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sabato 31 agosto 2013

ALLORA COPIO QUI IL TESTO A STAMPA DEL SEICENTO PER VEDERE SE IL GURU DELLA LINGUA SICILIANA HA ANCORA VOGLIA DI CORREGGERE.

Angelo Villa

- Ringrazio e pretescamente vorrei dire "indegnamente". Stasera mi sono dilungato su una critica di Sciascia su Guttuso ove si parla della Balistrei. E precisamente sta scritto: Rosa Balistreri - Morsi cu morsi. Quel "cu" sic et simpliciter è da condannare? -
Gentile sig. Taverna, bentornato. Complimenti per l'atto di modestia, sicuramente foriero di desiderio di discutere e di appr...endere, sempre nel massimo rispetto del prossimo.
Le regole valgono per tutti.Chiunque, semplice mortale o autore conosciuto, commette un errorre o non si accetta o va tassativamente corretto.
In questo gruppo, in modo razionale e con convinzione, si seguono le regole della nostra lingua siciliana. Ciò vale tassativamente per il bene della lingua, per il rispetto degli altri e per il grande rispetto per se stessi.

Angelo Villa

Cu = con; cu' = cui = chi
VADO A FINIRE IN UN CERTO BLOG DI DOGMATICA ACQUIESCENZA DI UN SIGNORE CHE SI PROCLAMA MAESTRO INDISCUTIBILE DI VERITA' LINGUISTICA. MI DIVERTO OVVIAMENTE E CON QUESTA FACCENDA DEL CU' E DEL FA' CI VADO A NOZZE ANCHE PER DERIDERE IL MODO TUTTO PAESANO DI IMPEDIRE OGNI DISCISSIONE DISSENZIENTE. SI Dà ANCHE IL CASO CHE RIMETTO UN SAPIDO EXURSUS DEL NOSTRO SOMMO PROTOMEDICO (NON E' VERO MA TUTTI LO DICONO) MARCO ANTONIO ALYMO DEL SEICENTO, APRITI CIELO IL GURU VUOL CORREGGERE PURE M.A. ALAIMO QUATTROCENTO ANNI DOPO. FOLLIA. DOVREI RISPONDERE IN DIRETTA. NON POSSO PERCHE' FB MI HA MESSO IN QUARANTENA PER LA TERZA VOLTA PERCHE' MI SONO PERMESSO DI CHIEDERE QUALCHE AMICIZIA A UNA DECINA DI PERSONE CHE PE ESSRE AL MOMNENTO IN FERIE O PER TIMNORE DI COMPROMETTERSI CON UN VENDUTO A MEFISTO COME ME NON HA POTUTO O VOLUTA ACCETTARE LA MIA RICHIESTA DI AMICIZIA, ODIANDO IO L'IMBECILLITA' DOVREVREI CHIDERE CON FB.MA SICCOME ANCORA MI FA COMODO NON LO FACCIO. ALLORA COPIO QUI IL TESTO A STAMPA DEL SEICENTO PER VEDERE SE IL GURU DELLA LINGUA SICILIANA HA ANCORA VOGLIA DI CORREGGERE.
 

A proposito della visita del sig. Palumbo a Racalmuto

Conosco ed ho avuto modo di apprezzare il sig. Palumbo di Milena. Ci siamo incontrati una decina di anni fa per la solerte intermediazione del sig. Carmelo Mulé. Il sig. Palumbo da par suo ben mi rappresentò lo stato della necropoli di Fra Diego che per gli studi della contigua facies archeologica milenese da parte del prof. La Rosa dovrebbe essere arretrata di un paio di millenni almeno rispetto alla diceria di derivazione tucidea secondo cui quella necropoli di tombe c.d. a forno che si denominano sicane sarebbe da datare né più né meno al XVIII secolo a.C. Il signor Palumbo - espertissimo - dando
 con i suoi chiodati scarponi un calcio qui un calcio là ci significava che potrebbero esservi ancora tombe non violate che debitamente esplorate tanto potrebbero dirci su questi nostri, comunque si chiamino, antenati. Le tombe c.d. sicane di Fra Diego sono oggetto permanente della vandalica espoliazione dei tombaroli che trovano il ben di Dio per i loro affari. Ma il Sig. Calderoni, unitamente al sig. Mulé, portò alle competenti Autorità fazzolettate di reperti già da lui inventariati. Tutto disperso. Scrivo e riscrivo su quella faccenda che sarebbe comica se non fosse tragica dell'inversione in sede di individuazione catastale delle località di rilevanza archeologica vincolate dalla Fiorentini. Con il sig. Palumbo ebbi anche modo di visitare un importante rudere archeologico in contrada Pantano: una tomba pare a tholos lasciata incompleta, testimonianza dunque 
  di una dispersione di popolazioni preistoriche a Racalmuto. Certo tutto da studiare, tutto da inverare. Nulla si è fatto né alcuna attenzione da parte delle competenti Autorità si riesce ad ottenere. Mi auguro che questa bella iniziativa della terrazza del Serrone sia pronuba di interventi di recupero e salvaguardia archeologica a Racalmuto. Al sig. Palumbo faccio quindi ogni augurio e gli testimonio qui la mia profondissima stima e la mia ammirazione. Grazie sig. Palumbo anche per quello che sono sicuro farà per i beni archeologici (oggi impunemente violati) di Racalmuto.

venerdì 30 agosto 2013

finché volli feci brillante carriera. La mia vita cambiò in meglio: non così penso per alcuni grandi banchieri d'assalto, dai Fabbrocini ai Sindona e contorni.

Sarò quel satanasso che tutti dicono (e che io non nego) ma una foto così voglio vedere chi ce l'ha. Quello con la freccina sono io. I miei anni? manco 25. E già, mi sta di fronte Papa Giovanni e parla con me. Mi chiede chi ero, e quando gl...i dico che sono di Agrigento (ad un Papa, futuro santo, per giunta, uno mica gli va a dire che è di Racalmuto) si mette con tocco poetico a parlarmi della valle dei Templi. Questa meraviglia del mondo - mi dice - che ti appare d'improvviso davanti appena lasci le valli interne. Erano i primi mesi del 1959. Eravamo in udienza privatissima. Io stavo in ginocchio ed è l'unica volta che non mi vergogno di essere stato genuflesso avanti un altro uomo. Stavamo facendo un corso di aggiornamento politico e sociale come assumendi dirigenti delle ACLI. Ci accompagnavano gli assistenti religiosi mons. Santo Quadri - futuro vescovo di successo e mons. Boschini - Non scorgo nella foto Livio Labor, un quarantenne fervoroso e dalla parola coinvolgente, che qualche ruolo nazionale ce l'ha avuto in politica (ma a dire il vero senza tanto successo). Era il presidente delle ACLI di allora che tendevano a divenire un'accolta di comunistelli di sagrestia non tanto bene accetti sugli alti scranni cardinalizi vaticani, come dire il cardinale Ottaviani. Il presidente era Dino Penazzato, un veneto pacioso che passò al parlamento con una qualche evidenza.
Io finii nelle ACLI e per conto loro dimorai per nove mesi in via Ulisse Seni, 2 in un grazioso convento di monache di fronte a Villa Sciarra a Roma per generosità di 'Gnaziu Pitrottu e di Lillo Savetteri: erano loro due che con una olivetti 22 stavano nei locali del Santissimo come addetti al locale patronato. Cercavano di sistemarsi, insomma ed allora non era facile. Toccava ad uno di loro partire per Roma per questa opportunità lavorativà. Generosamente me la passarono. Gli sono eternamente grato. A Roma, docente una sfiorita ma molto brava signorina, potei imparare qualcosa di economia politica e di politica economica che se stavi spranza di Mirabella all'università di Palermo, quando è che imparavi qualcosa.
Forte di quegli insegnamenti aclisti, potei fare un buon tema di economia nel concorso a segretario in esperimento della Banca d'Italia e vincerlo quel concorso. Finii a Modena anziché ad Agrigento come sarebbe piaciuto a mio padre, perché l'Istituto di Emissione di Via Nazionale 91 mi ha voluto far capire subito che un posto là imponeva serietà assoluta. Mi ero improvvidamente fatto raccomandare da padre Scimé presso il massone on. Martino per l'assegnazione nella filiale agrigentina. L'unica volta nella mia vita che sono ricorso ad una raccomandazione. Il risultato, ammonitore, eccolo là. Finii per la festa di San Geminiano tra la neve, questa tremenda cacchina degli angeli, in quel di Modena di fronte al bel teatro comunale, vicino alla non simpatica accademia militare. Buon per me, comunque; finché volli feci brillante carriera. La mia vita cambiò in meglio: non così penso per alcuni grandi banchieri d'assalto, dai Fabbrocini ai Sindona e contorni.

A proposito delle favole e delle tavole della dittatura del connubbio sciascia-bruno

Oggi, avvalendomi dell'ottimo mio nipote Luca, ho potuto finalmente approntare la prima parte del DVD sukl connubio SCRITTURA-PITTURA; le favole della dittatura di Leonardo Scxiascia - Le tavole della dittatura di Agato Bruno. Ne è venuta fuori una cosa carina. Spero che qualche televisione locale, gratis, me la trasmetta. Darà comunque una sorta di demo nella prossima peregrinatio di mostre per l'Italia e fuori d'Italia. Il testo . letto da me non molto brillantemente - poggia su questo mio studio:

A proposito delle favole e delle tavole della dittatura del connubbio sciascia-bruno

Se ci domandiamo: Quando Sciascia scrisse le FAVOLE DELLA DITTATURA? crediamo di poter rispondere: L’arco di tempo ha un punto d’origine molto arretrato, pensiamo attorno al 1944 e un dies ad quem, che per noi sfiora ma non supera il 1949, quando si sucida il fratello che segnò profonda cesura stilistica, etica, umorale e altro ancora per Leonardo Sciascia.

Le scrisse mentre si annoiava al Consorzio Agrario, ad ammassare frumento anche requisito, in ufficio come poliziesco, lui animo pacifico, lungi da ogni violenza persino verbale. Credo che pochi lo poterono cogliere in un attimo di veemente ira. Neppure quando il collega (crediamo e di rastrellamento granario prima e in veste di maestro elementare - annoiatssimo– dopo) tentava di mettergli “nel piatto povero .. lo schifo di una mosca”.

Crediamo che sia stato don Pino a molestarlo tanto il nostro Sciascia. Il quale però dovette saper ben nascondere il suo dispetto da far credere a chi stava appiccicato di essere il suo più grande amico. Come si sa essere in Sicilia.

Erano tempi in cui l’Autore “imparava a scrivere”. E su quali sillabari? Savarese, Cecchi e Barilli. Barilli con il suo raffinatissimo ma estetizzante gusto musicale lasciò tracce sparute. Ancor meno Cecchi. Ad eccezione di qualche foglio sparso non trovo nulla che possa avvinarsi alla imperante (allora) prosa d’arte. Invece Savarese lascia impronte indelebili: nel capolavoro di Sciascia, LE PARROCCHIE, gli echi dell’Ennese ci stanno e come persino quasi nel titolo (chiunque l’abbia messo) .“In quache modo volevo – puntigliosamente annota Sciascia, persino in contrasto con Pasolini - rendere omaggio a Savarese, autore dei FATTI DI PETRA”, La seconda ragione per consentire il ribattezzo di Racalmuto in Regalpetra.

Diciamolo subito: Savarese, che muore nel 1945, fu scrittore fascistissimo come quasi tutti quelli della Ronda. E Sciascia si confessa: ha imparato a scrivere «proprio sugli scrittori “rondisti”». Nato e cresciuto fascista, in famiglia fascista, ama scrittori fascisti e si cimentò con loro, anzi si esercitò su di loro.Dirà: “per quanto i miei intendimenti siano maturati in tutt’altra direzione, anche intimamente restano in me tracce di un tale esercizio” ed, aggiungiamo noi, della sottesa fede politica. Due chiese Sciascia odiò con sincerità: la cattolica e la comunista, tout court la politica politicante. Amico di un professore marxista, di Mannino, di Andreotti persino dopo una inziale frizione; e possiamo dire anche di Craxi e Cossiga; con Guttuso finì male e con Pannella non diciamo tutta la verità per paura di querele.Si pensi che ci confidarono che in ultimo lo allettò la profferta di una candidatura da parte di Almirante. L’immatura morte ci precluse imprevedibili evoluzioni politiche del Nostro.

Sciascia amò la Racalmuto delle adunate, le sfilate delle giovani italiane, gli ammiccamenti che il regime con la maestra Taibi consentiva in una Racalmuto sotto la musoneria di preti ed arcipreti sessuofobi (a prescindere dalle loro private ma ben ascose birichinerie). Sciascia non amò i preti specie quelli che gli si strisciavano addosso ammaliati dal suo ateismo. Sì, ieri alle ore 10,25, credetti in Dio …… Che è colpa mia se ho conosciuto un solo prete degno! Leggere FUOCO ALL’ANIMA per capire e annuire.

Arrivano gli americani, arriva la Kermesse; Sciascia rabbrividisce. Esplode rabbia, cattiveria, violenza in paese. Per Sciascia la fattoria di Orwel gli si para davanti, ora. A Racalmuto- durante il fascismo, sotto Mori, solo un paio di omicidi prontamente perseguiti – ora dopo la “liberazione”un morto aggiorna ogni mattina, sentivo dire nella mia infanzia. Il caos, l’invidia, l’esecuzione crudele del nuovo sindaco, per tanti versi benefattore e protettore di Sciascia. Un mondo di bestie, di furbi, di cattivi, di imbecilli, popola la mente e la fantasia di Sciascia: sono i veri spunti delle Favole della Dittatura, con brutto neologismo diremmo le favole della “post-dittatura”. Pasolini nel 1961 non capì. La valentia scrittoria del grande linguista ebbe il sopravvento sul giudizio riduttivo che siffatte false favole contro la presunta dittatura fascista a chi conosce Sciascia nell’intimo ispirano.

Aggiungasi l’evidente stridore lessicale; la ricerca del vocabolo da prosa d’arte, alla Cecchi. Ma a Sciascia quella lingua ricercata non è consona. Qualche esempio. Se deve descrivere un lupo a Racalmuto – dove di lupi non ce ne stanno e tantomeno di ruscelli -ricorre ad un artato “torbo” da coniugare con specchio: una endiade un po’ troppo cerebrale. E dopo sofismi antitetici a quelli del favolista latino di Superior Stabat lupus non sa dirci altro che un termine non favolistico come “lacerare”: il lupo “d’un balzo gli fu sopra a lacerarlo”. E se una lezione politica vogliamo cogliere è una lezione politica ribaltata: nella dittatura razionalità anche nella bestialità, nel nuovo corso, solo violenza senza ragione, violenza raccapricciante come quel ”lacerare” le candide carni del tenero agnellino. Erano tempi di uomini qualunque schiacciatt e di merli gialli e di becchi gialli vituperanti.Sono ora le scimmie a predicare l’ordine nuovo: si vuole “un tripudio dolcissimo, una fraterna agape vegetariana”. Chi non ricorda – se ha l’età mia – “per un mondo migliore” di padre Lombardi S.J.?

Già, ma se un topo si mette a giocare con un gatto, “si trova rovesciato sotto le unghie del recente amico”. Allora capisce “che la cosa si mette come per l’antico”. «Con tremula speranza – sempre Sciascia – ricordò al gatto i principi del nuovo regno. “Sì”, rispose il gatto, “ma io sono un fondatore del nuovo regno”. E gli affondò i denti nel dorso.»

Favole, certo; ma non contro la cessata dittatura – di cui anzi si ha nostalgia – ma contro il preteso “ordine nuovo”, quello che da un lato macchiava Portella delle Ginestre di sangue rosso, ma dall’altro poteva anche esserci violenza sotto le bandiere rosse persino di un Li Causi.

Ovvio che noi non accettiamo questo manicheismo: dittaura=ordine sociale: ordine nuovo=caos violento. Giustizia che latita: un’ossessione che a dire il vero Sciascia si portò coerentemente sino alla morte.

Agato Bruno, pittore maturo, non in cerca di una qualsiasi cifra espressiva. Ma con gnosi politica radicata, col possesso di un’arte di fascinosa attrattiva cromatia, con vezzo georgico virgiliano, ebbro di sole, di luce, di vita quale ispirazione può suggere da siffatte implumi favole alla Fedro rovesciato? Nessuna, avremmo voglia di affermare. Ma, forse senza volerlo, il pittore, l’artista Agato Bruno una consonanza la trova in Sciascia ma è lo Sciascia raro, pudico, quello idillico che traspare solo in uno scritto minore de GLI AMICI DELLA NOCE.

giovedì 29 agosto 2013

Davanti il circolo unione

Passeggiavamo con Sciascia davanti il Circolo Unione

7 gennaio 2013 alle ore 15.08

Se il circolo Unione non fu "fascistissimo" sino al midollo della prima ora, è certo che ci guadò subito con simpatia prima e con deferenza poi. Qualche mugugno dopo la presa del Potere dal Fascio per l'abbandono forzato di nome e riti di vago sapore massonico. Ma già il 16 gennaio 1921 il Circolo - di solito molto parsimonioso - si abbona al "Popolo d'Italia” dell'allora manco cavaliere Benito Mussolini.  

L'avvocato Carmelo Burruano, fiancheggiatore scopertissimo del movimento fascista, può passare all'unanimità socio provvisorio. Allora mica era come adesso, che non fai in tempo ad entrare  e ti consegnano il sodalizio. Una stoccata la potremmo dare quanto al verbale n° 5, ma siamo troppo legati a parenti di personaggi poi molto decaduti. Era il trenta di gennaio dell'anno del Signore 1921: era passato l'8 gennaio e la grande imperitura gloria del paese era in fasce; era già nato Leonardo Sciascia. Noi non crediamo che davvero Sciascia amasse il Circolo sino allo spasimo. Ironico persino nella celebrazione. Non c'è da gridare alleluia per un sodalizio la cui memoria si rattrappisce nell'ILLUSTRAZIONE ITALIANA. In un'aria depressa .... pirandelliana poteva un circolo di galantuomini per censo e di minores (per ammissione statutaria), poteva salvarti "dalla solitudine, dai neri pensieri e divenire il porto dell'amicizia, della comprensione umana, dell'incontro civile"? Se lama tagliente vi onora delle sue confidenze sapreste che opposto era il clima. Era dopotutto un luogo ove lasciare una affossatura in una poltrona di cuoio e dove si stagliava disgustosamente un personaggio da Galleria, "imbecille detestabile .. con voce dall'eco molteplice, tanto era violenta e maleducata". Toni attenuati dopo con le Parrocchie , il disagio umano e culturale resta tutto. Sciascia negli anni antecedenti il suicidio del fratello. non era quello che dopo abbiamo conosciuto: sommesso, educatino, affabile con sorriso mai beffardo ma giammai amichevole. Rare le sue uscite eppure distruttrici, pessimisticamente scoranti. Ecco un nostro ricordo personale: dove ora c’è la sua statua, deambulavamo con lui in tanti. Il Giovanni evangelista però era Peppi Delfino. Sta pe sorgere l'astro Craxi. Chi ti nni pari, Na' di stu Craxi?. Lunga pausa dell'interrogato. Pe', iu nenti sacciu, sacciu sulu ca haiu cinquant'anno e haiu a mmuriri ... e nun mi piaci. E questo era uno Sciascia umanissimo, rispettoso, che abbiamo ammirato e come conterraneo ci ha dato lustro, a tutti noi racalmutesi.

S. Agostino (354-430 d.C.) in particolare parla di hyperdulia ('dulia' è venerazione ed onore rivolti ad un santo, contrapposto a 'latria' adorazione dovuta a Dio solo) ovvero la speciale venerazione che va offerta a Maria vergina (De Civ. Dei, X, ii, 1)

     Mi hanno dato dell'ignorante perché mi sono permesso di volgarizzare cghe tra S. Agostino e la Madonna non è che poi corresse buon samgue. Qui sotto afastello le più diverse tesi. Ovvio che io opto per la derivazione dal paganesimo il culto della  madrde di Dio, Maria. Vi è sotto una mirabilde sintesi di chi veramente conosce la materia. Quanto a Santo Agostino, i cattolici non riescono a tirar fuori se questo vago paragrafo. S. Agostino (354-430 d.C.) in particolare parla di hyperdulia ('dulia' è venerazione ed onore rivolti ad un santo, contrapposto a 'latria' adorazione dovuta a Dio solo) ovvero la speciale venerazione che va offerta a Maria vergina (De Civ. Dei, X, ii, 1)
Insomma il povero Agostino in quel frastuono tra chi voleva deificare la Madonna e chi la voleva una semplice popolana, vergine nel senso di non sposata, si inventa codesta hyperdulia (come dire una venerazione particolare, non un culto divino che sarebbe suonato eresia ai suoi occhi di grande filosofo. La LATRIA solo a Dio. ;La mia contestatrice ha verità assiomatiche, da buona cattolica non può che essere dommatica. Io son laico e per me tutto è relativo. Ma mi pare di averci azzeccato nel dire che S. Agostino non è il fervente adoratore di Maria.  Quanto alla contestatrice (che mantiene sempre il mio profondo ironico affetto) creda quel che vuole. Non le dirò (come fa lei) che sbaglia.
                   

Quali sono le origini storiche del culto di Maria?

intendo Maria madre di Cristo

Miglior risposta - Scelta dal Richiedente

La risposta di Speranza è verissima,se ne parla in Isaia e molti altri hanno messo in guardia il popolo fino a S.Paolo che le ha chiamate con diversi nomi,nel mondo,dopo la dispersione del popolo di Babilonia,se la sono portata ovunque quella statua con il dio sole in braccio con l'aureola e le 12 stelle e anche i segni zodiacali,i missionari hanno trovato le statue prima ancora che parlassero loro di Gesù e Maria,Costantino per non scontentare i pagani ha cambiato nome alla statua e il gioco è stato fatto,guarda come è peggiorato il mondo che non legge la Bibbia e venera pregando lei,tutti sotto il suo potere e le sue bugie,sai quante persone hanno aperto gli occhi e buttato tutto di lei e altri e sono guarite da ogni genere di malattie?Questa è Bibbia e storia,se a scuola si stesse attenti nell'ora di storia delle religioni,lo saprebbero tutti e cadrebbe il suo potere,basterebbe smettere di pregarla e farsi liberare da chi sa come(non dai preti che la invocano anche nelle liberazioni)solo Gesù è l'Unico nome che salva e guarisce.ciao!

 

    fin dai tempi della Chiesa primitiva, i seguaci di Cristo praticavano il culto a Maria, che in seguito viene ad arricchirsi di nuove pratiche, contestate dai protestanti, ma in sintonia con quanto i veri cristiani hanno sempre creduto.
    Già nel Vangelo di san Giovanni viene messo in risalto il ruolo di mediatrice tra Gesù e gli uomini, svolto da Maria.
    Ci riferiamo al primo miracolo di Gesù, compiuto a Cana di Galilea. Nell’occasione, è proprio l’intercessione di Maria che fa sì che Gesù trasformi l’acqua in vino.
    Dal Vangelo all’archeologia, le tracce del culto mariano sono numerose.

    Consideriamo l’epitaffio di un tale di nome Vericundus nelle catacombe di Priscilla, a Roma, databile secondo la studiosa Margherita Guarducci alla fine del II secolo.
    Ebbene, all’interno del nome si trova inserita una "M", che sta ad indicare Maria, con lo scopo di augurare al defunto la sua protezione nell’al di là, Ciò dimostra come fin dall’antichità il nome di Maria fosse invocato a protezione delle anime dei defunti.

    La più antica preghiera rivolta a Maria, Sub tuum praesidium, è stata trovata in un papiro egiziano, copto, databile, secondo diversi studiosi, al III secolo.
    Ecco il testo: "Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio santa Madre di Dio. Non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova, ma liberaci da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e benedetta".

    Del medesimo periodo troviamo, ancora nelle catacombe di Priscilla, a Roma, una rappresentazione dove si vede bene la figura di un vescovo che, nell’atto di imporre il sacro velo ad una vergine cristiana, le addita come modello Maria Santissima, dipinta col bambino Gesù in braccio.

    Un’altra preziosa testimonianza la rintracciamo nel famoso "muro G", in Vaticano,
    In quel luogo, dove sono state identificate dalla Guarducci le ossa di Pietro, vi è un graffito, del IV secolo, in cui il nome di Maria appare per intero.

    Si ricordi, infine, che lo stesso concilio di Efeso dell’anno 431, nel quale Maria fu proclamata Madre di Dio, fu celebrato in un edificio a Lei dedicato segno di una devozione mariana preesistente concilio stesso.
    Ma possiamo dire di più.
    Esistono bellissime preghiere rivolte a Maria da Atanasio, san Giovanni Crisostomo, sant’Ambrogio, san Gerolamo e sant’Agostino.

    Inoltre, è certo che prima del concilio di Efeso Maria fosse festeggiata anche liturgicamente a Betlemme, a Gerusalemme e a Nazareth.
    Alla luce di questi riferimenti, possiamo concludere che ciò che i cattolici continuano a fare nel tempo e a credere ancora oggi riguardo a Maria, corrisponde a ciò che i cristiani, fin dai primi tempi, hanno sempre fatto e creduto. È quanto basta per confermarci nella verità cattolica riguardo al culto mariano.

    E non c’è da stupirsi. In fondo, Maria lo aveva già detto chiaramente:

    "D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata"
    (Luca 1,48).


    Dio ti Benedica, Silvano

    Fonti:

    Storia del Cristianesimo
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  • Speranza Saille by Speranza Saille
    Iscritto dal:
    25 novembre 2007
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    è la cristianizzazione della Dea, che durante il solstizio d'inverno (21 dicembre circa) dava alla luce il Dio Sole, infatti dal solstizio in poi le giornate si vanno allungando poichè il Dio cresce e diventa più forte.

    Nessuno avrebbe abbandonato l'idea di questa amorevole Madre, che col suo amore rendeva possibile la crescita dei loro raccolti, per avvicinarsi al cristianesimo, ecco perchè comparve la figura di Maria, Madre di gesù.

    ed ecco anche perchè certi cristiani non la ammettono: è una figura intrinsecamente pagana! ne sono un esempio le madonne nere, di epoca andecedente a cristo, che raffigurano la Dea Madre col figlio. (se si osserva la madonna di loreto, ci si accorge che sulla sua veste ci sono delle lune, simbolo della Dea)


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    comunque non dico che sia male il culto della Madonna, anzi è un segno che il paganesimo non è morto.
    io personalmente la venero nella sua forma primordiale di Madre Terra!
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  • A Nazareth furono condotti scavi che hanno riportato alla luce luoghi di preghiera risalenti al II secolo appartenenti alle prime comunità cristiane. Qui su una parete è stato rinvenuto un graffito con la scritta in greco, "ave maria".

    Già i primi Padri della Chiesa e cristiani parlano del culto mariano.

    Nella tradizione degli Ortodossi e anche dei Cattolici, alcune immagini bizantine della Vergine Maria sono addirittura attribuite a S. Luca, l'evangelista. Una trentina di COPIE di questo ritratto lucano di Maria si trova a Roma (cf. Martigny, Dict. des antiq. chrét., Paris, 1877, p. 792). Agostino però afferma che non ci è tramandato e dato di sapere la vera immagien della Vergine (de Trinit. VIII, 5, P.L., XLII, 952).

    St Ignazio di Antiochia (50-98 (o 117) d.C.) scrive agli Efesini (capitoli XVIII-XIX), ancora in tempi apostolici (ovvero quando gli apostoli, o alcuni di loro, erano ancora vivi), dove spiega loro la connessione tra i misteri della vita di nostro signore Gesù Cristo e i misteri della vita di Maria vergine (come la nascita verginale e la annunziazione).

    Della venerazione di Maria ne parla già S. Ireneo (II secolo, nato tra il 115 e il 125 d.C.), discepolo di Policarpo (64-155 d.C.) che fu discepolo diretto di Giovanni Apostolo l'Evangelista. S. Ireneo già nella metà del II secolo sulla venerazione di Maria vergine (adv. haer., V, 17, P.G. VIII, 1175)

    La lettera sub-apostolica "Epistola ad Diognetum", di autore sconosciuto ma che fa riferimento al vangelo e alle lettere Paoline, di Giovanni e di Pietro, parla di Maria come la anti-tesi di Eva. La lettera fu scritta tra il 250 e il 300 d.C. (anche se alcuni la collocano anche al 170 d.C.)

    S. Giustino (100-130 d.C.) e Tertulliano (ca. 160-ca. 225 d.C.) parlano entrambi estensivamente su Maria e la vita di questa.

    Molti altri Padri della Chiesa parlano di venerazione Mariana, tra cui S. Agostino, S. Jerome, S. Giovanni Damasceno, etc, etc...

    S. Agostino (354-430 d.C.) in particolare parla di hyperdulia ('dulia' è venerazione ed onore rivolti ad un santo, contrapposto a 'latria' adorazione dovuta a Dio solo) ovvero la speciale venerazione che va offerta a Maria vergina (De Civ. Dei, X, ii, 1)


    Dagli scritti, sia della Sacra Scrittura (in parcitolare gli Atti degli Apostoli e le lettere Paoline) che quelli dei Padri della Chiesa dei primi secoli, si può supporre, quasi con certezza, che la venerazione della beata vergine Maria era già presente al tempo degli apostoli.

    Fonti:

    www.cattoliciromani.it
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  • samantha26 by samantha...
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    15 gennaio 2009
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    Suppongo quando Gesù sulla Croce disse a Giovanni ecco la Tua Madre e alla Madre di Dio ecco il tuo figlio e poi nei secoli dopo l'Assunzione in Cielo senza morte per concludere con il dogma dell'Immacolata concezione è un percorso che ne fortifica la fede e poi è ben enunciato con iol Magnificat nella Bibbia
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  • Michelangelo by Michelan...
    Iscritto dal:
    21 aprile 2008
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    "Il titolo di "mediatrice" non venne che molto tardi in uso nei documenti della Chiesa; fu raramente adoperato; è difficile ad essere esattamente interpretato; sembra in contraddizione con il testo biblico che chiama Cristo il solo mediatore".

    Fonti:

    • 2 persone ritengono questo contenuto buono
  • Dirk Willems' agape by Dirk Willems' agape
    Iscritto dal:
    10 novembre 2008
    Punti totali:
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    Domanda interessate, ti ho acceso una stella.

    Il culto della mamma di Gesù è presente almeno da quando giunse il cristianesimo a Roma, quindi da quasi 2000 anni.

    Del resto da 2000 anni ci sono discordie su questo culto e già nella Chiesa primitiva vi era chi si opponeva alla venerazione di Maria.
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  • con quel suo vestito verde e quel suo profumo buono....

mercoledì 28 agosto 2013

Il mulo di Sciascia e il cavallo di Agato

Tavola sciasciana di pag. 28 Edizione Bardi. Il nobile cavallo e il concreto mulo beffardo. Bucolico,sereno Agato Bruno. Animali quieti in prati freschi di verdura, in radure solatie ma senza stoppie, in una Racalmuto satura di limpida luce. Quando Sciascia compone i galantuomini del Circolo Unione - quello all'epoca frequentato da Nanà con giovanile sornioneria - persa l'antica boria fan quasi ora la fame; manco il bramato gioco d'azzardo possono più permettersi, quello si pratica ormai al Mutuo Soccorso di Angilu Cuddura - così dice Sciascia, ma tavolta si sbaglia.

La rivolta sociale in fermento a Racalmuto. I contadini emigrano: le terre dei galantuomini restano abbandonate: per questi quasi l'indigenza; per li jurntara, per i figli o i nipoti dei carusi di un tempo quasi l'agiatezza: se tornano per la Festa del Monte dal Belgio o dalla Germania ti può anche capitare di vederli pavoneggiare su auto della dismisura americana, sia pure d'anteguerra. Una beffa una rabbia. Sciascia coglie quegli umori. "Il cavallo non si avvicinava alla mangiatoia se non quando il mulo e ne llontanava .. Sì la tua razza è pura - pensava il mulo - ma il fieno che mangi è quella che io ti lascio".

Agato Bruno, ora a distanza di un sessantennio, ha altra ispirazione: gioiosa, giocosa. Abbagliato dal rappreso cromatismmo dello Zaccanello, vede solo pacifici animali beati in radure che in vero sono magari stopposi con i ruderi delle vecchie cadenti ville che un tempo furono dei grandi signori di Racalmuto. ora decaduti, i baroni, i Tulumello, i Matrona. Ma Bruno ha occhi ormai veneti per badare a siffatti rigurgiti della antica rivolta paesana .Sciascia invece la viveva.



Mulo e cavallo ormai rappacificati
 

Tavola sciasciana di pag. 28 Edizione Bardi. Il nobile cavallo e il concreto mulo beffardo. Bucolico,sereno Agato Bruno. Animali quieti in prati freschi di verdura, in radure solatie ma senza stoppie, in una Racalmuto satura di limpida luce. Quando Sciascia compone i galantuomini del Circolo Unione - quello all'epoca frequentato da Nanà con giovanile sornioneria - persa l'antica boria fan quasi ora la fame; manco il bramato gioco d'azzardo possono più permettersi, quello si pratica ormai al Mutuo Soccorso di Angilu Cuddura - così dice Sciascia, ma tavolta si sbaglia.

La rivolta sociale in fermento a Racalmuto. I contadini emigrano: le terre dei galantuomini restano abbandonate: per questi quasi l'indigenza; per li jurntara, per i figli o i nipoti dei carusi di un tempo quasi l'agiatezza: se tornano per la Festa del Monte dal Belgio o dalla Germania ti può anche capitare di vederli pavoneggiare su auto della dismisura americana, sia pure d'anteguerra. Una beffa una rabbia. Sciascia coglie quegli umori. "Il cavallo non si avvicinava alla mangiatoia se non quando il mulo e ne allontanava .. Sì la tua razza è pura - pensava il mulo - ma il fieno che mangi è quella che io ti lascio".

Agato Bruno, ora a distanza di un sessantennio, ha altra ispirazione: gioiosa, giocosa. Abbagliato dal rappreso cromatismo dello Zaccanello, vede solo pacifici animali beati in radure che in vero sono magari stopposi con i ruderi delle vecchie cadenti ville che un tempo furono dei grandi signori di Racalmuto. ora decaduti, i baroni, i Tulumello, i Matrona. Ma Bruno ha occhi ormai veneti per badare a siffatti rigurgiti della antica rivolta paesana .Sciascia invece la viveva.

 

Sciascia e la Balistreri

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Partecipazione di Maria Carta alla popolare trasmissione TV CANZONISSIMA edizion...e 1974 il brano è eseguito col modulo de "sa Disisperada"; Testo di Maria Car...Visualizza altro
  • Calogero Taverna Splendida versioneclon accompagno di mariarruni
  • Calogero Taverna Morsi cu morsi e cu m'amava persi, / comu fineru li jochi e li spassi! / La bedda libirtà comu la persi, / hannu 'mputiri li canazzi corsi./ Chianciunu tutti, li liuna e l'ursi, / chianci me matri ca vivu mi persi. / Cu dumanna di mia, comu 'un ci fussi, / scrivitimi a lu libru di li persi Non credo che molti abbiano afferrato questi splendidi versi siciliani
  • Calogero Taverna La traduzione in lingua italiana da Sciascia (v. Cruciverba - Guttuso). "E' morta chi è morta ed ho perso chi mi amava: i giochi e gli spassi sono finiti. Ho perso la bella libertà, sono ormai in potere degli sbirri; e perciò piangono tutti, anche i leoni e gli orsi; e piange mia madre, vivo mi perse. A chi domanda di me, come non ci fossi: scrivetemi nel libro dei persi."

  • martedì 27 agosto 2013

    mercoledì 26 dicembre 2012


    Il mio 45° Compleanno...

    FRA QUALCHE GIORNO COMPIO IL MIO 45° COMPLEANNO QUALE SOCIO DI UN CIRCOLO CHE NON AMO PIU'





    Guardo con acuta nostalgia, con scoramento anche, il mio libretto 166° Genetliaco [del] Circolo Unione e a pag. 54 mi ritrovo: il 1° gennaio 1967 facevo finalmente parte del Circolo Unione. Avevo doppiato lo scoglio arcigno ed inflessibile dell'avv. Pillitteri. Avevo avuto le palline bianche più che sufficienti. Tanti - migliori di me - non l'avevano avute nel passato; neppure chi ora si crede il santone intoccabile di un sodaliziao ex nobiliare, divenuto con un colpo di mano statutario tutt'altra cosa con signorini né nobili né ignobili che sembrano più intenti a cantar messa e portarvi mistici preti che mantenere la grintosa aria laica (per non dire massonica) di questa mirabile congrega elitaria della Racalmuto ottocentesca ed anche novecentesca e persino della prima decade di anni di questo nuovo millennio.
    Mi accoglievano allora presidenti del calibro del p.a. Nicolò BARTOLOTTA; deputati come il rag. Luigi Cutaia, l'ins. Guglielmo Bellavia, l'ins. Felice Caratozzolo, il longevo dottore Salvatore Restivo Pantalone, l'ins. Gaetano Mattina, l'ins. Alfonso Farrauto: meno il padre dell'ex sindaco, tutti di là e da tempo. Sbircio tra quelli che mi precedevano e trovo una istituzione come il dottore Ettore Vinci, il mio simpantico e sfortunato amico il geometra Alfonso Delfino, l'austero prof. Domenico Romano, e quindi, amici da sempre, Nicu Piazza, 'Ngilino Morreale, Nnazziu Pillitteri e chi ancora ci serba trepido affetto come ma cuscinu Totinu Scimè e il mio vicinu di casa là a la Funtana, il dottore Jachinu Trumeddu (per non dire Catallo). Seguono i miei coevi SESSANTASETTINI e siamo diciannove (o meglio eravamo: vivi meno della metà. Chi ricordare? :  l'avv. Garlisi e l'avvocato Buscarino. 
    Ma tanti pur viventi non bazzicano più le sale del Circolo dei Galantuomini: non è più per i loro gusti.
    Io avevo deciso, quest'anno, di tagliare la corda. Che ci sto più a fare in un sodalazio paraclericale, in mano a rampanti che vogliono affermarsi in nome di uno Sciascia che poi non amava tanto quel circolo come sta a dimostrare qualche carta che tenuta segreta, post mortem la famiglia ha ritenuto di dare ad Adelphi per un impropabile FUOCO sul MARE (attendo l'apprezzabile opinione del prof. Di Grado). Ne ho scritto, ma è come parlare a sordi: ho credo chiarito che il frate (veramente semplice chierico) DIEGO LA MATINA nato a Racalmuto nel marzo del 1621 era ancora vivo e vegeto nella pasqua del 1666; non poteva quindi esere stato bruciato nel 1658. Come se dicessi castronerie. Mi si fa pure l'affronto di salmodiare nelle sale del circolo che sovvenziono da quaranticinque anni non so quali prefiche commemorative. Non si degneranno neppure di almeno scomunicarmi per non scomodarsi. Vi sono interessi teatrali di chissà chi e tanto basta.
    Per rabbia ho deciso di non dimettermi: pagherò ancora una volta il canone annuale come non stanziale e forse mi deciderò di pagare il mio avvocato di fiducia per seguire le orme del Farmacista Calogero Argento, fu Michelangelo, abitante in via Rapisardi 35 di Racalmuto. Era il 4 gennaio 1945. Lo si voleva massone e liberale e forse lo era ma non voleva appartenere alla DEMOCRAZIA DEL LAVORO dell'altro galantuomo il sig. Amedeo MESSANA. Così come io - clericale cattolico ma non credente - non voglio finire sotto l'egida di nuovi sagristanelli dell'era di padre Ciucia.

    Sciascia-Bruno, il cavallo e il mulo rappacificati.

     

    Tavola sciasciana di pag. 28 Edizione Bardi. Il nobile cavallo e il concreto mulo: Leonardo Sciascia: beffardo. Bucolico,sereno: Agato Bruno. Animali quieti in prati freschi di verdura, in radure solatie ma senza stoppie, in una Racalmuto satura di limpida luce. Quando Sciascia compone, i galantuomini del Circolo Unione - quello all'epoca frequentato da Nanà con giovanile sornioneria - persa l'antica boria fan quasi ora la fame; manco il bramato gioco d'azzardo possono più permettersi, quello si pratica ormai al Mutuo Soccorso di Angilu Cuddura - così dice Sciascia, ma tavolta si sbaglia.

    La rivolta sociale in fermento a Racalmuto. I contadini emigrano: le terre dei galantuomini restano abbandonate: per questi quasi l'indigenza; per li jurntara, per i figli o i nipoti dei carusi di un tempo quasi l'agiatezza: se tornano per la Festa del Monte dal Belgio o dalla Germania ti può anche capitare di vederli pavoneggiare su auto della dismisura americana, sia pure d'anteguerra. Una beffa una rabbia. Sciascia coglie quegli umori. "Il cavallo non si avvicinava alla mangiatoia se non quando il mulo e ne allontanava .. Sì la tua razza è pura - pensava il mulo - ma il fieno che mangi è quella che io ti lascio".


    Agato Bruno, ora a distanza di un sessantennio, ha altra ispirazione: gioiosa, giocosa. Abbagliato dal rappreso cromatismmo dello Zaccanello, vede solo pacifici animali beati in radure che in vero sono magari stopposi con i ruderi delle vecchie cadenti ville che un tempo furono dei grandi signori di Racalmuto. ora decaduti, i baroni, i Tulumello, i Matrona. Ma Bruno ha occhi ormai veneti per badare a siffatti rigurgiti della antica rivolta paesana .Sciascia invece la viveva.



    Mulo e cavallo ormai rappacificati
     

    Tavola sciasciana di pag. 28 Edizione Bardi. Il nobile cavallo e il concreto mulo beffardo. Bucolico,sereno Agato Bruno. Animali quieti in prati freschi di verdura, in radure solatie ma senza stoppie, in una Racalmuto satura di limpida luce. Quando Sciascia compone i galantuomini del Circolo Unione - quello all'epoca frequentato da Nanà con giovanile sornioneria - persa l'antica boria fan quasi ora la fame; manco il bramato gioco d'azzardo possono più permettersi, quello si pratica ormai al Mutuo Soccorso di Angilu Cuddura - così dice Sciascia, ma tavolta si sbaglia.

     
    La rivolta sociale in fermento a Racalmuto. I contadini emigrano: le terre dei galantuomini restano abbandonate: per questi quasi l'indigenza; per li jurntara, per i figli o i nipoti dei carusi di un tempo quasi l'agiatezza: se tornano per la Festa del Monte dal Belgio o dalla Germania ti può anche capitare di vederli pavoneggiare su auto della dismisura americana, sia pure d'anteguerra. Una beffa una rabbia. Sciascia coglie quegli umori. "Il cavallo non si avvicinava alla mangiatoia se non quando il mulo e ne llontanava .. Sì la tua razza è pura - pensava il mulo - ma il fieno che mangi è quella che io ti lascio".

    Agato Bruno, ora a distanza di un sessantennio, ha altra ispirazione: gioiosa, giocosa. Abbagliato dal rappreso cromatismmo dello Zaccanello, vede solo pacifici animali beati in radure che in vero sono magari stopposi con i ruderi delle vecchie cadenti ville che un tempo furono dei grandi signori di Racalmuto. ora decaduti, i baroni, i Tulumello, i Matrona. Ma Bruno ha occhi ormai veneti per badare a siffatti rigurgiti della antica rivolta paesana .Sciascia invece la viveva.

    lunedì 26 agosto 2013

    LETTERA SPEDITA DIFFUSA PROMULGATA. RISPOSTE? NESSUNA! COME PRIMA, PEGGIO DI PRIMA!!! DOVESSE TROVARE LA VICE PREFETTO DOTTORESSA MARIA SALERNO QUALCHE SOSPESO, VUOL DARMENE RAGGUAGLIO?

    LETTERA SPEDITA DIFFUSA PROMULGATA. RISPOSTE? NESSUNA! COME PRIMA, PEGGIO DI PRIMA!!! DOVESSE TROVARE LA VICE PREFETTO DOTTORESSA MARIA SALERNO QUALCHE SOSPESO, VUOL DARMENE RAGGUAGLIO?

     Egregio don Filippo de Romana gente,
    sono un civis romanus che a quasi ottant'anni volevo rimpatriare. Ho chiesto la residenza al mio paese. Sa, gli educati dalla sua predecessora confondendo la mia richiesta di residenza in richiesta di domicilio coatto non me l'hanno accordata. E dire che avrebbero potuto fruire dell'addizionale sull'irpef: non sono ricco come Berlusconi ma suvvia neppure indigente come il defunto Lillo Marino. Avrei contribuito magari marginalmente a comprimere un tantinello il baratro delle spese comunali. Per la trasparenza, Ella mi dirà mai quanto è costato l'onore di avere al vertice di questo scellerato Comune una prefettessa del taglio della Tramonto? e quanto è ricaduto, per appannaggi spese e rimborsi agli altri due suoi colleghi, su codesto disastrato bilancio comunale? Mi ha divertito il predecessore del suo predecessore che nella prima decade di maggio venne solo due volte per prendersi le sue carte e dare doverose consegne. Beh! si è fatto liquidare anche un congruo rimborso spese e diarie con uso del mezzo proprio. Un compagnuccio che stava a fare l'albo pretorio ce ne ha dato notizia. Dopo, la signora al Tramonto mi pare che abbia oscurato codesti come chiamarli violazioni dei segreti di ufficio.
    Veda egregio don Filippo de Romana gente se anche lei viene qui a Racalmuto per sbaragliare le infiltrazioni mafiose Lei perde tempo e noi - sa non l'addizionale sull'irpef ma la l'IMU alle stelle, per insipienza come potrei dimostrare, quella la pago e come - ci rimettiamo tanti soldini per suoi rimborsi spese e salati ammennicoli vari. Se Lei - esperto anche in diritto amministrativo - viene per appurare vecchia e nuova mala gestio, allora tutti ci potremmo guadagnare.
    La sua antecedente in gonnella ebbe a gloriarsi di avere stroncato un mezzo stipendio di un becchino già ergastolano. Fece piangere un mio fragile parente perché non avendo risposta superiore non stroncò l'abuso cercando peraltro di non farsi impallinare come il don abbondio manzoniano dato che non c'è barba di cardinale borromeo che ti possa levare da dosso un paio di pallettoni. Ma la signora al Tramonto - che tanto pontificava sulle abnormi eccedenze dell'organico impiegatizio - si premurò subito di confermare contratti a termine per qualche centinaio di protetti comunali. A toccare quei fili, i pallettoni arrivavano a lei e suoi consorti. Oh! che bel coraggio. Quanta a tanta altra mala gestio non curò neppure di rendersene conto. Scrissi e riscrissi. Non mi ascoltò, non mi convocò, neppure mi rispose. A dire il vero dubito che gli astuti intermediari in funzioni segretariali le abbiano fatto pervenire le mie lagne.
    Veda egregio don Filippo de Romana gente Racalmuto non è Regalpetra, i coreuti dell'antimafia non sono Racalmuto, i sedicenti giornalisti hanno piccoli interessi nascosti per collaborare davvero: frastornano, egregio don Filippo de Romana gente, dirottano, censurano, ingannano, imbrogliano. E purtroppo anche lei sta scivolando nel malvezzo di accordare interviste esclusive per eccesso di fiducia, sol magari perché li crede consanguinei di letterati alla Consolo o nobilitati da frequentazioni nocesche,
    A questi fiduciari assisi negli scranni della responsabilità amministrativa rivolgo umile preghiera a non intercettare, ad informare a passare le carte integre così come arrivano all'ufficio protocollo. Sa una volta volevo presentare una richiesta ai sensi di un bando dell'ottobre scorso. All'ufficio protocollo si nicchiò finché un capo ufficio che non mi ama non diede l'hokei. Dopo credo che la regolamentare istanza fu bloccata e non pervenne al missus panormitanus (se pervenne perché non mi si spiegano i motivi del rigetto?)
    Veda egregio don Filippo de Romana gente, a Racalmuto non vi sono infiltrazioni mafiose, ma mala gestio tanta, occulta, surrettizia, strisciante, esplosiva, invereconda. Saprà Ella appurarla? E come fa, con tanti del suo contorno protesi a tutto occultare, a tutto derubricare, a tutto far confluire nelle paludi delle inesistenti infiltrazioni mafiose che fanno felice l'antimafia. Arriva a Racalmuto e subito si mette a colloquio col referente titolato dell'antimafia. Francamente non mi aspetto nulla di buono da lei come nel Gattopardo con il cavaliere savoiardo.
    Veda egregio don Filippo de Romana gente poco ella saprà dell'epilogo giudiziario sulle infiltrazioni mafiose. Il suo Ministero intanto dovrà rifondere le spese di giudizio perché ha preso provvedimenti esiziali per la vita democratica di questo martoriato paese di nome Racalmuto, senza fronzoli, infangando due onestissimi consiglieri, il mio parente Campanella (che volevano bollare come infiltrato sol perché vari decenni fa pensò tentare un'impresa industriale con abile imprenditore che molto tempo dopo si dice che abbia deragliato) e tale Barravecchia divenuto nefando perché omonimo di un fratello che si era frattanto imparentato con taluno che i coreuti dell'antimafia rappresentarono come pericoloso malacarne di stampo mafioso. Una triade di visitatori prefettizi dimorò qui a Racalmuto, senza altri fronzoli, per sei mesi chiudendo carte nell'ufficio della porta accanto e giustificando diarie spese e rimborsi con la copiatura di stantii rapporti polizieschi già smunti da proscioglimenti in sede istruttoria, derubricati sensibilmente, con dilatori rinvii sine die. Ciò nonostante due evitandi alias ineligendi erano dimissionari ab immemorabili, uno perché all'inizio della legislatura aveva qualche problema con la droga, l'altro perché calunniato reagì. Pluriincriminato, per ora gli è stata comminata una risibile pena di quattro mesi con la condizionale, non appellata perché di costoso appello: qualcosa comunque che manco nel più lieve dei reati contravvenzionali si commina. E ciò prova deleterie infiltrazioni mafiose? Ma va' là! I restanti due ineligendi (alla latina) devono la loro gogna l'una per essere figlia di suo padre, sorella di suo fratello e soprattutto nipote di suo zio che la locale pubblicistica - tanto sussiegosa quanto dissennata - qualifica come trucidato CAPO MAFIA. Lu zzi Alfonso fu nel 1960 mio ospite a Modena perché aveva sposato una prima cugina di mio padre. Un altro po' e lo introducevo negli uffici modenesi della Banca d'Italia di cui ero segretario, vincitore di concorso non truccato di gruppo A, in esperimento. Va a finire che cinquanta anni dopo mi ritrovo anch'io tra gli infiltrati. Lu zzi Alfonso veniva da famiglia pre prefetto Moro, che insomma la coppola storta ce l'aveva davvero: erano tempi dell'abigeato e tanti pronipoti di chi voleva dare la cittadinanza onoraria come al Circolo Unione al Cavaliere Benito Mussolini, dovrebbero tacere anziché moraleggiare su blog vocianti antimafia ogni piè sospinto. Lu zzi Alfonso era sboccato, collerico ma incapace di far male ad una mosca: era un modesto proprietario di saline incappato per irrinunciabili eredità di famiglia in un favoreggiamento consistente nell'avere gettato una pistola fumante di altri sui canali del tetto morto di casa sua. Ebbe guai giudiziari a non finire, finì nelle patrie galere, versava lacrime di umilianti pianti in modo compassionevole. Altro che baldo capomafia che libercoli locali vorrebbero accreditare. La nipote è una brava ragazza che eletta al Comune poche volte lo frequentò, dedita a Palermo a nobile volontariato. L'altro figlio di un socialista autorevole e dignitoso, eletto persino senatore, farmacista in eterna loquela col telefonino, innocuo bravo figliolo che si innamora di una bella e brava ragazza di una famiglia che dicono inquinante mafiosamente gli appalti pubblici, vi si fidanza e per colmo di sventura si vede costretto ad interrompere il fidanzamento.
    Veda egregio don Filippo de Romana gente dopo mesi e mesi di ispezioni commissariamenti visite semestrali prefettizie non si rinvengono altri infiltrati mafiosi nel comune di Racalmuto, solo quelli che ho citato: due assolti con addebito delle spese al suo Ministero; due già da tempo dimissionari e almeno a faccende mafiose estranei, e due che chiamarli mafiosi o infiltrati mafiosi c'è proprio da ridere (se non fosse penosamente tragico). Se lei egregio don Filippo de Romana gente è uomo d'onore dica alla ministra in gonnella (che se donna d'onore dovrebbe ascoltarla) che a Racalmuto non vi sono state infiltrazioni mafiose e quindi, come insegnavamo ai miei tempi nel SECIT di Reviglio, necessita un pronto atto resipiscente di AUTOTUTELA: serve poco sostituire in modo imbarazzante la signora al Tramonto; caduta in sue mani, la patata bollente potrà divenire ancora più scottante persino forse in sede parlamentare.
    Parlavo però di mala gestio: come primo approccio mi dispensi dal parlarne egregio don Filippo de Romana gente. Ma se vuol subito sapere, si faccia dare le lettere firmate che ho mandato al Comune, i post che da oltre un anno ho mandato al blog REGALPETRA LIBERA con i commenti talora più salaci dei post; gli altri post che ho disseminato in questo profilo FB; quelli di esordio di un blog CASTRUM RACALMUTO DOMANI che io pensai che io denominai che io lanciai anche là dove il meneghino blogger mai sarebbe arrivato e che, finito in gran dispitto ad un anonimo sedente, secondo me, nello scranno di responsabilità di codesta amministrazione, mi ha inurbanamente zittito con un perentorio BASTA che mi risuona ancora nel mio orecchio irato.
    Avrà un seguito questo approccio epistolare? Forse che sì forse che no! Dipende dal suo coraggio e dalla sua volontà a fare davvero giustizia. In ogni caso, egregio don Filippo de Romana Gente, non mi sottovaluti come la sua collega al Tramonto che l'ha preceduta.Calogero Taverna

    LETTERA SPEDITA DIFFUSA PROMULGATA. RISPOSTE? NESSUNA! COME PRIMA, PEGGIO DI PRIMA!!! DOVESSE TROVARE LA VICE PREFETTO DOTTORESSA MARIA SALERNO QUALCHE SOSPESO, VUOL DARMENE RAGGUAGLIO?

    LETTERA SPEDITA DIFFUSA PROMULGATA. RISPOSTE? NESSUNA! COME PRIMA, PEGGIO DI PRIMA!!! DOVESSE TROVARE LA VICE PREFETTO DOTTORESSA MARIA SALERNO QUALCHE SOSPESO, VUOL DARMENE RAGGUAGLIO?

     Egregio don Filippo de Romana gente,
    sono un civis romanus che a quasi ottant'anni volevo rimpatriare. Ho chiesto la residenza al mio paese. Sa, gli educati dalla sua predecessora confondendo la mia richiesta di residenza in richiesta di domicilio coatto non me l'hanno accordata. E dire che avrebbero potuto fruire dell'addizionale sull'irpef: non sono ricco come Berlusconi ma suvvia neppure indigente come il defunto Lillo Marino. Avrei contribuito magari marginalmente a comprimere un tantinello il baratro delle spese comunali. Per la trasparenza, Ella mi dirà mai quanto è costato l'onore di avere al vertice di questo scellerato Comune una prefettessa del taglio della Tramonto? e quanto è ricaduto, per appannaggi spese e rimborsi agli altri due suoi colleghi, su codesto disastrato bilancio comunale? Mi ha divertito il predecessore del suo predecessore che nella prima decade di maggio venne solo due volte per prendersi le sue carte e dare doverose consegne. Beh! si è fatto liquidare anche un congruo rimborso spese e diarie con uso del mezzo proprio. Un compagnuccio che stava a fare l'albo pretorio ce ne ha dato notizia. Dopo, la signora al Tramonto mi pare che abbia oscurato codesti come chiamarli violazioni dei segreti di ufficio.
    Veda egregio don Filippo de Romana gente se anche lei viene qui a Racalmuto per sbaragliare le infiltrazioni mafiose Lei perde tempo e noi - sa non l'addizionale sull'irpef ma la l'IMU alle stelle, per insipienza come potrei dimostrare, quella la pago e come - ci rimettiamo tanti soldini per suoi rimborsi spese e salati ammennicoli vari. Se Lei - esperto anche in diritto amministrativo - viene per appurare vecchia e nuova mala gestio, allora tutti ci potremmo guadagnare.
    La sua antecedente in gonnella ebbe a gloriarsi di avere stroncato un mezzo stipendio di un becchino già ergastolano. Fece piangere un mio fragile parente perché non avendo risposta superiore non stroncò l'abuso cercando peraltro di non farsi impallinare come il don abbondio manzoniano dato che non c'è barba di cardinale borromeo che ti possa levare da dosso un paio di pallettoni. Ma la signora al Tramonto - che tanto pontificava sulle abnormi eccedenze dell'organico impiegatizio - si premurò subito di confermare contratti a termine per qualche centinaio di protetti comunali. A toccare quei fili, i pallettoni arrivavano a lei e suoi consorti. Oh! che bel coraggio. Quanta a tanta altra mala gestio non curò neppure di rendersene conto. Scrissi e riscrissi. Non mi ascoltò, non mi convocò, neppure mi rispose. A dire il vero dubito che gli astuti intermediari in funzioni segretariali le abbiano fatto pervenire le mie lagne.
    Veda egregio don Filippo de Romana gente Racalmuto non è Regalpetra, i coreuti dell'antimafia non sono Racalmuto, i sedicenti giornalisti hanno piccoli interessi nascosti per collaborare davvero: frastornano, egregio don Filippo de Romana gente, dirottano, censurano, ingannano, imbrogliano. E purtroppo anche lei sta scivolando nel malvezzo di accordare interviste esclusive per eccesso di fiducia, sol magari perché li crede consanguinei di letterati alla Consolo o nobilitati da frequentazioni nocesche,
    A questi fiduciari assisi negli scranni della responsabilità amministrativa rivolgo umile preghiera a non intercettare, ad informare a passare le carte integre così come arrivano all'ufficio protocollo. Sa una volta volevo presentare una richiesta ai sensi di un bando dell'ottobre scorso. All'ufficio protocollo si nicchiò finché un capo ufficio che non mi ama non diede l'hokei. Dopo credo che la regolamentare istanza fu bloccata e non pervenne al missus panormitanus (se pervenne perché non mi si spiegano i motivi del rigetto?)
    Veda egregio don Filippo de Romana gente, a Racalmuto non vi sono infiltrazioni mafiose, ma mala gestio tanta, occulta, surrettizia, strisciante, esplosiva, invereconda. Saprà Ella appurarla? E come fa, con tanti del suo contorno protesi a tutto occultare, a tutto derubricare, a tutto far confluire nelle paludi delle inesistenti infiltrazioni mafiose che fanno felice l'antimafia. Arriva a Racalmuto e subito si mette a colloquio col referente titolato dell'antimafia. Francamente non mi aspetto nulla di buono da lei come nel Gattopardo con il cavaliere savoiardo.
    Veda egregio don Filippo de Romana gente poco ella saprà dell'epilogo giudiziario sulle infiltrazioni mafiose. Il suo Ministero intanto dovrà rifondere le spese di giudizio perché ha preso provvedimenti esiziali per la vita democratica di questo martoriato paese di nome Racalmuto, senza fronzoli, infangando due onestissimi consiglieri, il mio parente Campanella (che volevano bollare come infiltrato sol perché vari decenni fa pensò tentare un'impresa industriale con abile imprenditore che molto tempo dopo si dice che abbia deragliato) e tale Barravecchia divenuto nefando perché omonimo di un fratello che si era frattanto imparentato con taluno che i coreuti dell'antimafia rappresentarono come pericoloso malacarne di stampo mafioso. Una triade di visitatori prefettizi dimorò qui a Racalmuto, senza altri fronzoli, per sei mesi chiudendo carte nell'ufficio della porta accanto e giustificando diarie spese e rimborsi con la copiatura di stantii rapporti polizieschi già smunti da proscioglimenti in sede istruttoria, derubricati sensibilmente, con dilatori rinvii sine die. Ciò nonostante due evitandi alias ineligendi erano dimissionari ab immemorabili, uno perché all'inizio della legislatura aveva qualche problema con la droga, l'altro perché calunniato reagì. Pluriincriminato, per ora gli è stata comminata una risibile pena di quattro mesi con la condizionale, non appellata perché di costoso appello: qualcosa comunque che manco nel più lieve dei reati contravvenzionali si commina. E ciò prova deleterie infiltrazioni mafiose? Ma va' là! I restanti due ineligendi (alla latina) devono la loro gogna l'una per essere figlia di suo padre, sorella di suo fratello e soprattutto nipote di suo zio che la locale pubblicistica - tanto sussiegosa quanto dissennata - qualifica come trucidato CAPO MAFIA. Lu zzi Alfonso fu nel 1960 mio ospite a Modena perché aveva sposato una prima cugina di mio padre. Un altro po' e lo introducevo negli uffici modenesi della Banca d'Italia di cui ero segretario, vincitore di concorso non truccato di gruppo A, in esperimento. Va a finire che cinquanta anni dopo mi ritrovo anch'io tra gli infiltrati. Lu zzi Alfonso veniva da famiglia pre prefetto Moro, che insomma la coppola storta ce l'aveva davvero: erano tempi dell'abigeato e tanti pronipoti di chi voleva dare la cittadinanza onoraria come al Circolo Unione al Cavaliere Benito Mussolini, dovrebbero tacere anziché moraleggiare su blog vocianti antimafia ogni piè sospinto. Lu zzi Alfonso era sboccato, collerico ma incapace di far male ad una mosca: era un modesto proprietario di saline incappato per irrinunciabili eredità di famiglia in un favoreggiamento consistente nell'avere gettato una pistola fumante di altri sui canali del tetto morto di casa sua. Ebbe guai giudiziari a non finire, finì nelle patrie galere, versava lacrime di umilianti pianti in modo compassionevole. Altro che baldo capomafia che libercoli locali vorrebbero accreditare. La nipote è una brava ragazza che eletta al Comune poche volte lo frequentò, dedita a Palermo a nobile volontariato. L'altro figlio di un socialista autorevole e dignitoso, eletto persino senatore, farmacista in eterna loquela col telefonino, innocuo bravo figliolo che si innamora di una bella e brava ragazza di una famiglia che dicono inquinante mafiosamente gli appalti pubblici, vi si fidanza e per colmo di sventura si vede costretto ad interrompere il fidanzamento.
    Veda egregio don Filippo de Romana gente dopo mesi e mesi di ispezioni commissariamenti visite semestrali prefettizie non si rinvengono altri infiltrati mafiosi nel comune di Racalmuto, solo quelli che ho citato: due assolti con addebito delle spese al suo Ministero; due già da tempo dimissionari e almeno a faccende mafiose estranei, e due che chiamarli mafiosi o infiltrati mafiosi c'è proprio da ridere (se non fosse penosamente tragico). Se lei egregio don Filippo de Romana gente è uomo d'onore dica alla ministra in gonnella (che se donna d'onore dovrebbe ascoltarla) che a Racalmuto non vi sono state infiltrazioni mafiose e quindi, come insegnavamo ai miei tempi nel SECIT di Reviglio, necessita un pronto atto resipiscente di AUTOTUTELA: serve poco sostituire in modo imbarazzante la signora al Tramonto; caduta in sue mani, la patata bollente potrà divenire ancora più scottante persino forse in sede parlamentare.
    Parlavo però di mala gestio: come primo approccio mi dispensi dal parlarne egregio don Filippo de Romana gente. Ma se vuol subito sapere, si faccia dare le lettere firmate che ho mandato al Comune, i post che da oltre un anno ho mandato al blog REGALPETRA LIBERA con i commenti talora più salaci dei post; gli altri post che ho disseminato in questo profilo FB; quelli di esordio di un blog CASTRUM RACALMUTO DOMANI che io pensai che io denominai che io lanciai anche là dove il meneghino blogger mai sarebbe arrivato e che, finito in gran dispitto ad un anonimo sedente, secondo me, nello scranno di responsabilità di codesta amministrazione, mi ha inurbanamente zittito con un perentorio BASTA che mi risuona ancora nel mio orecchio irato.
    Avrà un seguito questo approccio epistolare? Forse che sì forse che no! Dipende dal suo coraggio e dalla sua volontà a fare davvero giustizia. In ogni caso, egregio don Filippo de Romana Gente, non mi sottovaluti come la sua collega al Tramonto che l'ha preceduta.Calogero Taverna