenze, per L. 166,7 miliardi sulle posizioni incagliate e per L. 406
miliardi sulle previsioni di perdita (cfr. allegati nn. 3/a e 3/b).» (Cfr.
rilievo n.° 43 pag. 29).
La divulgazione delle notizie - come si
vede - è grave. Sono stati adottati
provvedimenti da parte degli organi a presidio della nostra banca? Rispondono
al vero carte, notizie e dati propalati? Se sì, non possiamo non chiedere come
mai dalle pure esagerate valutazioni ispettive, in base alle quali sofferenze
ed incagli assommavano a fine 1993 rispettivamente a L. 847,1 miliardi ed a L.
465,3 miliardi, passano ora, nella nota che ci si chiede di approvare senza
adeguate informazioni, a cifre quasi raddoppiate. Gli ispettori sono stati
ritenuti eccessivamente fiscali: gli stessi esponenti della Banca di Roma per
anni non ne hanno condiviso i dissolventi apprezzamenti. Che cosa è successo?
All’improvviso c’è stata la folgorazione come Saul sulla via di Damasco? E non
si ritiene di ragguagliarci? Quali le responsabilità dei nuovi amministratori?
Quali i fatti nuovi che hanno imposto decisioni tanto devastanti? Nulla di
nulla nella relazione che abbiamo sotto mano. Le superfetazioni si limitano a
quei pochi accenni che abbiamo già richiamato.
Ma un grave dubbio ci assale: non è che si è portato a sofferenza
l’impiego vivo dell’ispettore del 1993 e per converso si continua a tacere
sullo stato di decozione di tanti altri e veri crediti in sofferenza o in
incaglio, sol perché magari amici del padrone? E qui dobbiamo essere schietti
sino alla ferocia.
Tralasciamo ogni
riferimento alla martoriata posizione Casillo (solo ci piacerebbe sapere se i
perduti 158 miliardi di cui leggiamo sulla stampa siano conteggiati nel
subtotale di L. 1.434,2 miliardi di pag. 20 del bilancio 1997 oppure no: ed al
contempo vorremmo sapere dall’ispettorato interno – nessuno può sottovalutare
l’acume irriducibile di Maffucci, neppure Barbagallo - se i noti libretti per quasi 4 miliardi,
prima rivendicati da un celebre personaggio e poi fini nelle mani omonime di un
ultraperdente nostro vecchio affidato, a scare bene non erano riserve occulte
in collaterale dei debiti Casillo). Ma ci vogliono lor signori spiegare quale
decorso hanno avuto i rapporti Parmalat, Mediofin, Pafi che stando alle notizie
di stampa avrebbero contratto “prestiti che sarebbero stati utilizzati per
l’acquisto di azioni, per un controvalore di 50 miliardi, dello stesso istituto
di credito”. Quei prestiti che fine hanno fatto? Sono finiti tra le sofferenze?
Tra gli incagli? O sono stati recuperati? Come? Quando? Con intervento di chi?
Se la Banca di Roma - direttamente o indirettamente - si è data da fare per
acquisire interessenze al capitale sociale della nostra banca per compensare
quei prestiti, sono state rispettate le norme - dure e paralizzanti - che in
questi ultimissimi anni sono state emanate a difesa della borsa?
Occorre scendere
ancor più in dettaglio. Abbiamo diritto di sapere che fine hanno fatto i
rapporti creditizi su cui si soffermavano gli ispettori della Banca d’Italia
nei seguenti rilievi:
- quelli che nel rilievo sub 1) ultimo
capoverso gli ispettori definiscono “crediti, anch’essi di rilevante ammontare
e oltre tutto riguardanti nominativi legati alla banca da vincoli
partecipativi”, di cui stigmatizzano la “crescita delle esposizioni in misura
non proporzionata alle effettive potenzialità economico patrimoniali dei
singoli affidati, con refluenze sulle stesse possibilità di recupero delle
creditorie e ciò pure in presenza di reiterate iniziative di sostegno e di
ristrutturazione ...”. Siffatte temute refluenze vi sono state? Quali
provvedimenti ha adottato la nostra banca? E’ stata equanime? Ha avuto indulgenze
per alcuni e discriminatori accanimenti verso altri? Si pensi che i nominativi
qui sotto tiro dagli ispettori della Banca d’Italia godevano allora di crediti
per complessive L. 377.339 milioni su cui gli ispettori prevedevano perdite per
L. 73.992 milioni. Quelle perdite si sono poi verificate? Quando sono state
rilevate? Quando sono finite a carico del conto economico? Quali cautele sono
state adottate?
In
particolare, quale è stato l’atteggiamento verso i 20 rapporti del gruppo di
pag. 2 dell’allegato 3b, esposto per L. 133.978 milioni con perdite previste
dagli ispettori per L. 73.992 milioni? Si sono avute indulgenze per affinità
politiche? Il socio egemone è stato indifferente o ha suggerito blandizie?
Quanto poi al gruppo di cui a pag. 4 del menzionato allegato (primo affidato
cod. 7275...) le previsioni di perdite degli ispettori (L. 27,9 miliardi su L.
50,7 miliardi di esposizione) si sono verificate? Vi sono intese in corso? Di
che tipo? Si sono ammesse interferenze in Consiglio per presenze obiettivamente
conflittuali?
In
ordine all’incandescente rapporto di cui a pag. 9 (Codice primo affidato:
5283...), esposizione per L. 141,3 miliardi; previsioni ispettive di perdite
solo L. 1,4 miliardi, davvero le perdite si sono rivelate così esigue? Il
comportamento degli esponenti aziendali è stato congruo? Vi sono state
ingerenze per soluzioni patteggiate? Vi è stato un qualche interesse del socio
egemone?
Il
gruppo di cui a pag. 11 (cod. 7594 primo affidato) - esposizione L. 6,3
miliardi con perdita prevista integrale - è stato congruamente gestito? Si è
ritenuto di privilegiarlo con discriminanti acquisti di proprie azioni?
Quanto
al gruppo di cui a pag. 12 (cod. primo affidato 5092...) - esposto per L. 38,4
miliardi; previsione di perdita zero - attesa la natura di incagli secondo gli
ispettori , sono state esplicate le procedure di recupero dell’ingente
creditoria con solerzia ed efficacia? Se sì, quali e con quale risultato?
Il
gruppo di cui a pag. 11 (cod. primo affidato 3552...) - esposizione L. 6,7
miliardi; perdita prevista: integrale - ha poi generato quell’esito tanto
catastrofico? Per quali azioni della banca? Con quali refluenze sul conto
economico della nostra banca?
In
definitiva, come mai nella relazione del bilancio non v’è alcun accenno a fatti
sì gravi, pregiudizievoli dello stato patrimoniale, con quelle che gli
ispettori chiamano refluenze economiche? Se all’improvviso, e solo quest’anno,
quelle posizioni, in tutto o in parte sono finite a sofferenze, perché si è
atteso tanto? In ogni caso, ogni reticenza in proposito non è suscettibile di
censura sotto il profilo della chiarezza, della verità e correttezza della
situazione patrimoniale e finanziaria? Sussulti nell’imputazione di
ammortamenti, si è sicuri che non rappresentino indebito scompiglio del
risultato economico dell’esercizio? Non si pensa che l’eccezionalità
dell’impostazione di bilancio di quest’anno merita tutte quelle informazioni
aggiuntive previste ed imposte dall’art. 2423? Dove sono, visto che noi non
riusciamo assolutamente a coglierle in quelle asfittiche, anonime, dispersive e
sedicenti note integrative?
b) - Si domanda quale evoluzione hanno avuto gli affidamenti stigmatizzati
dagli ispettori nel rilievo sub 19). Vi si dice che trattavasi di “società ...
ampiamente finanziate dalla banca con crediti che in sede ispettiva sono stati
classificati tra le sofferenze con previsioni di perdita”. Ricordiamo che
l’esposizione (cod. primo affidato: 4029.. cfr. pag. 3 allegato 3b) ammontava a
complessive L. 9,7 miliardi con perdite
previste per L. 6,3 miliardi. Non ha proprio nulla da dire il consiglio ai soci
in sede di approvazione del proposto bilancio?
c) - Le note critiche del rilievo sub 12) hanno consigliato un qualche
comportamento responsabile da parte degli attuali amministratori o si è
lasciato il tutto com’era senza preoccuparsi di attivare una qualche azione per
il recupero delle ragioni creditorie della nostra banca?
d) - Analoga domanda è da porre per il rilievo sub 13).
e) - L’esposizione narrata e stigmatizzata nel rilievo sub 14) avrebbe
dovuto essere oggetto di particolare attenzione da parte degli amministratori;
si sono costoro prodotti in qualche iniziativa?
f) - Nel rilievo sub 15) si accenna ad “un
affidamento in conto corrente di L. 6 miliardi” a favore di una società di
appartenenza di un consigliere, con un illegittimo debordo notevole. Al di là
dell’assoluzione chiesta - ed ottenuta -
dal PM, la banca si è premurata di estromettere un cliente cosiffatto? Quel
rapporto sussiste ancora? E’ regolare?
g) - Non hanno gli amministratori nulla da dirci sui rapporti creditizi
censurati nel rilievo sub 16)?
h) - Nel rilievo sub 19) emergono inquietanti accenni a strani rapporti
d’affari con industriali del Nord, che ricchissimi per i fatti loro, alla
Mediterranea hanno fatto ricorsi per “buffi” di cui vorremmo sapere l’esito. A
scanso di equivoci, a noi preme sapere se i finanziamenti al gruppo di cui a
pag. 10 dell’allegato 3b (primo affidato cod. 7166 ...) ammontanti allora a
complessive L. 16,8 miliardi, siano poi sortiti dalla situazione di incaglio
(giusta valutazione ispettiva) o siano deteriorati. In particolare come i
signori industriali del Nord si sono comportati con la nostra banca? Hanno
assolto i debiti interessi? In misura equa? O mantenendo scandalose condizioni
di favore (leggere per credere le note dei consulenti del PM, attualmente in
libera circolazione come abbiamo sopra detto)? Ma anche alla capofila erano stati
accordati 30 miliardi che pare siano sfuggiti all’attenzione degli ispettori.
Nel solito libello dei consulenti - che Simonetti acclude alla sua
interrogazione - si legge a pag. 89: «Complessivamente i fidi accordati erano
pari a L. 30.000 mln. (10.000 mln. c/c; 10.000 mln portafoglio sbf 10.000 mln
anticipi import) e non erano assistiti da alcuna garanzia. I finanziamenti in
parola venivano deliberati in data 13.7.93. [...] Per quanto riguarda il tasso
da applicare alla facilitazione è da rilevare che .. si faceva riferimento al
“Prime rate ABI” [...] Dalla comunicazione dei tassi inviata il 10.9.93 ... si
evinceva l’applicazione dell’unico tasso dare dell’11,625%; venivano quindi
esclusi i maggiori oneri connessi al secondo tasso dare e alla commissione di
massimo scoperto.» E subito dopo - in relazione alla collegata, peraltro di
risibili rispondenze patrimoniali - si annotava (pag. 90): « ... il
finanziamento accordato non era assistito da alcuna garanzia.» A pag. 103 e
segg. I consulenti si allargano in considerazioni che invero non hanno trovato
nessuno ascolto nel PM e non val la pena qui di farvi in alcun modo ricorso. Ma
è opportuno invece che gli amministratori ci ragguaglino su tali criticabili
rapporti creditizi, sulla loro eventuale sistemazione, sul raddrizzamento delle
clausole contrattuali relative alla remunerazione. Non vorremmo che il
potentissimo gruppo - in particolare consuetudine fiduciaria con il socio
dominante - sia riuscito a mantenere una posizione di favore creditizio a tutto
danno della nostra banca. Gli amministratori hanno l’obbligo di fugare almeno
gli effetti alone che la divulgazione degli atti istruttori vanno nefastamente
producendo, con ulteriori appesantimenti della fragile operatività della nostra
banca. Il lasciar correre sarebbe insipienza imperdonabile: un consiglio di
amministrazione meno subalterno a soci extraterritoriali sicuramente non
permetterebbe campagne di stampa cosiffatte. Per converso l’eccessiva reticenza
verso i soci sarebbe di beffa oltre che di danno.
i) - Estrapoliamo dal rilievo n.° 20 l’accenno
alla posizione perdente di cui a pag. 5 dell’allegato 3b (cod. primo affidato
2336...). Abbiamo qui un’esposizione di L. 15,1 miliardi su cui gli ispettori
prevedevano una perdita pressoché totale per L. 11,4. Occorrono le debite informazioni, del tipo di
quelle che abbiamo sopra puntualizzato.
j) - Ci riferiamo alla parte del rilievo 22 -
punto b) - per sapere che fine ha fatto la posizione (cod. primo affidato
2500...) ammontante allora a L. 7 miliardi circa con previsioni ispettive di
perdita per L. 6,9 miliardi.
k) - Quanto al rilievo sub 35) non
si possono ulteriormente tacere gli sviluppi dei rapporti creditizi relativi
alla “posizione che, nonostante l’apparente sistemazione effettuata attraverso
la cessione di effetti a carico di altro nominativo ..., classificato anch’esso
in sede ispettiva tra le sofferenze con previsione di perdita, presentava
ancora nel mese di maggio 1994 una residua rilevante debitoria”; e relativi
anche alla “società largamente e ripetutamente sovvenuta con nuove erogazioni,
nonostante l’andamento dei relativi conti presentasse da tempo marcati sintomi
di anomalia (sconfinamenti sui conti correnti notevolmente eccedenti i fidi
accordati e rate impagate di finanziamenti in valuta per cifre rilevanti).
l) - Del pari vanno forniti dati, ragguagli e
chiarimenti in ordine alle posizioni censurate dagli ispettori nel rilievo n.°
36 lettera a); lettera c); lettera d); così come deve essere fatto per il
rilievo n.° 37, lettera a); lettera d), nonché per il rilievo n.° 38, per il
rilievo n.° 39, per il rilievo n.° 40, per il rilievo n.° 41 e per il rilievo
n.° 42.
m) - In sintesi il già citato rilievo n.° 43
doveva essere di guida ad una nota integrativa ai sensi dell’art. 2423 c.c.
Mancando - come manca questa - il bilancio è improponibile e se si insiste a
farlo approvare utilizzando magari la forza preponderante del socio egemone
resterà di tutta evidenza la volontà indomabile di imporre decisioni esiziali
per la sopravvivenza della banca, come sono quelle degli ammortamenti
improvvisi dissolventi ogni redditualità bancaria per perdite note da tempo e
che da tempo avrebbero dovuto essere portate a conoscenza senza indugio in
assemblee straordinarie dei soci ai sensi della inderogabile normativa
civilistica.
Non va poi dimenticato che già nel
1990 (dal 17.9.1990 al 1.2.1991) la
nostra banca era stata assoggettata ad un’altra ispezione della Banca d’Italia.
Anche allora erano emerse sofferenze ed incagli non rilevati prontamente e non
segnalati alla stessa Banca d’Italia. I nostri attuali amministratori hanno
tratto ammaestramento da quei rilievi o hanno continuato a sovvenire taluni
clienti di dubbia rispondenza patrimoniale? Nell’empito repressivo dei
precedenti esercizi, hanno riesaminato tutte quelle posizioni censurate dai
precedenti ispettori? ne hanno tratto le debite conseguenze? O hanno reputato
che sono svincolati da regole di indiscriminata obiettività, per cui possono
sciogliere o legare secondo che loro più aggrada? Si esaminino gli allegati n.°
3; 3/1; 4/1 e ci vengano fornite le informazioni del caso o meglio le
giustificazioni per tardivi ammortamenti - se vi sono - o per inadempienze
nelle segnalazioni di Vigilanza - se vi sono. Se tutto dovesse essere regolare
- e noi ce lo auguriamo, ci si dia la liberatrice assicurazione formale. Quel
che per ora sappiamo che, come detto, vi sono stati “noti - e noi li ignoriamo
del tutto, diversamente, a quanto pare, da quel che conosce la stampa -
fenomeni di deterioramento della qualità del credito” (vedi pag. 1 Relazione
Bilancio). Ma se il bilancio chiude con 220 miliardi di perdita per quei fenomeni,
questi fenomeni bisogna bene spiegarli, pena l’occultamento delle reali
condizioni della società amministrata.
* * *
Non sappiamo se si fosse trattato
di una frase di cortesia o peggio: a pag. 2 del bilancio 1997, invece di
ragguagliarci sul tonfo che si è voluto far fare alla nostra banca , gli
amministratori avevano voglia di volerci
far credere che tutto il male avutosi ora passerà perché «L’attività operativa permane, comunque improntata a precise politiche
di rilancio aziendale, di miglioramento della struttura dell’attivo in
un’ottica di riqualificazione degli impieghi e di contenimento di costi
realizzando al riguardo sensibili risparmi anche grazie all’attivazione di
concrete e possibili sinergie con la Capogruppo Banca di Roma.» Restiamo
stupefatti: di grazia ci si dica almeno ora quali sono state queste ”concrete
sinergie” con la Capogruppo Banca di Roma? Forse quelle che ci vengono con il
dirottamento verso i nostri lidi di funzionari in prequiescenza per
remunerazioni da capogiro come le inspiegate poste di bilancio qua e là
lasciano intendere? Quelle poste di bilancio che abbiamo già richiamate ci
vogliono venire spiegate in relazione a tali conclamate sinergie? O la
reticenze è sinonimo di confessione?
Abbiamo avuto fra le mani un
“verbale di riunione” del 12 febbraio 1998 di un gruppo di soci di minoranza da
cui noi dissentiamo. Là, ad un certo punto, in termini volutamente equivoci si
afferma: «Lo stato d’animo ... è stato
purtroppo alimentato da una serie di delusioni quali:
La mancanza di un vero progetto di rilancio
della Banca Mediterranea, che non fosse enunciazione di principio e che si
traducesse in un concreto piano industriale;
Lo scarso riscontro nei fatti delle ripetute
affermazioni del socio di maggioranza di essere nell’imminenza di porre a
disposizione della Banca Mediterranea il proprio know-how, in particolare con
la distribuzione di nuovi e più articolati strumenti finanziari;
Una politica del credito molto restrittiva,
che alla scarsezza dei volumi ha aggiunto la lentezza dei tempi decisionali,
traducendosi sia nella cattiva gestione d’alcuni clienti affidati, che con
maggiore elasticità potevano essere accompagnati nella loro ripresa, sia
nell’allontanamento dalla Banca mediterranea di altri che, in considerazione
del loro equilibrio gestionale, possono con maggiore facilità attingere credito
ad altre banche, il cui iter deliberativo è più rapido.
il sintomatico rifiuto di poter garantire le
posizioni affidate con le partecipazioni azionarie nella stessa Banca Mediterranea;
ciò non tanto per motivo di merito, ben comprendendosi che una diversa scelta
avrebbe esposto l’azienda al rischio di una diluizione del proprio patrimonio,
legalmente inammissibile, quanto per ragione di forma: troppe volte gli stessi
dirigenti della Banca Mediterranea, anche quelli espressione dell’azionista di
maggioranza, hanno dato all’interlocutore l’impressione di considerare tali
azioni come di poco valore.»
Non
v’è chi non veda come sotto gentili espressioni si nasconda un’aspra stroncatura
dell’attuale gestione. Non sappiamo - o se lo sappiamo, non siamo in grado di
provarlo - che fine abbia fatto e che intenti abbia perseguito siffatta
querelle. Noi qui la proponiamo ufficialmente per avere le giustificazioni da
parte degli attuali proponenti del bilancio, visto che vi sono appunti che ne
mettono in dubbio l’oculatezza delle scelte di bilancio. Ma ciò che più ci
preme è quest’altro passo: «.. la difficoltà per il socio di maggioranza di
tradurre in concreto un piano di sviluppo di una partecipata nelle more di
delicate scelte d’assetto e di proprio piano industriale.» E tanto si accende
di luce sinistra se si ha ricordo di ciò che viene insinuato in esordio di
discorso e cioè allorché - intenda chi ha orecchie per intendere - ci si
proclama increduli su alcune voci, arrivando ad affermare - per negare -
che «è parere degli intervenuti, per
esempio, che non siano vere le insistenti voci di una gestione poco trasparente
del portafoglio titoli della Banca Mediterranea, secondo le quali esso sarebbe
gestito avendo a mente più l’interesse dell’azionista di maggioranza che quello
della compagine sociale nel suo complesso.» Quei soci maliziosetti - dopo avere
buttato il sasso nello stagno - vorrebbero farci credere che a loro avviso «tali
voci non appaiono degne d’attendibilità alla luce d’elementi sia morali sia
logici.» Gli elementi morali e logici in
faccende di portafoglio sono obiettivamente inafferrabili. Siamo andati a
vedere tutto quello che in bilancio vien detto in proposito. Nulla. Speriamo
che dietro questa nostra sollecitazione venga sbaragliato il campo dalle
cortine fumogene di quegli avveduti soci di minoranza. Ci si dica in
particolare che mai e poi mai sono stati venduti titoli per decine di miliardi
alla casa madre ad alto rendimento, per poi far ricorso a titoli a basso
rendimento. Ci si dica in particolare che mai operazioni della specie siano
state decise unilateralmente - o se in compagnia, in compagnia di chi - da
qualche autorevole membro del consiglio di amministrazione, ignaro o con
disprezzo dell’evidente conflitto d’interesse cui si andava ad incocciare. Ci
si dica se davvero perdite non siano venute alla nostra banca da operazioni con
la banca padrona, specie con arzigogolate operazioni di swap o giù di lì, finite
con l’accentuazione anziché con l’affievolimento del coefficiente di rischio.
Poste di bilancio che facciano sospettare operazioni del genere ce ne sono
tante: uno straccio di spiegazione non si trova manco a pagarlo a peso d’oro.
Qui però non è in gioco l’abilità strategica nella gestione del portafoglio
titoli del nostro amministratore delegato, qui è in discussione un bilancio su
cui le insipienze e le digressioni conflittuali, magari per giustificare con la
casa madre gli elevati emolumenti, si scaricano sulla Mediterranea con violenza
sovvertitrice della redditualità.. Il terremoto che è avvento nel comparto
titoli emerge da queste aride poste. I soci ben poco possono capirci.
Voce
50: obbligazioni e altri titoli di debito: anno 1997 L. 360,8 miliardi;
anno 1996: L. 246,9; miliardi;
variazione + 113,8 miliardi; in percentuale + 46,1%,
voce
|
1993
|
1994
|
1995
|
1996
|
1997
|
1998
|
30/06/99
|
voce 20 titoli tesoro
|
572,3
|
802,5
|
1297,473
|
1622,309
|
1334,512
|
1322,739
|
978,069
|
E
che è successo? Proprio negli anni (1996-1997) in cui i titoli di stato sono
stati dimezzati nel loro rendimento, la nostra banca invece di operare
alternativamente si butta o butta tutto sui titoli? Si spiega allora il
tracollo della redditività. E ciò per colpa di chi? Dell’amministratore delegato?
Si vuol venire qui a spiegare, a giustificare? In bilancio non troviamo neppure
una nota in proposito.
Voce
130: altre attività: al 30/6/1999 L. 106, 486 mld (a fine anno, non
prevedibile); anno 1998 L. 263,590; anno
1997 L. 208,9 miliardi; anno 1996 L. 184,1 miliardi. Trattandosi di voce per
sua natura residuale andava delucidata con pagine e pagine di note
illustrative, ma niente di tutto questo. Dobbiamo accontentarci di una tabella
Beh! Lì apprendiamo che quelle attività sono composte da partite viaggianti (ma
il bilancio non dovrebbe avere partite viaggianti: le provvisorie appostazioni
contabili devono essere tutte recepite nei conti di pertinenza, altrimenti si
forniscono informazioni inesatte e scorrette. Che ci sta in quel viaggiare di
partite? Perdite? Regalie? Emolumenti occulti? Leggere per capire i rilievi
degli ispettori della Banca d’Italia in circolo per Potenza come un romanzetto
d’avventure.
Sappiamo
poi che vi sono 22,1 partite ancora in
corso di lavorazione: una piccola banca che resta ascosa; un mistero per tutti
anche per chi redige il progetto di bilancio. E completa il guazzabuglio la
singolare: partite definitive ma non imputabili ad altre voci. Noi chiediamo
che cosa sono. Abbiamo diritto a sapere.
E
potremmo continuare. La resipiscenza degli amministratori potrebbe impedirci
l’ingrato ma inevitabile fardello di dibattere queste questioni in altre sedi.
* * *
Un
punto dolente - dolentissimo - è la voce 120: Azioni o quote proprie (valore
nominale Lit. 4.193.325) : al 30/6/1999 L. 5.921.061.000. Ci saremmo aspettati
un profluvio di parole (giustificatrici); invece niente. Un incremento di
acquisti azionari propri nel bel mentre si verificava un crollo verticale della
redditività e delle valenze patrimoniali è davvero una rimarchevole
contraddizione. Ci dispiace per quei soci adunatisi il 12 febbraio del 1998:
qui la banca sembra agire in senso diametralmente opposto ai loro flebili
lamenti. (Ricordate quel passaggio sull’ «impressione di considerare tali
azioni come di poco valore”?) Non credo
che lor signori reputino esaustive degli obblighi di legge quello che dicono
nella nota. Là - scolasticamente - si ripete la lezioncina dei testi elementari
di diritto commerciale: «Le azioni proprie sono iscritte in bilancio al costo.
Alle stesse si applica la disciplina prevista dall’art. 2357 e seguenti
C.C.» E vorrei vedere che si dicesse il
contrario? Il ragguaglio è del tutto tautologico. Si dirà che basta ed avanza
la tabella di pag. 46. E no, cari signori. Leggetevi la pag. 60 della
consulenza Sandulli-Scorza che Simonetti ha divulgato. Ad ogni buon conto la
leggiamo noi per voi. «Alla luce delle considerazioni che precedono, vanno
lette, dunque, tutte le indicazioni che gli amministratori hanno ritenuto di
dover fornire nel bilancio relativo ... e vanno anche apprezzate le omissioni
delle relazioni sulla questione in ordine ai motivi degli acquisti di azioni
proprie da ... , informazioni dovute
in base alle nuove norme in materia di bilanci bancari. Ed infatti,
l’art. 3 del decreto legsl. 87 del 27 gennaio 1992 prevede che nella relazione
sulla gestione siano indicate “il numero delle azioni o quote proprie sia delle
azioni o quote dell’impresa controllante detenute in portafoglio, di quelle
acquistate e di quelle alienate nel corso dell’esercizio, le corrispondenti
quote di capitale sottoscritto, i motivi degli acquisti e delle alienazioni ed
i corrispettivi.»
Non
fraintendiamo, dove sono tutti siffatti elementi? Nella tavola di pag. 46
riusciamo a sapere che nello scorcio di esercizio vi sono stati acquisti per
n.° 15.500 azioni proprie, ma rispetto al precedente giugno del 1998 risulta un
incremento per L. 2411653/m). Quello che è grave che ancora una volta gli
amministratori non pare che abbiano voglia di essere trasparenti in sede di
bilancio in ordine a) alle corrispondenti quote di capitale sottoscritto; b) e
soprattutto in tema di “motivi degli acquisti e delle vendite”. Almeno in
questa sede ci si vuol dire quali motivi sussistono in ordine ai seguenti
acquisti:
data operazione data delibera n.° azioni
2/1/97
|
9/12/96
|
4.000
|
3/1/97
|
9/12/96
|
72.000
|
21/2/97
|
9/12/96
|
3.000
|
5/3/97
|
25/2/97
|
14.290
|
27/3/97
|
20/3/97
|
8.000
|
8/4/97
|
20/3/97
|
1.404
|
29/4/97
|
28/4/97
|
43.142
|
20/5/97
|
21/4/97
|
9.000
|
21/5/97
|
21/4/97
|
8.760
|
7/7/97
|
30/6/97
|
1.000
|
15/7/97
|
30/6/97
|
6.000
|
17/7/97
|
30/6/97
|
4.000
|
28/7/97
|
30/6/97
|
10.000
|
28/7/97
|
21/4/97
|
1.000
|
1/8/97
|
30/6/97
|
5.000
|
5/9/97
|
30/6/97
|
19.500
|
9/9/97
|
30/6/97
|
2.000
|
17/10/97
|
21/4/97
|
3.750
|
Totale
|
|
215.846
|
Quali
le ragioni per preferire codesti acquisti (e quelli successivi) a danno di
altri soci esclusi? Si deve escludere la semplice discriminazione? Non si diano
risposte affrettate, perché chi parla è in grado di fare le debite smentite.
Ma
diamo uno sguardo alle attuali giacenze relative a precorsi esercizi. Nel 1995
abbiamo avuto n.° 847.455 azioni acquistate per essere cedute tutte quante,
unitamente ad altre n.° 812.545 in portafoglio, alla Banca padrona di Roma
all’identico prezzo d’acquisto - o forse al ridotto valore bilancio - di L. 8.000, senza alcuna
commissione o provvigione per l’intermediazione prestata dalla nostra banca.
Anche allora non vi era conflitto d’interesse? Si reputa di non dovere dare
neppure ora una qualsiasi spiegazione?
Sarebbe
interessante conoscere i motivi degli acquisti del 23/6/95 (delibera del
9/5/95) per complessivo numero 249.290 per l’ammontare di L. 1.994.320.000.
Perché furono taciuti i motivi? Non furono anche allora praticate
discriminazioni? Del pari ci vogliono almeno ora dire loro signori che cosa li
spinse a fare gli acquisti del 10/7/1995 (delibera del 9/5/95) e quelli del
13/7/95 (delibera del 9/5/95) e quelli del 18/7/1995 (delibera del 9/5/95) e
quelli del 18/7/95 (delibera del 9/5/95) e quelli del 24/7/95 (delibera del
9/5/95) e quelli del 24/7/95 (delibera del 9/5/95) e quelli del 13/9/95
(delibera del 9/5/95) e quelli per n.° 102.000 azioni del 14/9/1995 (delibera
del 9/5/1995) e quelli del 27/9/95 (delibera del 9/5/95) e quelli del 23/10/95
(delibera del 9/5/95) e quelli del 24/10/95 (delibera del 9/5/95).
Passando
al 1996 sarebbe ora di spiegare l’ordine dei motivi che hanno spinto
all’acquisto di n.° 207.330 azioni, soffermandosi in particolare su queste
operazioni: data 18/7/96 (delibera 13/6/96; data 17/10/96 (delibera 12/9/96) e
soprattutto sull’acquisto di n.° 120.000 (per un importo di Lire 960 milioni)
del 31/12/1996 (delibera del 9/12/96) mentre ad altro socio si negava la
compensazione per cifre di gran lunga inferiori. Si è forse mai detto qualcosa
in proposito? L’art. 3 n.2 lettera b) del decreto legsl. 87 del 27 gennaio 1992
forse è stato abrogato ad insaputa dei consulenti del PM? Noi non l’abbiamo
letto nell’elenco delle norme abrogate di cui all’art. 161 del D.LV. 1°
settembre 1993, n.° 385. O forse si reputa che le leggi valevano per i vecchi
signorotti potentini ma non possono avere valore tranchant per gli uomini dei
grandi potentati bancari romani?
* * *
Anche
per stanchezza, tagliamo a questo punto, con riserva comunque per ogni altro
aspetto censurabile che per caso dovesse essere sfuggito. Gli ultimi nostri
rilievi critici riguardano la proposta di ripianamento delle perdite del 1997.
Lor signori hanno voluto svuotare la posta del passivo: fondo sovrapprezzo
azioni pari a lire 101.385.862.156.- Quale disponibilità ne avevano e quale
legittimazione ne ha soprattutto il socio dominante. Rammentiamo a noi stessi che quel fondo è
stato costituito ancor prima dell’avvento della Banca di Roma. Al 31.12.1993 il
fondo era di Lire 106.185.458.756. Con l’avvento dei signori di Roma, il fondo
come si vede si è contratto. Nel 1996 una rastremazione per lire 3.956.269.000
è passata sotto il naso dell’assemblea dei soci. Ma se così è stato una volta
fatto non significa che si possa sempre fare. Ora l’assemblea deve essere
vigile. Il socio dominante non ha contribuito alla costituzione del fondo: sono
risparmi sudati dei vecchi, malconci soci ad averlo costituito. E’ obbligo
morale e giuridico mantenerlo sino all’estremo. Il socio dominante non può
quindi disporne; non può dilapidarlo. Il meno che si deve esigere che
nell’eventuale votazione al riguardo esso doverosamente si astenga e lasci
integra ai soci di minoranza la responsabilità della decisione. I soci di
minoranza dovrebbero essere un tantinello avveduti da capire che non è
questione formale e rigettare la proposta dei signori amministratori. Il
bilancio ritornerebbe indietro per le rettifiche di competenza. Se i soci di
minoranza non sono avveduti, pazienza. Almeno: chi è causa del proprio male pianga
se stesso. Va da sé che qualora il socio dominante faccia qui orecchio da
mercante e con il peso della sua maggioranza assoluta approvi egualmente
l’improponibile, vedremo in competente sede chi ha ragione. Noi almeno abbiamo
posto il problema e l’uomo avvisato dovrebbe essere mezzo salvato.
Altro aspetto inquietante di quel bilancio è stato quello di avere
voluto utilizzare l’avanzo di fusione. Si chiesero lor signori chiesti che cosa
fosse quell’avanzo di fusione? Non sanno forse che è mero residuo contabile del
compattamento delle poste di bilancio di due società fusesi? Non sono tanto
addentro alle segrete cose fiscali per cui la posta contabile è neutra fino a
che non se ne faccia un effettivo utilizzo? Abbiamo proprio voglia di andare a
pagare un mare di imposte solo per disattenzione? Magari, si penserà che nulla
si debba al fisco e si procederà come se niente fosse. Il futuro accertamento -
si sa che il SECIT ha un conto aperto con tali faccende di fusione - ricadrebbe
sulle spalle già martoriate dei poveri soci di minoranza.
PRIME CONSIDERAZIONI CRITICHE
Nell’intelaiatura,
nello spirito e nella lettera, tali contrapposizioni di taluni soci di
minoranza postulavano minuziose e
precise rettifiche degli organi consiliare e di controllo. Emerge che non solo
non è stata data risposta alcuna, ma risulta persino neppure presa in
considerazione e manco verbalizzata l’istanza del socio Taverna sulla questione
dei notori allegati ispettivi sul rischio creditizio al 31.12.1998.
Nulla
si precisa sul divario tra la ricostruzione Scattone e quella di Barbagallo in
tema di “sofferenza” (a quanto pare: L. 508,6 miliardi per il primo; L. 1.384
per il secondo). Trattasi di un vallo di L. 876 miliardi di deterioramento
creditizio che s’impatto con la gestione “Bancoroma”.
E
soprattutto nulla si rivela sulla ricuperabilità dei crediti secondo gli
ispettori: per Scattone erano prevedibili perdite – oltre quelle segnalate alla
Vigilanza - per L. 619 miliardi; per Barbagallo (stando alle notizie trapelate)
la gestione post 1994 aveva pretermesso di considerare decrementi prospettici
nella realizzabilità dei crediti per L. 257.587 milioni.
E’
questa cifra strategica nella valutazione di vari bilanci (specie quello ex
art. 2501 ter 2° c.): se le L. 168 miliardi di “rettifiche in chiave
tuzioristica” dei crediti, si riferiscono al recepimento delle doglianze
ispettive (come sembrerebbe cogliersi dalla relazione di bilancio – pagg.
12-13) e vi si rifascino integralmente (il che appare dubbio), rimarrebbero
scoperte ulteriori previsioni di perdita per L. 90 miliardi.
Ne
consegue che qualora si aggiungono le certezze che in senso decrementativo
della compagine patrimoniale si colgono nell’erosa assistenza creditizia alle
quattro partecipate della banca (incomprensibilmente considerata “normale”
dall’ispettore B.I.), si perviene ad una perdita integrale del capitale già
nota alla data dell’ultima assemblea straordinaria dei soci. Le inadempienze ex
art. 2447 c. c. appaiono coerentemente inoppugnabili.
Su tali
scottanti aspetti, non pare che il collegio sindacale abbia mai avuto a ridire.
Tali scottanti aspetti – che pure in sede assembleare traspaiono – non pare che
siano stati adeguatamente vagliati dall’Organo di Vigilanza che pure – viene
relazionato (cfr. pag. 4 della relazione Reconta Ernst & Young – abbia
accordato in data 21 marzo 2000 (addirittura tre giorni prima della stesura di
detta relazione) “l’autorizzazione ai sensi dell’art. 57 del D. Lgs. 385/93
all’attuazione dell’operazione di fusione).
E – per
quello che qui conta – le varie società di revisione non hanno ritenuto di
porvi mente locale, pur potendo (e dovendo accedere) alla complessa
documentazione ispettiva, almeno quella relativa alla cosiddetta “parte aperta”
e pur dovendo recepire la vasta verbalizzazione delle doglianze dei soci di
minoranza, non foss’altro per procedere alla puntualizzazione della irrilevanza
giuridica, di bilancio e contabile di detti rilievi contestativi.
Non va
dimenticato che ai sensi dell’art. 2501 ter, 2° c., «la situazione patrimoniale
è redatta con l’osservanza delle norme sul bilancio di esercizio». Si sostiene
in dottrina che, pertanto, tale bilancio deve rispettare «non solo la struttura
.. ma anche i criteri prudenziali di valutazione per quest’ultimo stabiliti». E
se è vero che viene così «espressamente risolto un problema precedentemente
controverso», non potendosi più «sostenere che dalla situazione patrimoniale
dovesse risultare il valore effettivo della società» (cfr. Campobasso, Diritto delle Società, pag.
555), è ultroneo che dalla situazione de qua occorra partire per tutte le
eventuali rettifiche e per gli occorrenti conguagli nel rapporto di cambio. Una
base non veritiera, infedele, mutila inquina, senza ombra di dubbio, gli
“elementi di valutazione ulteriori rispetto all’effettivo valore dei patrimoni
delle società partecipanti alla fusione” (cfr. ibidem p. 555). Il bilancio semestrale fatto approvare il 9
novembre 1999 – aspramente rampognato dai soci di minoranza – è del tutto
prodromico a quello di fine anno, preso a base per la fusione. Sui c.d. tecnici
– specie quelli nominati dai tribunali – incombeva l’onere di asseverare la
fondatezza o meno dei rilievi critici dei soci, potendoli certo superare ma
motivatamente. Tanto non consta.
IL RAPPORTO DI CAMBIO SECONDO IL BILANCIO D’ESERCIZIO
Va qui peraltro precisato che siamo nel settore del
credito, capillarmente disciplinato dalla normativa di Vigilanza e con un
quadro contabile denominato della “Matrice”, ragion per cui non vi è molto
spazio per i c.d. tecnici di inventarsi valori di concambio esorbitanti dal
patrimonio di base o al limite dal c.d. “patrimonio di vigilanza”. Quello che
debbono appurare i tecnici è solo l’osservanza dei principi di chiarezza e
precisione, il rispetto del quadro fedele, ma soprattutto la rispondenza del
fattuale alle segnalazioni di Matrice.
Il fatto che i
vari tecnici del nostro caso neppure abbiano sfiorato siffatta tutt’altro che
agevole problematica, è oltremodo rivelatore della incongruenza valutativa.
La “semestrale”
della Mediterranea palesava scricchiolii informativi che potevano agevolmente
rilevarsi dallo spettro critico dei soci dissenzienti. Ancor più inaffidabile
si valuta qui il progetto di bilancio finale degli amministratori, traslato
acriticamente nel bilancio di fusione ex. art. 2501 ter e recepito dai tecnici
chiamati a stabilire la congruità del rapporto di cambio come mero e formale
adempimento di una non significativa norma di legge.
Ma un’appena
superficiale analisi dei bilanci di fusione della Banca Mediterranea e della
Banca di Roma porta alle seguenti risultanze:
BANCA DI ROMA –
bilancio a fine 1999
-
Patrimonio netto: L. 10.939.693.000.000;
-
Numero delle azioni: 5.350.016.750;
-
Rapporto PN/azioni: L. 2.044.
BANCA
MEDITERRANEA – BILANCIO A DINE 1999
-
Patrimonio netto: L. 102.567.208497;
-
Numero delle azioni: 73.162.476;
-
Rapporto PN/azioni: 1.401.
RAPPORTO BR/BM =
1,4589
|
RAPPORTO MB/BE =
0,68542.
E’ codesto punto
fermo da cui non si può divagare oltre misure e margini di iniqua ristrettezza.
Non è un caso se in interrogazioni parlamentari (cfr. ad es. la n. 4-16400 del
Sen. Giovanni Russo Spena ed altri) non si reputa prudente avventurarsi in
valutazioni appena appena risarcitorie nei confronti dei soci di minoranza
della Mediterranea.
Resta, poi,
l’aleatorietà della valutazione del patrimonio del mega-gruppo bancario che si
affastella sin troppo attorno al perno Banca di Roma. Le nuove acquisizioni del
tipo Banco di Sicilia, Mediocentrale e similari sono al centro dell’attenzione
delle autorità dell’antitrust e per converso impongono cautele in tema di
integrità patrimoniali che la stampa specializzata prudentemente ma
significativamente fa percepire con
espressioni criptiche del tipo «la qualità del credito dell’istituto romano è
ulteriormente peggiorata. Alla luce di queste considerazioni si preferisce
mantenere un orientamento neutrale/negativo sul titolo.»
In effetti si ha
una griglia impeditiva di apprezzamenti in qualche modo rettificative delle
strozzature di bilancio.
Quando i c.d.
tecnici si sganciano dai valori di bilancio delle due banche e si proietanno in
erratiche stime divaricanti si assumono responsabilità che in questa sede non
vale la pena neppure di additare.
Non si ignora
che una parte della dottrina giuridica è disposta a legittimare «un valore
effettivo del patrimonio» (cfr. op. cit. p. 555) divaricati rispetto a quello
emergente dal «bilancio di fuzione». Si afferma – con dubbio fondatamente,
secondo noi – che «la legge si astiene … dal fissare criteri direttivi per la
determinazione del rapporto di cambio; criteri che restano quindi affidati alla
discrezionalità tecnica (ma non
all’arbitrio) degli amministratori.» (ibidem). Eppure non si può non
annotare che il rapporto di cambio è caducabile quando sono emergenti – o
peggio evidenti - «dati incompleti o non veritieri» (ibidem nota sub 3) .. e
nel nostro caso non c’è che l’imbarazzo della scelta.
Per contro
imbarazza il fatto che gli organi di controllo (interni ed esterni) sembra non
si siano accorti neppure di dissennatezze come le seguenti. Per arrivare un
rapporto di 5 a 2 - alquanto ipocritamente “per non danneggiare i soci di
minoranza, in effetti per legittimare la riemersione di un ammortamento in sede
di “semestrale” Banca di Roma dell’enfiata partecipazione nella Mediterranea –
i c.d. tecnici si sono letteralmente inventati queste divaricate parabole:
In altri
termini, mentre per la Banca Mediterranea v’è questo trend ascensionale del
patrimonio di fusione:
-
da 102 miliardi a 176 miliardi e da qui a 258 miliardi e da qui a 270 miliardi:
per la Banca di
Roma, nel cui ambito quel trend doveva crescere a dismisura, si ha questa
inspiegabile caduta:
-
da 10.940 miliardi si porta a 14.802 miliardi; ha
quindi un contenuto assestamento raggiungendo quota 15.967 miliardi per
ripiegarsi nella fase finale in un inverosimile risucchio verso il basso e cioè
a quota 12.945 miliardi.
Il fatto che i
tecnici si guardano bene dal fornire esplicitamente le masse patrimoniali
terminali, a base del con cambio, non è certo segno di inidoneità professionale,
ma indice di evidente imbarazzo espositivo. C’è da chiedersi se davvero la
Banca d’Italia nel fornire – se l’ha fornito – il benestare di legge non si sia
accorta della zoppa ed inaccettabile procedura estimativa.
Stante
l’assoluta inattendibilità del bilancio Mediterranea – sia per gli argomenti
sopra cennati sia per quelli che si diranno e sia ancora per quelli che si
potranno addurre nelle competenti sedi, ova occorra – ogni ricostruzione
estimativa è destinata a cadere.
L’UNICO CONCAMBIO ACCETTABILE
Disincagliandosi
dalle secche del netto patrimoniale
apparente, è possibile rinvenire, ma a ritroso, un aggancio
giuridicamente ammissibile per la costruzione del valore delle azioni della
fondenda Mediterranea.
Solo
riportandosi ad un istante prima della gestione Banca di Roma si coglie il
valore di tale azioni. In tempo ancor utile per rinvenire l’ultimo istante
dell’autonomia gestionale della Banca Mediterranea, questa azienda palesava un
patrimonio oltremodo robusto. Ancor oggi è possibile appurare che ogni sua
azione valeva L. 14.377,90.
Era evidente l’integrità patrimoniale – frutto magari di
agevolazioni ministeriali connessi ai benefici che si intesero accordare a
ristoro dei danni provocati dal noto terremoto dell’Irpinia – e coesa risultava
la totalità degli azionisti (qualche dissenso non si originava certo da
contrasti gestionali ma da moventi personalistici).
Si era
nell’ultimo scorcio dell’esercizio 1993 ed ascendeva il patrimonio a L. 545.706.222.421 che ripartito tra le
n° 37.954.498 azioni comportava un
valore unitario appunto di L. 14.378.
C’era un
frazionamento tale per cui nessuno poteva vantare un ruolo egemone; men che
meno poteva atteggiarsi a socio di maggioranza e soprattutto non v’era nessuna
maggioranza assoluta precostituita. In altri termini era la banca a base
diffusa e la struttura della base poteva qualificarsi democratica.
Tanto finché – per
pressioni della Vigilanza – non intervenne la Banca di Roma che
surrettiziamente ed attraverso manovre ancora non investigate poté acquisire
posizioni di risalto prima (30%) e quindi di maggioranza assoluta (53% viene
oggi dichiarato) senza esborsi di sorta a compenso di una tale scomposizione
dell’assetto sociale e cioè senza liquidare e ristorare chi da posizione
egualitaria finiva per passare a quella subalterna ed attualmente a quella di
insignificante minoranza.
Tale valore
unitario – L. 14.378 – può senza dubbio considerarsi ancora del tutto reale ed
integro. Le varie tosature – che a cadenza annuale si sono lamentate e
registrate dal 1993 al 1999 – non possono ascriversi ai soci di minoranza su
cui il socio di maggioranza, divenuto egemone in termini assoluti, ha fatto
ricadere il peso di onerose scelte gestionali per recupero di propri
investimenti o per occorrenze della capogruppo.
Non è questa la
sede per comprovare quanto qui affermato. All’occorrenza si produrranno prove
ed argomenti che sarebbe tedioso e defatigatorio farne qui anche sintetico
accenno.
La chiave di
lettura è stata comunque fornita sin dal novembre 1999, in occasione
dell’assemblea straordinaria. Qualche ulteriore spunto, a briglia sciolta ed a
valore antologico, lo si vuole esemplarmente fornire pure in questa sede
impropria.
IL PRESTITO subordinato di L. 100 milioni
Il 9 novembre 1999, nell’assemblea straordinaria ex art.
2446 c.c., il C.di A. della Mediterranea relazionava di avere «deliberato
l’emissione di un prestito subordinato sotto forma di strumento ibrido di
patrimonializzazione di L. 100 mld.»
Nella relazione
al bilancio di fine esercizio 1999 lo stesso C. di A. fa sapere che «la banca
di Roma, per riequilibrare l’assetto patrimoniale della Mediterranea ha emesso
uno strumento ibrido di patrimonializzazione di lit. 100/miliardi» e,
contraddittoriamente, soggiunge che «per il superamento della crisi vissuta
dall’Azienda, la Capogruppo, di comune accordo con gli Organi Amministrativi
della Mediterranea, ha individuato nella fusione per incorporazione della
Mediterranea nella Banca di Roma e nel
successivo scorporo del ramo di azienda bancaria di Banca Mediterranea la
soluzione più idonea.» (Cfr. p. 1).
Qualche
annotazione su tale strumento ibribo di
patrimonializzazione: esso a nulla poteva giovare, atteso il
disastroso ordito valutativo cui gli uomini del socio egemone si sono indotti a
chiusura d’esercizio. Si consideri che “le passività subordinate non possono
eccedere il 50 per cento del ‘patrimonio di base’ (cfr. Appendice B.I. 1998,
pag. 283); si consideri anche che per un processo di ardite svalutazioni dei
crediti che gli stessi uomini del Banco di Roma dichiarano avvenute in “chiave
tuzioristica” – il che significa attraverso gonfiature di “riserve” – non si
era potuto raggiungere quel “minimum” di patrimonio di vigilanza; si sappia
che senza quel “minimum” nessuna banca
può continuare ad operare per norme giuspubblicistiche di settore. Tutto ciò
considerato, siffatto “strumento ibrido” è finito per palesarsi inutile e
dannoso per la BM ed indebitamente
locupletativo per il socio a maggioranza assoluta [alias BR].
Quest’ultimo
imponeva ai propri uomini – che recepivano – di contrarre un debito con la casa
madre di cui la BM obiettivamente non necessitava: si frapponeva infatti il
sovrabbondante cash flow alla cui lievitazione non mancava di
contribuire la notoria riluttanza degli uomini del banco a finanziare
l’industria locale (vedi la stasi degli impieghi, in decremento se si depurano
delle pesanti capitalizzazioni degli interessi di fine esercizio). Aggiungasi
il basso rapporto impieghi/depositi che ha determinato un ulteriore aggravio
dei già critici saggi di rendimento gestionale.
Ovvio che, presumendosi l’assolta inidoneità
dei soci di minoranza – e di quelli più deboli in particolare, più numerosi e
quindi più facilmente obnubinabili – il C. di A. della Mediterranea ha creduto
sufficiente licenziare la precisazione che abbiamo appena sopra citata, nella
relazione di legge a corredo della loro proposta di bilancio.
Quanto di
contraddittorio e di capzioso si sottende nel passo citato è di tutta evidenza.
Ma non può il socio di minoranza avere capacità tecniche sufficienti a
contrastare la Banca di Roma socia al
53% ad onta di tutte le norme anti-trust
Alla voce 110 di
fine esercizio abbiamo – si pensi - una
“passività subordinata” di L. 100 miliardi che stando a ciò che si annota – a caratteri
piccolissimi a pag. 43 - è “passività subordinata” «… riferita ad un prestito di L. 100 miliardi ricevuto dalla Capogruppo
Banca di Roma. Esso è regolato al tasso Eurobar a 6 mesi diminuito dello 0,10%,
prevede una durata di almeno 10 anni e il rimborso in unica soluzione alla
scadenza, previa autorizzazione della Banca d’Italia. Le clausole di
subordinazione che disciplinano il contratto consentono, in caso di perdite di
bilancio che determinino una situazione del capitale versato e delle riserve al
di sotto del livello minimo di capitale previsto per l’autorizzazione
all’attività finanziaria, che le somme rivenienti dal finanziamento e dagli
interessi maturati possano essere utilizzate per far fronte alle perdite al
fine di consentire alla Banca di
continuare.»
Ammesso e non
concesso che questa sia un’informativa accessibile ai soci sprovveduti, emerge ictu oculi che si è deciso aliunde di non far più “continuare” la
Banca: è dunque venuto meno ogni motivo per un siffatto iugulatorio prestito.
Ed era prestito che non poteva essere deciso dagli amministratori della BM, per
evidente conflitto di interessi; che non poteva essere deciso dalla
“maggioranza” dei soci, per lo stesso conflitto di interesse del socio tiranno;
che semmai andava fatto decidere ai soli
soci di minoranza, il che notoriamente non è avvenuto.
E così, con
qualche disinvoltura e forse con reticenza, si adempie formalisticamente ai
dettati della vigilanza sugli schemi di conto economico delle banche per
affastellare incomprensibili cifre sul “conto economico riclassificato” (cfr.
pag. 17). Il linguaggio algoritmico diviene ulteriore velame alla
comprensibilità degli inspiegabili (e non svelati) crolli gestionali in tema di
-
“margine gestione denaro” (erraticamente contrattosi
nel 1999 del 22,77%),
-
“utili netti operazioni finanziarie” (astuzia lessica
per non dire “crollo reddituale”) contrattisi e ribaltatisi del 170,22%;
-
“risultato lordo di gestione” passato dagli 80,8
miliardi di resa del 1998 ad un valore pesantemente negativo di meno 93,7 miliardi;
-
“risultato ante
imposte” di meno 272,887 miliardi,
con un peggioramento di gestione al saggio decrementativo del 653,50%.
Tanto avrebbe
dovuto mettere sull’avviso il perito di nomina pubblica – la RECONTA ERNST
& YUNG di Roma – che si era in presenza di un bilancio dubbio e forse
falso, apparentemente non veritiero; un bilancio concepito in sospetto
conflitto d’interessi e quindi passibile di segnalazione alle autorità
competenti, non mancandosi comunque di ragguagliare il Presidente del Tribunale
di Melfi che mancava il requisito primo di una “situazione patrimoniale ..
redatta con l’osservanza delle norme sul bilancio di esercizio” di cui al
secondo comma dell’art. 2501 ter del
codice civile; emergeva pertanto che – fino ad un nuovo progetto di bilancio
vero e reale – non era praticabile alcuna seria e fondata quantificazione dei
rapporti di cambio per la fusione. Ciò pare sia stato del tutto ignorato.
Ciò avrebbe
dovuto spingere la Banca d’Italia ad essere forse alquanto più cauta nel
concedere l’autorizzazione di cui all’art. 57 del TULB.
Del pari,
qualche ripensamento avrebbe dovuto esserci presso la Consob: Banca di Roma prima svaluta e poi ripristina al costo
la partecipazione maggioritaria presso la Mediterranea. E ciò non tanto per
supino rispetto verso i propri tecnici, ma, stando a quel che appare
predisporre un’agile traslazione, senza inceppi rivalutativi del proprio
specifico attivo nella divisata «società bancaria di nuova costituzione,
controllata totalitariamente dalla Banca di Roma.»
E qui davvero
c’è da pensare in ordine al fatto che possa darsi per scontato un nugolo di
autorizzazioni della Banca d’Italia “ante litteram”, a futura memoria, in
palese disapplicazione delle norme
avverso il “socio unico” e con elusione di quanto comunitariamente stabilito in
tema di concentrazioni bancarie.
Né Banca
d’Italia né Consob pare abbiano sinora ritenuto opportuno esigere rettifiche su
questo passaggio della relazione al bilancio della società incorporante:
«Per quanto
riguarda la Banca Mediterranea, il valore di carico è stato mantenuto a 226
miliardi [ma nella semestrale non era stata svalutata? n.d.r.] Esso si raffronta con un patrimonio netto totale di 102,6
miliardi e quindi con una quota di competenza della Banca di Roma (53 per cento
circa) di 54,3 miliardi. La Banca di Roma ritiene che il controllo di Banca
Mediterranea, per il radicamento territoriale e per gli investimenti effettuati
che produrranno effetti a partire dal 2000, costituisca un valore che
giustifica il mantenimento del valore di carico. Del resto, le perizie effettuate da advisor
indipendenti per determinare il valore di concambio ai fini della prevista
fusione per incorporazione attribuiscono alla quota di pertinenza della Banca
di Roma un valore che eccede il valore di carico.»
Orbene, il c.d.
“valore di carico” non può che essere questo:
-
Costo residuo della partecipazione: L.
226.000.000.000.=
-
N.ro azioni possedute: n. 38.840.319.=
-
Valore unitario: L. 5.818,696.=
Da qui forse il non pregevole
itinerario estimativo di quei “advisor” che hanno portato prima il valore di
bilancio della BM di L. 1401,91 a L. 2.435 (quasi un raddoppio) e poi a L.
3.570. Successivamente, essendo la stima ancora insufficiente, si salta ad un
concambio di 5 a 2, senza precisare la
parametrazione patrimoniale, in base ad un presunto valore di mercato di
banche consimili per la Mediterranea ed omettendo analogo calcolo per la Banca
di Roma.
Sennonché
quel 5 a 2 postula che le azioni della
Mediterranea al massimo varrebbe L. 5.112. Quindi la Banca di Roma nel suo bilancio non appare encomiabile
quanto a precisione. Si è lontani dalle proclamate L. 5818,696 così come inaccettabile è
l’affermazione che vorrebbe «il valore di concambio ai fini della
prevista fusione per incorporazione attribuito alla quota di pertinenza della
Banca di Roma [avere] un valore che eccede il valore di carico.»
Non può stupire
se i soci di minoranza della BM tendono a considerare quell’affermazione
alquanto lesiva dei loro diritti societari. La sincerità nelle rappresentazioni
delle valutazioni; la veridicità delle appostazioni di bilancio; la correttezza
nelle relazioni d’affari non paiono in questa occasione esemplari.
Quando, poi, si afferma (cfr. pag. 2 della
Relazione BM al progetto di fusione) che si è inteso adoperarsi per «la
salvaguardia dei diritti patrimoniali degli azionisti di minoranza» si è in
contraddizione con i citati assunti del socio egemone. Siamo in presenza di
espressioni elusive che possono apparire accorgimenti eziologicamente rivolti
ad espellere da una banca che solo nel 2000 prospererà (questo è stato detto
nelle relazioni di bilancio) i soci indesiderati per conseguire un vantaggio
per il socio egemone (dato che potrà traslare un attivo, in atto dubbio, in una
costituenda nuova banca, tutta di sua proprietà, locupletando in proprio in
correlazione al danno subito da altri). Per converso i soci minoritari
finiscono per soggiacere ad una sorta di estromissione coatta, nulla potendo
contro lo strapotere assembleare del socio di maggioranza assoluta.
LA PERDITA DEL CONTROLLO SOCIETARIO
Non appare
questa la sede per rievocare la vicenda dell’ingresso della Banca di Roma nella
compagine societaria della Banca di Roma. Qualche dato è stato già fornito. Non
sembra del tutto corretto asserire che l’istituto romano sia divenuto socio
quasi unico in un sol colpo, nel 1995. Le tante assemblee straordinarie del
1994 prima e del 1995, dopo, stanno lì a testimoniare il fatto che da una
partecipazione minoritaria e pressoché irrilevante si è passati ad una
partecipazione cospicua del 30% per finire in quella massiccia attuale che pare
trascenda di fatto il 53% dichiarato.
E’ inoppugnabile
che la Banca di Roma non ha mai pagato azioni Mediterranea sopra le L. 8.000; o
meglio: il patto iniziale di acquistare a L. 15.000 si è modificato a seguito
di valutazioni fatte con criteri non del tutto in linea con quelli che ora
vengono proposti dagli advisor.
Fuor di dubbio
che nessun premio di maggioranza è gravato sull’acquirente del tempo. Tanto ora
non può che essere corrisposto ai soci del tempo – se sopravvissuti – a titolo
risarcitorio. In altri termini è questione di equità, di giustizia applicata al
caso concreto, recuperare in sede di estinzione della tradizionale Banca Mediterranea
ciò che venne meno nei processi di aggiustamento della compagine societaria, in
definitiva voluti dall’estranea Banca d’Italia.
Allora non si
corrispose quella giusta integrazione di prezzo sia perché scriveva come
scriveva il direttore della locale Filiale B.I. (vedi sopra) sia perché si
diceva e si ammoniva l’assemblea dei soci che con la presenza della Banca di
Roma cosiddette “sinergie” entravano nell’asfittica potenzialità di crescita
della Banca Mediterranea.
Facile oggi
richiamare i rilievi dell’ultima ispezione B.I. per sottolineare carenze
addebitabili al nuovo assetto amministrativo come:
-
la circostanza che “ancorché note da almeno un
quinquennio, solo da pochi mesi sono state avviate a soluzione le mancate
problematiche del sistema informatico, obsoleto, scarsamente integrato ed
assoggettato ad una disordinata e poco documentata opera di intervento manuale
e di personalizzazione delle procedure”. E guarda caso, s’inizia il risanamento
e si estingue la banca con l’istituto dell’incorporazione da parte del socio
egemone;
-
rimarchevole «l’inadeguatezza dell’apparato contabile e
di quello segnalatecico, nonché dei sistemi di controllo interno e
direzionale.» Aspetto tanto più grave se si tien conto dello smantellamento
delle connaturali strutture della Mediterranea e dei gravi costi per
l’introduzione degli alieni ed abnormi sistemi consoni all’istituto romano;
-
«scrutinio e monitoraggio del credito – interessati da
manchevolezze ed incoerenti con l’ipotizzata espansione del comparto.» E
siffatto nevralgico comparto è quello che si contraddistingue con la pesante
involuzione delle sofferenze prima additata e soprattutto con il deterioramento
del grado di ricuperabilità dei dubbi realizzi;
-
«contenzioso lento ed incompleto» ad onta dei gravami
del conto economico che hanno impedito all’azienda di prosperare;
-
«ritardi nell’appostazione di sofferenze»: i misteri di
posizioni contrassegnati con i codice CR 4433672; 6439964 e 5114286 forse
stanno avendo acconcio disvelamento, ma in sedi alquanto scabrose;
-
“numerosi rapporti … risultano di fatto abbandonati”
forse sol perché ritenuti “di ammontare non elevato”, e tanti piccoli rivi
fanno un fiume;
-
«le previsioni di perdita non sempre sono guidati da
criteri univoci, volti ad assicurare una tendenziale oggettività e omogeneità
valutativa.»
E si potrebbe
continuare. Resta però inspiegabile perché i c.d. tecnici della fusione non
sfiorino neppure siffatti scottanti aspetti. Avrebbero dovuto chiedere ad
esempio la seguente documentazione e farne dei circospetti ma esaustivi
ragguagli. Senza contemplare tali risvolti gestionali ogni giudizio sulla
congruità del con cambio è a dir poco malcerto.
Non ci risulta
che siano stati vagliati i risultati di esercizio tenendo presenti:
-
le decisioni degli amministratori delagati dell’ultimo
triennio;
-
le pratiche di fido (centrali nella gestione di una
banca);
-
la corrispondenza con la banca socia;
-
i rapporti ispettivi interni (vedi rilievo n. 8);
-
atti, lettere e corrispondenza idonei a controdedurre
al rilievo sub 11);
-
la parte aperta delle due ultime due ispezioni della
Banca d’Italia.
Sono
pretermissioni che da un lato avvalorano la nostra stima sul giusto peso delle
azioni Mediterranee, desumibile solo dalla pregestione Banca di Roma, pari cioè
a L. 14.378 e dall’altro impongono la refusione del premio di maggioranza a suo
tempo non corrisposto dal neo-socio Banca di Roma.
Non si nega che
tale valore non è facilmente quantificabile, ma il giusto mezzo tra un minimo
del 15% del valore dell’azione al tempo dell’ ingresso maggioritario della
Banca di Roma ed un massimo del 20% porta ad un’integrazione pari a L. 2.500
per azione dei soci di minoranza. Siffatta integrazione esula dai vincoli
dell’art. 2501 bis terzo comma, trattandosi di atto risarcitorio e può quindi
essere corrisposta in contanti.
LA NUOVA BANCA MEDITERRANEA
La
Banca d’Italia si era premurata di far sapere in Parlamento che «Mediterranea e
Banca di Roma, in qualità di capogruppo, [dovevano] redigere, in tempi brevi,
un dettagliato piano di risanamento, nel quale fossero previsti adeguati
interventi di ricapitalizzazione e fossero formulate coerenti previsioni di
crescita degli aggregati patrimoniali, economici e finanziari.» Non pare che si
privilegiasse l’ipotesi dello scioglimento della banca Mediterranea, sia pure
sotto forma di fusione mediante incorporazione. Se qualche avvocato romano
sostiene che tale ultima via fosse la sola percorribile per volere della B.I.
si assume non poche responsabilità.
Purtroppo, dopo
ondivaghi atteggiamenti, torna comodo alla B.R. tale forma di estinzione della
sua partecipata. In effetti, basta l’emissione di n° 83.708.730 nuove azioni
(al massimo) per un importo complessivo di L. 41.854.365.000 per tacitare tutte
le ragioni dei vecchi soci della Mediterranea. Con una semplice scrittura
contabile del tipo:
-
dare conto
“fusione” avere capitale sociale: L.
41.854.365.000:=
per chiudere la partita.
Nasce un certo
annacquamento del capitale che a nostro sommesso avviso rastremerà il valore
contabile della singola azione BR forse attorno a L. 1.972 (con ulteriore
lesione del concambio delle azioni della Mediterranea), ma tanto non risulta
interessare alcuna autorità di controllo.
Al conto fusione
accederà anche l’attuale partecipazione, riportata non al costo storico come si
dice da parte degli amministratori della BR ma a quello del precedente
esercizio al momento pari a L. 226.000.000.000 (salvo rettifiche per
sopraggiunti acquisti o per emersione di sistemazioni varie).
Il complessivo
importo di siffatta voce dell’attivo (L. 268 miliardi al massimo) ha già una
sua destinazione: pare che verrà qualificato come effettivo e veridico apporto
di capitali alla divisata nuova banca «al fine di preservare una serie di
vantaggi competitivi connessi al mantenimento del marchio ed al radicamento
territoriale» (Cfr. Relazione C.di A. Mediterranea, pag.1)
Si reputa di far
sapere ai vecchi soci della Mediterranea che:
-
«vi è stata una sostanziale tenuta della Banca
Mediterranea nelle posizioni sul mercato di riferimento» (cfr. ibidem p. 10»
-
«frutto di una costante ed attiva presenza sul mercato»
(cfr. ibidem p. 11);
-
«grazie anche alla sviluppo di sinergie commerciali con
le società del Gruppo Bancoroma» (ibidem p. 11);
-
In definitiva, «da tali linee di azione, unitamente
alle scelte di riorganizzazione tecnologica ed amministrativa, alla
valorizzazione delle risorse umane, alle sinergie derivanti dall’appartenenza
ad un gruppo ampio, integrato ed in evoluzione, si attendono il continuo
miglioramento della qualità degli impieghi ed il rafforzamento del ruolo della
Banca quale interlocutore privilegiato del mondo produttivo e soggetto attivo
di propulsione e di sviluppo, pronto a cogliere in via anticipata i segnali che
vengono dai territori e dalle istituzioni» (ibidem, p. 12).
Invero non pare
che l’Organo di Vigilanza sia d’accordo se in una «recente visita», sia pure
«di norma», ha riconsiderato «in chiave più critica le componenti aziendali
strutturali, patrimoniali ed economiche.» Ma, non pare equo che i soci di
minoranza vengano radiati e non possano in alcun modo godere dei frutti dei
loro ormai ultraquinquennali sacrifici.
Ai soci della
Mediterranea viene infatti precluso ogni accesso nell’ente che risorgerà dalle
ceneri della banca che loro hanno fondato, sviluppato, radicato nel territorio,
consegnato al nuovo socio egemone con una dote cospicua patrimoniale e che
altri ha affossato e dissolto in una “incorporazione” letale. Bancaroma scrive:
«è stato peraltro predisposto un progetto di fusione per incorporazione nella
Banca di Roma. E’ inoltre prevista, a seguire, un’operazione di scorporo di
parte della Banca Mediterranea in una società di nuova costituzione,
controllata totalitariamente dalla Banca di Roma. Questa soluzione offre al
nostro Gruppo la possibilità di salvaguardare le importanti potenzialità
competitive presenti nella rete della Banca Mediterranea, in funzione
soprattutto delle sue caratteristiche di localismo e di radicamento
territoriale, attraverso un nuovo organismo atto ad assicurare migliori
prospettive di profittabilità.» (Relazione Bilancio BR, p. 61) Ma tali
«potenzialità competitive» in parte sono di pertinenza degli estromettendi
soci. Giustizia impone che vengano risarciti.
L’attribuzione ad ogni vecchia azione
Mediterranea dell’opzione a sottoscrivere alla pari le azioni della costituenda società bancaria
– totalmente riveniente dalla Mediterranea – si rende quindi ineludibile: pena
prevedibilissime azioni giudiziarie.
Del resto è la stessa Banca di Roma che implicitamente
riconosce l’inadeguatezza del concambio di 5 a 2. A pag. 96 della cennata
relazione si afferma: «Per quanto riguarda la Banca Mediterranea, il valore di
carico è stato mantenuto a 226 miliardi. Esso si raffronta con un patrimonio
netto totale di 102,6 miliardi e quindi con una quota di competenza della Banca
di Roma (53 per cento circa) di 54,3 miliardi. La Banca di Roma ritiene che il
controllo di Banca Mediterranea, per il radicamento territoriale e per gli
investimenti effettuati che produrranno effetti già a partire dal 2000,
costituisca un valore che giustifica il mantenimento del valore di carico. Del
resto, le perizie effettuate da advisor indipendenti per determinare il valore
di concambio ai fini della prevista
fusione per incorporazione attribuiscono alla quota di pertinenza della
Banca di Roma un valore che eccede il valore di carico. E’ da aggiungere infine
che la valutazione è confermata anche da offerte di acquisto pervenute da
potenziali acquirenti.».
Duole dover
controbattere:
-
se positivi effetti sono previsti «a partire dal 2000»,
del tutto ingiustificata è la sostanziale soppressione di una banca vitale;
-
il valore di carico risulta forse pari a L. 5.094,
mentre quello che percepirà il socio minoritario BM, dopo le dilatazioni del
capitale della BR per estromissione dei soci di minoranza BM, difficilmente
supererà le L. 4.930 (rapporti precisi non sono possibili per difetto di
informazione societaria);
-
prudenza imporrebbe di non accreditare tesi azzardate
in materia di azioni quotate in borsa e di evitare frasi come questa: «advisor
indipendenti … attribuiscono … un valore che eccede il valore di carico»;
-
se «potenziali acquirenti» erano disposti a subentrare
nella partecipazione, era quella la via non solo auspicabile ma da percorrere
doverosamente per evitare i danni inflitti ai soci di minoranza. Se non si era
stati in grado di amministrare, si poteva almeno essere avveduti nel vendere.
CONCLUSIONI
Gli advisor “indipendenti” hanno redatto perizie i cui
limiti crediamo di affare dimostrato abbondantemente. Non sono pochi i soci
di minoranza che non si reputano soddisfatti dal concambio che viene proposto
(5 a 2).
Per tutta una
serie di considerazioni, pare essere equo un concambio radicato nel valore
storico delle azioni della Mediterranea, o meglio che tenga conto
dell’effettivo netto patrimoniale, prima delle tosature per gestioni
imputabili a centri estranei dagli interessi dei soci minoritari.
Di tal che,
un’azione della Mediterranea si aggira sulle L. 14.378 che in relazione al
valore corrente delle azioni Bancoroma comporta un concambio di 7 azioni BR
per ogni azione BM.
Va inoltre
rifuso il premio di maggioranza, a suo tempo non corrisposto, e commisurabile
in L. 2.500, da corrispondere in contanti, data la sua natura risarcitoria.
I soci di
minoranza della Mediterranea non possono venire esclusi dalla divisata nuova
banca che altro non è che la stessa Mediterranea, neppure troppo modificata.
Il rapporto societario trascende il valore economico e specie nell’ambito
bancario – ove ha peso l’art. 19 del TULB – esso è insopprimibile per sola
volontà del socio maggioritario. Conseguentemente, va accordata per ogni
vecchia azione un’opzione azionaria alla pari nella divisata nuova società
bancaria.
La presente
relazione è del tutto finalizzata alla tutela delle ragioni patrimoniali e
morali di taluni soci di minoranza della Banca Mediterranea che ne hanno
fatto esplicita richiesta. Non può pertanto avere valore diverso di
un’opinione che comunque viene espressa secondo scienza e coscienza e che
scaturisce da esperienze quarantennali nel settore delle verifiche bancarie.
Racalmuto, 25
aprile 2000.
Dott. Calogero Taverna,
ex ispettore di vigilanza bancaria della
Banca d’Italia ed ex ispettore del SECIT, Ministero delle Finanze. – Socio di
minoranza della Banca Mediterranea.
…………………………………….
Dott. Giuseppe Taverna,
dottore in giurisprudenza.
…………………………………..
St. Un. Cinzia Leone,
laureanda in
giurisprudenza.
|
………………………………….
|
Nessun commento:
Posta un commento