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giovedì 5 dicembre 2013

LE INVISIBILI FANTASIME DI RACALMUTO

LE INVISIBII FANTASIME RACALMUTESI

Nella sua quasi compiuta giovinezza, Sciascia nel descrivere il paese del signor T che è poi il suo paese e che è  la vera sua Racalmuto, ha voglia di stordirci traslando questa nostra ridente ed amabile cittadina in lugubri visioni. "Questo paese riesce a familiarizzarmi la morte , accorda un rigore a tutto ciò che mi germina dentro. Non senza che costantemente io soffochi repugnanza e smarrimento, Ché al mattino il paese vomita la sua vita fuori, per ringhiottirla oscenamente nelle prime ore della sera: e c'è nel rivelarsi di ogni giorno come una vena putrescente, un che di parassitario e di lebbroso.
"Sento la notte declinare nel passo fondo dei muli, nel fischio dei contadini che tra loro si chiamano. Poi il silenzio raggiunge ancora i confini del sonno: e i passi degli zolfatai suonano in un tempo sospeso, bilicato tra sonno e veglia; ma quasi con timore, non scambiano parole anche quando si avviano in gruppo. Un momento che giunge evocato da irreali prospettive di silenzio, puntuale quale una familiare visita di invisibili fantasime. E intanto una chiarità sottomarina lista appena le imposte.
"Così, ad un punto , il clemente naufragio dell'ora viene ad essere penetrato dagli zoccoli petulanti delle donne, dal loro chiamarsi senza necessità, imprecare contro il maligno da fare che porta il giorno. Nel vociare precipitato la parola acqua, ripetuta, diviene limacciosa, come intorpidita dall'avidità di un branco. E dire che per noi, potrebbe anche essere il limpido saluto del giorno."

Certo paese ormi tutto sparito, inesistente, dimenticato in toto. Del resto Sciascia da lì a breve smette questa scrittura che Vittorini non plaudì, ignorò, irritando comunque il futuro autore de "Le Parrochie." Ma anche il paese cambiava. E Sciascia non ebbe più culto per l'abitato che pur migliorava. Sciascia si ritirò, ma solo d'estate - perché emigrò prima a Caltanissetta e poi a Palarmo -  nel suo onirico eremo della Noce, residuandogli il lussurioso sbirciare pingui femmine tizianesche che ignude pascolavano all'occaso dinanzi la sublimata villa Matrona.
Comunque la si veda o la si voglia vedere, per Sciascia Racalmuto non fu più oggetto d'amore. E non vi vide mai ragione, assennatezza, giustizia, solidarietà. Attribuirgli la taccia di avere agghindato il luogo natio di paradigmatica ragionevolezza, di essere "il paese della ragione", è stata solo callida marpioneria. Plagiante truffa dello spirito. E chi ne è stato l'artefice,  mi ripugna. Mai lo vorrei sindaco o mentore o podesà di questo paese che si nomina Racalmuto e mai è stato Regalpetra nè nel senso libertario che astuti pennaioli martellano, né nel senso di accolta di loquaci dal fucile a pallettoni sempre fumante. Chi legge Sciascia nei distorti termini che abbiamo detto non è né potrà mai essere prestigiosa personalità cui affidare il nostro  per ora opaco avvenire

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