Caro Bruno,
sembra che il mio
destino sia sempre quello di sostituire all’ultimo istante le presentazioni,
promesse agli amici, con brevi lettere
di augurio, causa pesanti e sempre più onerosi impegni di lavori imposti dal
mio ufficio. Una sorta di piccolo “escamotage” non privo, per taluni, forse,
del sapore, un po’ amaro d’una piccola presa i n giro, anche se ciò non è stato
mai nelle mie intenzioni. Tanto meno per quanto di riguarda.
E’ vero che nel tuo caso avevo tentato disperatamente, anche
perché conscio del periodo rappresentato dall’incauto ascolto di certi canti di
sirene, ad esempio di quelli provenienti, in maniera così suadente, da talune
persone come ad esempio il mio fraterno amico Mario ABIS docente di storia
dell’arte all’Accademia di BB.AA. di Venezia, di prendere le dovute distanze e
precisare i termini di un impegno in una prospettiva di tempo assai elastica. Poi,
sollecitato dell’interesse, assai notevole, che molti dei tuoi disegni, tra
l’altro, a mio avviso, destinati a riscontrare la loro definitiva, maggiore e
più funzionale conclusione in soluzioni incisorie, ebbero a suscitare nel mio
animo, commisi il malaugurato e imperdonabile errore di definire i tempi di
questo mio impegno.
Ora la tua mostra non soltanto è definita nelle scadenze, ma
ormai bussa alle porte, senza che abbia avuto la facoltà di stendere una sola
parola.
Che dirti? Che fare se non , ancora una volta, chiedere scusa
e ricorrere al solito “trucco” della formuletta legata alla letterina
propiziatoria, non fosse altro che per riempire, in un modo o nell’altro, una
parte dello spazio già preventivato e calcolato, per la presentazione, nella
impaginazione del catalogo e dirti, ora tuttavia, con maggiore serietà, che gli
auguri in questi casi, come nel tuo, ho sempre sentito di doversi esprimere non
gratuitamente, ma soltanto a coloro in cui credevo.
Ritengo, infatti, che in questi tuoi fogli, dalla grafia
intensamente elaborata e tecnicamente già assai raffinata, attestante, già, del
possesso di un mestiere non trascurabile, portato a procedere in profondità, in
precisi e costanti, crescenti verifiche, ritengo, ripeto, che in queste pagine
vi sia, senza alcun dubbio, la testimonianza di un non comune impegno umano .
Un impegno teso, in una, ci sembra, coraggiosa e chiara consapevolezza di
scelte ineluttabili e necessarie, nella prospettiva di uno sforzo doloroso e
drammatico di redenzione e di riscatto, di liberazione delle genti da
condizioni millenarie sottomissioni, di rinunce, di paure e di angosce lontane,
di pregiudizi, qui tradotti nella forte suggestione di cupe allucinazioni di
una atmosfera che sembra chiaramente richiamarsi alla visione di un BOSCH.
Quell’impegno che, particolarmente in momenti come
questi di così sconvolgente travaglio di
una nostra società in crisi, e nella misura del potenziale di fiducia dell’uomo
in esso implicito, non può non suscitare profondo interesse e commossa tensione
in quanti ancora fermamente credono nel possibile recupero dell’individuo
avvertito nello spazio e nelle dimensioni di una sua reale autonomia e di una
sua nuova, autentica dignità. Certo si tratta di una strada dura e di scelte
che, come sempre si dovrà e dovrai pagare caramente.
La coerenza e il coraggio, ne sono convinto, tuttavia, non ti
mancano e altrettanto convinto sono che, pur attraverso anche errori
inevitabili e difficoltà, saprai garantire alla tua ricerca il costante punto
focale di riferimento e di certezza nella verifica, rappresentato dall’uomo.
Quell’uomo che oggi, non scordiamolo, è considerato il vero autentico e reale
nemico di quella civiltà dei consumi, non disposta ad ammettere e ad
acconsentire autonomie e libertà decisionali di sorta, in cui si identificano
tragicamente i termini sempre più esasperati, e senza vie d’uscita, della crisi
insanabile della società borghese.
Quindi, ancora una volta, auguri vivissimi pregandoti di
perdonare il carattere maldestro, forse anche sgrammaticato e scorretto, di
queste mie brevi e affrettate, ma sincere parole.
Giorgio
Trentin
Venezia, 23 marzo 1979
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