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sabato 27 aprile 2013

Il "cazzo sicano" della grotta di Fra Diego di Racalmuto


Nella mia casa di Roma ricevevo il 15 febbraio 2001 (oltre ventidue anni fa) da un ex militare in pensione, coniugato con una bellissima racalmutese, questo fax. Mi si documentava che insieme ad un assessore racalmutese si era andati alla Soprintendenza di Agrigento a consegnare questo bel po’ po’ d materiale archeologico. La provenienza: il defluvio antistante la nostra unica Grotta di Fra Diego (quel patronimico: LA MATINA va tutto indagato e ridimensionato; ma ai racalmutesi le frottole piacciono tanto; le verità storiche son noiose.

Mi si assicura che il materiale fu davvero consegnato; ne hanno ricevuta autorevolmente firmata. Ho cercato, dopo, quel “materiale”. Nulla. Non mi dànno manco udienza. Qualcuno mi sussurra che il terrore che si indaghi nei sotterranei del Museo Agrigentino è paralizzante, perché ad onta di tutte le inventariazioni il materiale depositato alla rinfusa laggiù si è sempre assottigliato a vista d’occhio. E che si fa? Denunzia contro ignoti? E perché no? Se non altro si sarebbe costretti a prendere misure adeguate e custodie più sicure. E in una inchiesta giudiziaria, si è sicuri che non si approderebbe a nulla? Ma in Sicilia esiste la Mafia e l’Antimafia. Il resto e roba morta e sotterrata. Appunto.

Diamo uno sguardo all’inventario del Calderone. E’ un dilettante e i dilettanti – si sa –hanno certezze immarciscibili. Ma il signore ex graduato militare una qualche competenza la dimostra. Siamo quindi rispettosi.

Pare che abbondasse materiale in pietra, in selce, in quarzite, in basalto ed ovviamente in ossidiana; tutti direbbero che l’ossidiana proveniva da Lipari, ma noi dell’agrigentino abbiamo DNA originale (comprovato) e quindi dobbiamo uscire fori paria. No!. Mi dicevano taluni sapientoni; non viene da Lipari e mi indicavano degli isolotti vicino Trapani. Argomento, per via mare era più vicino per nostri antenati montanari dell’epoca sicana.

Macine, accette, mani litiche della “cultura del bronzo” si scrive. Se ci credete, fate pure. Non mi oppongo. Abbiamo le mandorle votive e lame policrome. L’ossidiana impera. Se si rinvengono 8 “pestelli” queste si dichiarano “in ottimo stato di conservazione”, e nessuno dubiti che s’inquadrano nella “facies Pantalica Nord”. Pure due Bolas abbiamo e comunque un mucchio, 52 reperti litici.

Ovvio noi che siamo birbantelli e vastasieddi diamo la prefenza a tre falli fittici. Certo che i nostri antenati sicani l’adoravano il “cazzo”. Se qualche musicotto ora lo mette nelle sue canzonette, perché irritarsi con la professoressa che ne fa l’esaltazione. Vacci piano Calò, no essere tartufescamente moraleggiante.

Fuoco alla Montagna


Certo non è la solita cartolina illustrata di Racalmuto. Ci mancherebbe altro. L’oleografia non mi piace. Dovrebbe essere fin troppo chiaro. Questa è una foto molto amatoriale scattata dal punto (per me) più bello del mondo, dalla terrazza della mia casetta a Bovo (Racalmuto). Di fronte gli Avellone (o come si chiamano) in un tempo in cui bene o male ancora verzecava il vignetto. Questi signori, proprietari per diritto ereditario di ampie zolle della vecchia ubertosa Racalmuto, avevano tanta spocchia panormitana da disprezzarci con frasi del tipo: debbo pure curarmi di ‘sto fazzoletto di terra.

Accanto il fuoco. Racalmuto d’estate - si sa – brucia. Noi non crediamo alle ricorrenti dicerie (malamente interessate) che parlano di dolo, di incendi dolosi. No, signori miei: abbandono e solleone ci inceneriscono nel tempo della calura agostina.

Questi baldi giovanotti che si lamentano che a Racalmuto non c’è lavoro, hanno forti braccia (menti? no so); vadano a lavorare la terra e niente più brucerà. E la economia saprà persino risollevarsi. Vi sono tante provvidenze! ma mi raccomando non come quando stavo all’AIMA (Via Palestro, 60 –Roma). Che indecenza! E tanti sperperatori di cospicui fondi comunitari oggi osano anche fare i moralisti. Ancora una volta, la mia incantevole frase: Sutor, ne ultra crepidam!

Gbillinni: 21 aprile 1358 battesimo del Castelluccio

Ci viene annunciato che verrà fornita una comunicazione storica sul Castelluccio che non solo aggiorna ma rettifica quanto noi abbiamo affermato sulla data della costruzione dell'attuale castello di Gibillini, quello che tutti indichiamo come Castelluccio.
Se verranno forniti dati documentali (diplomi, cronache coeve, atti notarili, brevi papali ed altro) e non sorgeranno dubbi fondati, non potremo che inchinarci dinanzi a più approfondite  e meglio argomentate ricerche storiche. Non ci arroccheremo, certo, sulle nostre posizioni peggio di santa romana chiesa di fronte all' "eppur si muove" di Galileo. Non siamo dommatici sino a tal punto.
Va da sè che non basterà una magari scintillante congettura per smuoverci dai punti di approdo di una trentennale nostra ricerca storica che passa dalla letteratura secentesca (invero vanesia) o dalle pungenti inquisizioni del Barberi, alle carte capitolari della cattedrale di Agrigento, agli archivi di Palermo, a quelli vaticani.
Aggiungiamo che non ci risulta che vi siano mai state ricerche archeologiche scientifiche sul Castellucio di Racalmuto: una carenza questa che va imputata al disinteresse totale della Soprintendenza agrigentina per le cose di Racalmuto (e non riguarda solo l'archeologia medievale ma anche ben altre più antiche culture).
Per noi, comunque, resta per ora indubitabile che non si pò datare il Castelluccio molto prima del 21 aprile 1358. A  questo giono della primavera del 1358 risale infatti il diploma che sopra riportiamo.  Il diploma fa parte del codice diplomatico di Federico III di Aragona re di Sicilia (1355-1377).
Ne ha reperito presso l'Archicio di Stato di Palermo la copia mio nipote il dottor Giuseppe TAVERNA, figlio di Angelo Taverna (e sono costretto ad essere tanto pignolo per evitare una delle tante voglia di certi divulgatori racalmutesi protesi ad attribuire a qualche loro gloria di famiglia meriti storici e rinvenimeti prestigiosi, in verità inesistenti).
Non siamo poi così vanagloriosi da far credere che il nostro rinvenimnto del foglio diplomatico sia avvenuto per illuminazione dello Spirito Santo. Abbiamo prima consultato e studiato un prezioso lavoro di Giuseppe Cosentino che ne fece pubblicazione tra i DOCUMENTI PER SERVIRE ALLA STORIA DI SICIIA - SERIE DIPLOMATICA VOL. VIIII, edito in Palermo nel 1885.
Il diploma fu rilasciato a Cefalù da parte di Federico III di Aragona per concedere al milite Bernardo di Podioverid e ai suoi eredi "il castello de GIBILINIS vicino il CASALE di RACALMUTO ".
Notiamo qui che Racalmuto nel linguaggio ultrapreciso della curia aragonese in quel tempo trasferitasi a Cefalù è rubricato come semplice "casale" e non possiede qundi nessun castello o CASTRUM. A quel tempo dunque il castello chiaramontano non esisteva. Lo vogliono far diventare addirittura fridericiano, facciano pure ma sappiano che è fandonia storica.
Per la precisione, aggiungiamo che in base al citato e riportato diploma aragonese il Castelluccio ha i seguenti confini: è "prossimo al feudo Buttiyuso"presso Sutera ed era apperenuto al defunto Simone di Chiaramonte che aveva tradito il re e disponeva di "vassalli, territori, erbaggi ed altri diritti". Bernardo di Podiovirid prometteva al re che avvrebbe recuperato "dalle mani dei nemici" il castello.
Non lo recuperò e noi ne facciamo ricostruzione storica nel nostro lavoro: RACALMUTO NEI MILLENNI al quale qui rinviamo (pa. 12 e ss.).
Vi sono in giro carte e documenti attendibili atti a smantellare questa nostra datazione? Ben vengano. Ne prenderemo volentieri contezza.   
 

venerdì 26 aprile 2013

Come risposta venni dal sig. direttore della Fondazione Sciascia, mantenuta con i sodi nostri, insolentito come un "gran maleducato".


Preg.mo  Prof. Di Grado,

il 25 febbraio p.v. si terrà a Racalmuto una giornata di studio su Sciascia, il Castello Chiaramontano e … Regalpetra: i grandi interrogativi della piccola microstoria di Racalmuto.

La disturbo per vedere se Ella può dare un contributo scientifico all’iniziativa che prende a pretesto il castello Chiaramontano di Racalmuto, per indagare, a 360 gradi,  su tutta la vita passata che dalle ere geologiche sino ad oggi si è consumata intorno.

I lavori, affidati ad alcuni specialisti, dovrebbero arricchirsi di brevi contributi da parte di tutti gli addetti ai lavori racalmutesi, dagli archeologi ai cultori di scienze umanistiche, dagli storici ai togati etc.

Di sicuro  parteciperanno i due esponenti delle due scuole di pensiero che si agitano all’interno della Soprintendenza BB.CC. di Agrigento.

Personalità racalmutesi affermate come il prof. Giovanni Liotta o il Procuratore della Repubblica Nuccio Lo Re  o altissime autorità amiche di Sciascia e di Racalmuto, come sua Ecc. il Presidente del CGA della Sicilia, hanno dato il loro assenso.

Tra costoro, a mio avviso, la Sua presenza è d’obbligo.

Quanto agli altri consensi di politici, tecnici, ingegneri, studiosi, scrittori, sindacalisti, musicisti del luogo, sarebbe qui ozioso farne l’elencazione.

 

Spero di vero cuore che Ella ci dia la Sua qualificatissima adesione. Mi piacerebbe una Sua investigazione sul  rapporto tra Sciascia e “lu paisi”: naturalmente questa vuol essere solo una ingenua provocazione… nessun vincolo e nessuna direttiva. Ci mancherebbe altro!

 

 

Trepido fu il trasporto del grande Scomparso con i luoghi ed le antiche vestigia del suo paese.

 

«E’ stato detto - polemizza Sciascia in una prefazione alle sue “Parrocchie” - che nelle Parrocchie di Regalpetra sono contenuti i temi che ho poi, in altri libri, variamente svolto. E l’ho detto anch’io.» Ebbene, “Parrocchie” è libro fin troppo scopertamente raffigurativo di Racalmuto (alias Regalpetra), di uomini racalmutesi (Lascuda, Gaspare Martinez, don Ferdinando Trupia ed anche di ben precise località (non soltanto la Noce, ma Canalotto, Serrone, Pantanelle, Castello, Castelluccio, Matrice, S. Francesco, Monte, S. Giuliano, S. Maria di Giesu sic!, il Corso etc.), di eretici (invero alquanto stracci e paesani quali fra Diego La Matina), di ritrovi e di taverne (il circolo della Concordia ove uomini vani si consideravano il sale della terra in affabulazioni vacue, derelitte, oscene, è  ancora operante; da rievocare).»

 

Inoltre:

«Il territorio di Racalmuto ben si presta ad un ordito di transfigurazioni letterarie sulla scia delle varie, ineguagliabili visioni creative sciasciane. La Noce, ad esempio, fumiga in un paesaggio tizianesco, con visionarietà erotiche, con senili “alumbramienti”. La Chiesa del Carmine entra d’impeto nelle Parrocchie di Regalpetra “con un massiccio sarcofago di granito, due pantere rincagnate che lo sostengono”. Il Castello Chiaramontano è ancora altissimo ed imponente e là “il conte stava affacciato al balcone alto tra le due torri guardando le povere case ammucchiate ai piedi del castello”; allora (nel ‘600) come adesso. “Di zolfare e saline si dice nei privilegi reali relativi a Regalpetra”. Zolfare e saline costellano tuttora il territorio racalmutese, per una rivisitazione creativa alla Sciascia, per una rievocazione delle amare vicende sindacali come certi antichi contratti.

Località, fatti, figure, apologhi delle Parrocchie, di Morte dell’Inquisitore, degli Zii di Sicilia, di Occhio di Capra, del Mare colore del vino, di Kermesse, della vasta produzione minore, saranno puntualmente ricollocati negli anfratti in cui Sciascia li aveva allogati pur nella trasfigurazione della propria letteraria creatività. Il parco - se prescelto - saprà bene individuare una cosiffatta topografia. Racalmuto resta tutto sommato intatto. Certo, devastazioni, incurie, inculture danni ne hanno prodotti. Un motivo in più perché si dia vita ad un raduno di uomini “intelligenti” per sanare le ferite, rimandare ai posteri ancora integre le prische memorie dementi del paese di Sciascia.»

 Qualora volesse accettare di essere coinvolto nell’iniziativa, potrà dare il Suo assenso al Vice Sindaco, dott. Enzo Sardo, o al presidente dell’Archeoclub di Racalmuto rag. Carmelo Mulé o, anche, al sottoscritto.

Con molta cordialità.

la statua iè di marmaru e nun suda!


Quando – nei bei giorni felici – dal balcone privilegiato del circolo dei Ddo’ -  potevo scandagliare,  meglio di quel faccio ora se vado a San Francesco a Ripa e contemplare un’opera barocca ma oscena del Bernini, gli umori femminei delle avviticchiate alla statua di Sciascia, avevo voglia di gridare agli accompagnatori,  mariti o compagni che fossero: non vedete che vi sta tradendo?

E tradire con i palpeggiamenti bronzei dell’assente Sciascia è davvero epidaurico. Ma erano sui quaranta e si sa che nel decennio che precede la fine dei suoi  disturbi mensili la donna si accende (mentre l’uomo si spegne).

Lo Stato moderno, lo Stato dell’opulenza deve pur porsi il problema della salute erotica della metà del cielo di quell’insidioso decennio là. Dovrebbe invero preoccuparsi delle paturnie dei suoi quarantenni, ma pare che lì non c’è cura.

Ora che non posso più frequentare il circolo dei Ddo’ sequestrato da rampanti giovani ingegneri dello scrivere su carta stampata mi vien fatto di pensare: ma perché a Racalmuto son si è avanti coi tempi. Già, perché no? Bordelli maschili per sole donne. Abbiamo anche quel che rimane delle pie intenzioni di un barbone morto ricco che voleva un bell’ospedale. Mi pare ora ridotto ad un fottisterio per stranieri. Non ditemi di no! Dopo quello che ho intravisto vi direi contra factum non valet argumentum.

Ciò stante, stanzette arredate con stampe, acqueforti, acque tinte, statuette di alabastrino modellate da scultorelli efebici, carte della matrice, rinvenimenti inventati in lingua latina e greca (tra poco anche araba); stanze di studio insomma per una sola persona (femminile) alla volta, di età sui quaranta, e dentro un mentore. Ora Racalmuto non è più il paese dei tempi miei, quando eravamo tutti bruttini e traccagnotti; oggi l’esemplare “FICO” è diffuso. Dal fottisterio degli assistiti in lingua araba, insomma a quello tutto italico, igienico, discreto ed anche “colto” e con introiti che permettano di pagare anche la taref di cento anni fa.

La favoletta un po’ all’Apuleio deve avere una morale diversamente vengo denunciato per istigazione alla prostituzione “maschile”.  Diciamo, visto che ancora in materia Berlusconi non ha introdotto la legge sulla pari opportunità (tra lui i baldi giovani e le quarantenni desiose) sbaracchiamo il fottisterio del Carmine e restituiamo l’edificio - dignitosamente restaurato -  alla salute pubblica racalmutese. Quanto alla statua di Sciascia, visto che sta diventando occasione di peccato (in pensiero) togliamola da lì e mattiamola sul pinnacolo della Matrice. Ci fa e ci fa fare una bella figura Siascia, che credo si sia rotto le scatole di farsi palpeggiare ora che è di bronzo e come la statua di marmaru nun suda.

Beata ignoranza!

Traggo due pagine da G: GENTILE - La filosofia di Marx. Certo Berlusconi manco sa di un libro di un tal fascista. E' troppo occupato con le donne. Assente giustificato. E quelli che lo seguono? Beata ignoranza!

LE MIE DISAVVENTURE


LE MIE DISAVVENTURE

Tra la famiglia LICATA e la mia v’è un più che secolare rapporto di stima di simpatia e con tanti membri di profonda amicizia. Non saranno dunque un paio di arditezze contestative a smuovre neppure di tanto un provocatore nato come me.

Con i miei compaesani – cui sono sinceramente affezionato. Ripeto: io non amo Racalmuto ma i racalmutesi. I miei studi da certosino sui polverosi rolli della Matrice mi hanno costretto a convincermi che a Racalmuto siamo tutti parenti – con loro dunque il rapporto non sempre è idilliaco. Vi sono certi presuntuosetti che credono di cogliermi in castagna. Signori miei, tutto è possibile, ma ottant’anni di vita, la quasi totalità passata in osservatori più che privilegiati e segreti (non per merito mio ma per l’intelligenza fornitami da madre natura) e tante ore passate sui libri (anche presso l’Archivio Vaticano Segreto, se è per questo),  mi hanno costretto ad imparare almeno una cosa eccezionale al giorno. Fate voi i conti. Comunque, sia per mia chiusura delle fonti anonime, sia per le rispostacce che si sono dovute sorbire ora mi lasciano in pace. Fanno solo finta di non leggermi. Poco male per me visto che mi leggono in quasi tutto il mondo. Da ultimo anche in Egitto.

Quelli che invece ci cascano sono certi accademici miracolati dal nostro Sciascia (un tempo era padre Scimè a miracolare maestri e maestre di scuola a iosa) e da ultimo anche un certo Tano Todaro che mi rinfaccia persino la mia grande ignoranza storica visto che non saprei neppure quando è stato lo sbarco dell’avventuriero Garibaldi nei pressi di Marsala. Povero lui. Anche un tal sedicente giornalista siciliano infiltratosi in un non so che tiaso di trans iniziò a insolentirmi sol perché il mio disprezzo verso tutta la classe giornalistica è inverecondo, e da un po’ di tempo con particolare riguardo a quella sicula che nulla sa o vuol sapere dello sperpero di un milione di euro regionale per ricompensare supporter elettorali titolando in infami gazzette ufficiali quasi davvero si trattasse di finanziamenti ad assurdi ed improbabili documentari cinematografici.

Nessuno sa chi e che cosa ci stanno dietro? Io lo so e stigmatizzo i silenzi omertosi di siffatti professionisti della carta stampata o parlata.

Da ultimo me la sto prendendo con la scuola ridotta ad ammortizzatore sociale di madri di famiglia o di figli di papà che crescono di età e di statura ma non di mente o peggio di capacità assimilatrice del cibo della mente. E beate o beati loro, si fan chiamare “precari” e tira a campa’.

SEGUITO DI "lotta comunista".

La nostra sinistra resterà sempre tale e quale, ho sempre pensato la sinistra come quella inglese o americana, questa è roba da medioevo !!!
  • Calogero Taverna Non come si fa a giudicarla "questa roba" senza manco averla letta. E poi a leggerla. se ne è all'altezza? Il mercantilismo angloamericano è grettezza intellettuale. Non può competere con la cultura mitteleuropea. E quest"roba qui" proviene dal momento più alto della speculazione filosofica tedesca (Kant, Hegel Marx). A Marx si approccia il nostro Gentile: ho sottomano un suo studio. Tutti lo sappiamo un fascista. Ci rimise la pelle. Gentile vuol fare una lettura critica diMarx. Sommo studioso. critica ma finisce per mettere in risalto la gigantesca genialità del Tedesco. (MARX). Poi il medievo? Già cosa da barariDante. S. Agostino, Gioacchino da Fiore, S. Francesco. i movimenti pauteristici, (leggere il nome della Rosa percosrtesia).Certo non è la mia cultura, ma mi gurdo bene per noncercare di comprenderla, (è per intellettieletti), per ammirarla per coglierne tutti i grandi empiti dello spirito. All'amico,dico: Sutor, ne ultra crepidam!
  • A proposito della mia ostensione di LOTTA COMUNISTA

    Residuato bellico !!!

  • Calogero Taverna No! Intelligenz superiore. Al marxismo tutto s può rimproverare ma non non sappianocaptare a lezione della storia, il verso del grande sfruttamento umano. Me ne stavo a festeggiare mia nipote frillantemente laureatasi a Tor Vergara a Roma quando vengo avvivinato da ungiovanottodalla faccia aristocratica e dalla rivoluzionaria barba corvina. Mi offre qualcosa. Ho subito, cme mio costume u moto di stizza. Poi vedo: LOTTA COMUNISTA.Prontamente metto mani in tasca per un lato contributo. Giorni prima, prlanso con un mio veccho ispettore della Bana d'Ialia, mi diceva: contribuisco alla stampa di lotta comunista.Non ne condivido nulla ma debbo starci. Leggo questo numero di LOTTA COMUNISTA: che lucidità, che intelligenza storica,che analisi dell'ttuale truffamonetaria della CE. Altro che residuato bellico. Solo anticapitalismo becero, solo analisi colta. Ma, bisogna esserne all'altezza per apprezzae. Per il resto, evamgelicamente: Oh! Signoreperdona loro perché non sannoquel che dicono,
  • N.B. un imbecille aanonimo crede di potermi turbare con un argomento del "cazzo" (sic et simpliciter). Si presenti,miconsenta di accertarne la cifraculturale, etica. significativa (sì sono in grado di sapere tutto di tutti: provare per credere) e quindi sia alla mia altezza. E non è facile. Gli anonimi io li cestino impietosamente come ho fatto con codesto anonimo imbecille.

    giovedì 25 aprile 2013

    A difesa del mio nome

    In un salottino romano - ninfa egeria la solita professoressa in disuso - s misero a centimetrare i bicipiti di questa avvinghiata. Irrisi. Credettero di contraccambiare celiando sul mio nome (ammaliante fonema greco) e sul mio cognome (persino altamente nobile a Roma). La Padania si sa è bossiana: altissima cultura classica.

    Vecchie lettere - nuovi contrasti


    Gent.mo Ing. Cutaia,

     

    ho trovato il Suo secondo articolo su Malgrado Tutto intitolato “i castelli di Racalmuto sono federiciani” e l’ho riletto con acuto interesse.

    Il titolo a dire il vero mi sembra spurio e non riflette l’intelligente impostazione dell’articolo sapientemente dialettico e provocatorio.

    Condivido appieno quello Lei afferma in ordine alla datazione “nel principio del trecento” che rifiuta per una serie di considerazioni convincenti.

    Non è da oggi infatti che scrivo:

    «Se vogliamo credere alle letture che si fanno del Fazello, proprio in questo intervallo di pace, un membro cadetto dei Chiaramonte avrebbe avuto voglia di innalzare nell’attuale piazza Castello di Racalmuto una costosissima coppia di torri difensive, apparentemente inutile e dispersiva. Francamente, la cosa non convince molto: le fonti scritte tacciono, quelle archeologiche sono tutte di là a venire.

    Il grande Fazello, invero, non è che si sbilanci troppo; si limita ad annotare: «A due miglia da qui [Grotte] si incontra Racalmuto, centro fortificato saraceno, dove c’è una rocca costruita da Federico Chiaramonte, a cui succede, a quattro miglia, la rocca di Gibellina e poi, a otto miglia il villaggio di Canicattini.» [1]

    Dal passo si evince che il Fazello comunque non aveva dubbi sul fatto che la rocca racalmutese fosse stata “erecta a Frederico Claramontano”. Ma chi fosse codesto Federico non è poi del tutto chiaro, potendo anche essere Federico Chiaramonte I, il capostipite della famiglia, nel qual caso la datazione della fondazione del Castello retrocederebbe e di molto, ma potrebbe anche trattarsi di Federico III Chiaramonte ed allora la data va postergata ai primi anni della seconda metà del XIV secolo. Di recente, a seguito di tanti indizi documentali, abbiamo dovuto propendere per quest’ultima ipotesi.

      Da dove abbia tratto la notizia il Saccense, non è dato sapere: era comunque storico serio per abbandonarsi a dicerie inconsistenti. Ci ragguaglia, però, in termini circospetti e tanto deve spingere a cautele chi, a distanza di secoli, cerca di investigare quelle vicende così basilari per lo sviluppo del centro abitato di Racalmuto. Tinebra Martorana, ad esempio, ci raffigura improbabili infeudamenti da parte dei Chiaramonte (pag. 63) o impensabili sviluppi edilizi del Castello stesso (capitolo X e in particolare pag. 71).

    Se poi diamo credito al San Martino de Spucches, proprio in coincidenza dell’erezione del Castello, Manfredi Chiaramonte avrebbe fatto erigere il vicino Castelluccio - ma qui crediamo che si tratti di un abbaglio: c’è confusione con la rocca di Gibellina in provincia di Trapani. [2] Per il San Martino, dunque,  «Il feudo di gibellini è in Val di Mazzara, territorio di Naro, da non confondersi con l’altro sito in territorio di Girgenti, sul quale sorse poi la terra di Gibellina, eretta a Marchesato. Appartenne per antico possesso alla famiglia Chiaramonte, dove Manfredo vi costruì la fortezza; in ultimo lo possedette Andrea Chiaramonte; questi fu dichiarato fellone, ed in Palermo a giugno 1392 sotto il suo palazzo, detto lo Steri, ebbe tagliata la testa.» Una qualche astuzia stilistica cela la confusione in cui si dibatte il peraltro avveduto araldista. Con franchezza, dobbiamo ammettere che nulla di certo sappiamo sulle origini del Castelluccio: solo a partire dal 1358 possiamo essere sicuri della sua esistenza.»

     

    Ed altrove:

    « Non c’è ombra di dubbio che il Fazello parlando di un castello costruito da Manfredi Chiaramonte in Gibillina, intende riferirsi alla località del trapanese. «da Misilindini ... verso ponente è lunge tre miglia Saladonne, e poi dopo un miglio si trova Gibellina castello, dove è una fortezza fatta da Manfredi di Chiaramonte,» secondo la vetusta traduzione del P.M. Remigio Fiorentino (Della Storia di Sicilia ... volume primo, pag. 625). E  l’Amico (op. cit. pag. 267) sembra alquanto perplesso ma in definitiva si capisce bene che parla della Gibellina trapanese: «Et paulo infra Sala Donnae et M. postea pass. Gibellina, ubi arx a Manfredo Clamonte erecta adhuc extat.» Non sappiamo perché il T.C.I. nella sua guida della Sicilia del 1968 attribuisca invece il castello a Enrico Ventimiglia, che l’avrebbe edificato nella 2a metà del ’300 (pag. 241). Del pari si attribuisce il castelluccio racalmutese ad Abbo Barresi: «a 5 km. Si sale a d. sul monte, ove si trovano avanzi notevoli di una fortezza del Chiaramonte, del sec. XIV, ma fondata nel ’200 da Abba (sic) Barresi.»

     

     

    Ad essere franco, non riesco più a credere che l’edificio vada inserito «nel novero degli edifici svevi».

    Un tempo ne ero anch’io straconvinto, ma le indagini paleografiche mi rendono oggi del tutto scettico.

    Di un “castrum” a Racalmuto si parla per la prima volta – per quel che ne so io – nel 1395, in un diploma di concessione a Matteo del Carretto. Scrivevo un tempo:

    «La turbolenta vita di Matteo del Carretto emerge da un diploma ([3]) del 1395 (die XV° novembris Ve Inditionis) che fu al centro dell’attenzione anche del grande storico siciliano Gregorio ([4]): « Matheus de Carreto miles baro terre et castrorum Rahalmuti - vi si annota in latino - ultimamente si rese non ossequiente verso la nostra maestà.» Certo quel “castra” al plurale starebbe a dimostrare che sia “lu Cannuni” sia il “Castelluccio” erano appannaggio di Matteo del Carretto. Poi, il Castelluccio, quale sede di un diverso feudo denominato Gibillini passa nelle mani di  Filippo de Marino, fedelissimo vassallo del Re (1398); …»

     

    Ne svariati documenti relativi a Racalmuto, dal 1271 al 1395, il paese è indicato sempre e solo come “casale”. (si veda il documento angioino del 1271[967 - Petro Negrello de Bellomonte militi, exequtoria concessionis casalium in pertinenciis Agrigenti, videlicet …. casale Rachalchamut …., nec non domus in qua habitat Fredericus Musca        proditor; que casalia Rachalgididi, Rachalchamut et Sabuchetti et dicta domus fuerunt Frederici ….]; i documenti del Vespro [. Il 10 settembre 1282, arriva da Palermo una missiva [5] indirizzata “Universitati Racalbuti” [alias Racalmuti]; quelli vaticani del 1308-1310 [:«presbiter Angelus de Monte Caveoso pro officio suo sacerdotali, quod impendit in Casale Rachalamuti, solvit pro utraque tt. ix.»] ed ancora in quello vaticano del 1375, sia pure con qualche indecisione [notisi quel in casali cancellato con una macchia d’inchiostro:

     


     

     

    Dopo il 1375 Racalmuto appare sempre con la specificazione dell’annesso “castrum”.]

    Non avrei quindi dubbi a collocare la costruzione del castello tra il 1358 (Vedasi il documento del Cosentino, già segnalato) ed il 1395: rispetto a quest’anno la datazione va comunque di molto anticipata; in altri termini è più plausibile che il Castello chiaramontano sia stato costruito da quel Manfredi Chiaramonte cui si attribuiscono il castello di Mussumeli ed altri: attorno al 1375, dunque.

    Gradirei comunque le Sue osservazioni, anche per ipotizzare una datazione che possa trovare entrambi concordi.

    Grazie e salutissimi.

    Calogero Taverna

    (Roma, 2 febbraio 2001).



    [1] ) Tommaso Fazello - Storia di Sicilia - Presentazione di Massimo Ganci - Introduzione, traduzione e note di Antonino De Rosalia e Gianfranco Nuzzo - Vol. I - 1990, Regione Siciliana - Assessorato Beni culturali - pag. 482. L’originale recita in latino: « Ad duo hinc p.m. Rayhalmutum sarracenicum oppidum [pag. 231] occurrit: ubi arx est à Frederico olim Claromontano erecta, quam Gibilina  arx ad 4.p.m. excipit. Et deinde 8.p.m. Cannicatinis pagus....» da F. TOMAE FAZELLI SICULI OR. PRADICATORUM - DE REBUS SICULIS DECADE DUAE, NUNC PRIMUM IN LUCEM EDITAE - HIS ACCESSIT TOTIUS OPERIS INDEX LOCUPLETISSIMUS Panormi ex postrema Fazelli authoris recognitione. Typis excudebant, Ioannes Mattheus Mayda, et Franciscus Carrara, in Guzecta via, quae ducis ad Praetorium, sub Leonis insigni, anno domini M.D.LX. mense iunio. Il testo latino distoglie da azzardate ipotesi sulla fortezza “saracena” che la non felice traduzione del passo potrebbe solleticare.
     
     
     
     
     
    [3] ) Noi utilizziamo la copia che trovasi nel Fondo Palagonia volume 630.
    [4] ) Rosario Gregorio fu storico e paleologo di grandi meriti: non si riesce a capire perché Sciascia ce l’abbia con lui. Ecco alcune denigrazioni contenute nel “Consiglio d’Egitto”: «Un uomo, il canonico Gregorio, piuttosto antipatico, caso personale a parte, fisicamente antipatico: gracile ma con una faccia da uomo grasso, il labbro inferiore tumido, un bitorzolo sulla guancia sinistra, i capelli radi che gli scendevano sul collo, sulla fronte, gli occhi tondi e fermi; e una freddezza, una quiete, da cui raramente usciva con un gesto reciso  delle mani spesse e corte. Trasudava sicurezza, rigore, metodo, pedanteria. Insopportabile. Ma ne avevano tutti soggezione.» (Op. cit. edizione Adelphi Milano 1989, pag. 47).
    [5] ) Ci riferiamo al documento VIII che Giuseppe Silvestri pubblicò nel 1882 tra i “Documenti per servire alla storia di Sicilia” - Prima Serie - Diplomatica - vol. V - Palermo 1882 - “De rebus regni Siciliae” (9 settembre 1282-26 agosto 1283). Documenti inediti estratti dall’Archivio della Corona d’Aragona - Documento VIII - pag. 8 (Palermo 10 settembre 1282, ind. XI) - «.... universitati RACALBUTI. Archeorum XV».

    DIECI ANNI DOPO: Che cosaa è cambiato nel Sud? Ciò che è peggiorato, per colpa di chi?

    Banche e Mezzogiorno



    19 febbraio 2003



    Documento di prossima pubblicazione

    nel mensile dell’ABI “Bancaria”




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    La struttura del sistema

    bancario nel Mezzogiorno




    La platea di intermediari che si contende il mercato meridionale risulta assai articolata

    ed eterogenea sia dal punto di vista dimensionale sia da quello della

    provenienza geografica.

    Come sembra dimostrare ampiamente il fatto che, accanto alle banche aventi

    sede legale nel Mezzogiorno, operano con insediamenti propri tutte le banche

    nazionali aventi sede legale nel Centro-Nord del Paese, e altre 8 banche interregionali

    anch’esse di proprietà esterna all’Area (sulle 10 complessivamente esistenti

    in Italia).

    Proprio questa massiccia presenza diretta al Sud di tutti i principali gruppi bancari

    nazionali sembra costituire una prima forte evidenza circa la sussistenza,

    anche nel mercato bancario del Mezzogiorno, di una ampia pluralità di canali di

    offerta che garantisce non solo un supporto alle esigenze finanziarie e creditizie

    dell’Area, ma anche condizioni concorrenziali di mercato caratterizzate da

    un’accesa dialettica competitiva tra i diversi gruppi e intermediari.

    In particolare, è rilevante la presenza delle banche del Centro-Nord nel mercato

    meridionale. Esse controllavano, sulla base dei dati a fine 2001:


    Totale

    Banche Italia

    Banche

    operanti nel

    Mezzogiorno

    Banche con sede

    legale nel

    Mezzogiorno

    Totale

    sportelli

    Italia

    Totale sportelli

    nel Mezzogiorno

    Banche Nazionali * 8 8 1 10.628 2.531

    Banche Interregionali 10 8 1 4.020 1.069

    Banche Regionali 23 13 6 5.040 1.223

    Banche Interprovinciali 160 37 31 6.217 1.040

    Banche Provinciali 538 131 122 3.572 695

    Totale 739 197 161 29.477 6.558


    * Nelle banche nazionali è stato ricompreso il Banco di Napoli incorporato nel SanPaoloImi l’1/1/2003, le banche

    del gruppo Unicredito sono state considerate come una unica entità. Fonte: elaborazioni ABI su dati Banca d'Italia




    BANCHE E SPORTELLI PER GRUPPI TERRITORIALI (30/9/2002)




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    ? l’81% del mercato dei depositi del Mezzogiorno (di cui il 45% come presenza

    diretta e il restante 36% attraverso banche del Sud e Isole controllate);

    ? l’84% del mercato degli impieghi del Mezzogiorno (di cui il 61% diretto e il

    restante 22% indiretto),

    quindi, le banche del meridione in senso stretto, ovvero non controllate da banche

    del Centro-Nord, detenevano circa 1/5 del mercato bancario complessivo del

    Mezzogiorno.

    L’implicazione di carattere generale è che l’operatività bancaria – gamma di prodotti

    e servizi offerti alla clientela, strutture organizzative, procedure di controllo

    dei rischi, risorse manageriali e politiche distributive, ecc. - è divenuta nel corso

    degli anni sempre più omogenea su tutto il territorio nazionale, dato che il

    modello bancario prevalente anche nel Mezzogiorno è quello “esportato” dalle

    banche del Centro-Nord nel Meridione.

    Occorrerà naturalmente dell’ulteriore tempo perché questo processo si affermi

    pienamente e occorrerà - soprattutto - una parallela evoluzione della domanda

    che consenta di cogliere e apprezzare appieno le nuove opportunità offerte in

    campo bancario.

    Nel Mezzogiorno si è affermata una struttura dell’offerta che, invece di deprimere

    il grado di concorrenzialità del mercato meridionale, ne accentua le condizioni

    competitive. I primi 4 gruppi bancari operanti nel Mezzogiorno sono

    espressione delle banche del Centro Nord e detengono in termini di sportelli una

    quota di mercato pari a circa il 45% del totale degli sportelli meridionali; ai primi

    10 gruppi fa riferimento una quota del 72%. Si ricorda, che uno dei nodi critici

    della struttura dell’offerta bancaria nel Mezzogiorno è stato fino a qualche anno

    fa proprio quello di non riuscire a eliminare pienamente le barriere all’entrata

    che proteggevano talune nicchie inefficienti di mercato, e non già quello opposto

    di un eccesso di concentrazione.


    PRESENZA DELLE BANCHE DEL CENTRO-NORD

    NEL MERCATO MERIDIONALE




    (Quota % sul totale)




    DEPOSITI

    IMPIEGHI



    TOTALE PRESENZA

    DIRETTA

    PRESENZA

    INDIRETTA




    Fonte: elaborazioni ABI su dati Banca d’Italia e dati




    81,0

    84,0

    45,0

    61,0

    36,0

    23,0



    ABI Documenti

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    Specificatamente con riguardo alla dotazione di sportelli operanti nell’area Sud e

    Isole essa è pari a circa 6.600 unità a settembre 2002, in crescita di oltre 2.700

    unità rispetto al 1990 anno di definitiva liberalizzazione degli insediamenti, ra ppresentando

    una quota sul totale nazionale corrispondente al 22,2%. Quota che

    si è mantenuta costante negli ultimi anni, e sostanzialmente allineata a quella

    del PIL del Mezzogiorno (24,4% nel 2001).

    In tema di articolazione distributiva un aspetto importante, anche se non sempre

    adeguatamente sottolineato, è che la dotazione degli sportelli del Mezzogiorno

    risulta, se commisurata ai volumi di attività bancaria, significativamente

    più ampia di quella che caratterizza le stesse regioni centro-settentrionali:

    - alla fine del 2001 operavano, infatti, al Sud ben 49 sportelli bancari per ogni

    1.000 milioni di € di impieghi contro i 27 sportelli del Centro-Nord;


    -

    e lo stesso fenomeno poteva essere colto anche dal lato della raccolta, dove

    gli sportelli del Sud erano 56 per ogni 1.000 milioni di € di depositi, contro i

    52 sportelli delle regioni centro-settentrionali.

    Nel paragone con la domanda “aggregata” di prodotto bancario dell’Area la

    struttura dell’offerta sembrerebbe, dunque, almeno sotto questi profili, più che

    adeguata e proporzionata, mostrando anzi qualche segno di sovradimensionamento.


    DOTAZIONE SPORTELLI




    (31/12/2001)




    MEZZOGIORNO

    CENTRO-NORD



    N° SPORTELLI

    per 1000 mln di €

    di impieghi

    N° SPORTELLI

    per 1000 mln di €

    di depositi

    N° SPORTELLI

    per 100.000 abitanti



    49,0 55,8 31,3

    27,1 52,4 61,4



    Fonte: elaborazioni ABI su dati Banca d’Italia e Istat




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    Le caratteristiche della domanda

    di servizi bancari nel Mezzogiorno




    La domanda di servizi bancari proveniente dal Mezzogiorno è di dimensioni

    estremamente più ridotte rispetto a quella del Centro Nord: i depositi per abitante

    sono pari nel Mezzogiorno a 5,6 migliaia di € contro, gli 11,7 delle regioni

    centro-settentrionali; gli impieghi per abitante a 6,4 migliaia di €, contro 22,6

    delle altre regioni italiane. Valori ancora più discosti si registrano in termini di

    gestioni patrimoniali e di titoli in deposito.

    Cifre che a loro volta riflettono sia un più basso grado di sviluppo dell’area - nel

    Meridione il PIL pro-capite è pari a poco più della metà di quello del resto d’Italia

    (14,2 migliaia di euro contro 24,8 nel 2001), mentre il tasso di disoccupazione è

    quattro volte più alto (5% al Centro Nord e 19,3% nel Mezzogiorno - sia ragioni

    demografiche e di struttura di età della popolazione (nel Mezzogiorno la quota di

    popolazione con età inferiore ai 14 anni è del 17,3% contro solo il 12,7% del

    Centro Nord e l’indice di dipendenza, che fornisce una misura del carico demografico

    che grava sulla popolazione in età produttiva è superiore di quasi 2 punti

    percentuali nel Mezzogiorno 49,5% rispetto 47,8%).

    Alla luce di quanto detto trovano giustificazione per il Mezzogiorno livelli più

    contenuti di disponibilità di sportelli bancari commisurata alla popolazione (31,3

    sportelli per ogni 1.000 abitanti contro 61,4), anziché ai volumi intermediati.

    In sintesi, l’attuale grado di bancarizzazione del Mezzogiorno appare adeguato

    rispetto alle esigenze finanziarie e creditizie espresse dall’Area, sia come dimensionamento

    generale dell’offerta rispetto alla domanda di intermediazione

    espressa dalle regioni meridionali, sia come sostegno creditizio specifico fornito

    dal sistema bancario all’economia meridionale.


    DOMANDA DI SERVIZI




    (31/12/2001, valore in mgl di €)




    MEZZOGIORNO

    CENTRO-NORD



    IMPIEGHI PER

    ABITANTE

    DEPOSITI PER

    ABITANTE

    TIT IN DEPOSITO

    PER ABITANTE

    GPM PER

    ABITANTE



    6,4

    22,6

    5,6

    11,7

    3,7

    29,4 3,1

    0,4



    Fonte: elaborazioni ABI su dati Banca d’Italia e Istat




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    I rapporti banca e impresa

    nel Mezzogiorno




    ·


    Il supporto creditizio

    Altri dati suffragano la tesi di un fattivo contributo del sistema bancario allo sviluppo

    del Meridione, che non è venuto a mancare nemmeno di fronte al peggioramento

    della qualità dei prenditori che si è registrato a metà degli anni novanta.


    I finanziamenti




    Gli impieghi concessi a favore di controparti residenti nell’Area, la cui quota si

    attesta intorno al 15% in rapporto al totale nazionale, è in lieve contrazione rispetto

    all’inizio degli anni ’90 (18%). Risultato che può essere considerato quasi

    sorprendente, ove si considerino, se non altro, gli effetti fortemente depressivi

    sulla dinamica dei crediti «vivi» dell’area meridionale che ha avuto l’emersione

    di un volume così ampio di sofferenze e di perdite su crediti, quale quello sperimentato

    nella seconda metà degli anni ‘90 al Sud.

    La riduzione dell’incidenza degli impieghi nel Mezzogiorno rispetto al totale nazionale

    è anche imputabile ad alcuni effetti statistici determinati dallo specifico

    trattamento riservato ai crediti problematici. Nel 1997 e negli anni successivi

    sono stati trasferiti crediti problematici di banche del Sud ad apposite “bad

    banks” per circa complessivi 22.000 miliardi di lire (11.000 milioni di euro).


    Impieghi e Pil




    Considerando questi crediti trasferiti nonché quelli ceduti anche tramite cartolarizzazioni,

    la riduzione del peso dei crediti al Sud si riduce in misura significativa.

    Si ricorda, che le cartolarizzazioni di prestiti inesigibili sono state pari complessivamente,

    dall’avvio della legge (nel 1999), a 23,6 miliardi di euro.

    Nell’ipotesi che circa il 50% delle cartolarizzazioni di crediti inesigibili abbia riguardato

    sofferenze del Mezzogiorno e sommando i crediti trasferiti alle bad

    banks il rapporto impieghi/ pil nel 2001 passa dal 45,9% al 53,6%, valore non

    discosto da quanto registrato nel 1995 (57,6%). Al di là di tale correzione, il

    prospetto sotto riportato mostra in maniera chiara come laddove si consideri

    quale punto di partenza il 1990 e non il 1995 - nel presupposto che nella prima

    metà degli anni novanta il Mezzogiorno abbia ricevuto una quantità di prestiti

    superiore a quella che sarebbe stata congrua in base all’effettivo merito creditizio

    - la variazione del rapporto tra impieghi e pil risulta in crescita e non in diminuzione

    (56,3% nel 1990 contro 64,3% nel 2001, considerando le variabili opportunamente

    corrette).

    Nel valutare l’incidenza degli impieghi sul Pil è necessario ricordare, altresì, che

    tale aggregato considera diverse componenti e nella formazione del Pil nel Mezzogiorno

    è rilevante il peso della Pubblica Amministrazione. Nel 2001, la quota

    di Pil del Mezzogiorno attribuibile alla Pubblica Amministrazione è stata pari al


    ABI Documenti

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    28% contro il 16% del Nord. Inoltre se si considera la quota di Pil derivante

    dalla domanda di beni di investimento e dal saldo netto con l’estero, il valore

    che si registra nel Mezzogiorno è del 20% contro il 26% del Centro Nord.

    Inoltre, la già segnalata bassa domanda di servizi bancari si accompagna con

    una presenza di piccolissime imprese che nelle relazioni con la banca esprimono

    bisogni finanziari e comportamenti assai più simili a quelli delle famiglie, accentuando

    con ciò già alcune caratteristiche proprie delle piccolissime imprese in

    Italia, che anche per fattori culturali mostrano una bassa domanda finanziamenti

    bancari, ricorrendo spesso all’autofinanziamento.


    La struttura finanziaria delle imprese




    Dal lato del sostegno creditizio, è noto che comunque il baricentro della struttura

    finanziaria del Mezzogiorno insista stabilmente ancora oggi sulle banche,

    data la marginalità dei canali mobiliari e finanziari alternativi al credito bancario.

    E che, anzi, uno dei problemi delle imprese localizzate nel Sud e nelle Isole è

    proprio una loro eccessiva dipendenza dall’indebitamento bancario: che per esse

    rappresenta il 76% del totale dei debiti finanziari, contro circa il 60% delle imprese

    del Centro-nord.

    Emerge comunque una realtà, quella meridionale che inizia a segnalare elementi

    di rafforzamento dal lato del contesto economico, mantenendo delle peculiarità

    in termini di relazione con le banche. Si iniziano, quindi, a cogliere gli elementi

    positivi derivanti da un maggiore capacità delle banche nell’allocare le risorse.


    1990 1995 2001

    Impieghi



    (A) 79.259 128.660 136.113

    sofferenze cartolarizzate (B) 0 0 11.800

    sofferenze cedute a bad banks (C) 0 0 11.000


    Impieghi ristimati



    (D)=A+B+C 79.259 128.660 158.913

    Pil



    (E) 168.946 223.283 296.725

    di cui: Pil sommerso (F) 28.158 37.214 49.454


    Pil ristimato al netto del sommerso



    (G) 140.789 186.069 247.271

    (A)/(E) %



    46,9% 57,6% 45,9%

    (

    D)/(G) % 56,3% 69,1% 64,3%

    Fonte: elaborazioni ABI su dati Banca d'Italia, Istat, Svimez




    IMPIEGHI E PIL NEL MEZZOGIORNO (mln di €)




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    Quindi, non si deve parlare di razionamento ma di maggiore capacità di valutare

    in modo oggettivo le imprese. A supporto di tale affermazione si può rilevare

    che nel periodo giugno 1997-giugno 2002, il rapporto utilizzato su accordato,

    indicatore del grado di restrizione delle condizioni creditizie, ha presentato nel

    Mezzogiorno una diminuzione di 5 punti percentuali, dal 75% al 70%, segnalando

    che la dinamica dei fidi accordati è risultata superiore a quanto poi effettivamente

    utilizzato dalle imprese meridionali, mentre nel Centro Nord tale valore è

    rimasto stabile nel periodo considerato sul 63%.

    Inoltre, primi segnali positivi dell’evoluzione economica del Mezzogiorno possono

    essere colti dal Pil che negli anni più recenti ha mostrato una dinamica più sostenuta

    rispetto a quella delle regioni del Centro Nord e dalla maggiore dinamicità

    in termini di avvio di nuove imprese soprattutto a partire dal 1997.

    Non è quindi sotto il profilo «quantitativo» che sembrano potersi rivolgere

    eventuali critiche al sistema bancario in tema di politiche di razionamento del

    credito seguite nelle regioni meridionali, quanto – semmai – sotto il profilo

    «qualitativo», ovvero per non aver forse potuto indirizzare maggiormente verso

    forme alternative di finanziamento, preferibilmente a titolo di rischio, le imprese

    del Mezzogiorno per renderne progressivamente meno fragile e più articolata la

    struttura finanziaria.

    Questo però, come tutti sappiamo, è un problema di carattere nazionale che richiama

    alcune caratteristiche di fondo della nostra struttura finanziaria: in primo

    luogo lo scarso spessore e la limitata ampiezza del suo mercato mobiliare principale.


    Debiti bancari /

    Debiti finanziari

    Nord - Ovest 65,0%

    Nord - Est 71,3%

    Centro 48,8%

    Sud e Isole 75,8%


    Italia



    62,4%

    Fonte: Banca d'Italia




    STRUTTURA FINANZIARIA DELLE IMPRESE IN ITALIA




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    ·


    Il costo del credito nel Mezzogiorno

    Nel Mezzogiorno i tassi di interesse applicati sui finanziamenti risultano più elevati

    rispetto alle altre aree dell’Italia. Laddove si considerino i tassi di interesse

    attivi a breve termine, si osserva come il differenziale fra quelli applicati

    nell’area del Mezzogiorno e quelli medi nazionali oscilli fra 1-2 punti percentuali.

    Il differenziale tra i tassi di interesse sui finanziamenti praticati nel Mezzogiorno

    e quelli praticati nel Centro-Nord dell'Italia, trova spiegazione in molteplici fattori:

    a) nel diversità nel grado di rischio, b) nei tempi delle procedure di recupero

    (e quindi nella quota del credito recuperato) e c) nella frammentazione dei

    rapporti creditizi.

    Fortemente più elevato della media nazionale appare il grado di rischiosità degli

    impieghi: a fronte di una media del totale Italia del rapporto sofferenze lo rde/

    impieghi pari al 4,63%, tale valore risulta pari al 12,5% nell’Italia meridionale

    e supera il 16% nell’Italia insulare (con un differenziale rispetto alla media

    nazionale di quasi 10 punti percentuali).La maggiore rischiosità della clientela

    del Mezzogiorno viene altresì colta dal tasso di decadimento della clientela (cioè

    il rapporto tra nuove entrate in sofferenza e finanziamenti in essere nell’anno

    precedente). Nel 2001 il valore di tale indicatore era nell’Italia Meridionale quadruplo

    rispetto a quello del Nord.


    Nord-Occidentale Nord-Orientale Centrale Meridionale Insulare TOTALE

    Impieghi ( mln. di euro)


    384.701 219.227 233.713 87.587 45.905 971.133

    sofferenze lorde ( mln . di euro)


    9.776 5.416 11.233 10.963 7.592 44.980

    rapporto sofferenze lorde/

    impieghi (%)


    2,54 2,47 4,81 12,52 16,54 4,63

    Differenziale verso Italia (punti %)


    -2,09 -2,16 0,17 7,88 11,91

    Tassi attivi a breve

    termine sui fin. per cassa (%)


    5,66 6,34 6,35 8,04 7,70 6,11

    Differenziale verso Italia (punti %)


    -0,45 0,23 0,24 1,93 1,59

    Tassi attivi a m/l

    termine sui fin. per cassa* (%)


    4,87 5,01 5,25 6,03 5,89 5,09

    Differenziale verso Italia (punti %)


    -0,22 -0,08 0,16 0,94 0,80

    * Operazioni pregresse Fonte: elaborazioni ABI su dati Banca d'Italia




    ITALIA


    IMPIEGHI, SOFFERENZE E TASSI BANCARI



    (dicembre 2001)

    ABI Documenti

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    TASSI DI INTERESSE E RISCHIOSITA'




    a breve a

    dicembre

    2001

    a m/l termine per

    operazioni accese

    nel 4° trim 2001

    nel 2001 medio '95-'01 Sofferenze

    lorde/Impieghi

    (%)

    Italia Nord -Ovest 5,66 4,87 1,0 1,9 2,54

    Italia Nord - Est 6,34 5,01 0,9 1,5 2,47

    Italia Centrale 6,35 5,25 2,2 3,3 4,81

    Italia Meridionale 8,04 6,03 3,8 5,3 12,52

    Italia Insulare 7,70 5,89 2,3 5,4 16,54

    (punti %)

    Meridione vs N-O 2,4 1,2 2,8 3,4 9,98

    Meridione vs N-E 1,7 1,0 2,9 3,8 10,05

    Meridione vs Centro 1,7 0,8 1,6 2,0 7,71


    Fonte: elaborazioni ABI su dati Banca d'Italia

    (*) tasso di decadimento = nuove sofferenze / impieghi anno precedente




    Tassi bancari attivi Tasso di decadimento (*)


    TASSO DI DECADIMENTO (nuove sofferenze su impieghi)

    DEI FINANZIAMENTI PER CASSA



    4,04 3,90

    3,28

    6,43

    1,71

    2,49

    2,27 2,32


    1,74

    2,28

    2,58

    1,45



    0,00

    2,00

    4,00

    6,00

    8,00

    media 1985-89 media 1990-93 media 1994-97 media 1998-2001

    0,00

    0,50

    1,00

    1,50

    2,00

    2,50

    3,00


    Mezzogiorno (%)

    Centro Nord (%)

    Rapporto Mezzogiorno vs Centro Nord


    % Rapporto Vs C/N



    ABI Documenti

    11/14



    Tuttavia, un elemento positivo si può cogliere dalla seppur lieve riduzione, negli

    ultimi anni, del differenziale tra la rischiosità dei prenditori del Mezzogiorno vs

    quelli del Centro-Nord. Il cosiddetto tasso di mortalità di generazioni di finanziamenti

    (cioè il rapporto tra gli affidati entrati in sofferenza nel 2001 rispetto a

    ciascuna generazione di finanziamenti originaria) segnala che il rapporto tra il

    tasso di mortalità al Sud e quello al Centro-Nord è sceso da 1,84 volte per i finanziamenti

    accesi tra il 1994-1997 a 1,56 volte per quelli accesi tra il 1998-

    2000. Fenomeno questo che può trovare spiegazione anche nell’adozione al Sud,

    negli anni più recenti (a seguito del processo di consolidamento dell’offerta), di

    più adeguati processi di selezione del merito creditizio.

    Con riguardo specifico alle questioni legate ai tempi delle procedure di recupero,

    queste si riconnettono all’efficienza generale delle strutture amministrative. Ad

    esempio, il tempo medio di completamento delle procedure esecutive immobiliari

    è infatti pari ad oggi a oltre 7 anni nel Sud (con punte di oltre) rispetto ai 5

    anni nel Nord Italia. Ciò determina non solo una perdita finanziaria connessa al

    ritardo nel recupero del capitale ma anche un aggravio nei costi di gestione

    amministrativa della procedura nonché una minore quota del credito recuperato.

    In prospettiva, con l’affermarsi di logiche di definizione del prezzo dei finanziamenti

    maggiormente coerenti con le componenti di costo che lo devono determinare

    (costo dei fondi, perdita attesa, costo del capitale impegnato, costi amministrativi

    connessi con il finanziamento), il gap di inefficienza delle strutture

    amministrative del Mezzogiorno, rispetto a quella già insopportabilmente elevata

    delle regioni centro settentrionali, potrà comportare un’ulteriore penalizzazione

    per i prenditori di quelle aree.


    0,43

    0,30

    0,89

    1,64

    0,17 0,22

    1,05

    0,48


    1,56

    1,76 1,84

    1,94



    0,00

    1,00

    2,00

    3,00

    media 1985-89 media 1990-93 media 1994-97 media 1998-00

    0,00

    0,50

    1,00

    1,50

    2,00

    2,50

    3,00


    Mezzogiorno (%)

    Centro Nord (%)

    Rapporto Mezzogiorno vs Centro Nord


    % Rapporto Vs C/N


    TASSO DI MORTALITA’ (nuove sofferenze su impieghi di inizio

    periodo) NEL 2001 DI GENERAZIONI DI FINANZIAMENTI




    ABI Documenti

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    Il maggior costo del credito è da ricondurre, infine, alla frammentazione dei rapporti

    finanziari che consegue alla polverizzazione del tessuto produttivo nelle regioni

    meridionali, condizione che genera un aumento dei costi di valutazione e

    gestione del rischio.

    In particolare, l'ammontare medio dei fidi di importo superiore ai 77.469 € (150

    milioni di lire, rilevati dalla Centrale Rischi Banca d'Italia) è inferiore al Sud (448

    mgl di €) rispetto alle regioni del Centro-Nord (707 mgl €). Inoltre, è sensibilmente

    più elevata la quota dei crediti di importo più contenuto sul totale (quelli

    inferiori ai 77.469 €): 45% al Sud rispetto al 18%.

    Il risultato è di impedire un più adeguato sfruttamento di economie di scala, da

    un lato, e determina un’attività bancaria certamente più costosa, in quanto più

    parcellizzata e labour intensive, date le caratteristiche spiccatamente retail del

    mercato, dall’altro.


    FRAMMENTAZIONE DEL CREDITO



    (31 dicembre 2001)




    MEZZOGIORNO

    CENTRO NORD



    Finanziamenti

    >77.469 € per

    affidato (


    mgl €)

    Quota prestiti

    <77.469 € su totale

    (%)



    447,9 45%

    706,7 18%




    Fonte: elaborazioni ABI su dati Banca d’Italia




    Incidenza % dei costi

    dell'attività di recupero sui

    costi operativi

    Tempi di recupero in

    anni delle procedure

    esecutive immobiliari

    Nord-Ovest 1,8% 5,8

    Nord-Est 1,8% 5,3

    Centro 2,7% 6,6

    Sud

    5,3%

    7,1

    Isole

    3,1%

    Italia



    2,3% 6,3

    Fonte: Banca d'Italia




    RECUPERO CREDITI




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    Conclusioni




    Nel corso degli ultimi 5 o 6 anni il Mezzogiorno ha registrato evidenti segnali di

    risveglio: è cresciuto più che altrove il prodotto interno lordo (0,2 p.p. nella media

    del periodo 1996-2001); è stato più elevato che al Centro Nord l’apporto

    fornito alla natalità complessiva netta delle imprese (saldo tra imprese nate e

    imprese cessate); è stata rimarchevole la tendenza alla riduzione del tasso di disoccupazione.

    Nonostante questi indubbi progressi – che vanno senza alcun dubbio rafforzati e

    rinvigoriti - non si perde occasione per addossare al sistema bancario italiano le

    colpe del suo mancato e definitivo riscatto, accusandolo di volta in volta: a) di

    concedere poco credito alle imprese meridionali; b) di far pagare loro, sulle risorse

    finanziarie messe a disposizione, tassi di interesse eccessivamente elevati;

    c) di non assistere adeguatamente il tessuto di piccole e piccolissime imprese

    che caratterizza quell’area dell’Italia.

    Dai dati e dagli elementi di analisi forniti nelle pagine precedenti emerge come

    queste critiche non trovino concreto fondamento. Gli interventi che le banche

    più solide del nostro Paese hanno dovuto effettuare negli ultimi anni per sanare

    situazioni di crisi che avevano coinvolto istituti bancari meridionali, hanno rafforzato

    la stabilità del nostro sistema creditizio.

    In realtà, il problema cruciale del Mezzogiorno resta, in primis, quello di creare

    condizioni di effettiva competitività delle sue imprese. Per risolverlo occorrono:

    una maggiore aderenza tra condizioni di produttività e condizioni di prezzo del

    fattore lavoro; una adeguata rete di infrastrutture fisiche e materiali; un maggiore

    impegno dal parte delle Istituzioni a realizzare quelle condizioni d’ambiente

    capaci di innescare davvero un circolo virtuoso che può poi portare

    all’approfondimento delle relazioni banca-impresa che pure già vi sono e sono

    diffuse. Tra queste, basti pensare a quanto sarebbe giovevole una rapida revisione

    della legge fallimentare, una più adeguata lotta alla illegalità e interventi

    volti all’emersione della attività.

    Ricondurre a livelli fisiologici il “rischio sistemico” proprio delle regioni meridionali

    rappresenta, infatti, la condizione indispensabile affinché gli intermediari

    possano svolgere un’efficace selezione di “rischi specifici”, cioè di quelli aziendali.

    Al miglioramento dell’efficienza allocativa degli intermediari corrisponderebbe il

    rafforzamento della struttura produttiva nelle regioni meridionali e dunque

    l’avvio su basi più solide del processo di sviluppo economico e finanziario

    nell’area.


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    Basi informative e riferimenti bibliografici




    Banca d’Italia, Base Informativa Pubblica, vari numeri

    Banca d’Italia, Bollettino statistico, vari numeri

    Banca d’Italia, Relazione annuale 2001

    Banca d’Italia, Bollettino di Vigilanza, dicembre 2001

    Capitalia, Indagine sulle imprese manifatturiere, dicembre 2002

    Cerved, Movimprese 2001: natalità e mortalità delle imprese italiane nel 2001

    G. Ferri - U. Inzerillo, Ristrutturazione bancaria, crescita e internazionalizzazione

    delle PMI meridionali , Wp CSC, novembre 2002

    Istat, Annuario Statistico 2001

    Istat, Conti economici territoriali 2001

    Istat, Le unità di lavoro non regolari a livello regionale. Anni 1995-1999.

    Masciandaro D., Porta A. (a cura di), Le sofferenze bancarie in Italia. Cause, effetti

    su intermediari ed imprese. Profili di vigilanza. Bancaria editrice 1998.

    Svimez, Rapporto 2002 sull’economia del Mezzogiorno

    Zadra G., Il sistema bancario nel mezzogiorno: dalla crisi alla convergenza. Ba ncaria

    9/1997