FILOSOFIA
Il colore è tanto acceso che infiamma l’immagine, ne brucia
lo sguardo o il tempo: è questo prima un metaplasmo, poi una metafora.
L’idea del sole come idea di luogo che nega la realtà e
allora il luogo diventa il simbolo di un’altra cosa, e forse già il tempo o la materia
dell’essere: Bruno è nato dalle stesse parti dove è nata la filosofia e
all’inizio della filosofia, a partire da Parmenide e Zenone o Melisso di Elea,
congiungeva il tempo all’essere e addirittura ne con fondava la materia.
L’arie e il tempo come misura o materia di scena nella
filosofia, e qui come materi e scena
della pittura, e poi al loro interno il formarsi incendiario delle immagini a
forma di sole o a forma di quelle figure interne alla solarità e alla scena del
sole che sono state sempre presentate come lingue e di cui siamo soliti usare
poi la metafora quando appunto parliamo di lingue di fuoco.. Immagini, metafora
e tempo. Cosi in questa pittura che è tutta una sceneggiatura di lingue di
fuoco, in un paesaggio misto spesso tra terrestre e aereo di piccole figurazioni ardenti e
frequentemente attive (appunto in lingue di fuoco) nella metafora non delle
cose o nel realismo freddo delle cose, ma in quella dell’essere e nell’idealismo
caldo delle pose.
FILOSOFIA E PITTURA
Probabilmente il progressivo venir meno dell’autenticità e
della responsabilità nelle esperienze artistiche attuali ha molto più a che
fare di quanto non si pensi con lo smarrimento, l’assottigliamento delle
capacità di produzione simbolica sociale, tanto che ci si può domandare, in
termini forse ancora più drammatici di quanto non si sia fatto finora, quale
sia lo statuto e la reale incidenza di quel diritto all’esistenza dell’arte di
cui parlava Adorno, un’arte tuttora disperatamente impegnata nel compito di
giustificare se stessa, trasformata in un estenuante commento della propria
sterilità” : cosi è arrivato a dire Massimo Carboni in ‘Aut-Aut’ di
maggio-agosto 1995 al titolo ‘Pittura e Filosofia’. E probabilmente la colpa
c’é. Probabilmente, per esempio, la critica non critica, omologa e non ama il
proprio sapere come sapere di vita: la critica non è il sapere sull’arte, ma
altro, e cioè il sapere che fa dell’arte una via dove incontrare la vita. Le
parole di Carboni sono gravi, esse dànno la colpa all’arte e forse ha ragione,
ma noi sappiamo che l’arte è simbolica a una condizione soltanto: che essa sia
metà di quello che si dice di lei, e l’altra metà è appunto la critica e cioè
il nostro linguaggio di vita. Sembra difficile eppure è un esercizio corrente,
vediamo una cosa e ci viene da dire, da parlare, di essa, di noi, della vita.
La critica ha perso la sua dimensione letteraria, la sua passione di fantasia
parlata e la sua originaria vocazione di essere filosofia. Romanzo e poesia.
PITTURA
In principio la pittura, la sua macchina di revisione poi: la
moviola.
In principio dunque la pittura come presa e come macchina da
presa o di contatto: e allora l’occhio, la mano, la cosa che appare. In
principio l’iconismo dell’espressione; l’unità di tempo, di luogo e di azione
come unità istruttoria della scena vista e visiva e anche come quinta di ciò
che è possibile nel doppio rapporto con l’arte: il segno. Il senso, la cosa, la
posa; il nome e il fantasma. Il tutto come cosa, patema e gesto d’azzardo:
ludus e pthos nella tecnica di una psicologia che fa la spola tra pulsioni
forse senza direzione. Questo perché probabilmente l’oggetto della vista è
archeologico e costituisce quello che può essere individuato come principio
artistico; il problema è: che cosa e come si può eventualmente poi assumere
questa cosa quale principio esplicativo e di artisticità?. E’ una forma, è una
figura, è un gioco di forme e di figure, è un rapporto di presa e di sorpresa,
di noto e ignoto, un atto di contatto, di distacco, di visione o di revisione,
di stasi o di fuga, di soggetto e di oggetto, d’autore o di lettore, di verità
o di spettacolo eccetera; pluralità, slittamento, sparizione, esplosione e
implosione; di che si tratta? C’è una parola intensamente intrigante di
Vincenzo Perna che ci fa strada: quando parla di ‘macro-pittura’, nel senso di
una pittura estesa che paela della pittura, ne fa scena come calcolo anche di
prospettiva e in rapporto di proiezione con l’arte, come gioco di questo
calcolo.
E’ a questo punto allora che adesso parliamo dell’invenzione
che più di ogni altra scopre l’intera posta in gioco: quella che abbiamo
chiamato la macchina di revisione della stessa pittura. Consiste essa, la
macchina,di una struttura di due fulcri
rotatori, posti a circa un metro di distanza l’uno dall’altro, in modo che il
rotolo della pittura come un film passi tra i due come una sequenza continua di
fotogrammi, e lo spettatore ne azioni personalmente e a distanza il pulsante.
Perna ne parla come di un telero, e in effeti l’idea e la stessa di quelle
specie di videorama che sono i grandi teleri dei grandi artisti veneti,
Veronese, Tintoretto: idea rinascimentale, in desiderio di cinema. Questa
macchina fagocita la pittura e ne interiorizza
l’dea nell’idea stessa della propria tecnica di macchina di revisione,
ed è questo che alla fine vince e avvince. Cosi l’espressionismo morfematico della
pittura diventa un’altra cosa: perché l’installazione lo medializza
ulteriormente, e allora tutta l’operazione (forma, contenuta) si sposta. A questo
punto allora di che dobbiamo parlare? Della pittura o della istallazione? E
quale medium/mediazione/medialità? E che da qui prima la pittura si propone il
problema dell’essere della pittura, e poi l’istallazione introduce l’idea della
camera ottica per vederne la prospettiva, la proiezione nel campo lungo
dell’arte e la sua stessa genealogia. Medialismo e immedialismo, siamo al punti
di uscita forse definitivo dell’arte, e dallo sguardo o dal tempo dell’arte.
Valdagno, agosto 1995
Salvatore
Fazia
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