Peccato che non ho confidenza alcuna con Umberto Eco,
diversamente l’avrei pregato di spiegarmi la significatività di questo passo
della nuova letteratura economica della Banca d’Italia:
«L’esigenza di recuperare margini reddituali ha indotto a
perseguire strategie di carry sull’intero bilancio e d’investimento a leva
in titoli governativi italiani che hanno richiesto il reiterato dei limiti
interni a determinato un’elevata esposizione al rischio al tasso di interesse.»
E perché saputo una cosa del genere la Tarantola deve
andare in galera? Davvero è legittimato il Rizzo banchiere ad affermare che lui
nulla aveva da dire: solo confermare la rappresentazione di fatti gravi che un
ispettore BI aveva effettuato alla Tarantola?
Non conosco l’inglese, anzi lo odio: quindi ho preso un
vecchio vocabolario e trovo due significati alla voce CARRY, il primo non mi
dice nulla, il secondo mi diverte: “portata di cannone , di fucile, di palla da
gioco, di un fiume di un battello -
posizione del ‘present arm’.
Ma questi del MPS che si sono messi a sparare cannoni e
fucili con la loro “politica di bilancio”. Vecchia faccenda quella della
magistratura di Milano che nulla sapendo di bilancio pontificavano sul divieto
di siffatta politica. Ed il buon ONIDA, reduce da una scuola che risaliva al
buon Luca Pacioli, controbattevano che il bilancio “è una realtà pensata e
nessuno può fornirne la formula matematica “come non si può dare " la formula
chimica dell’acqua sporca che corre sulla
strada”.
Ai magistrati allora appariva mistificazione connivente.
Alla Banca d’Italia vi fu una repentina conversione alle concezioni aliene
anglosassoni del bilancio quotidianamente verità e alla sottomissione anche
degli enti pubblici economici alle ferree leggi del mercato, all’aziendalismo
privatistico.
Solo che dopo, anche per poter far fingere di “vigilare” “controllare”
“prevenire” “punire” si inventò una evanescente “vigilanza prudenziale” di cui
il buon dottore Vincenzo Cantarella (e crediamo anche il suo valente numero due)
un per lucido espemio in questo rapportino tanto divulgato, tanto incriminante
secondo l’attuale imperante vulgata.
Così si legge impunemente:
In un lettera pubblicata oggi dal «Giornale» Antonio Rizzo,
ex manager Dresdner Bank - ora alla Bcc
di Carate Brianza - e principale teste d'accusa nei confronti dei
vertici Mps ascoltato ieri in Procura in merito alla banda del 5 per cento,
ha cercato di ridimensionare il proprio ruolo nella vicenda: «ho denunciato il
malaffare nel 2008 e il sistema per il quale lavoravo ha cercato in tutti i
modi di farmela pagare», esordisce. Precisa anche che non è un martire perché
per anni ha incassato lauti stipendi e bonus.
Nella sua lettera al quotidiano milanese Rizzo dice
innanzitutto che ormai le leggi non riescono a disciplinare «in tempo reale» la
materia dei prodotti finanziari, che si evolvono in modo veloce. Ma nonostante
ciò boccia la proposta di Bersani della «commissione d'inchiesta sui derivati»
bollando la vicenda Mps come «un chiaro caso di falso in bilancio,
malversazione e probabilmente approvazione indebita ai danni degli azionisti
grandi e piccoli».
Per arrivare a questo scarica barile:
«Non sono io il supertestimone ma la dottoressa Tarantola» -
dice Rizzo -, l'ex vicedirettore generale della Banca d'Italia che nel novembre
2010 lesse la relazione dei propri ispettori su Mps non trovando nulla da
eccepire. Di diverso avviso sembra essere la Procura di
Trani, orientata all'archiviazione della posizione dell'attuale
presidente Rai.
Rizzo attacca anche il ministro delle Finanze, Vittorio
Grilli, per non avere saputo spiegare le responsabilità politiche e
istituzionali sui buchi nei conti Mps. Riserva infine due siluri all'operazione
Casaforte - approvata dalla Vigilanza - e secondo lui volutamente tenuta sotto
traccia, e ai Monti bonds, operazione di «trasferimento di ingenti capitali
dall'economia reale e dallo Stato alle banche con la complicità dei loro amici»
e il più grande derivato stipulato a danno del contribuente italiano.
La dottoressa Tarantola si doveva impressionare per il fatto
che in MPS vi era stato “un investimeto a leva in titoli governativi italiani”?.
Che doveva fare il MPS investire in titoli governativi
francesi o meglio tedeschi (così la Merkel era contenta) o affidarsi a quei marpioni dei
banchieri olandesi di rito scozzese?
L’ho detto mille volte e lo ripeto: la Tarantola non mi è
simpatica, piace troppo a Bertone, Berlusconi e Tremonti. Solo così dalle
filiali (sia pure anche dalla sede di milano) è approdata a quel tritacarne
che è la Banca d’Italia dell’Amministrazione Centrale romana. Ma aveva raggiunto
un ruolo di massima immedesimazione organica nel settore della Vigilanza.
Verrà dalla Bocconi, ma non ha vissuto il melodramma della
trasformazione della vigilanza tradizionale (triplice profilo: saldezza
patrimoniale, equilibrio negli indici di liquidità e buona capacità di reddito) a quella
c.d. “prudenziale” delizia dei tanti Basilea, pedina di lancio di tanti rampanti
funzionari di Palazzo Koch.
Tutto sommato la Tarantola era ferma a quello che scrivevo a
De Mattia:
Obnubilo ogni mia voglia
chiosante dei tuoi intricanti passaggi d’alta analisi istituzionale di questo
modernissimo groviglio del controllo sopranazionale del credito, imperante un
rutilìo di saggezze svizzere, canonizzate a Basilea.
Mi fermo solo su questo tuo
affermare:
… Ciò … non significa cadere nell’eccesso opposto secondo una visione
rigoristica e dimenticare che la Vigilanza e chi ne è a capo non sono meri
arbitri – come un’errata impostazione di alcuni giudici penali vorrebbe – non
sono insomma, solo organi di una magistratura economica, ma hanno anche una
funzione propulsiva per la stabilità aziendale e sistemica,
esercitano un compito anche di indirizzo, possono ricorrere alla moral suasion,
attivano tutte le misure disponibili per la sana e prudente gestione del
credito; rispondono agli obblighi fissati dall’art. 47 della Costituzione sulla
difesa del risparmio.
In ogni caso, costatato il fallimento del soft touch occorrerebbe
provvedere …
Magistrale, scultoreo, esaustivo,
indilazionabile.
Mi accorgo però di essere davvero
obsoleto. Certi tuoi incisi ai miei tempi sarebbero stati eretici. E siccome
tutto tu sarai ma non chierico vagante, quello che dici origina da ben
consolidate riforme che ovviamente mi sono sfuggite.
Ti chiedo quindi alcune
spiegazioni.
A)
essere arbitri legali per un governatore avrebbe
un fondamento, solo che non bisognerebbe eccedere in visioni rigoristiche. Ho
presente lo strillare di Carli alle prese con il banchiere di Dio, con il caso
Bazan e ai miei tempi con magistratura meneghina piena di grevi giudici
all’Urbisci e Viola, prima, Colombo, dopo, martellante il concetto che
tentazioni volte a considerare in qualche misura un magistrato speciale il
Governatore della Banca D’Italia, quello della vecchia legge bancaria,
precedente la costituzione ma non rinnegata da questa, era follia giuridica: il
governo dell’economia monetaria, creditizia e finanziaria provava disgusto dei
lacci e laccioli del formalismo leguleio. Tanta, possibilmente sola, moral
suasion e se qualcuno sgarrava, bastava chiudergli i cordoni della borsa,
quella a presidio del credito di ultima istanza di cui aveva l’esclusiva il
banchiere centrale, il famoso risconto tanto per intenderci e semplificare. Non
è più così? Ricordo un accigliato Antonio Fazio dichiararsi prosecutore della
linea Carli. Non fu capito, qualcuno derise ma era un imbecille.
B)
Pensare solo che ci possa essere “una
magistratura economica” mi pare attentato alla Costituzione. Qualche norma l’ha
fatto? Qualche accordo di Basilea si è surrogato al lungo percorso necessario
qui in Italia per sovvertire la Costituzione? Esagero?
C)
Ecco che mi viene rifilata la storia
dell’aziendalismo: la banca mera e semplice impresa privata, senza dover
adeguarsi alle esigenze di giovare al “pubblico interesse”. Già nella riforma
del Titolo quinto della Costituzione, anche noi di sinistra cademmo
nell’abbaglio che sfoderare l’interesse nazionale era da fascisti. Sbagliammo.
Correggiamoci.
D)
Impresa, bilancio, verità di bilancio: gridavo a
De Sario & C. che abbandonare lo sciatto linguaggio italico era dissennati
e che era minchioneria parlare anglosassone o dover pensare tedesco perché e
dovere rinnegare la nostra gloriosa cultura ragionieristica in quanto robaccia
obsoleta. Citavo Onida: esistono tante verità di bilancio quanti sono gli
obiettivi che ci si prefigge; non si può dare la formula della verità di
bilancio come non si può dare la formula chimica dell’acqua sporca che scorre
per le strade. Soggiungevo, sempre forte dell’Onida, che la verità di bilancio
è una verita PENSATA. Giammai la contabilità di per sé fa istantaneamente
BILANCIO. A fine anno, per lo meno per un trimestre successivo hai bisogno di
fare le scritture di assestamento per le valutazioni – verità pensate – che
anche il codice civile ti impone. Basilea, per quanto ne so, se ne infischia:
Bastano i ratios. Di cui tutti sono maestri a farne ghirigori da modelli
microeconomici. E così, per me, hanno mandato in galera (o meglio quasi in
galera), il più galantuomo dei governatori che abbia avuto la Banca d’Italia.
E)
Senza assunzione di rischio non si fa banca. I
concetti di IMMOBILIZZI, INCAGLI, SOFFERENZE, Ammortamento di sofferenze in
base misurazioni aritmetiche sono imbecillità. Potrei sollazzarmi e sollazzare
con esempi da me vissuti in ispezioni di grande risalto che mi hanno voluto
improvvidamente affidare i grandi del passato della Vigilanza di Via Nazionale
91. Non ho cultura anglosassone, disprezzo Basilea… ma mi si accordi un minimo
di irripetibile esperienza.
Caro Angelo. Spero in una tua
formidabile stroncatura – una di quelle di cui tu sei impareggiabile maestro:
così potrò mettermi l’anima in pace, all’occaso, davvero, del mio esistere.
Calogero Taverna
Ecco perché finisco con solidarizzare con la clericalissima Tarantola.
Aggiungiamo che essendo l’unica donna ascesa al Direttorio, l’imperante
maschilismo di via Nazionale è ben felice di fracassarla e il femminismo
imperante non sa difenderla.