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domenica 8 dicembre 2013

Per scrivere un'altra pagina di storia paesana.

Leggo in Illuminato Peri (La Sicilia dopo il Vespro - pag. 154), storico sommo: "Quando, nel gennaio del 1347, fu denunciato che i 'rustici' vassalli dell'arcivescovo di Messina avevano 'sollevato il calcagno' contro la 'veneranda paternità', la corte non tardò ad assicurare che l'animo di questa sarebbe stato 'allietato dalla vendetta che si addice attraverso la 'pena del capo' assicurata nei confronti dei rivoltosi [I Diplomi di Messinapp.171-2]. Nel settembre dello stesso anno, a richiesta dell'arcivescovo Raimondo, con atto regio erano elencate una serie di proibizioni ai 'rustici' e agli abitanti del casale di RACALMUTO, in quanto corrispondevano a diritti riservati all'arcivescovo: piantare vigne, vendere i fondi annessi alle case, tenere taverna, vendere vino al minuto fuori le porte, avere terre in superfluo, avere più di 6 vacche, cacciare pernici senza licenza dell'arcivescovo  cacciare conigli, e tenere fondaci. Era pure revocata la lettera con la quale il re aveva accolto le rimostranze di quella comunità contro la imposizione di nuove tasse feudali, dato che da tempo essa era  'in libertà e in potestà di non pagare all'arcivescovo altro che la decima di tutte le vettovaglie seminate nel territorio'." [ivi pp. 173-174].
Avevo sottolineato questo passo ripromettendomi di appurare dopo con maggiori approfondamenti questa importante pagina di storia che stando al Peri dovrebbe riguardare Racalmuto. Non eravamo molto propensi a dare eccessivo credito a questa subordinazione feudale di Racalmuto alla lontanissima città di Messina e al suo arcivescovo   Non mi risultava nessun altro supporto. In quel   frangente il territorio di Racamluto mi sembrava (e mi sembra) in mano ai Chiaramonte, e questi nulla avevano a che vedere con l'arcivescovo di Messina.
Ma la storia di Sicilia è tanto intricata per cui tutto è possibile. Quel che Peri ci fa intravedere non è cosa da poco. Sarebbe una grossa pagina di storia quella di una Racalmuto in cui nel 1347 i contadini si ribellano niente meno che all'arcivescovo di Messina e corrono il rischio di rimetterci la testa. Che si vedono privati di "moderazioni Regie" che erano riusciti ad ottenere  con scambio di "lettere". Che subiscono per ritorsioni tutta quella serie di angarie: non potere piantar vigne, vendere terre, cacciar pernici e non potere neppure procurarsi conigli selvatici.
Bresc fece studi archivistici minuziosi tanto da farsi dei palazzi a Palermo a spese della Regione. Non ci sembra che appuri nulla in proposito. Certo che non cesserò di stigmatizzare il Comune di Racalmuto di negligere simili ricerche. Spero che ora, magari con questa provocazione, qualche giovane intelletto - e Racalmuto abbonda di intelligenze acute - dipani l'arcano. Non nascondo che non credo probabile questa sudditanza trecentesca di Racalmuto nei confronti del porporato messinese. Penso che il Peri sia incappato in qualche erronea lettura del toponimo. Non so dove stiano questi privilegi. Consultarli nell'originale sarebbe molto chiarificatore. Mi auguro che qualcuno lo faccia. Per la storia di Racalmuto, per aggiungere un altro importante tassello alla eccezionale significatività di questo paese che non è solo il paese di Sciascia, ma è molto altro e in positivo ormai da qualche tempo senza macchia mafiosa.

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