Agato bruno
Un mondo semplice, chiaro e immediato, espresso attraverso un
linguaggio artistico che gli appartiene, quello di Agato Bruno, profondamente
legato alla sua terra d’origine dove ora ritorna con questa mostra personale di
una ventina di opere realizzate recentemente, alcune della quale pensate
proprio per questi spazi. Per certo diventa complicata e direi intenzionalmente
da lui stesso non auspicata una precisa
e facile etichettatura della sua produzione che, per tali motivazioni, si
connota di un’ evidente originalità. Uno spirito libero, fuori dagli schemi e
dalle mode, dotato di una ben precisa identità e sentimento ideologico cui ha
mantenuto fede nel tempo, aspetto alquanto raro oggi in quanto siamo sempre più
adusi a facili quanto rapide virate e cambiamenti di bandiera, cedendo a
opportunismi spiccioli, di ogni genere, che vanificano il credo più autentico e
solido. Nell’affrontare alcune considerazioni sulle sue opere avverto la
necessità di indugiare sull’uomo Agato Bruno che, cosa altrettanto rara,
pienamente coincide con l’artista, inteso ancora in senso tradizionale di uomo
–artista, attento e curioso studioso, fine operatore culturale, già docente e
preside per molti anni nelle scuole
secondarie di istruzione artistica, che ha relativizzato tutto questo
suo bagaglio di esperienze motivanti la sua ricerca attraverso una chiara e
coerente appartenenza a un senso civico perseguito eticamente. Un’attività che
non può non riconoscersi nella più conseguente appartenenza politica, vissuta
on discrezione, comunque, pronta a confrontarsi lealmente e con una
predisposizione innata rivolta a garantire il giusto rispetto reciproco, pur
nel mantenimento delle rispettive posizioni, anche con chi non la pensa allo
stesso modo e magari si trova ideologicamente
agli antipodi. Partendo da tali presupposti possiamo iniziare a prendere in
considerazione l’odierna produzione collegata da un sottile ma ineluttabile
filo rosso che cuce le opere, alcune delle quali, di primo impatto, così
diverse per tecnica di realizzazione e apparentemente di soggetto. Nella sempre
presente tematica sociale e politica, è, tuttavia, individuabile quale comune
denominatore di confronto, la natura e
tutto ciò che da essa di fatto deriva nel bene e nel male in una sua positiva o
deleteria o deleteria gestione. Il tipo di approccio e di osservazione primaria
rivolta all’elemento naturale,, così come dovrebbe essere per ogni buon
artista, lo conduce a fare arte nel pieno coinvolgimento e diretta
partecipazione con quanto gli sta e avviene intorno. Dalla grande passione
coltivata nei confronti del variegato intrigante mondo dell’incisione, in
particolare di matrice nordica, soprattutto espressionista, solitamente
dettagliata nei particolari e nelle avvertito dall’autore dichiarate scelte
ideologiche e politiche di denuncia, gli deriva la notevole attenzione rivolta
sia agli strumenti di narrazione dei contenuti sia ai valori simbolici e
formali nel rimando ai significati analogici dall’autore privilegiati. Così
anche nei dipinti, come con parole appuntate su un quaderno che poi diventa
libro, Agato Bruno parte da valutazioni espresse in merito a una natura matrigna
e resa ancora più caotica dall’intervento interessato, avido e corruttore
dell’uomo, utilizzando colori accesi a riempimento di un segno veloce che
descrive pesci con bocche spalancate e biforcute terminanti con punte che
ricordano tiare vescovili, edifici piacentini ani porticati in bilico e
pendenti, giganteschi uccelli incombenti o rapaci sullo sfondo. Tutto sembra
ricomporsi nella parte dell’orizzonte retrostante dove predominano tinte
uniformi di colorazione oscillanti nelle diverse gradazioni del rosa e
dell’azzurro. Dal primo olio si passa ai vellutati pastelli dove si avverte un
soffuso richiamo all’astrattismo di Kandinskij, risolto, tuttavia, in
un’accezione di maggiore consapevolezza interpretativa per quanto concerne uno slancio sentimentale avvertito
dall’autore a contatto con il paesaggio, espressione di una natura, in questo
caso, senza dubbio rigenerativa. Se nella
crescita la natura viene costretta e avvolta da un drappo, essa riesce,
tuttavia, a riaffiorare e a farsi strada creandosi un varco, e fuor di
metafora, nonostante le ottusità di un potere becero e finalizzato
esclusivamente a mantenere e potenziare all’inverosimile i propri esiziali
interessi che proprio recentemente hanno portato l’Italia e gli italiani, come
esplicitamente ci suggerisce Bruno, “alla frutta”. Da qui si passa ai palazzi
rappresentativi del sistema, pubblico e privato si confondono, da Palazzo
Chigi al Grazioli, di triste, seppur
recente, memoria, dalla villa di Arcore a quella in Sardegna trasformata per
l’occasione, in discarica pubblica della mondezza già a suo tempo accumulata in
eccesso nelle strade di Napoli, al Quirinale, sede del Presidente della
Repubblica Italiana, ultimo baluardo e freno a una dilagante volgarità diffusa
e che ancora si richiama con orgoglio a un’unità nazionale riecheggiata nei
festoni e nei drappi tricolori srotolati sulla piazza antistante l’edificio. Questi
ultimi lavori rivolti a descrivere la recente triste commedia umana di un
berlusconismo imperante ma ora al capolinea, sono realizzati da Bruno cona la
tecnica dell’acquerello, una tecnica difficile da padroneggiare ma molto
sentita e ben assimilata dall’autore che, in tal senso, ottiene effetti di
fattura briosa, raggiungendo risultati freschi e allo stesso tempo caldamente
coinvolgenti risolti in un’armonia compositiva sapiente ed efficace, come
d’altronde e parimente evidente nelle opere esposte per questa sua coinvolgente
e interessante rassegna.
Simi Saverio de Burgis
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