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sabato 14 dicembre 2013

Un po' di filosofia

Lillo Taverna
Anche se così non penso
"L'interesse che della teoria critica ha alla liberazione dell'u0manità collega la teoria stessa a certe vecchie verità , che deve tener salde. Il convincimento che l'uomo possa essere più di un soggetto valorizzabile nel processo di produzione della società classista unisce nella maniera più profonda la teoria critica alla filosofia. Nella misura in cui la filosofia si è però rassegnata di fronte al fatto che finora sono stati i rapporti sociali a d...ecidere in effetti dell'uomo, essa è stata alleata dell'oppressione. Questo è il cattivo materialismo che sta alla base dell'idealismo: la consolazione che l'idealismo si procura credendo che nel mondo materiale tutto sia già in ordine (una consolazione che, quand'anche non corrisponda al convincimento personale del filosofo, sorge spontanea quasi per forza propria dal modo stesso di pensare dell'idealismo borghese ed è il vero fondamento dell'affinità di questo col suo tempo). e che lo spirito non debba far valere le sue rivendicazioni in questo mondo, collocandosi invece con un altro mondo che non entri in conflitto con quello materiale.Visualizza altro
[Marcuse - Cultura e società]

Comincia la mia campagna elettorale

E' il figlio di un mio apprezzatissimo compagno di liceo. Carme' tu che lo conosci digli che il padre acceda alla lista quale  ho pronta con lo slogan: FUTURO SPLENDIDO PER RACALMUTO [è possibile]. Ma tu Carme' vi farai parte? Io starò dietro le quinte per no turbare le anime pie del mio paese.

un bianco tra due porpore

ma io penso di malinconia.  In Italia sono sicuro che nessuno muore di fame. Papa Cicciu crede ancora di trovarsi in Argentina.  Rettifico: la politica si deve occupare di chi muore di incultura. Simpatico questo papa che con tre pater ave e gloria risolve tutti i problemi del mondo. Siccome è un nostalgico del Dugento, gli americani - proprio loro icrestomantici per eccellenza - lo hanno eletto l'uomo dell'anno.  Ma in Vaticano dominano ancora Bertone, che non è francescano ma salesiano, e gli altri porporati come lui; in Italia vigila Bagnasco ex generale dell'esercito italiano.  Io che sono ossessionato dalle triadi, me ne trovo un'altra: un bianco tra due porpore.

Io mi confesso dinanzi a voi miei giudici ... mperinenti

Faccio le mie confessioni. Le confessioni di Liddru Taverna:  di un peccatore che non crede nel peccato, di un laico assolutamente non cedente che ama fare il clericale, di un vetero comunista viscerale  che si sollazza con  ALSO SPRACH Zarathustra, che giunto all'occaso della sua vita, si atteggia anche a vispo giovinetto, che non teme censure.
Giunto da una reietta Bankitalia in uno strano organismo libertario  del FISCO si è messo prima a sanzionare il suo ex Istituto, quindi a rompere la minchia a ministri e generali della finanza. un ubbriacone - ma molo bravo - fatto ministro credette di
censurarmi.
Non ero suo  dipendente, quindi a quel richiamo ho fatto un quadretto e l'ho appeso sotto il Crucifisso che nelle stanze dell'ormai chiuso Minfinanze persisteva ancora.

Fino al 1975, dovetti vedermela con una depressione. Ma dopo il 75° anno, passai, essendo bipolare, alla fase euforica. Ho scoperto questa stronzata di FB  e mi sono scatenato: sono diventato grafomane e mi atteggio anche a irrefrenabile polemista.
Al mio paese, credendo di avere a che fare con una di quelle anime pitocche che l'anno sinora iugulato.
Costoro credono di potermi redarguire;  vi sono di quelli che addirittura si spingono all'insolenza. Tendono a minacciarmi che se non me ne sto buono non mi eleggono. Diu nni scansa e libbera. A mia moglie verrebbe lu santomu fulminante. Dice che Roma è meglio d Racalmuto.
Oggi uno spirito balzano ha creduto di potermi ammonire: scherza coi fanti, e lascia stare i santi. E chi sarebbero questi santi? Padre Elia Lauricella (che tentarono di beatificare, ma non capirono che senza cento milioni di vecchie lire (allora) il vaticano ma manco ti caca; l'altro a dirlo santo si commette peccato. Di patri Cipuddra ancora si va dicendo: unni c'è scurui e fuddra ddruoccu c'è patri Cipuddra, volendo indicare un maneggione proteso alle filibusterie parabancarie. Di entrambi preciserò perché non li riverisco.
 Come escatollo di queste mie confessioni mi posso fermare qui. A dopo.

Nun c'è scuru e nun c'è fuddra unni nun c'è patri Cipuddra, una tantum VOX POPULI VOX DEI

Nun c'è scuru e nun c'è fuddra unni nun c'è patri Cipuddra, una tantum VOX POPULI VOX DEI

delle persone da "rpettare" ... Contra Omnia

le persone degne da rispettare sono degnamente da ricordare;  le persone indegne, se defunte,  sono da dimenticare perché de mortuis nihil ìnisi bonum. Ma non si possono  inventare mirabilia che non esistono. Io rispetto tutti ma non rispetto le malefatte di nessuno manco se si tratta di mitiche persone. Il mio motto è amicus Plato sed magis veritas e non ho dogmi che mi impongano fallaci rimembranze.

non concordo

C'è del malinteso fra noi. Bene! Così siamo costretti a chiarirci soprattutto pe chiarire. Noi le idee ce le abbiamo: non convergeranno, ma ce le abbiamo. Gli altri, no. Scimè col suo Regalpetra continua a far nascere fra Diego nel 1622: Panzana, le carte della Matrice sono impietose. A Sciascia dissero cose sbagliate per insipienza. Succede, quando ci si fida degli altri. Mi dicono critico perché non mi sono fidato manco di Sciascia. Ritorniamo a noi. Veramente io sono ferocemente per la demolizione della cementificazione selvaggia che già c'è stata. Non capisco quindi la tua accisa che io sarei per la "cementificazione senza senso". Io sono per la ripulitura di tutte le superfetazioni false e bugiarde. Non so delle stalle di cui tu parli. Quando ne saprò qualcosa propugnerò il ripristino integrale come per legge, ovviamente non opponendomi a quella ripulitura giuridica di cui già ai dieci e più faldoni sotto ispezione vuoi della Corte dei Conti vuoi delle varie procure competenti. Da sindaco non ne solleciterò i provvedimenti riparatori ma manco li ostacolerò. Quanto al Cannone, figurati! Basta dare uno sguardo a tutta la mia grafomane aggressione per conoscere quale è il mio pensiero e quali i miei intendimenti, Del resto dalla mia parte ho il parere dell'attuale numero due del Consiglio di Stato che ebbe modo di sorridere quando l'accompagnai in una visita turistica. No manderò in galera padre Cipolla perché defunto, ma meriterebbe la forca. Non avrò io fatto nulla per Racalmuto come qualche demente mi accusa, ma è certo che non ho fatto niente contro la vecchia Racalmuto, spero da oggi in poi di fare molto per la Racalmuto del futuro e se c'è da demolire lo farò con voluttà (naturalmente se i racalmutesi i federanno di me, il che è del tutto improbabile. Mia moglie gioisce)

A voi giovani

Miei cari giovani, voi che mi criticate in quanto pervicacemente critico, già CONTRA OMNIA RACALMUTO, e sì,  persino vi spezzerei le gambe  ( oh!Dio non sono così sanguinario) dovete credermi se vi dico che io sono solo CONTRO chi è CONTRO o per partito preso o per interessi suoi occulti.
Io sono per il congiungimento tra la Scorrimento veloce (che non considero il NIENTE) e lo spiazzo del Ponte del Carmine ormai centro commerciale nevralgico. Mi offendono se me lo chiamano il NULLA.
So bene che basta un Tunnel come quello romano diciamo del Messaggero per risolvere il problema della Chiesuola (che se pervicacemente credete del Seicento, fate pure).
E sono favorevole per tutta una serie di argomentazioni finanziarie, occupazionali e di progresso economico  che credo di avere con cognizione di causa illustrato.
Io sono per il ripristino del percorso dei fiori di ciliegio (lo spiego altrove) e quindi per le occorrenti demolizioni.
E voi?
Io sono in questo conservatore, e voi?
 Io me la rido con chi vorrebbe ripristinare quello sconcio e mefitico chiostro in ferro arrugginito della Pescheria vecchia. E voi?
Non credo che concordiate con chi  teorizza la santità di un prete sessuofobo seicentesco. Se dipendesse da me, demolirei subito tutti quegli edifici attorno al Collegio per farne un polmone di verde così com'era prima che ll sessuofobo padre Elia Lauricella recingesse il tutto per non far sbirciare le cosce delle sue "repentite". Sfido chiunque a smentirmi. Li folgoro con la mia documentazione che si ostinano a non accreditarmi.
In questo sarei conservatore o innovatore?
Certo sono per gli abbattimenti. E voi?
Io sono per una Racalmuto del futuro. E voi?
  Ma come,  conservando le false chiesette del Seicento di LOR SIGNORI?

In polemica con Piero

Più che innocui fari su una fatiscente pescheria, io invece resto abbarbicato all'idea, tutta in positivo, di ricongiungere  lo spiazzo del Serrone ad Est con lo spiazzo tra l'ingresso alla villa dell'ingegnere telefonico e le nuove  vezzose villette; fare di questo spiazzo dalle ampie visuali a 360 gradi davvero panoramiche un belvedere bene attrezzato, adeguatamente illuminato e farlo divenire un punto di approdo di chi ama fare ancora passeggiate romaniche o salutari quali occorrono a chi ha la fortuna di invecchiare a Racalmuto, non mancando di servirlo  di elettrici bus urbani. Progettualità avveneristica certo non maniaco conservatorismo. Io vorrei continuare ad amare Racalmuto non per ricordare quello che è stato (con momenti non sempre memorabili) ma per quello che piaccia o dispiaccia sarà:  moderno, avveneristico appunto. C'è da abbattare? ma con gioia, purché si costruisca in meglio

Addosso agli untori .. risorga Racalmuto!!!

REITERAZIONE A RETTIFCA DI OSCENI MIEI PERIODI
Caro Piero, sacrosanto quello che tu dici, il rammarico che esprimi, il monito che lanci.
Ma spero che tu convenga con me che c'è abbattimento e abbattimento.
Vi sono in cima al picco di Sud Ovest del Serrone due vetuste "casine nobiliari": almeno una io l'abbatterei subito.
La memoria storica della fremente e fascista prima metà del Novecento fu molto blanda: una mulattiera partiva dalla edicola di San Gnisippuzzo snodantesi dalla carrozzabile oggi dedita ai miti dell'antimafia; si inerpicava tra arbusti canori di "amaremi" , un romanticissimo tunnel profumato .
Arrivava su, planava tra incantevoli belvederi e quindi discendeva sino a questa tanto idolatrata chiesetta del Serrone.
Potenti dei primi del Novecento pensarono bene di stendere i segni del loro mediceo arricchimento proprio sul cocuzzolo del Serrone e tagliarono la mulattiera.
Abbattere quel casamento privo persino di gusto estetico dovrebbe essere ora un pungolo di una nuova libera e colta stampa.
Aggiungerei un’aspra critica alla attuale vigilanza comunale purtroppo affidata a precari della scurezza la qale ignora tutte  quelle strozzature cementizie di quella che fu la strada dei fiori di ciliegio.
Ebbene ecco altri abbattimenti che invoco. 
Ma si sa che quando si toccano interessi dei nuovi crestomantici di paese ogni tipo di stampa volge lo sguardo altrove: meglio retrodatare una casupola ecclesiale degli anni Ottanta del Novecento a vetusto intoccabile cimelio del Seicento;
meglio fingere proficue affabulazioni con sorridenti Commissari dalla imponente stazza poliziesca.
Controcorrente, io invece postulo abbattimenti di oscene conservazioni. Debbo fare onore ad una fama di ipercritico non costruttivo che pare si va sempre consolidando in paese. Quod est in votis.
Sembra che tutti i vari e veri tecnici di Racalmuto ignorino che da ultimo, senza bretella, fu commesso un crimine edilizio: se chiesetta seicentesca (ma anche ottocentesca) a nessuno era concesso di abbattere le antiche pareti: l’obbligo dello scuci e cuci sussisteva anche allora. Ma che importa: ora Egidio ci accredita di ravvedimento conciliatorio con i commissari e tutto va bene!

Rettifiche sintattiche


Si dà il caso che scartabellando tra i mucchi di fotocopie di casa mia a Roma trovo questa impresentabile riproduzione dell’ormai lady Chatterley di Montedoro: il mondo di Louise . L’originale resta a Racalmuto e quindi le foto che qui riproduco non fanno giustizia alla indubbia abilità fotografica di questa fragile creatura d’Inghilterra.

E’ inutile negarlo: scrive soavemente; ha periodo lucido, ha aggettivazione accattivante, la sua paratassi non è di fattura scolastica. Certo, l’animo è femmineo, esile, e l’immagine è talora sdolcinata. Ma i luoghi sono resi per la loro avvenenza. E quel che mi appassiona e una Racalmuto  solare, mediterranea, persino possente con i suoi due torrioni di piazza Castello.

La Louise incontra un prete: padre Giuseppe. Saprà dopo (o crederà di sapere) che da giovane fu brigante  e chiamava “crocifisso il suo coltello”.  Ma sono due villici montedoresi  a cimentarsi a chi la sparava più grossa contro l’invidiato e più evoluto paese contiguo, il mio Racalmuto. Uno si chiamava Alessandro che a Montedoro credo si dica Lisciannaru e l’altro Turiddu (l’inglesina non lo italianizza). Come vede Louise quei due rozzi montedoresi, con tocco di romantico travisamento:  in un misto tra l’armonia dell’aprico monte Castelluccio ed il pittoresco dell’afrore contadino di questi due selvaggi compagni di viaggio.

A guardarli questi due villici accompagnatori della diafana Louise non saprei a chi dare lo scettro dello stalliere di lady Chatterley, ma nessuno dei due mi appare con le phisique du role  di David Herbert Lawrence (1885-1930) e l’arditezza del peccaminoso “strusciamento” a chi toccasse credo che manco l’onnisciente Messana di Montedoro saprebbe dirlo.

Va anche aggiunto che Sciascia non è perspicuo nel sintetizzare queste pagine di Louise, l’inglesina sposatasi a Montedoro: la sua consecutio temporum (storica e logica) mi pare inquinata da un lapsus memoriae come anche la vedova non ebbe ritegno ad ammettere con una mia cosa. Anche Sciascia, quando andava a memoria, cadeva nei “lapsi mamoriae” come ogni comune mortale. E siccome questo è un mio difetto che con il passare degli anni si aggrava , non sarò io a contestarlo. Certo, dimentico quanto volete ma non credo che dopo attente consultazioni possa davvero cascare in scivoloni grotteschi come il motedorese Messana impudentemente mi rinfaccia.

Sciascia invero s’indusse in errore perché indusse in errore l’arciprete Casusscio con quel magro e fuorviante padre Giuseppe della Caico. Forse l’attenzione andava spostata dall’ex francescano all’altro tonacato a cognome Romano, che mi risulta piuttosto discolo. Ma comunque  non tale da potere dire di lui (e men che meno di padre Giuseppe Bufalino Maranella):  un prete  molto “originale … perché nonostante la sua tonaca, viveva da feroce bandito. Chiamava crocifisso il suo coltello, ed era fedele amico e compagno di autentici briganti; arrestato più di una volta come ladro e assassino, è stato condannato a molti anni di esilio, e persino ora da vecchio, non se ne sta tranquillo come dovrebbe, dato che il vescovo gli ha ridato il permesso di dire messa”.

Ciarla di Alessandro da Montedoro, che il Messana mi pare cognomina come Augello. Lasciamolo stare come “grottesco microstorico ecclesiastico di Racalmuto”; ma neppure come loico mi pare che brilli. Se il vescovo a questo innominato padre Giuseppe “ridà il permesso di dire messa” (meglio leva la suspensio a divinis) vuol dire che il vecchio brigante si era ravveduto e che quindi da “vecchio  se ne sta tranquillo come dovrebbe”. Il Messana lo “scivolone grottesco” dovrebbe appiopparlo al suo prediletto compaesano.

Ma dove casca ancor più l’asino è in questo passo della deliziosa Louise: “L’ho mandato a chiamare  rispose Alessandro (alias Lisciannaru), perché sapevo che ci voleva una persona intelligente per parlare con Voscenza, e padre Giuseppe è l’unica persona intelligente a Racalmuto!”.

Non è del tutto fedele Sciascia quando fa dire alla “guida: E’ il solo uomo intelligente che c’è a Racalmuto; purtuttavia cade in uno intenzionale scivolone grottesco il Messana di Montedoro quando vuol tutto attenuare trasformando l’apodittico anatema di Liscianaru Augello in un passabile “ padre Giuseppe è tra le persone PIU’  INTELLIGENTI di Racalmuto”. Et de hoc satis.

L’abbiamo scritto quando eravamo innamorati di Montedoro (e su via! Lo siamo ancora ed anzi ancor di più; se una persona degna, intelligente e positiva incappa in una cazzata, poco male: succede a tutti .. il grave sarebbe per qualche carnalivari ca ‘cci va appriessu)  dichiaravamo di grande importanza archeologica lo scritto di Louise e soprattutto le foto di Louise. Ci ha tramandato squarci di Racalmuto unici e preziosissimi. Innanzi tutto, il Castello: hanno avuto di che fracassare padre Cipolla e certi santoni della Soprintendenza (e persino il genio militare nella guerra del 40-43 – per noi di Racalmuto). Louise ci ha tramandato una serie di foto di lu Cannuni (Cannuni, perché i militari del ’40 avevano piazzato in cannone sopra la torre di Nord-est; così almeno noi la sappiamo e potremmo venire documentalmente smentiti ma non per sentito dire), che mi consentiranno quando sarò sindaco di fare sagace e sapiente restitutio in integrum, depurando ogni tintura al ducotone, e recuperando i reperti archeologi del sotto-castello che so esservi a completamento del sarcofago romano di patri Cipudda e delle ceramiche che una ragazzuola protetta ha dichiato del quattrocento saccense.

Louise incontra padre Giuseppe che ci appare molto agguerrito in microstoria Racalmutese (altro che incallito brigante in senescente ladroneria);  dice all’inglesina cose di recente apprese e piuttosto corrette (qualche sbavatura è perdonabile). Si vede che codesto padre Giuseppe ha letto le memorie del Tinebra; e le ha lette per il verso giusto, senza bizzarrie fantasmatiche.

Padre Giuseppe affascina l’inglesina; Lisciannaru ne è geloso: non può competere sul piano dell’erudizione da ostentare a Voscenza. Si sbizzarrisce in “grottechi scivolini” microstorici tanto da fare “inorridire” la lady e le donne son volubili ma non come le vorrebbe Verdi; sempre pronte a mutare “d’accenti e di pensiero”.

Lisciannaru credo che tutto sommato confondesse e l’ex padre francescano o il non santo padre Giuseppe Romano con qualcuno che non la condanna al carcere ebbe ma processi civili sì e sospensioni a divinis tante: il padre Burruano. Questi però a tempo della gita a Racalmuto della lady Chatterley di Montendoro era morto da una quindicina di anni. Ne ho scritto, su codesto  davvero singolare prete capostipite  della gloriosa (almeno per tanti) famiglia Burruano (quella del feci quo potui, faciant melora potentes): mi si è rotto il computer ed ho perso le ricerche. Ne ha una copia quasi integrale l’avvocato Burruano: spero che ne faccia tesoro.

Interessante è soprattutto la descrizione del Castelluccio. Molto più veritiere delle notizie del Tinebra, quelle di carattere storico anche se non del tutto centrate, sono però le foto, davvero di somma importanza. Quella chiesa là è cimelio storico da recuperare. Vi era un vero e proprio villaggio attorno a quel Castrum, fortezza militare comunque imprescrittibile, inalienabile, inusucapibile. Non semplice “piccola cappella ora abbandonata” un tempo rifugio, non di “pacifici abitanti” assaltati da” pirati , sbarcati  nelle baie ridenti” (farneticazioni di inglesine in fregola romatica) ma da veri e propri coloni  dell’altro feudo “quello di Gibillini” in mano a varie nobili famiglie sino alla decadenza dei Tulumello che in quella chiesa, che piccola non era, andavano ogni domenica a sentir messa. Erano i castidddruzzara – ed un sopravvissuto diede uva e ristoro alla triade della lady – che in una numerazione delle anime del 1828 sono in Matrice segnati per come , cognome, età e consistenza familiare.

Seguiamo con voluttà la ormai diruta conformazione archeologica: “ la vista di una misteriosa scala ricavata nello spessore ricavata nello spessore delle mura, che conduceva chissà dove, evocava alla mia mente ogni sorta di romantiche avventure medioevali, e intanto gli uomini, che avevano condotto i cavalli nelle stesse stalle del castello, così ampie da poter accogliere ottanta cavalli, tornavano a disperdere crudelmente il mio fantasticare su quelle misteriose rampe di scale, domandandomi se non avessi fame, etc. etc.”

Preziosità da potere persino sfruttare per un turismo d’élite, scomunicando i nostri contigui nemici architetti di Grotte che penserebbero invece a fare di quel romantico castello una bolgia peccaminosa per ruffianerie e gozzoviglie  di depravato turismo.

 

Ripasso 4


Si dà il caso che scartabellando tra i mucchi di fotocopie di casa mia a Roma trovo questa impresentabile riproduzione dell’ormai lady Chatterley di Montedoro: il mondo di Louise . L’originale resta a Racalmuto e quindi le foto che qui riproduco non fanno giustizia alla indubbia abilità fotografica di questa fragile creatura d’Inghilterra.

E’ inutile negarlo: scrive soavemente; ha periodo lucido, ha aggettivazione accattivante, la sua paratassi non è di fattura scolastica. Certo, l’animo è femmineo, esile, e l’immagine è talora sdolcinata. Ma i luoghi sono resi per la loro avvenenza. E quel che mi appassiona e una Racalmuto  solare, mediterranea, persino possente con i suoi due torrioni di piazza Castello.

La Louise incontra un prete: padre Giuseppe. Saprà dopo (o crederà di sapere) che da giovane fu brigante  e chiamava “crocifisso il suo coltello”.  Ma sono due villici montedoresi  a cimentarsi a chi la sparava più grossa contro l’invidiato e più evoluto paese contiguo, il mio Racalmuto. Uno si chiamava Alessandro che a Montedoro credo si dica Lisciannaru e l’altro Turiddu (l’inglesina non lo italianizza). Come vede Louise quei due rozzi montedoresi, con tocco di romantico travisamento:  in un misto tra l’armonia dell’aprico monte Castelluccio ed il pittoresco dell’afrore contadino di questi due selvaggi compagni di viaggio.

A guardarli questi due villici accompagnatori della diafana Louise non saprei a chi dare lo scettro dello stalliere di lady Chatterley, ma nessuno dei due mi appare con le phisique du role  di David Herbert Lawrence (1885-1930) e l’arditezza del peccaminoso “strusciamento” a chi toccasse credo che manco l’onnisciente Messana di Montedoro saprebbe dirlo.

Va anche aggiunto che Sciascia non è perspicuo nel sintetizzare queste pagine di Louise, l’inglesina sposatasi a Montedoro: la sua consecutio temporum (storica e logica) mi pare inquinata da un lapsus memoriae come anche la vedova non ebbe ritegno ad ammettere con una mia cosa. Anche Sciascia, quando andava a memoria, cadeva nei “lapsi mamoriae” come ogni comune mortale. E siccome questo è un mio difetto che con il passare degli anni si aggrava , non sarò io a contestarlo. Certo, dimentico quanto volete ma non credo che dopo attente consultazioni possa davvero cascare in scivoloni grotteschi come il motedorese Messana impudentemente mi rinfaccia.

Sciascia invero s’indusse in errore perché indusse in errore l’arciprete Casusscio con quel magro e fuorviante padre Giuseppe della Caico. Forse l’attenzione andava spostata dall’ex francescano all’altro tonacato a cognome Romano, che mi risulta piuttosto discolo. Ma comunque  non tale da potere dire di lui (e men che meno di padre Giuseppe Bufalino Maranella):  un prete  molto “originale … perché nonostante la sua tonaca, viveva da feroce bandito. Chiamava crocifisso il suo coltello, ed era fedele amico e compagno di autentici briganti; arrestato più di una volta come ladro e assassino, è stato condannato a molti anni di esilio, e persino ora da vecchio, non se ne sta tranquillo come dovrebbe, dato che il vescovo gli ha ridato il permesso di dire messa”.

Ciarla di Alessandro da Montedoro, che il Messana mi pare cognomina come Augello. Lasciamolo stare come “grottesco microstorico ecclesiastico di Racalmuto”; ma neppure come loico mi pare che brilli. Se il vescovo a questo innominato padre Giuseppe “ridà il permesso di dire messa” (meglio leva la suspensio a divinis) vuol dire che il vecchio brigante si era ravveduto e che quindi da “vecchio  se ne sta tranquillo come dovrebbe”. Il Messana lo “scivolone grottesco” dovrebbe appiopparlo al suo prediletto compaesano.

Ma dove casca ancor più l’asino è in questo passo della deliziosa Louise: “L’ho mandato a chiamare  rispose Alessandro (alias Lisciannaru), perché sapevo che ci voleva una persona intelligente per parlare con Voscenza, e padre Giuseppe è l’unica persona intelligente a Racalmuto!”.

Non è del tutto fedele Sciascia quando fa dire alla “guida: E’ il solo uomo intelligente che c’è a Racalmuto; purtuttavia cade in uno intenzionale scivolone grottesco il Messana di Montedoro quando vuol tutto attenuare trasformando l’apodittico anatema di Liscianaru Augello in un passabile “ padre Giuseppe è tra le persone PIU’  INTELLIGENTI di Racalmuto”. Et de hoc satis.

L’abbiamo scritto quando eravamo innamorati di Montedoro (e su via! Lo siamo ancora ed anzi ancor di più; se una persona degna, intelligente e positiva incappa in una cazzata, poco male: succede a tutti .. il grave sarebbe per qualche carnalivari ca ‘cci va appriessu)  dichiaravamo di grande importanza archeologica lo scritto di Louise e soprattutto le foto di Louise. Ci ha tramandato squarci di Racalmuto unici e preziosissimi. Innanzi tutto, il Castello: hanno avuto di che fracassare padre Cipolla e certi santoni della Soprintendenza (e persino il genio militare nella guerra del 40-43 – per noi di Racalmuto). Louise ci ha tramandato una serie di foto di lu Cannuni (Cannuni, perché i militari del ’40 avevano piazzato in cannone sopra la torre di Nord-est; così almeno noi la sappiamo e potremmo venire documentalmente smentiti ma non per sentito dire), che mi consentiranno quando sarò sindaco di fare sagace e sapiente restitutio in integrum, depurando ogni tintura al ducotone, e recuperando i reperti archeologi del sotto-castello che so esservi a completamento del sarcofago romano di patri Cipudda e delle ceramiche che una ragazzuola protetta ha dichiato del quattrocento saccense.

Louise incontra padre Giuseppe che ci appare molto agguerrito in microstoria Racalmutese (altro che incallito brigante in senescente ladroneria);  dice all’inglesina cose di recente apprese e piuttosto corrette (qualche sbavatura è perdonabile). Si vede che codesto padre Giuseppe ha letto le memorie del Tinebra; e le ha lette per il verso giusto, senza bizzarrie fantasmatiche.

Padre Giuseppe affascina l’inglesina; Lisciannaru ne è geloso: non può competere sul piano dell’erudizione da ostentare a Voscenza. Si sbizzarrisce in “grottechi scivolini” microstorici tanto da fare “inorridire” la lady e le donne son volubili ma non come le vorrebbe Verdi; sempre pronte a mutare “d’accenti e di pensiero”.

Lisciannaru credo che tutto sommato confondesse e l’ex padre francescano o il non santo padre Giuseppe Romano con qualcuno che non la condanna al carcere ebbe ma processi civili sì e sospensioni a divinis tante: il padre Burruano. Questi però a tempo della gita a Racalmuto della lady Chatterley di Montendoro era morto da una quindicina di anni. Ne ho scritto, su codesto  davvero singolare prete capostipite  della gloriosa (almeno per tanti) famiglia Burruano (quella del feci quo potui, faciant melora potentes): mi si è rotto il computer ed ho perso le ricerche. Ne ha una copia quasi integrale l’avvocato Burruano: spero che ne faccia tesoro.

Interessante è soprattutto la descrizione del Castelluccio. Molto più veritiere delle notizie del Tinebra, quelle di carattere storico anche se non del tutto centrate, sono però le foto, davvero di somma importanza. Quella chiesa là è cimelio storico da recuperare. Vi era un vero e proprio villaggio attorno a quel Castrum, fortezza militare comunque imprescrittibile, inalienabile, inusucapibile. Non semplice “piccola cappella ora abbandonata” un tempo rifugio, non di “pacifici abitanti” assaltati da” pirati , sbarcati  nelle baie ridenti” (farneticazioni di inglesine in fregola romatica) ma da veri e propri coloni  dell’altro feudo “quello di Gibillini” in mano a varie nobili famiglie sino alla decadenza dei Tulumello che in quella chiesa, che piccola non era, andavano ogni domenica a sentir messa. Erano i castidddruzzara – ed un sopravvissuto diede uva e ristoro alla triade della lady – che in una numerazione delle anime del 1828 sono in Matrice segnati per come , cognome, età e consistenza familiare.

Seguiamo con voluttà la ormai diruta conformazione archeologica: “ la vista di una misteriosa scala ricavata nello spessore ricavata nello spessore delle mura, che conduceva chissà dove, evocava alla mia mente ogni sorta di romantiche avventure medioevali, e intanto gli uomini, che avevano condotto i cavalli nelle stesse stalle del castello, così ampie da poter accogliere ottanta cavalli, tornavano a disperdere crudelmente il mio fantasticare su quelle misteriose rampe di scale, domandandomi se non avessi fame, etc. etc.”

Preziosità da potere persino sfruttare per un turismo d’élite, scomunicando i nostri contigui nemici architetti di Grotte che penserebbero invece a fare di quel romantico castello una bolgia peccaminosa per ruffianerie e gozzoviglie  di depravato turismo.

Affabulando con il colto sensbile e rafinato Piero Carbone

Sacrosanto quello che tu dici, il rammarico che esprimi il monito che lanci. Ma spero che tu convenga con me che c'è abbattimento e abbattimento. Vi sono in cima al picco di Sud Ovest del Serrone due vetuste "casine nobiliari": almeno una io l'abbatterei subito. La memoria storica della fremente e fascista prima metà del Novecento fu molto blanda. Una mulattiera partiva dalla edicola di San Gnisippuzzo snodantesi dalla carrozzabile oggi dedita ai miti dell'antimafia; si inerpicava tra arbusti canori di  "amaremi" , un romanticissimo tunnel profumato . arrivava su, planava tra incantevoli belvederi e quindi discendeva sino a questa tanto idolatrata chiesetta del Serrone. Potenti dei primi del Novecento pensarono bene di stendere i segni del loro mediceo arricchimento proprio sul cocuzzolo del Serrone e tagliarono la mulattiera. Abbattere quel casamento privo persino di gusto estetico dovrebbe essere un pungolo di una nuova libera e colta stampa. Aggiungerei che la vigilanza anche se ora affidata a precari della scurezza comunale che tutti quelle strozzature cementizie di quella che la strada dei fiori di ciliegio  dovrebbero essere abbattute. Si sa che quando si toccano interessi dei nuovi crestomantici  di paese ogni tipo di stampa volge lo sguardo altrove: meglio retrodatare una casupola ecclesiale degli anni ottanta del Novecento a vetusto intoccabile cimelio del Seicento e fingere proficue affabulazioni con sorridenti Commissari dalla imponente stazza poliziesca. Controcorrente invoco abbattimenti di oscene conservazioni. Debbo fare onore ad una fama che pare si va sempre consolidando in  paese. Quod est in votis.

Ripasso 3


Famiglia Vassallo

L’agone elettorale agrigentino aveva visto come protagonisti i seguenti deputati:

Elezioni del 16 novembre 1919:

 Partito liberale democratico:

Abisso Angelo      (voti di lista 23.516) voti personali 8.825 +  65;

Guarino Giovanni (                    )                 14.267 +  62;

Pancamo Antonino   (                    )                  6.109 + 153.

(Non eletti: Brucculeri Giuseppe, La Lumia Ignazio e Scaduto Francesco)

Partito Popolare Italiano

Fronda Eugenio  (voti di lista 12.206) voti personali 5.115 +  72.

(Non eletti: Arone Pietro, Micciché Giovanni, Montalbano Domenico, Messina Giuseppe, Parlapiano Vella Antonino)

 

Partito Democratico

 

La Loggia Enrico      (voti di lista 19.383) voti personali  5.925 +  0;

Vecchio Verderame Gaetano Arturo.

(Non eletti: Vaccaro Michelangelo, Caramazza Ignazio, Picone Gaspare Ambrogio).

 

Partito Socialista Ufficiale

Voti 6.813: nessun eletto.

(Non eletti: Arancio Antonino, Cammarata Giuseppe, Friscia Michele, Giuliana Francesco, Sessa Cesare (voti n.° 2.554), Vernocchi Olindo).

 

elezioni del 25 maggio 1921

Partito Democratico Liberale

Verderame Gaetano arturo (voti 12.402)

Alleanza Democratica Sociale

Pasqualino Vassallo Rosario (voti 112.623)

Colajanni Napoleone

Lo Piano Agostino

Abisso Angelo (voti 95.146)

Camerata Salvatore

Guarino Amella Giovanni (voti 93.247)

Sorge Francesco.

(Non eletti Pancamo Antonino e Adonnino G. Battista).

Partito Democratico Riformista

La Loggia Enrico (voti 31.114)

(Non eletto: Ambrosini Gaspare con voti 22.032)

Partito Comunista Italiano

Voti di lista 8.071. Non eletto Sessa Cesare con voti 4.367.

Partito Popolare Italiano

Vassallo Ernesto (voti 46.922)

Cascino Calogero

Aldisio Salvatore.

Partito Socialista Ufficiale

Costa Mariano

Cigna Salvatore Domenico.

Le elezioni del 6 aprile del 1924 si svolsero - come noto - con un listone nazionale cui andava il premio di maggioranza in base alla legge Acerbo. Per la Sicilia, tale premio si risolse invece in un danno, facendo perdere alla lista nazionale d’ispirazione fascista due deputati. Annota il Renda  ([1]): «Il risultato elettorale, nella sua essenza, fu il risultato di un ampio e indiscutibile consenso politico. Il previsto premio di maggioranza si risolse in danno anziché in vantaggio del listone. In base ai voti ottenuti, infatti, i deputati eletti avrebbero dovuto essere 40, cioè due in più dei 2/3 (38) consentiti dalla legge. Non era dunque retorico parlare di trionfo.»

Elezioni del 16 aprile 1924

Venivano eletti nel

Partito della Democrazia Sociale

Colonna di Cesaro’ Giovanni (voti  25.307);

Guarino Amella Giovanni (voti 9.455);

Lo Monte Giovanni (voti 12.537);

Fulci Luigi (voti 7.779);

Restivo Empedocle.

(Non veniva eletto Giulio Bonfiglio: voti 5.715).

Partito dell’Opposizione Democratica

La Loggia Enrico (voti 5.259).

Partito Comunista

Lo Sardo Francesco (voti 5.057).

Partito Socialista Massimalista

Vella Arturo (voti 2.581)

   Il listone nazionale ebbe, come si è detto, il pieno: i deputati che in qualche modo avessero attinenza con Agrigento furono:

Lista Nazionale (n.° 21)

Cucco Alfredo (voti 52.973)

Abisso Angelo (voti 32.184)

Pasqualino Vassallo Rosario (voti 22.348)

Vassallo Ernesto (voti 21.017)

Palmisano Paolo (voti 18.408)

Riolo Salvatore (voti 21.017)

Gangitano Luigi (voti 5.718).

In quella tornata elettorale i trombati di lusso della provincia di Agrigento furono: Giulio BONFIGLIO (voti 5.715) della Democrazia Sociale del duca di Cesarò e Cesare Sessa (voti 3.004 del Partito Comunista). Riesce a farsi, invece eleggere, sia pure con pochi voti, il Gangitano, una figura di ex conbattente e quindi di fascista di vecchia data (lo troviamo attivo a Racalmuto nel lontano 1919).

1)Alterius clusae cum terris scapulis cum vineis, arboribus et alijs exstentis in dicto pheudo Racalmuti et in contrata nominata di Bovo seu Montagna confinantis ex una parte cum vineis et terris ditti de Signorino, cum clusa noatarij Francisci de Puma et cum clusa don Antonini Bartholotta, nec non cuiusdam vineae cum terris scapulis exstentis in dicto pheudo Racalmuti et in contrata nominata della Fontana della Fico confinantis cum vineis quondam Antonini Vassallo, cum vineis Isidori Lauricella Erarij et cum vineis Pauli Bucculeri alias Gialì, indebité  possessarum per dictum Sacerdotem don Petrum Casucci.

 

 

Notai:  Alaimo Michelangelo - Gaglio Ferdinando - Vassallo Giuseppe Antonio.

 

 

Noi restiamo convinti che quella tremenda missiva sia stata concepita dal gesuita ed il fatto che si sia nascosto dietro le brume della firma ambigua non depone a favore del primo dei due gesuiti di casa Nalbone. Quella lettera ci torna comunque a fagiolo perché ci dà una testimonianza preziosissima sugli sviluppi del circolo unione. Siamo nel 1875; infuria lo scontro tra il clan del giovane barone Luigi Tulumello e quello, saldissimo, dei Matrona. I Matrona sono davvero arroganti, sperperatori del pubblico denaro delle casse comunali per faraoniche opere pubbliche, vessatori e tassaioli, mafiosi e massonicamente  corazzati. Si beffano di tutti gli avversari: professori e preti, gesuiti e notabili avversari. Sia chiaro: il Nalbone anche allora era espressione di un casato racalmutese potente. Quello che certi denigratori dell’attuali circolo unione vanno dicendo è falso. Con il sacerdote Benedetto Nalbone (1709-1793) un ramo di quella famiglia risalente agli albori anagrafici della nostra Racalmuto del 1554 aveva fatto un salto sociale cospicuo, inarrestabile. Il prete (figlio di Giuseppe - 1671-1736 - e di Anna Maria Vassallo e nipote di tal Benedetto) aveva raggiunto una cospicua posizione economica, consentendo al fratello Giovanni Vito (1710-1755) di sposare una Baeri,

 

[Archivio Centrale dello Stato - Roma - Ministero Interno - Pubblica Sicurezza (P.S.) - Busta 80 sf. C 1]

Archivio Centrale dello Stato - Roma - Ministero Interno - Pubblica Sicurezza (P.S.)  1925 - Busta 80 sf. C 1]

Espresso del 30 luglio 1925.

«il 15 andante circa 120 operai della miniera di zolfo Terrana di racalmuto e Grotte si astennero dal lavoro pretendendo l'aumento del salario in seguito dell'avvenuto aumento del prezzo dello zolfo. Alle ore 9,30 dello stesso giorno operai predetti recaronsi quello scalo ferroviario assistere passaggio On. Farinacci, che fermatosi pochi minuti promise suo intervento favore operai stessi. Però giorno 20 successivo tutti zolfatai bacino minerario Racalmuto e Grotte, segno solidarietà e per analogo scopo si astennero pure lavoro. Di seguito laboriose trattative .... fu raggiunto accordo sulla base  ... dell'aumento del 10 % sui salari attuali a decorrere dal 1° Agosto p.v. ..»

Testo accordo:

«L'anno 1925 addì 28 luglio nell'Ufficio di P.S. di racalmuto alle ore 12.

 «Sono presenti i sigg: Comm. Angelo Nalbone esercente miniera Cozzotondo, Cav. Rosario Falzone esercente miniera Giona G. e P. Galleria, Mattina Salvatore di Gaetano in rappresentanza degli esercenti della miniera Giona-Salinella N.°3-6; il cav. Baldassare Terrana esercente della miniera Dammuso, il Cav. Vassallo Ernesto esercente miniera Quattrofinaiti  Vassallo, il sig. Ricottone Giuseppe fu Giuseppe in rappresentanza  per la  sua parte della miniera Gubellina  ... e dall'altra parte il sig. Lo Sardo Giuseppe fu Nicolònella qualità di presidente del locale Sindacato Fascista Zolfatai, Piazza Salvatore di Salvatore nella qualità di Vice Presidente, il sig. La Mastra Giuseppe di Nicolò nella qualità di Segretario, i sigg. Guastella Vincenzo fu Antonino, Taibi Salvatore fu Giovanni, Mattina Giuseppe di Nicolò, Bartolotta Michelangelo fu Raffaele, Arturo Gioacchino fu Gioacchino nella qualità di consiglieri di detto Sindacato, i quali per non prolungare uno stato di cose nocivo ai reciproci interessi e anche alla Economia Nazionale sono di pieno accordo addivenenti mercè l'opera del locale funzionario di P.S. con l'ausilio dell'Avv. Burruano Salvatore membro del Direttorio Provinciale fascista alle seguenti convenzioni da avere vigore in tutte le forme di legge a datare dal 1° Agosto 1925.

«Gli esercenti tenuto conto presente l'ultimo listino del Consorzio zolfifero siciliano n. 118 ove è segnato un aumento del prezzo di vendita in ragione di L. 5 a quintale, concedono alle maestranze, che accettano, un aumento del 10% sul prezzo base pagato sin oggi.

«Tale aumento unito ai precedenti aumenti dell'8 e del 6 per centosommano un totale del 24% sul prezzo base.

 

 

«[.......]

«I rappresentanti delle maestranze si impegnano a fare riprendere il lavoro a cominciare da domani 29 andante.»

 

 

Archivio Centrale dello Stato - Roma - Ministero Interno - Pubblica Sicurezza (P.S.)  1932 - Busta 41 sf. C 1]

 

 

30.6.1932

«29 corrente Racalmuto - Nalbone Luigi proprietario esercente miniera Cozzotondo - per nota crisi industria zolfifera - ha sospeso estrazione minerale lasciando disoccupati 74 operai Racalmuto - Comandante Tenenza Ten. Lo Monaco.»

 

 

A.S. AGR. 4 - 226 - 1848 1849 (O.C. PAG. 217)  "5 APRILE DEL 1848 GIUSEPPE CASTIGLIONE AVANZA RICHIESTA DI PENSIONE PER LA SCHIOPPETTATA DEI VASSALLO"

 

 

 



[1]) Francesco Renda - Storia della Sicilia - dal 1860 al 1970 - Vol. II - Sellerio Editore Palermo, 1985, pag. 372.