Racalmuto, miliardi e milioni di anni addietro
Se l’età della terra vanta un’età di cinque miliardi di
anni, ne dovette trascorrere di tempo prima di arrivare in piena epoca
miocenica (circa venti milioni di anni or sono) allorché un fenomeno
rimarchevole ebbe a verificarsi in territorio racalmutese: nembi e nembi di
moscerini annebbiarono le plaghe allora affioranti a Racalmuto e quando vi
morirono lasciarono scie solfifere, poi coperte man mano di sale, gesso, trubi
e quindi di humus. A noi va di rappresentare così l’ipotesi scientifica che
Pratesi e Tassi [1]
volgarizzano in questi termini: «la terra delle miniere di zolfo, le celebri
zolfare inscindibili dalla storia della Sicilia perché teatro di tragedie umane
legate al triste fenomeno della schiavitù dei carusi … riveste ancora un notevole interesse naturalistico, per
chi voglia comprendere la storia della formazione di queste singolari montagne
erose, incise, deforestate, che hanno l’aspetto caratteristico di certe regioni
interne mediterranee, dalla Castiglia all’Anatolia. La cosiddetta serie
gessoso-solfifera, intercalata da depositi di salgemma che sono tra i rarissimi
d’Italia, non è che una formazione miocenica comprendente antichissimi tripoli
in basso e poi calcari di base e calcari solfiferi, per giungere infine ai
gessi superficiali e quindi più recenti. Oggi si è inclini a ritenere che
questa formazione abbia avuto origine dalle grandi lagune terziarie
progressivamente evaporate, con un processo di sedimentazione che avrebbe avuto
per protagonisti non solo i principii della fisica e della chimica, ma
addirittura uno straordinario microscopico batterio, il Desulfovibrio desulfuricans, capace di nutrirsi di petrolio greggio
e di rubare ossigeno al solfato di calcio dando luogo a idrogeno solforato che,
attraverso una normale ossidazione, avrebbe partorito lo zolfo nativo.»
Quanto al sale racalmutese, ci pare illuminante
quest’altro passo dei due citati autori[2]:
«le rocce che costituiscono queste zone sono essenzialmente due: le argille
gessose e sabbiose, spesso salate con grandi ammassi di salgemma, che includono
qua e là banchi di rocce più tenaci, e le rocce gessoso-solfifere vere e
proprie. L’origine di questi minerali è da ricercarsi nei parossismi orogenici
del Miocene, in cui, con il formarsi finale delle Alpi e degli Appennini, seguì
un sollevamento generale del suolo che portò alla formazione di estesissime
lagune salate la cui lenta evaporazione originò un complesso di depositi di
sale, gesso, ed altre sostanze.»
Il processo geologico si evolve con la formazione di
strati silicei. Sempre secondo il Pratesi e il Tassi: «tra i due strati di
rocce (sopra quelle gessoso-solfifere, sotto le argille gessose e sabbiose) sta
un sottile strato di materia silicea nota con il nome di tripoli o farina
fossile, composta specialmente da scheletri di microrganismi acquatici quali
radiolari e diatomee.»
Anche per l’Altipiano di Racalmuto può affermarsi con i
due autori che «la formazione gessoso solfifera è abbondantemente ricoperta da
depositi marini più recenti, del Pliocene. Una crosta, alta parecchi metri, di rocce calcaree, in genere tufi
composti da un impasto di gusci e di conchiglie che proteggono i più molli
terreni sottostanti. Si formano così come delle zattere di roccia calcarea galleggianti sulle formazioni
gessoso-solfifere. […] Quando la crosta calcarea viene però ad essere corrosa
tanto da permettere alle acque di sciogliere il gesso sottostante, si ha la
formazione di cavità carsiche dette zubbi
o addirittura grandi avvallamenti …»
Cerchiamo
di raccapezzarci un po’ meglio: nel succedersi degli sconvolgimenti geologici,
il territorio di Racalmuto raggiunge l’attuale sua conformazione nelle fasi
finali dell’era terziaria, cioè in tempi piuttosto recenti. Concetto in ogni
caso relativo, visto che bisogna andare a ritroso nel tempo per almeno cinque
milioni di anni. Non va dimenticata la ricorrente teoria scientifica secondo la
quale l’intera Sicilia sarebbe terra “geologicamente recente”([3]). Ed anche
qui trattasi di risalire, nella notte dei tempi, per un centinaio di milioni di
anni prima di datare la fase iniziale del complesso fenomeno formativo
dell’isola. In un primo momento,
“formazioni calcaree mesozoiche, e cioè dell’èra dalle forme intermedie
di vita, o èra secondaria” ebbero ad abbozzare un cosiddetto “scheletro” tra
Trapani, Palermo e Messina con un isolato nucleo avente l’epicentro a Ragusa.
In una seconda fase, si formò una sorta di tessuto connettivo per il
progressivo emergere di terre durante la regressione pliocenica. Infine, in
epoca quaternaria, affiorarono le terre marine.
Secondo una
cartina della distribuzione dei terreni pliocenici e quaternari in Sicilia
dovuta al Trevisan [4] Racalmuto
si modella con le forme che oggi ci sono familiari sul finire del periodo
intermedio e cioè durante la transizione dal terziario al quaternario, in pieno
Pliocene. Studi sulla geologia di Racalmuto sono stati fatti da A. Diana
(1968). Geologi locali (vedasi fra gli altri Luigi Romano) hanno di recente
dato i loro apporti. Nella sua tesi laurea il Romano, avvalendosi dei dati
sperimentali desunti dalla trivellazione di una quarantina di pozzi, distingue
quattro strati nel sottosuolo racalmutese.
«Cronologicamente - ci ragguaglia l’A [5] - i terreni che compaiono nella zona
studiata, vengono raggruppati come segue:
1) complesso argilloso caotico di base, di età
pre-tortoniana;
2) formazione Terravecchia del Tortoniano, costituita
da sabbie, conglomerati e argille;
3) serie
Gessoso-Solfifera, complesso rigido costituito da vari elementi del Saheliano
e Messinese.
4) una
formazione di copertura di età Pliocenica inferiore, costituita da marne e
calcari marnosi (Trubi).
Completano
la geologia della zona una copertura detritica alluvionale.»
Trivellando la zona del Serrone per una quarantina di metri abbiamo dunque una stratigrafica sovrapposizione geologica, a conferma delle varie ipotesi degli studiosi prima sommariamente chiamati in causa.
RACALMUTO PREISTORICO -
ZOLFO, GRANO E SALE
Racalmuto
sorge, si popola e si accresce per due grandi vocazioni economiche:
l'agricoltura e le risorse minerarie. Già nella preistoria sembra che siano
presenti due flussi migratori diversi: uno a sfondo agricolo che da Licata tocca le falde del versante
sud del Serrone e l'altro, in cerca del sale, contiguo agli insediamenti
che dalla Rocca di Cocalo si espandono verso Milena, Bompensiere, Montedoro.
L'immigrazione
agricola di popoli che vengono fatti risalire al XVIII secolo a.C. venne
documentata durante i lavori della ferrovia nel 1879. [6] I pochi reperti fittili finirono dispersi nei
sotterranei di un qualche museo siciliano ed attualmente risultano
irreperibili. Le tombe a forno dei pressi della stazione
ferroviaria di Castrofilippo sono del tutto sparite,
smantellate dalle successive cave di pietra.
L'altro
insediamento è quello che l'ingenuità delle cartoline illustrate locali
definisce 'tombe sicane', site attorno alla grotta
di Fra Diego. In mancanza di ufficiali campagne di scavi - che le
competenti autorità continuano a denegare, anche se la patria di Sciascia le imporrebbe - dobbiamo
accontentarci delle intuizioni dilettantesche e delle tante segnalazioni che
dal '700 in poi si rincorrono. Il cospicuo numero di tombe a forno dimostra l'esistenza di
gruppi estesi, dediti ai culti mortuari dell'inumazione in forma fetale, con i
cadaveri forse spolpati a bagnomaria e forse legati per la paura di una
vendicatrice resurrezione che i nostri antenati pare nutrissero. [7]
Quei
cosiddetti antichi Sicani, installandosi attorno alla
grotta di Fra Diego, avranno trovato il salgemma delle vicinanze e
fors'anche lo zolfo per la continuità del fuoco. Risale alla tarda età
romana lo strambo passo di Solino che il Tinebra Martorana riferisce - a nostro avviso
fondatamente - al territorio di Racalmuto. Ma rispecchia, di certo, una
tradizione millenaria. Solino scrive che il sale agrigentino, se lo metti sul
fuoco, si dissolve bruciando; con esso
si effigiano uomini e dei (C.I. Solinus, 5\ 18;19). Ancora nel '700 il viaggiatore inglese Brydone andava alla ricerca di quei
fenomeni. Sommessamente pensiamo che v'è solo confusione tra sale e zolfo, entrambi
già conosciuti dai nostri preistorici antenati. Con lo zolfo si foggiavano
statuette del tipo dei 'pupi', dei 'cani', delle 'sarde' di 'surfaro' che ai
tempi della mia infanzia circolavano ancora.
Sale, zolfo e gesso Racalmuto li avrebbe,
dunque, ereditati dagli sconvolgimenti del Miocene. Inquieta alquanto l'idea
che le ricchezze della rampante borghesia ottocentesca di Racalmuto si debbano
a quel geologico vibrione. Ma le viscere della terra non furono solo fecondate
di zolfo dal singolare microrganismo miocenico: inghiottirono anche l’antomoniu
e cioè il grisou il venefico
idrocarburo che incendiandosi produce morte per incenerimento dei polmoni dei
malcapitati minatori che avessero a respirarlo. Sciascia vi scrisse un mirabile
racconto: L’Antomonio, appunto. Così
lo chiosa in premessa: «gli zolfatari del mio paese chiamano antimonio il grisou. Tra gli zolfatari, è leggenda che il nome provenga da antimonaco: ché anticamente lo
lavoravano i monaci e, incautamente maneggiandolo, ne morivano. Si aggiunga che
l'antimonio entra nella composizione della polvere da sparo e dei caratteri
tipografici e, in antico, in quella dei cosmetici. Per me suggestive ragioni,
queste, ad intitolare L’antimonio il
racconto.» Noi, quelle ragioni sciasciane, stentiamo ad individuarle. Ne
abbiamo, però, delle nostre. Una mia nonna raccontava del suo primo marito
finito, dopo poche settimane dalle nozze, morto per antimonio dietro un muro
prontamente eretto per impedire che il grisou
si espandesse da una “galleria” all’altra: tanto si sapeva che per i poveretti
investiti nelle viscere della miniera non c’era più scampo. Si procedeva, così,
a salvaguardare gli altri cunicoli solfiferi.
Apparentemente ancora integri, quei minatori scapparono dal profondo
della miniera, ma giunti all’uscita la trovarono murata. Ira, terrore,
sgomento, disperazione, preghiere supplichevoli, bestemmie imprecazioni ..
furono scene davvero apocalittiche che si possono soltanto sospettare, intuire,
immaginare. Poi, la morte inesorabile, senza più respiro per i polmoni inceneriti. Ancor oggi, per tanti di
noi racalmutesi, la zolfara – per dirla con Sciascia – equivale all’«uomo
sfruttato come bestia e [al] fuoco della morte in agguato a dilagare da uno
squarcio, l’uomo con la sua bestemmia e il suo odio, la speranza gracile come i bianchi germogli di grano il venerdì
santo dentro la bestemmia e l’odio.» [8]
Per un secolo e mezzo
il vibrione solforoso produrrà a Racalmuto “povertà vile” [9]
per tanti zolfatai e flebile benessere per taluni “coltivatori” di “pirrere”.
Preistoria
racalmutese
LA CIVILTA’
SICANA RACALMUTESE A CONFRONTO CON MILENA
a) – le ricchezze archeologiche di Milacca
ed il ritardo racalmutese
Vincenzo La
Rosa dell’università di Catania ha potuto scandagliare dal 4 dicembre 1977 il
territorio di Milena alla ricerca delle antiche civiltà ivi succedutesi. Il
volume Dalle capanne alle “Robbe” ne
attestano i felici risultati. Là, i diversi sovraintendenti (specie
agrigentini) sono stati prodighi di autorizzazioni ed aiuti. Nella contermine
area racalmutese, ciò è impensabile. L’attenzione è tutta protesa alla Valle
dei Templi. Quanto è greco o post greco ha senso; il resto solo se ha attinenza
al mito minoico del re Cocalo. Al
momento, Racalmuto può solo usufruire del riverbero delle risultanze pre e
proto storiche che gli scavi e gli studi della contermine Milena sfornano a
ritmo davvero sostenuto.
E se lì
sono ormai assodate «le presenze di tipo egeo e, più in generale, .. le culture
sicane della media e tarda età del Bronzo» [10] restiamo
autorizzati a pensare altrettanto per Racalmuto, specie in territorio di Fra
Diego.
b) Le affinità geomorfologiche.
Gli studi
sul sistema geomorfologico di Salvatore Maria Saia [11] si
attagliano ovviamente, anche, al limitrofo territorio di Racalmuto. Certo non
in modo pedissequo: ad esempio, l’affluente del Platani, Gallo d’Oro, nasce
dalle falde del Castelluccio e zigzagando per il versante Est di Vallanuova
s’immette in pieno territorio di Montedoro, ma non può affermarsi per il tratto
racalmutese quello che il Saia afferma per Milena e cioè che il corso d’acqua
in questione abbia «assunto un ruolo principale nell’azione morfologica di
“modifica” territoriale e nel quale si congiungono quasi tutte le aste del
reticolo idrografico di questo ambito territoriale.» Comunque fenomeni analoghi
vi sono nelle lande racalmutesi, sia pure collegati ad altri corsi d’acqua.
In pieno
invece attengono a Racalmuto queste altre considerazioni del Saia: «I termini
stratigrafici risultanti dall’esame
superficiale e raffrontati alla letteratura geologica vengono descritti come
appartenenti alla cosiddetta “Serie Solfifera”, cioè ad una “successione di
sedimenti prevalentemente evaporitici, compresi tra le argille del Tortoniano
superiore e la formazione dei «trubi» del Pliocene basale, depositatisi in
corrispondenza ad una crisi di salinità interessante l’area mediterranea” (Decima & Werzel, 1971» [12] Aggirate
le difficoltà della terminologia scientifica, il succo del discorso conferma,
specie per i riferimenti cronologici, quello che ci siamo sforzati di
rappresentare sopra sull’evoluzione geologica dell’altipiano racalmutese. Ci
troviamo quindi di fronte «ad una successione continua costituita
schematicamente dalle seguenti unità dal basso verso l’alto, in successione più
o meno continua sulle argille basali: 1 - Tripoli; 2 – Calcare; 3 Gessi e
gessareniti con lenti di sale; 4 – Trubi con l’elemento basale
dell’Arenazzolo.» In definitiva – esulando da questo lavoro approfondimenti
scientifici dell’assetto geomorfologico racalmutese – possiamo agganciarci alle
recentissime conclusioni di quanti ritengono «il territorio [che ci occupa]
tipico della zona centrale della Sicilia [con] elementi di uniformità geologica
a quella fascia centro meridionale dell’Isola.» In altri termini, «è un
territorio che ha avuto una “storia” geologica relativamente recente se
raffrontata al susseguirsi delle ere geologiche, ma la caratterizzazione in
termini litologici plastici o comunque riconducibili a forme non proprio
consistenti o resistenti all’erosione ne ha determinato un paesaggio
geomorfologico piuttosto “appiattito” che ha consentito facili ed agevoli
insediamenti umani.»
c) Lo zolfo
Dalle
ricerche su Milena estrapoliamo, poi, queste annotazioni, sempre del Saia,
sulle “mineralizzazioni” che investono appieno la nostra ampia vallata a nord
del Castelluccio: «La serie Gessoso-Solfefera presenta le mineralizzazioni
classiche che la caratterizzano e che sono costituite principalmente dallo
zolfo, da salgemma e da vari tipi di sali a composizione potassica o sodica..»
«Il minerale, di genesi sedimentaria, è associato a gesso, anidride e talora
salgemma, la cui origine non è ancora del tutto certa, ma sembra che si
verifichi per “riduzione dei solfati (ad es. CaCO4), con formazione
intermedia di solfuri e successiva ossidazione di questi ultimi da parte di acque ricche di CO2,
che depositano contemporaneamente CaCO4 secondario. L’azione
riducente dei solfati è svolta essenzialmente da microrganismi di tipo
anaerobico. D’altra parte diversi organismi quali i solfo-batteri, possono
precipitare direttamente lo zolfo da acque contenenti H2S, che può a
sua volta derivare da esalazioni termali o dalla putrefazione di sostanze organiche.” (Carobbi, 1971) [13] La
riduzione di solfati (come il gesso) per opera dei solfo-batteri (Spirillum desulfuricum Bayer e Microspina aestuari v. Deden) con
produzione di H2S, e la consequenziale soluzione in acqua potrebbe
spiegare, altresì, la differenza diffusa di acque solfuree [14],
considerato che il fenomeno non può attribuirsi a fenomeni di origine
vulcanica.»
Qui, si
esplica, in termini altamente scientifici, quello che noi alquanto
fantasiosamente abbiamo cercato di rappresentare a proposito del vibrione
“desulfuricante”, reo di ottocenteschi sfruttamenti di poveri zolfatari e di
obbrobri sociali avverso gli imberbi “carusi”.
d) Il
salgemma.
Ma passiamo
al sale. «La presenza del sale – aggiunge il Saia, op. cit. p. 25 – è stata
dimostrata, nel tempo, dagli affioramenti spontanei dovuti a falde acquifere
sotterranee che, dopo aver disciolto il minerale, sgorgano in superficie ove,
sottoposte a rapida evaporazione per esposizione alle mutate condizioni di
temperatura e pressione, precipita il sale, lasciando intravedere le chiazze
bianche anche a notevole distanza. Le ricerche minerarie hanno dimostrato
l’esistenza di grossi giacimenti salini che si presentano discontinui perché
sottoposti ad intensa attività “tettonica comprensiva con pieghe diapiriche
anche strette per cui lo spessore apparente può, alle volte, raggiungere e
superare i 1000 metri” (Decima & Wezel, 1971) ed esposti a rapide
dissoluzioni. Oltre alle mineralizzazioni di sali sodici se ne riscontrano
anche potassici [oscenamente deturpanti le miniere di Gargilata, a ridosso del Cozzo
Don Filippo]e magnesiaci.»
e) Il gesso.
Ed ora
prendiamo a prestito dal geologo alcune notazioni scientifiche sul gesso. «La
presenza dei gessi – conclude sempre il Saia, op. cit. p. 25 – soprattutto di
quelli nella forma selenitica (cristalli cosiddetti a “ferro di lancia” o “coda
di rondine”) per la facile lavorabilità ha probabilmente favorito gli
insediamenti [sicani], anche al fine di pratiche o di culti come ad esempio
quello dei morti con relative opere tombali inserite nelle pareti di gesso.»
Racalmuto
conferma appieno tale tesi. Necropoli sicane monumentali sono, ictu oculi, quelle di fra Diego; ma
diffuse sono quelle meno appariscenti, talora persino solitarie, che
contrassegnano l’intero territorio. Si pensi che persino a fondo valle, vicino Pian di Botte, si rinvengono in
soggiogante solitudine tombe sicane, scavate nelle pietre gessose. Appena
disponibili massi capienti, gli antenati sicani di Racalmuto andavano a
scavarvi i “forni” tombali, a testimonianza del loro culto dei morti, della loro
irriducibile fede nell’oltretomba.
A
Racalmuto, come a Milena, però «gli insediamenti antropici hanno ancor più
modificato il paesaggio attraverso la denudazione dei suoli per uso agricolo
senza tenere conto che la presanza di argille avrebbe, come di fatto è
avvenuto, portato all’accentuazione dell’erosione rendendo di fatto gli stessi
suoli in parte inutilizzabili e pericolasamente instabili. Le argille, per la
loro impermeabilità, hanno favorito la corrivazione delle acque superficiali
che vengono accumulate nei fondovalle dando origine, il più delle volte, a
piene notevoli e devastanti con l’intensificarsi delle precipitazioni.»
f) Le grotte ed il fenomeno carsico.
Il fenomeno
carsico, adeguatamente indagato in territorio di Milena, è naturalmente presente
anche a Racalmuto: qui, finora è stata ispezionata la sola grotta di fra Diego
con risultati non del tutto soddisfacenti. Mutuiamo quindi dalle risultanze del
club alpino che da tempo indaga sui fenomeni carsici di Milena. Marcello
Panzica La Manna [15] ci
fornisce questi ragguagli, utilizzabili, secondo noi anche per Racalmuto,
almeno sino a quando non vi saranno spedizioni speleologiche adeguate.
«Rilevanti risultano gli affioramenti di
rocce evaporitiche di età messiniana
(Miocene superiore)[e quindi il territorio] è caratterizzato dalla presenza di
estese fenomenologie carsiche sia superficiali che sotterranee. Il fenomeno
carsico sui gessi (più propriamente “paracarsico” secondo l’accezione di Cigna,
1983), a causa dell’elevatissima solubilità di tale roccia ad opera delle acque
meteoriche, si sviluppa con formeestremamente più marcate e ad evoluzione più
rapida rispetto a quelle dell’analogo e più conosciuto fenomeno che si sviluppa
nelle rocce calcaree (carsismo classico). […] Sono riscontrabili due differenti
tipologie di grotte definibili, secondo la classificazione di Cigna (1983, op.
cit.), 1) cavità pseudocarsiche; 2) cavità paracarsiche.»
«Le cavità pseudocarsiche sono quel tipo di
grotte denominate “tettoniche”, legate cioè alle discontinuità meccaniche delle
masse rocciose che costituiscono i vani sotterranei. La genesi di tali grotte è
da imputare in parte alla fratturazione della roccia, prodottasi a causa dei
movimenti tettonici che hanno interessato l’area, in parte a fenomeni di tipo gravitativo
che hanno disarticolato gli affioramenti gessosi in blocchi di varia
dimensione.»
«Le cavità paracarsiche sono quelle che si
originano per l’azione di solubilizzazione della roccia gessosa ad opera delle
acque di precitazione meteorica. Il gesso presenta una solvibilità in acqua
molto elevata (dell’ordine di 2,5 g/l) che se messa in relazione con la
quantità di pioggia ed i tempi di esposizione della roccia agli agenti
atmosferici, giustifica la formazione degli imponenti reticoli di ambienti e gallerie
presenti nel sottosuolo. Le cavità riconducibili a tale tipologia sono
strettamente e funzionalmente legate alle morfologie carsiche di superficie;
esse infatti rappresentano la prosecuzione, nel sottosuolo, del reticolo
idrogeografico epigeo. Nella maggior parte dei casi le acque di pioggia vengono
incanalate all’interno delle depressioni, che dopo percorsi più o meno lunghi
le convogliano verso punti di assorbimento localmente denominati “zubbi” o
“inghiottitoi” nella terminologia idrogeologica. All’interno le grotte mostrano
chiaramente i segni dell’escavazione delle acque incanalate ed è possibile
riconoscere le varie fasi della loro evoluzione, dal momento in cui erano
completamente invase dal flusso idrico fino a quando lo stesso ha iniziato a
decrescere, abbandonando completamente, in certi casi, le cavità medesime.
Quasi sempre agli inghiottitoi sono associate delle cavità (“risorgenze”) che
costituiscono il punto di ritorno a giorno delle acque sotterranee.» (op. cit.
p. 28)
E qui
abbandoniamo le citazioni erudite idrografiche [16], che non
sono certo pane per i nostri denti. In tempo comunque per lamentare l’assoluta
indifferenza delle autorità locali per un siffatto patrimonio ipogeo, di cui
manca persino uno straccio di inventario.
Grotte pseudocarsiche
abbondano in ogni dove a Racalmuto. Anzi, lo stesso paese all’origine fu patria
di coloni cavernicoli (noi pensiamo attorno al 1240, dopo la cacciata dei
saraceni da parte di Federico II): a ridosso del Calvario e del Carmine, sotto via Roma, nei pressi della Madonna
della Rocca, abbondavano gli anfratti gessosi, ove fu agevole trovare dimora,
se non confortevole, almeno riparata. Una selvaggia superfetazione edilizia ha
inglobato e fatto sparire la prisca realtà abitativa racalmutese. Ancora nel
1608, là era sede di rimarchevole opificio la grotta di Pannella. Citiamo da una visita pastorale del vescovo
Bonincontro [17]:
Et parimente la Parocchia della Nunciata incomincia
del medesimo Convento del Carmino e tira a drittura alla grutta di Pannella[sottolineatura
ns.]restando d.a grutta nella d.a
parocchia della Nunziata
In un atto del 1596, quale si rinviene nel Rollo di Santa
Maria di Gesù conservato in Matrice [18],
abbiamo la testimonianza di una più antica utilizzazione di una grotta in pieno
centro, cioè a dire nei pressi del Monte:
Die nono
mensis Januarii x^ ind. 1596.
Item in et super sex corporibus domorum sursum et
deorsum cum eius antro [corsivo, ns,]
simul contiguis et collateralibus confinantibus cum domibus heredum quondam
Vincentij la Mendola alias lo Vecchio et in quarterio Montis seu della
Santicella …..
Le campagne
erano (e sono), peraltro, cosparse di grotte pseudocarsiche, provvidenziali per i palmenti. I vari Rolli della Matrice ne riportano
diversi estremi negli atti notarili a partire dal XVI secolo. Ne citiamo un
esempio [19]:
Die nono mensis Januarii x^
ind. 1596.
Item ditta donatrix pro Deo et eius anima titulo
donationis predictae inrevocabilis inter vivos ut supra per eos et
successoreres donavit et donat Antonino et Cataldo Morriale fratribus eius
nepotibus terrae Racalmuti absentibus ..
pro eis et eorum heredibus et
successoribus in perpetuum stipulante et sollemniter recipiente vineam nuncupatam
di lo Piro cum eius domo antro [corsivo, ns.] torculare clausura et aliis in
aea existentibus sitam et positam in pheudo Nucis secus vias publicas per quas
itur versus civitatem Agrigenti ……
Quanto alle
grotte paracarsiche, il fenomeno più
appariscente si verifica in contrada S. Anna, ed in particolare all’apice del
Pizzo di Blasco: sinora latita ogni interesse scientifico e quindi nulla siamo
in grado di annotare. Solo forse è da tener presente che là, in un classico zubbio, si è conformato un profondo
bacino ove - per clima particolare, per sedimentazioni acquitrinose e per
protezione termica - c’è una lussureggiante flora, inaccessibile anche per i
cacciatori, che andrebbe adeguatamente classificata e studiata.
g) La flora e questioni botaniche.
Racalmuto
ha per il momento la fortuna di venire, sotto il profilo floro-faunistico –
indagato e fotografato dall’appassionato e competentissimo dott. Giovanni
Salvo, che sta davvero colmando, almeno qui, lacune secolari. Gli si dovrà
tanta gratitudine per le sue pubblicazioni, corredate da splendide fotografie,
sui lineamenti floristici e vegetazionali del territorio di Racalmuto.
Il nostro
territorio – amcor più di quello di Milena – è «fortemente antropizzato e ricco
in specie annuali, nitrofile, mentre esempi di vegetazione naturale si
rinvengono nelle zone impervie e nei calanchi in quanto non adatte all’impianto
di culture.» [20] Si può
affermare che vi attecchiscano oltre 400 entità floristiche che vivono allo
stato spontaneo. La maggior parte di esse è annuale (terofite), le altre sono
erbe perenni o perennanti (emicriptofite e geofite) o arbusti ed alberi
(camefite e fanerofite). Da segnalare: la biscutella
lyrata (Cruciferae), il lathyrus
odoratus L. (Leguminosae), l’Ononis
oligophilla (Leguminosae); la Pimpinella
anisoides (Umbelliferae); il Tragopogon
porrifolius L. subsp. cupani (Guss.) Pigna; la Crepis vesicaria L. subsp. hyemalis ( Biv.) Babc. (Compositae). Ed
inoltre: l’ Erysimum metlesicsii Polatschek
(Cruciferae), l’ Astragalus huetii
Bunge (Leguminosae), la Lavatera
agrigentina Tineo (Malvacee).
Gli studi
sulla confinante Milena hanno portato al seguente censimento della vegetazione
(estensibile ovviamente anche a Racalmuto):
1)
Vegetazione degli ambienti rupestri con queste
presenze: Diplotaxis crassifolia
(Rafin.) DC., Erysimum metlesicsii
Po., Silene fruticosa L., Athamanta sicula L., Sedum dasyphyllum L. Cheilanthes fragrans (L.) Swartz;
2)
Garipa a Thymus
capitatus (L.) Hoffm. et Link con queste presenze: Thymus capitatus, Cistus
Creticus L., Teucrium flavum L., Teucrium fruticans;
3)
Prateria steppica ad Ampelodesmus mauratinicus (Poiret) Dur. et Sch.., con queste
presenze: Ampelodesmos mauritanicus, Anthyllis maura G. Beck, Psoralea
bituminosa L., Kundumannia sicula
(L.) DC, Festuca coerulescens Desf., Hyoseris radiata L., Dactylis hispanica Roth, Brachypodium distachyum (L.) Beauv., Hypochoeris achyrophorus L., Reichardia picroides (L.) Roth, Coronilla
scorpioides Koch, Scorpiurus
muricatus L., Asperula scabra
Presl., Hedysarum spinosissimum L., Urginea maritima (L.) Baker, Convolvulus atltheoides L., Anemone hortensis L., Asparagus acutifolius L., Rubia peregrina L., Dafne gnidium L., Cistus
creticus L.;
4)
Prateria steppica a Lygeum spartum L., con queste presenze: Lygeum spartum L., Catananche
lutea L., Scabiosa dichotoma
Ucria, Daucus aureus Desf., Eringyum dichotomum Desf., Lavatera agrigentina Tin., Ononis oligophylla Te., Aster sorrentinii (Tod.) Lojac.;
5)
Vegetazione ad Arundo
pliniana Turra, con queste presenze: Arundo
pliniana, Cirsium scabrum
(Poiret) Dur. et Barr;
6)
Vegetazione nitrofila e subnitrofila, con queste presenze:
. (durante il periodo estivo-autunnale)
Kickxia spuria (L.) Dum. Ssp. Intergrifolia
(Brot.) Fern., Chrozophora tinctoria
(L.) A. Juss., Euphorbia chamaesyce
L., Picris echioides L., Diplotaxis erucoides (L.) DC., Heliotropium europaeum L.,
Sonchus oleraceus L., Chenopodium
opulifolium Schrader, Chenopodium
vulvaria L., Ecballium elaterium
(L.) A. Richard, Solanum nigrum L., Aster squanatus Hieron, Cynodon dactylon (L.) Pers., Polygonum aviculare L., Colvolvulus arvenis L., Delphinium alteratum Sibch. Et Sm., Conyza bonariensis (L.) Con., Ammi visnaga (L.) Lam; (durante quello
invernale primaverile) Calendula arvenis
L. Galactites tomentosa Moene, Centaurea Schouwii, Carlina lanata L., Reichardia
picroides (L.) Roth, Hypochoeris
achryrophorus, Fedia cornucopiae (L.)
Gaerner, Linaria reflexa (L.) Desf., Echium plantaginum L., Borago officinalis L., Cerinthe major L., Lavatera trimestris L., Euphorbia
helioscopia L., Geranium dissectum
L., Hedysarum coronarium L., Hippocrepis unisiliquosa L., Scorpiurus subvillosus L., Lotus ornithopodioides L., Trifolium nigriscens Viv., Trifolium resupinatum L., Trifolium lappaceum, Trifolium squarrosum L., Melilotus infesta Guss., Lathyrus odoratus L. Lathyrus ochrus (L.) DC; (vegetazione infestante il grano) Neslia paniculata (L.) Desv., Torilis nodosa (L.) Gaertner, Carduus pycnocephalus L., Bupleorum lancifolium Hornem, Papaver hybridum L., Ranunculus arvenis L. Bromus rubens; (terofite a ciclo
invernale-primaverile) Legousia falcata
(Ten.) Fritsch, Anacyclus tomentosum
(All.) DC, Rhagadiolus stellatus (L.)
Gaertner, Galium tricornutum Dandy, Ridolfia segetum Moris, Allium nigrum L., Gladiolus italicus Miller, Phalaris
brachystachys Link, Phalaris paradoxa
L., Ornithogalum pyramidale L., Asperula arvenis L., Filago pyramidata L., Euphorbia exigua L., Rapistrum rugosum (L.) ALL., Sinapis arvensis L., Brassica nigra (L.) Koch, Leopoldia comosa (L.) Parl, Scandix pecten.veneris L., Medicago
polymorpha L., Sherardia arvenis L., Lolium
rigidum Gaudin, Sonchus asper
(L.) Hill, Cichorium intibus;
(vegetazione antropogena ai margine delle strade) Chrysanthemum coronarium L. (Crisantemo giallo), Malva nicaeensis All., Anacyclus tomentosum (All.) DC., Hordeum leporinum Link, Notobasis syriaca (L.) Cass., Bromus madritensisi L., Echium plantagineum L., Galactites tomentosa Moench, Erodium malacoides (L.) L’Her., Convolvulus althaeoides L., Beta vulgaris L., Foeniculum vulgare Miller;
7)
Praticelli effimeri a sedum caeruleum L. su gessi, con queste presenze: sedum caeruleum L. (Borracina azzurra), Sedum micranthum Bast., Hypocoeris achyrophorus L., Campanula
erinus L., Poa bullosa L., Valantia muralis L., Trifolium scabrum L., Medicago minima (L.) Bartal., Linum strictum L., Bromus fasciculatus Presl., Trifolium
stellatum L., Stipa capensis
Thunb., Crupina crupinastrum (Moris)
Vis., Vulpia ciliata Dumort, Scilla autumnalis L., Ononis reclinata L., Ononis sieberi Beser? Rumex bucephalophorus L., Arenaria leptoclados Guss., Polygala monspeliaca L. Sideritis romana L.;
8)
Vegetazione degli ambienti acquatici, con queste
presenze: Populus nigra (pioppo nero,
ma molto raro), Tamarix africana
Poiret, Phragmites communis Trin.
(Cannuccia di palude), Equisetum
telmateja Ehrh., Nasturtium
officinale R. Br., Apium nodiflorum
(L.) Lag., Juncus bofonius.
Spigolando
dal più divulgativo testo di Pratesi e Tassi, a Racalmuto si attagliano le
formazioni vegetali dell’intera Sicilia, fatta eccezione della diffusione del
castagno (Castanea sativa) sull’Etna, «ad opera dell’uomo» [21] Per il
resto, possiamo anche essere pedissequi: «Gli “orizzonti-climax” presenti
nell’isola, e cioè le formazioni più stabili e caratteristiche, sono
essenzialmente quatro» e cioè:
a)
l’Oleo-ceratonion,
«che prospera nelle parti più basse e litoranee, e che consiste in una macchia
sempre verde mediterranea i cui elementi più importanti sono l’oleastro (Olea oleaster), il carrubo (Ceratonia siliqua) e, a tratti, la
inconfondibile palma nana (Chamaerops
humilis), unica palma spontanea del bacino mediterraneo. Per lo più, però,
questa vegetazione è scomparsa [e al suo posto prospera] una tipica graminacea
dei luoghi arifìdi, la Stipa tortilis.»
Altre piante del territorio: il lentisco (Pistacia
lentiscus), la fillirea (Phillyrea
angustifolia) e altri arbusti della macchia mediterranea;
b)
«a livello leggermente più elevato vive la seconda associazione, quella del Quercion ilicis, costituita da una
foresta sempreverde mediterranea a quercia, e soprattutto a leccio (Quercus ilex) e sughera (Quercus suber)». Su una radura nella
parte nord del Castelluccio, rimangono ancora alcuni esemplari di “aggliannari”
(in Traina, vocabolario siciliano: “agghiannara” o “agghiandra” = “frutto della quercia, del cerro, del leccio,
e cibo dei porci: ghianda”). Nei recenti tentativi di forestazione poteva
benissimo darsi impulso a siffatta piantagione, creando altresì le premesse per
un ritorno alle porcilaie tradizionali ove i maiali possano venire depurati,
dai mangimi transgenici, con
“aggliannari” per il ripristino delle ineguagliabili salsicce dei miei tempi,
di cui trovo testimonianze addirittura in carte del ‘600 conservate in Matrice;
c)
«più in alto ancora sta l’orizzonte del Quercion pubescentis, o delle latifoglie
eliofile, nel quale normalmente domina la roverella (Quercus pubescens), ma assai più spesso la degradazione ambientale
ha lasciato solo una formazione a prateria steppica che ha per protagonista
un’altra graminacea (Ampelodesmos tenax).
Qualche volta, in luoghi più freschi e umidi, prende il sopravvento un’altra
specie di quercia spogliante, il cerro (Quercus
cerris).» V’è qualcosa del genere nello sprofondo di Sant’Anna, dopo la grotta dell’innamorata? In ogni caso,
chissà se nel divisato recupero a fini turistici del Castelluccio troverà posto
un rimboschimento con vegetezione autoctona, consona all’orizzonte del Quercion pubescentis!
d)
Non dovrebbe altresì riguardare Racalmuto «il piano
superiore, montano … del Fagion
silvaticae, che ospita le residue formazioni di faggio (Fagus silvatica): qui un
interessantissimo endemismo, l’abete siculo (Abies nebrodensis), oggi quasi distrutto, doveva in passato avere
notevole diffusione.» Speriamo che, sempre al Castelluccio, possano tentarsi
resurrezioni arboree di autoctone faggete.
Continuiamo
a citare: «Purtroppo questa successione di ambienti è ormai in gran parte
alterata e ridotta. Solo qua e là ne rimangono frammenti importanti e
significativi, come avviene per le quattro specie di pini presenti in Sicilia
allo stato spontaneo, di cui non sussistono ormai che esigue colonie: dal pino
laricio (Plinus laricio) sul
massiccio etneo, al pino domestico (Pinus
pinea) sui Monti Peloritani; dal pino marittimo (Pinus noster) di Pantelleria, al pino di Aleppo (Pinus halepensis) delle pendici
dell’altipiano meridionale e di varie isolette circumsiciliane.»
Il pino
siciliano è ormai entrato nella più pretenziosa letteratura. Artefice
principale: il pino di Pirandello. E si sa che anche il nostro Sciascia ebbe a
dire la sua; a dire il vero riportando le apprensioni di un grande entemologo
agrario racalmutese Giovanni Liotta, titolare di cattedra all’Università di
Palermo. Sciascia lo ebbe presente nelle sue conversazioni – in articulo mortis – con il defunto
giornalista Domenico Porzio e l’apprezzamento elagiativo, cui certo Sciascia
non indugiava –nel bellissimo libro “Fuoco all’Anima”, purtroppo oggi censurato
dalla famiglia. Lo Scrittore si era rammentato di una notizia sul pino di
Pirandello che stava per morire che gli era stata fornitagli nell’autunno del
1988, quando già il Liotta era dal febbraio “professore di Ia” dell’
Istituto di Entomologia Agraria di Palermo. Il Liotta ci fornisce ora la
versione autentica di quell’episodio [22]
commentando: «Quando riferivo di questa notizia Leonardo Sciascia non annuiva,
non dissentiva, non faceva alcun cenno palese che desse la certezza di un suo
interesse. […] La notizia di mummificare il pino in realtà l’aveva fatto
inorridire. […] Leonardo era fatto così: era un grande, paziente e infaticabile
ascoltatore e quello che ascoltava, lo scremava, lo elaborava e, se necessario,
lo riproponeva sotto una prospettiva di grande interesse.»
Anche
Racalmuto ha il suo pino “letterario”: quello della casina di campagna dei
matrona alla Noce. Lo rievoca Sciascia, lo celebra Bufalino ( … mantello verdissimo, sormontato
all’orizzonte da un antico albero solitario …. [23]), ne
coglie l’ineffabile incanto, in un momento di corrusca tempesta, il fotografo
Pietro Tulumello (e qui davvero Sciascia ha malie evocative: un paesaggio del tutto simile all’Amor sacro e all’Amor profano del
Tiziano: e la sera trascorre in esso come una delle tizianesche donne serene ed
opulente … [24]). Noi
continuiamo a mirare le chiomate piante che ancora avvolgono la casina di
campagna del Barone Tulumello, al Cozzo della Loggia, sotto il Serrone. Ma
quanto resisteranno?
-
un micro
orto botanico per Racalmuto
Auspichiamo
che i denudati cozzi attorno alla Fondazione Sciascia ospitino un micro-orto
botanico ove si rinserrino le piante ed i fiori cari a Sciascia. Come, ad
esempio, le magnolie e non tanto per il loro profumo o perché queste
«splendevano … [come] luminose e
profumate donne, di mai più vista bellezza» [25] E si
ricostituiscano le sciasciane “siepi di fichidindia” [26] e non
manchi un tocco rievocativo «dell’intensa coltivazione di alberi di noce» con
«quei grandi alberi che i contadini chiamano di bellu vidiri, con disprezzo: cioè belli a vedersi ma inutili: il
corbezzolo, il caccamo, qualche varietà di ficus. E ci sono gli orti. E queste
sono le oasi, nella gran calura del giorno; né manca, a darne l’illusione, la palma.
La palma de oro y el azul sereno: e questo verso di Machado, palma d’oro in
campo azzurro, è diventato per me una specie di araldico simbolo del luogo.» [27] E noi
auspichiamo anche che nell’«orto» sciasciano abbiano rimembrante dimora le
piante, i fiori, le erbe e pure le gramigne di autoctona progenie racalmutese.
Vorrà il chiarissimo prof. Liotta collaborare ad un siffatto progetto? Vi è
contrario il competentissimo dott. Salvo?
Confessiamo
di avere avuto un moto di stizza nel leggere alcune notazioni botaniche del
Renda: [28] alcune caratteristiche
piante arboree racalmutesi sono tutt’altro che indigene. «Il limone [già, le Lumie di Sicilia, n.d.r.] – discetta lo
storico – raggiunse la Sicilia e la Spagna nell’alto medioevo, durante il
dominio arabo. L’arancio arrivò più tardi e, a quanto sembra, non ebbe
importanza apprezzabile fino al XV secolo. Gli arabi portarono on Sicilia e in
Spagna anche il mandorlo, la canna da zucchero, la palma e altre specie
esotiche, come il melograno, il melocotogno, il nespolo invernale ecc. Il
processo di riutilizzazione agronomica di queste numerose specie non fu
univoco. Alcune, come l’ulivo e il mandorlo, ebbero incremento notevole. Altre
decaddero e furono abbandonate. Fra queste, sono da ricordare la canna da zucchero,
il riso, il gelso per l’alimentazione del baco da seta, il legno da bosco,
l’allevamento, e poi il lino, la canapa, il cotone, la soda vegetale ecc. »
Un tempo a
Racalmuto si coltivavano cotone, lino, canapa ed altre piante da vestiario:
oggi, culture del genere, sono del tutto ignote. La coltivazione più estesa è
stata sempre quella del grano, di varie specie ivi compresa quella c.d. tumminìa, alternata alla semina di
avena, orzo e fave nelle annate di riposo. Se già nel XIV secolo Federico del
Carretto operava una sorta di outright
sui futuri raccolti di grano racalmutesi con Mariano Agliata, [29] al tempo
di Filippo II l’approvvigionamento di grano al caricatoio di Girgenti consentì
un proficuo commercio dei baroni del Carretto, che così assurgono al rango di
conti, in quei calamitosi tempi di
guerra mediterranea contro il Turco. E così nel Seicento, quando anche le
Clarisse racalmutesi, amministrate da un prete Traina, possono conferire, a
pagamento, il loro frumento in esubero presso il caricatoio racalmutese. Abbiamo, poi, testimonianze settecentesche
davvero illuminanti. In questa sede ci limitiamo a riportare questo diploma,
tratto dall’archivio Palagonia:
Faccio fede io infrascritto M.stro not.
della Corte Giuratoria della terra di Racalmuto a tutti e singoli officiali del
Regno e specualmente a chi spetta vedere la presente, qualmente, sendosi
promulgato bando pella formazione de novi Riveli dei frumenti esistenti in
questa terra e territorio di Racalmuto sotto li dui ottobre 1763, rimesso da
S.E. per via del suo supremo tribunale del Real Patrimonio nel termine di
giorni quattro in detto bando prefisso, spirato sotto li sei corrente, non
hanno comparso in questa corte giuratoria a fare il loro rivelo a tenore del
detto bando altre persone ecclesiastiche, secolari, forani ed altri se non
l’infrascritte, cioè:
N.°
|
Denominazione
|
Salme
|
Tomoli
|
||
1
|
Grillo don Antonio, s.802 frumento raccolto
p.p. XI ind. 1763. Quali frumenti li servino cioè s. 300 vendute ed obligate
a questa univ. per il panizzo del popolo; s. 300 frumento per simenze in
forte e timilia, per il fego dell'Aquilìa, s. 100 frum. Pello
|
802
|
|
||
|
soccorso de parospolari e tenetieri; s. 30 fr.
Per mangia di propria famiglia e salme settantadue per simenza e soccorsi
delle proprie chiuse, gabbelloti e societarij
|
||||
2
|
Spinola not. Gioachino, s. 10 fr. dal XI ind.
1763, quali ffr. li servino, cioè s. 3 per simenza, s. 1,8 per soccorso, s. 2
per governare le vigne ed il resto per mangia di propria famiglia
|
10
|
|
||
3
|
Grillo don Gaetano, come procuratore del fego
delli Gibbillini, territorio di questa rivela avere nelli magasini di quel
fego s. 306ffr. raccolto XI In. 1763, quali li bisognano per semene, soccorsi
e copertura di detto fego.
|
306
|
|
||
4
|
Grillo don Antonino Maria, rivela s. 91 forte
e timilia raccolto nel 1763; quali li bisognano cioè per simenze di forte e
timilia s. 40 per soccorso di detto seminerio e sem. di legumi s. 15 e s. 24
per mangia ed impiego di casa.
|
91
|
|
||
5
|
Amella don Antonino, rivela s. 2.. quali li
bisognano per mangia
|
2
|
|
||
6
|
Gambuto don Francesco Antonio. rivela s. 50 ..
quali s. 50 forte li servino cioè simenza per forte s. 10, salme 5 soccorsi
di d. sem., s. 2 per soccorso sem, d'orzo, salme 4 per provvedere la vigna, e
s. 29 per mangia e commodo di propria casa
|
50
|
|
||
7
|
Alfano m.° Giuseppe del quondam Bartulo,
rivela s. 65 forte .. quali li bisognano cioè s. 55 vendute a questa un. di
Racalmuto per il pubblico panizzo, s. 2 per simenza, s. 1 per soccorso di d.
sem., s. 1 per soccorso di vigne e s. 6 complimento delle s.
|
65
|
|
||
|
65 per mangia di casa
|
|
|
||
8
|
La Matina Alberto, rivela s. 5 fr.forte ..
quali li bisognano cioè s. 1.8 simenza, s. 0.12 soccorso per detto seminerio
e s. 1 soccorso in f. per sem. d'orzo e s. 1.12 per mangia di mia famiglia
|
5
|
|
||
9
|
Picone Margarita, rivela s. 3.8 ff.te .. quali
li bisognano per mangia di propria casa
|
3
|
8
|
||
10
|
Romano m.° Diego di m.° Francesco, rivela s.
105 fr.forte .. quali li bisognano per simenza, s. 3.8 e s. 6.8 per mangia di
casa
|
10
|
|
||
11
|
Grillo don Antonio come Governadore della
Segrezia di questa sudetta terra di Racalmuto rivela avere nelli magazini
della Segrezia s. 703 .. quali li bisognano cioè s. 200 vendute a questa
unoversità per il pubblico panizzo ed il resto che sono s. 503 f.f
|
703
|
|
||
|
per simenza e soccorsi dello Stato di
Racalmuto
|
|
|
||
12
|
Salvo (di) Filippa vif.a del quondam Giuseppe,
rivela s. 12 fr.forte .. quali li bisognano s.6 per mangia e s.6 per
commodarlo a divere persone
|
12
|
|
||
13
|
Carbone Giovanne, rivela s. 1fr.forte .. quali
li bisogna per mangia
|
1
|
|
||
14
|
Nalbone Giovanne, rivela s. 10 fr.forte ..
quali li bisognano s. 4 per simenza,
s. 2 per soccorso e s. 4 per mangia
|
10
|
|
||
15
|
Macaluso Rosina Giuseppe rivela s. e f.f.te ..
quali li bisognano per mangia di casa
|
2
|
|
||
16
|
Saldì m.° Paolino, rivela s. 9 ff.f. .. delli
quali li bisognano s. 2 per simenza e s. 3 per soccorso di detto sem., sem.
d'orzo e ligumi e s. 4 per mangia di propria casa
|
9
|
|
||
17
|
Tulumello Calogero rivela s. 110 f.f.te e
timilia, delli quali ff. li bisognano cioè per mangia della mandra s. 35 ff.,
p. simenza s. 20, per soccorso di seminerio d'orzo e ligumi e colture di
vigne s. 12 e s. 43 p. commodo e mangia della propria famiglia
|
10
|
|
||
18
|
Di Franco m.° Giuseppe, rivela s.4 fr.forte ..
quali li bisognano p. simenza s. 1.8 ff., soccorsos. 0.12 ed il resto per
mangia di propria famiglia
|
4
|
|
||
19
|
Di Franco don Giuseppe, rivela s. 0.8 ..f.fte
li servino per mangia
|
|
8
|
||
20
|
Savarino Leonardo, rivela s.1 ..f.fte li
servino per mangia
|
1
|
|
||
21
|
Farrauto Francesco, rivela s. 2.12 ..f.fte li
servino per mangia di casa
|
2
|
12
|
||
22
|
Picone m.° Pasquale del quondam m.° Calogero
rivela s.1.12 ..f.fte li servino per mangia di casa
|
1
|
12
|
||
23
|
Castillano Diego, rivela s..4 ..f.fte quali li
bisognano s. 1.4 per simenze, s. 0.12 soccorso ed il resto per mangia di sua
famiglia
|
4
|
|
||
24
|
Morreale Antonino di Mara, rivela s.1 ..f.fte
quali li bisognano per mangia di casa
|
1
|
|
||
25
|
Alessi Giuliano, rivela s.1 ..f.fte quali li
bisognano per mangia di casa
|
1
|
|
||
26
|
La Matina m.° Gaspare, rivela s.1.8 ..f.fte
quali li bisognano per mangia di casa
|
1
|
12
|
||
27
|
Barone Carlo, rivela s.12.6 ..f.fte quali li
bisognano cioè s. 4 per simenza, s. 2 per soccorso, per seminerio di s. 2
orzo, s. 1.8 e s. 5 per mangia di casa
|
12
|
6
|
||
28
|
Cino Giacomo, rivela s. 5 ..f.fte quali li
bisognano per mangia di casa
|
5
|
|
||
29
|
Castillana Giuseppe, rivela s.2 ..f.fte quali
li servino per mangia
|
2
|
|
||
30
|
Lauricella Laurenzo, rivela s.1 ..f.fte quali
li bisognano per mangia di casa
|
1
|
|
||
31
|
Giglia (di) Liborio e Giuseppe, padre e figlio
rivelano s.4 ..f.fte quali li bisognano per mangia
|
4
|
|
||
32
|
Schicchi don Francesco, rivela s.3 ..f.fte
quali li bisognano per mangia
|
3
|
|
||
33
|
Lo Brutto don Gioachino del quondam don
Gaspare, rivela s.6 ..f.fte quali li bisognano per mangia di casa
|
6
|
|
||
34
|
Pomo m.° Angelo, rivela s.18 ..f.fte quali li
bisognano s. 2.8 per simenza, s. 1.12 ff. per soccorso di detto seminerio e
colture di vigna, s. 6 a nome della congregazione del Monte per espansioni
giornali e s. 7.12 per mangia di casa
|
18
|
|
||
35
|
Piccione Salvadore, rivela s.3 ..f.fte quali
li bisognano s. 1 per simenza, s. 1 per soccorso di detto seminerio e
seminerio di ligumi e s. 1 complimento di s. 3 per uso di mangia di casa
|
4
|
|
||
36
|
Borzellino m.° Raimondo, rivela s.3 ..f.fte
quali li bisognano per simenza
|
3
|
|
||
37
|
Carlino Gaetano, rivela s.0.8 ..f.fte quali li
bisognano per simenza
|
|
8
|
||
38
|
Collura Stefano d'Angelo, rivela s.2 ..f.fte
quali li bisognano per mangia
|
2
|
|
||
39
|
La Matina Gregorio, rivela s.6 ..f.fte quali
li bisognano s. 3per simenza, s. 1.8 soccorso di detto sem. e s. 1.8 per
mangia di casa
|
6
|
|
||
40
|
La Matina Giovanne, rivela s.10 ..f.fte quali
li bisognano s. 2 per simenza, s. 1 per soccorso per detto sem. e s. 1 per
soccorso di legumi e s. 6 per mangia
|
10
|
|
||
41
|
Tulumello Giuseppe, rivela s.70 ..f.fte quali
li bisognano s. 35 per mangia della mandra, s. 16 per simenza, s. 10 per
soccorso di detto simenerio, ligumi ed orzo, e s. 9 per mangia di casa e
garzoni
|
70
|
|
||
42
|
La Licata Paulo, rivela s.25 ..f.fte quali li
bisognano s. 10 per simenza, s. 8 per soccorso di d.° sem.° in forte, sem.°
di legumi ed orzo e s. 7 per mangia
|
25
|
|
||
43
|
Tulumello Giovanne, rivela s.70 ..f.fte quali
li bisognano s. 35 per mangia della mandra, s. 16 per simenza, s. 10 per
soccorso di detto simenerio, ligumi ed orzo, e s. 9 per mangia di casa e
garzoni
|
70
|
|
||
44
|
Picone Chiodo Nicolò, rivela s.42..f.fte quali
li bisognano s. 12 per simenza, s. 5 per soccorso di d.° sem., s. 3 per
soccorso di sem. di legumi ed orzo s. 3 per governare n.° migliari otto di
vigna e s. 19 compl. delle dette s. 42
|
42
|
|
||
|
per mangia ed agiuto del borgesato
|
|
|
||
45
|
La Matina Calogero, rivela s. 15 per raccolto
f.f per 1763, quali f.f. mi bisognano s 2 per simenza, s. 2 per soccorso di
d.° sem.° e sem,° di legumi ed orzi e s. 11, compl. dette salme 15 per mangia
ed impiego di casa
|
15
|
|
||
46
|
Busuito Grispino, rivela s. 26 per raccolto f.f per 1763,
quali f.f. mi bisognano s 6.2 per simenza, s. 5 per soccorso di d.° sem.° e
sem,° di legumi ed orzi e s. 5 p. governare le vigne, s. 4.8 per soccorso
dell'eredità del q. m.° Diego Marturana, s. 10
|
26
|
|
||
47
|
Mantione Calogero
|
1
|
|
||
48
|
Ristivo Matteo, rivela s. 3 per raccolto f.f per 1763,
quali f.f. li bisognano per mangia
|
3
|
|
||
49
|
Collura Calogero d'Angelo, rivela s. 5 per raccolto f.f per 1763,
quali f.f. li bisognano s 2 per simenza, s. 1 per soccorso i e s. 2, per
mangia
|
5
|
|
||
50
|
Licata Reda Giuseppe, rivela s. 6 per raccolto f.f per 1763,
quali f.f. li bisognano per mangia
|
6
|
|
||
51
|
Mantione Vito,
rivela s. 2 per raccolto f.f per 1763, quali f.f. li bisognano per mangia
|
2
|
|
||
52
|
Collura Melchiore d'Angelo, rivela s. 4 per raccolto f.f per 1763, quali
f.f. mi bisognano s. 1 per simenza, s. 1 per soccorso di sem,° di legumi ed
orzi e s. 2 per mangia di casa
|
4
|
|
||
53
|
Vinci don Calogero rivela s.26 per raccolto
f.f per 1763, quali f.f. li bisognano s 10 per simenza, s. 5 per soccorso di
d.° sem.°, s. 3 p. soccorso di sem.° di legumi ed orzi e s. 2 di posessioni
bonoficate di vigne e s. 8 p. mangia
|
26
|
|
||
54
|
Mantione Erasimo, rivela s. 5 per raccolto f.f per 1763,
quali f.f. li bisognano s per mangia
|
5
|
|
||
55
|
Bellavia don Giuseppe, rivela s. 10 per raccolto f.f per 1763,
quali f.f. mi bisognano s 2 per simenza, s.1 per soccorso di d.° sem.° e s.
10 per mangia
|
10
|
|
||
56
|
Avarello Agostino, rivela s. 1o per raccolto f.f per 1763,
quali f.f. mi bisognano s 3 per simenza, s. 3 per soccorso di d.° sem.° e
sem,° di legumi ed orzi e s. 4, compl. dette salme 10 per mangia
|
10
|
|
||
57
|
Matina notaro don Niccolò, rivela s. 2 per
raccolto f.f per 1763, quali f.f. li bisognano per mangia
|
2
|
|
||
58
|
Burruano Calogero del q. Marcello rivela s. 2
per raccolto f.f per 1763, quali f.f. li bisognano per mangia
|
||||
59
|
Troisi Pietro, rivela s. 16 per raccolto f.f
per 1763, quali f.f. li bisognano s. 5.8 f.f. per simenza, s. 3 per soccorso
di d.° sem. e s. 6.8 per mangia di casa
|
16
|
|
||
60
|
Burruano Michel'Angelo del quondam Andrea,
rivela s. 2 per raccolto f.f per 1763, quali f.f. li bisognano per mangia
|
2
|
|
||
61
|
Burruano Giuseppe del quondam Marcello, rivela
s. 28 per raccolto f.f per 1763, quali f.f. li bisognano s.4 per simenza, s.
4 per soccorso di d.° sem.° e sem,° di legumi ed orzi e governare le vigne e
s. 20 per mangia e impiego do casa
|
28
|
|
||
62
|
Burruano Alberto del quondam Marcello, rivela
s. 4 per raccolto f.f per 1763, quali f.f. mi bisognano s 1 per simenza, s. 1
per soccorso di d.° sem.° e sem,° di legumi ed orzi e il resto per mangia
|
4
|
|
||
63
|
Tulumello Gioachino, rivela s. 4 per raccolto
f.f per 1763, quali f.f. li bisognano per mangia di sua casa
|
4
|
|
||
64
|
Di Rosa m.° Diego, rivela s. 10 per raccolto
f.f per 1763, quali f.f. li bisognano s 4 per venderli per compra di
vestimenti s. 2 p. soccorso delle vigne e s. 4.3. per mangia
|
10
|
|
||
65
|
Grillo e Poma Dr. Don Barone Niccolò, rivela
s. 132 per raccolto f.f per 1763, quali f.f. mi bisognano s 35 per
simenza, per soccorso di d.° sem.° s.
40 e seminerio di timilia s. 14 f.f. per sem,° di legumi ed orzi e s. 43 per
mangia e impiego di casa
|
132
|
|
||
66
|
Lo Brutto don Bonaventura, rivela s. 3 per
raccolto f.f per 1763, quali f.f. li bisognano per mangia
|
2
|
|
||
67
|
Savatteri don Francesco, rivela s. 4 per
raccolto f.f per 1763, quali f.f. li bisognano s. 3 per simenza, s. 2 per
soccorso di d.° sem.° e s. 3 a comp. di dette s.8 per mangia
|
8
|
|
||
68
|
Scibetta m.° Stefano, rivela s. 160 per
raccolto f.f per 1763, delli quali li bisognano s.150 per averle vendute a
questa Un.tà per il pubblico panizzo ed il resto per mangia di propria casa
|
160
|
10
|
||
69
|
Di Rosa m.° Gioachino, rivela s. 2.12 per
raccolto f.f per 1763, quali f.f. li servino per mangia
|
2
|
|
||
70
|
Frachanzillo Tommaso, rivela s. 8 per raccolto
f.f per 1763, delli quali f.f.li bisognano s. 4 per simenza, s. 2 per
soccorso e s. 2 copml. di dette s. 8
per mangia
|
8
|
|
||
71
|
Tirone don Niccolò, rivela s. 15 fr.forte e s.
5 timilia per raccolto f.f per 1763, quali f.f. mi bisognano s. 12 per
simenza, s.61 per soccorsi e s. 2 compl. di d.e s. 20 per mangia
|
20
|
|
||
72
|
La Mantia m.° Giuseppe, rivela s. 4 per
raccolto f.f per 1763, quali f.f. mi bisognano s. 0.6 per simenza, s. 0.6 per
soccorso e s. 3.4 comp. di d.e s. 4 per mangia di casa
|
4
|
|
||
73
|
Cacciatore m.° Antonino, rivela s. 4 per
raccolto f.f per 1763, quali f.f. li bisognano per mangia
|
4
|
|
||
74
|
Picone don Ignazio d'Alessandro, rivela s. 3
per raccolto f.f per 1763, quali f.f. li bisognano per mangia di sua casa
|
3
|
12
|
||
75
|
Poma m.° Gerlando, rivela s. 1.12 per raccolto
f.f per 1763, quali f.f. li bisognano
per mangia
|
1
|
|
||
76
|
Rizzo don Vincenzo, rivela s. 24 per raccolto
f.f per 1763, quali f.f. li bisognano s. 8 per simenza, s. 6 per soccorso di
d.° sem.° e sem,° di legumi ed orzi e s. 10 per mangia di casa e garzone
|
24
|
|
||
77
|
Picone Chiodo don Antonino, rivela s. 14 per
raccolto f.f per 1763, quali f.f. li bisognano s.3 per simenza, s. 2 per
soccorso di d.° sem.° e sem,° di legumi ed orzi e s. 9 a compl. di d.e s. 14
per mangia e impiego di casa
|
14
|
|
||
78
|
Lo Brutto Antonino; rivela s. 2.8 per raccolto
f.f per 1763, quali f.f. mi bisognano per venderli per sollennizzare la festività di S. M.a del Monte come
Governadore della Confraternità di detta Chiesa.
|
2
|
|
||
79
|
Lauricella Antonino, rivela s. 12 per raccolto
f.f per 1763, quali f.f. li bisognano s 4 per simenza, s. 3 per soccorso di
d.° sem.° e sem,° di legumi ed orzi e is. 5 compl. di d.e s. 12 per mangia di
casa
|
12
|
|
||
80
|
Carlino Calogero, rivela s.10 per raccolto f.f
per 1763, quali f.f. mi bisognano s. 1.10 per simenza, s. 1 per soccorso di
d.° sem.° e e il resto per mangia
|
10
|
|
||
81
|
Galeano m.° Francesco, rivela s. 5 per
raccolto f.f per 1763, quali f.f. li bisognano per mangia
|
5
|
|
||
82
|
Castillano Michel'Angelo, rivela s. 2 per
raccolto f.f per 1763, quali f.f. li bisognano per mangia
|
2
|
|
||
83
|
Lauricella Francesco, rivela s. 8 per raccolto
f.f per 1763, quali f.f. mi bisognano s. 31 per simenza, s. 2 per soccorso di
d.° sem.° e sem,° di legumi ed orzi e s. 3 comp. di d.e s. 8 per mangia
|
8
|
|
||
84
|
Borzellino m.° Ludovico, rivela s. 3 per
raccolto f.f per 1763, quali f.f. li bisognano per mangia
|
3
|
|
||
85
|
Alfano m.° Pietro, rivela s. 15 per raccolto f.f per 1763,
quali f.f. li bisognano s 8 per simenza, s. 4 per soccorso e il resto per mangia
|
15
|
|
||
86
|
Salvo (di) Andrea, rivela s. 8 per raccolto
f.f per 1763, quali f.f. mi bisognano s. 3 per simenza, s. 1.8 per
soccorso e s. 3.8 comp. delle s. s.
8 per mangia di propria casa
|
8
|
|
||
87
|
Lo Giudice Pietro, rivela s. 2 per raccolto
f.f per 1763, quali f.f. li bisognano sper mangia
|
2
|
|
||
88
|
Lo Giudice Giacomo, rivela s. 0.8 per raccolto
f.f per 1763, quali f.f. li bisognano
per mangia
|
8
|
|||
89
|
Lo Indelicato Francesco, rivela s. 8 per
raccolto f.f per 1763, quali f.f. li bisognano pello molino della pasta e
mangia di casa
|
8
|
|
||
90
|
Di Franco m.° Agostino, rivela s. 40 per
raccolto f.f per 1763, quali f.f. li bisognano s. 6 per simenza, s. 3 per
soccorso di d.° sem.° ed altre s. 2.6 per soccorso di sem,° di legumi ed orzo e per altro il
soccorso delle vigne ed il resto per mangia
|
40
|
|
||
91
|
Murgante Giuseppe di Filippo rivela s. 3 per raccolto
f.f per 1763, quali f.f. li bisognano
per mangia
|
3
|
|
||
92
|
Grillo fra' Antonio Maria, procuratore dello
ven. convento di S. Francesco dei minori conventuali, rivela s. 7,8 per
raccolto f.f per 1763, quali ff. li bisognano per mangia dello detto convento
|
7
|
8
|
||
93
|
Pirrelli fra' Giacomo Priore del ven. convento
di S. Giovanni di Dio sotto titolo di S. Sebastiano, rivela s. 3. 13 ff. e
timilia per raccolto f.f per 1763, quali li bisognano per mangia di detto
convento
|
3
|
13,2
|
||
94
|
Pomo fra' Giuseppe Prc.re del venerabile
convento del Carmine, rivela s. 23 per raccolto f.f per 1763, delli quali li
bisognano s. 10 per simenza, s. 3 soccorso di d. sem. s. 2 per le vigne e s.
8 per mangia convento
|
23
|
|
||
95
|
Carretto fra Gaspare pr.re del ven. convento
di S. Giuliano de Padri Agostiniani della congregazione di Sicilia, rivela s.
8 per raccolto f.f per 1763, delli quali li bisognano s. 2 per governo di un
predio di vigna e s. 6 per mangia
|
8
|
|
||
96
|
Grillo sac. d. Salvadore Maria, rivela s. 160
per raccolto f.f per 1763, delli quali mi bisognano simenze in ff. s. 24,
simenza in similia s. 30 per colti scarsi le s.te tim. s. 30, per coltura di
vigne s. 20, per serviggio della mia casa e famiglia
|
||||
|
per mangia s. 16, per due famoli in campagna
esistenti di capo d'anno s. 25 ff., per soccorso ed agiuto a coloro che si
devono pigliare a società il sud. sem. e legumi ed orzo; s. 15 ff: restano
per quelle occorrenze che potranno insorgere
|
160
|
|
||
97
|
Grillo sac. d. Giuseppe, rivela s. 20 per raccolto f.f per 1763,
delli quali li bisognano per simenze e soccorso di suo patrimonio e mangia di
casa
|
20
|
|
||
98
|
Campanella sac. d. Stefano arciprete, rivela s. 100 per raccolto f.f per 1763, i
quali mi bisognano s. 18 per mangia di famiglia, s. 4 per simenze, s. 3 per
soccorso di seminerio di legumi ed orzo e s. 75 quali ho venduto a questa
università comp. di
|
||||
|
salme 100 per uso del publico panizzo sotto
nome di Stefano di Salvo
|
100
|
|
||
99
|
Lauricella sac. d. Elia, rivela s. 8.8 ff. raccolto XI ind.
1763, delle quali mi bisognano s. 7 per simenza e mi bisognano salme 10 per
mangia almeno di dieci persone
|
8
|
8
|
||
100
|
Pumo cl. Francesco, rivela s. otto ff.
raccolto XI ind. 1763, delli quali mi bisognano s. 2 ff. per simenza,
soccorso s. 2, il resto s. 4 comp. di dette s. 8 per mangia di casa
|
8
|
|
||
101
|
Borzellino sac. d. Mario, rivela s. 5 ff. raccolto XI ind. 1763,
delli quali li bisognano per mangia di casa
|
5
|
|
||
102
|
Conti sac. d. Gerolamo, rivela s. 26 ff. raccolto XI ind. 1763,
delli quali li bisognano s. 8 ff. per simenza, s. 7 per soccorso di d.° sem.° e sem.° di
legumi ed orzi e governare due possession di vigna proprie, s. 11 p. mangia e
commodo proprio
|
26
|
|
||
103
|
Crinò diacono d. Filippo, rivela s. 2 ff. raccolto XI ind. 1763, quali li servino per mangia di casa
|
2
|
|
||
104
|
La Matina sac. d. Gaspare, rivela s. 7 ff. raccolto XI ind. 1763,
delli quali mi bisognano s. 3 ff. per simenza, e s. 4 per mangia di casa
|
7
|
|
||
105
|
Farrauto sac. d. Santo, rivela s. 200 ff. raccolto XI ind. 1763,
delli quali mi bisognano s. 100 ff. vendute al publico panizzo di questa, s.
80 obligate al caricatore di Girgenti, s. 20 per mangia e simenze di proprie chiuse
|
220
|
|
||
106
|
D'Amico sac. d. Antonino, rivela s. 8 ff. raccolto XI ind. 1763,
delli quali di deducano s. 3 a ragione di processione del SS.mo Sacramento e
s. 5.8 per mangia
|
5
|
8
|
||
107
|
Savatteri sac. d. Michel'Angelo, rivela s. 21 ff. raccolto XI ind. 1763,
delli quali mi bisognano s. 2.8 ff. per simenza, s. 5 per soccorso di detto
sem.° e sem.° di legumi ed orzo, s. 4
dati in accodo e s. 10 per mangia e commodo di casa
|
21
|
|
||
108
|
Scibetta e Franco sac. d. Giuseppe, rivela s.
30 ff. raccolto XI ind. 1763, delli quali mi bisognano s. 4 ff. per simenza,
s. 2 per soccorso di detto sem.° e s. 2 persem.° di legumi, s. 8 per lo
soccors o di un predio di vigne e s.
14 p. mangia e commodo
|
30
|
|
||
109
|
Picone sac. d. Ignazio, rivela s. 4 ff.
raccolto XI ind. 1763, delli quali mi bisognano s. 1 ff. per simenza, s. 1
per soccorso e s. 2, comp. di d. s. 4
per mangia di casa
|
4
|
|
||
110
|
Sferrazza sac. d. Filippo, rivela s. 3 ff. raccolto
XI ind. 1763, delli quali mi bisognano s. 1 ff. per simenza, s. 0.8 per
soccorso e s. 1.8 per mangia propria
|
3
|
|
||
111
|
Mantione sac. d. Baldassare, rivela s. 2 ff.
raccolto XI ind. 1763, delli quali mi bisognano per mangia di casa
|
2
|
|
||
112
|
Mantione sac. d. Antonino, rivela s. 27.10 ff.
raccolto XI ind. 1763, delli quali mi bisognano s. 7.8 ff. per simenza, s. 5
per soccorso di detto seminerio e
socc. sem. d'orzo e legumi, s. 3 per governare le vigne e s. 12.2. per
mangia di casa
|
27
|
10
|
||
113
|
Pitrozzella sac. d. Baldassare, rivela s. 10
ff. raccolto XI ind. 1763, delli quali mi bisognano s. 8 ff. per simenza, s.
4 per coltura di detto seminerio
|
10
|
|
||
114
|
Montagna diacono d. Onofrio, rivela s. 6 ff.
raccolto XI ind. 1763, delli quali mi bisognano s. 3 ff. per simenza, s. 1.8
per soccorso e s. 1.9. per mangia di casa
|
6
|
|
||
115
|
Baeri sac. d. Ignazio, rivela s. 0.8 ff.
raccolto XI ind. 1763, quali li
bisognano . per mangia di casa
|
8
|
|||
116
|
Baeri sac. d. Casimiro, rivela s.2 ff.
raccolto XI ind. 1763, quali li
bisognano per mangia
|
2
|
|
||
117
|
Nalbone sac. d. Benedetto, rivela s. 360 ff.
raccolto XI ind. 1763, delli quali li bisognano s. 5 ff. per simenza, s. 2
per soccorso, s. 3 soccorso èer il seminerio di legumi, s. 20 per mangia, s.
2 per soccorso delle vigne e s. 250 obbligate a q. Un. per
|
360
|
|
||
|
Pubblico panizzo e s.78 commodate
|
|
|
||
118
|
Fucà diacono d. Giuliano, rivela s. 1 ff.
raccolto XI ind. 1763, quali li
bisognano per mangia
|
1
|
|
||
119
|
Fucà sac. d. Pasquale, rivela s. 1 ff.
raccolto XI ind. 1763, quali mi
bisognano per mangia
|
1
|
|
||
120
|
La Matina sac. d. Pietro, rivela s.13 ff.
raccolto XI ind. 1763, delli quali li bisognano s. 5 ff. per simenza, s. 2
per soccorso e s. 6 per mangia
|
13
|
11,2
|
||
121
|
Avarello sac. d. Alberto, rivela s. 75.11.2 ff. raccolto XI
ind. 1763, delli quali s. 10 ff. per simenza, soccorso si d. sem.° s. 8, soccorso sem.° di legumi s. 8 e s. 49.11.2
per mangia ed impiego di mia casa
|
75
|
|
||
122
|
Busuito sac. d. Antonino, rivela s. 6 ff.
raccolto XI ind. 1763, delli quali mi bisognano s. 1.4 ff. per simenza, s. 2
per soccorso sem.° di legumi e s. 1
soccorso di d.° sem.° di forte e per governare le vigne ed il resto. per
mangia
|
6
|
|
||
123
|
Scibetta ed Alfano sac.d . Giuseppe, rivela s.
70 ff. raccolto XI ind. 1763, delli quali 40 vendute a questa un. per publ.
panizzo, s. 6 per simenza e il restante per mangia di mia famiglia, soccorso
delli metatieri di legumi ed orzo e p.
|
70
|
8
|
||
|
Migliari dieci di vigna e più per fare
l'arbitrio di campagna
|
|
|
||
124
|
Farrauto sac. d. Saverio, rivela s. 0.8 ff.
raccolto XI ind. 1763, quali mi
servono per mangia
|
||||
125
|
Biondi sac. d. Baldassare, rivela s. 4 ff.
raccolto XI ind. 1763, delli quali li servono per mangia
|
4
|
|
||
126
|
Alfano sac. d. Filippo, rivela s. 30 ff.
raccolto XI ind. 1763, delli quali li bisognano s. 4 ff. per simenza, s. 7
per soccorso di d.° semin.° e sem,° di legumi e governare la vigna
|
30
|
170,4
|
||
|
|
4335
|
1
|
||
|
|
4346
|
|
||
quali infrascritti riveli sono in questa
nostra Corte firmati dalle persone che sanno scrivere e parte firmati da
persone per quelle che non sanno scrivere, ed oltre l’infrascritti riveli che
nel sopracitato termine si sono ricevuti di sopra, .. non ve ne sono altri;
onde in defe del vero ho fatto la presente sottoscritta di mia propria mano. In
Racalmuto li 30 ottobre XII ind. 1763
D.n Lucio Amella Mag. Not.
Oltre alla
composizione delle classi sociali racalmutesi (in vetta, tanti preti), possiamo
cogliere tutto un linguaggio estremamente significativo ai fini della
raffigurazione del mondo contadino dell’epoca:
1)
panizzo del popolo;
2)
frumento per simenze in forte e timilia [o
tumminìa], per il fego dell'Aquilìa;
4)
simenza
per soccorso e per governare le vigne e per mangia
di propria famiglia;
5)
Grillo don Gaetano, come procuratore del
fego delli Gibbillini, territorio di questa, rivela avere nelli magasini di quel fego s. [salme] 306
ffr. [frumento] raccolto nella XIa
In. 1763 [= 1763, undicesima indizione], quali li bisognano per semene, soccorsi e copertura di detto
fego;
6)
per simenze di forte e timilia s. [salme]
40 per soccorso di detto seminerio e
sem. [seminerio] di legumi s. 15 e s. 24 per mangia ed impiego di casa;
7)
simenza fumento forte s. 10, salme 5 per
soccorsi di d. sem. [semina], s. 2 per soccorso sem, [semina] d'orzo, salme 4
per provvedere la vigna, e s. 29 per mangia e commodo di propria casa;
8)
s. [salme] 55 [di frumento]vendute a questa un.
[università] di Racalmuto per il
pubblico panizzo;
9)
Grillo don Antonio come Governadore della
Segrezia di questa sudetta terra di Racalmuto rivela avere nelli magazini della
Segrezia s. 703 .. quali li bisognano cioè s. 200 vendute a questa unoversità
per il pubblico panizzo ed il resto che sono s. 503 f.f per simenza e soccorsi dello Stato di Racalmuto;
10) Di
Salvo Filippa vid.a [vedova] del quondam
Giuseppe, rivela s. 12 fr.forte [frumento forte] .. quali li bisognano: s.6 per
mangia e s.6 per commodarlo a divere persone;
11) Saldì
m.° [mastro] Paolino, rivela s. 9 ff.f.
.. delli quali li bisognano s. 2 per simenza e s. 3 per soccorso di detto sem.,
sem. d'orzo e ligumi e s. 4 per mangia di propria casa;
12) Tulumello
Calogero rivela s. 110 f.f.te e timilia, delli quali ff. li bisognano cioè per
mangia della mandra [Traina,
vocabolario: mandra: luogo ov’è rinchiusa la freggia] s. 35 ff., p. simenza s.
20, per soccorso di seminerio d'orzo e ligumi e colture di vigne s. 12 e
s. 43 p. commodo e mangia della propria famiglia;
13) Tulumello
Giuseppe, rivela s.70 ..f.fte quali li bisognano s. 35 per mangia della mandra,
s. 16 per simenza, s. 10 per soccorso di detto simenerio, ligumi ed orzo, e s.
9 per mangia di casa e garzoni;
14) Picone
Chiodo Nicolò, rivela s. 42..f .fte [frumento forte] quali li bisognano s. 12
per simenza, s. 5 per soccorso di d.° sem., s. 3 per soccorso di sem. di legumi
ed orzo s. 3 per governare n.° migliari otto di vigna e s. 19 compl. delle
dette s. 42 per mangia ed agiuto del borgesato;
15) Grillo
e Poma Dr. Don Barone Niccolò, rivela s. 132 per raccolto f.f per 1763, quali
f.f. mi bisognano s 35 per simenza, per
soccorso di d.° sem.° s. 40 e seminerio di timilia s. 14 f.f. per sem,° di
legumi ed orzi e s. 43 per mangia e impiego di casa;
16) Scibetta
m.° Stefano, rivela s. 160 per raccolto f.f per 1763, delli quali li bisognano
s.150 per averle vendute a questa Un.tà
[università] per il pubblico panizzo ed il resto per mangia di propria
casa;
17) Lo
Brutto Antonino; rivela s. 2.8 per raccolto f.f per 1763, quali f.f. mi
bisognano per venderli per sollennizzare la
festività di S. M.a del Monte come Governadore della Confraternità di
detta Chiesa;
18) Grillo
fra' Antonio Maria, procuratore dello ven. convento di S. Francesco dei minori
conventuali, rivela s. 7,8 per raccolto f.f per 1763, quali ff. li bisognano
per mangia dello detto convento;
19) Pirrelli
fra' Giacomo Priore del ven. convento di S. Giovanni di Dio sotto titolo di S.
Sebastiano, rivela s. 3. 13 ff. e timilia per raccolto f.f per 1763, quali li
bisognano per mangia di detto convento;
20) Pomo
fra' Giuseppe Prc.re del venerabile convento del Carmine, rivela s. 23 per
raccolto f.f per 1763, delli quali li bisognano s. 10 per simenza, s. 3
soccorso di d. sem. s. 2 per le vigne e s. 8 per mangia convento;
21) Carretto
fra Gaspare pr.re del ven. convento di S. Giuliano de Padri Agostiniani della
congregazione di Sicilia, rivela s. 8 per raccolto f.f per 1763, delli quali li
bisognano s. 2 per governo di un predio di vigna e s. 6 per mangia.
-
i
preti, il grano, il pane
Ed ecco i dati del folto clero:
a)
Grillo sac. d. Salvadore Maria, rivela s.
160 per raccolto f.f per 1763, delli quali mi bisognano simenze in ff. s. 24,
simenza in similia s. 30 per colti scarsi le s.te tim. s. 30, per coltura di
vigne s. 20, per serviggio della mia casa e famiglia per mangia s. 16, per due
famoli in campagna esistenti di capo d'anno s. 25 ff., per soccorso ed agiuto a
coloro che si devono pigliare a società il sud. sem. e legumi ed orzo; s. 15
ff: restano per quelle occorrenze che potranno insorgere;
b)
Grillo sac. d. Giuseppe, rivela s. 20 per raccolto f.f per 1763, delli
quali li bisognano per simenze e soccorso di suo patrimonio e mangia di casa;
c)
Campanella sac. d. Stefano arciprete, rivela s. 100 per raccolto f.f per 1763, i
quali mi bisognano s. 18 per mangia di famiglia, s. 4 per simenze, s. 3 per
soccorso di seminerio di legumi ed orzo e s. 75 quali ho venduto a questa
università comp. di salme 100 per uso del publico panizzo sotto nome di Stefano
di Salvo;
d)
Lauricella sac. d. Elia, rivela s. 8.8
ff. raccolto XI ind. 1763, delle quali mi bisognano s. 7 per simenza e mi
bisognano salme 10 per mangia almeno di dieci persone;
e)
Pumo cl. Francesco, rivela s. otto ff.
raccolto XI ind. 1763, delli quali mi bisognano s. 2 ff. per simenza, soccorso
s. 2, il resto s. 4 comp. di dette s. 8 per mangia di casa;
f)
Borzellino sac. d. Mario, rivela s. 5 ff. raccolto XI ind. 1763, delli
quali li bisognano per mangia di casa;
g)
Conti sac. d. Gerolamo, rivela s. 26 ff. raccolto XI ind. 1763, delli
quali li bisognano s. 8 ff. per simenza,
s. 7 per soccorso di d.° sem.° e sem.° di legumi ed orzi e governare due
possessioni di vigna proprie, s. 11 p. mangia e commodo proprio;
h)
Crinò diacono d. Filippo, rivela s. 2 ff. raccolto XI ind. 1763, quali li servino per mangia di casa;
i)
La
Matina sac. d. Gaspare, rivela s. 7 ff.
raccolto XI ind. 1763, delli quali mi bisognano s. 3 ff. per simenza, e s.
4 per mangia di casa;
j)
Farrauto sac. d. Santo, rivela s. 200 ff. raccolto XI ind. 1763,
delli quali mi bisognano s. 100 ff. vendute al publico panizzo di questa, s. 80
obligate al caricatore di Girgenti, s. 20 per mangia e simenze di proprie chiuse;
k)
D'Amico sac. d. Antonino, rivela s. 8 ff. raccolto XI ind. 1763, delli
quali di deducano s. 3 a ragione di processione del SS.mo Sacramento e s. 5.8
per mangia;
l)
Savatteri sac. d. Michel'Angelo, rivela s. 21 ff. raccolto XI ind. 1763, delli
quali mi bisognano s. 2.8 ff. per simenza, s. 5 per soccorso di detto sem.° e
sem.° di legumi ed orzo, s. 4 dati in
accodo e s. 10 per mangia e commodo di casa;
m)
Scibetta e Franco sac. d. Giuseppe, rivela
s. 30 ff. raccolto XI ind. 1763, delli quali mi bisognano s. 4 ff. per simenza,
s. 2 per soccorso di detto sem.° e s. 2 persem.° di legumi, s. 8 per lo
soccors o di un predio di vigne e s. 14
p. mangia e commodo;
n)
Picone sac. d. Ignazio, rivela s. 4 ff.
raccolto XI ind. 1763, delli quali mi bisognano s. 1 ff. per simenza, s. 1 per
soccorso e s. 2, comp. di d. s. 4 per
mangia di casa;
o)
Sferrazza sac. d. Filippo, rivela s. 3 ff.
raccolto XI ind. 1763, delli quali mi bisognano s. 1 ff. per simenza, s. 0.8
per soccorso e s. 1.8 per mangia propria;
p)
Mantione sac. d. Baldassare, rivela s. 2
ff. raccolto XI ind. 1763, delli quali mi bisognano per mangia di casa;
q)
Mantione sac. d. Antonino, rivela s. 27.10
ff. raccolto XI ind. 1763, delli quali mi bisognano s. 7.8 ff. per simenza, s.
5 per soccorso di detto seminerio e
socc. sem. d'orzo e legumi, s. 3 per governare le vigne e s. 12.2. per
mangia di casa;
r)
Pitrozzella sac. d. Baldassare, rivela s.
10 ff. raccolto XI ind. 1763, delli quali mi bisognano s. 8 ff. per simenza, s.
4 per coltura di detto seminerio;
s)
Montagna diacono d. Onofrio, rivela s. 6
ff. raccolto XI ind. 1763, delli quali mi bisognano s. 3 ff. per simenza, s.
1.8 per soccorso e s. 1.9. per
mangia di casa;
t)
Baeri sac. d. Ignazio, rivela s. 0.8 ff.
raccolto XI ind. 1763, quali li
bisognano . per mangia di casa;
u)
Baeri sac. d. Casimiro, rivela s.2 ff.
raccolto XI ind. 1763, quali li
bisognano per mangia;
v)
Nalbone sac. d. Benedetto, rivela s. 360
ff. raccolto XI ind. 1763, delli quali li bisognano s. 5 ff. per simenza, s. 2
per soccorso, s. 3 soccorso per il seminerio di legumi, s. 20 per mangia, s. 2
per soccorso delle vigne e s. 250 obbligate a q. un. [questa università] per
pubblico panizzo e s.78 commodate;
w)
Fucà diacono d. Giuliano, rivela s. 1 ff.
raccolto XI ind. 1763, quali li
bisognano per mangia;
x)
Fucà sac. d. Pasquale, rivela s. 1 ff.
raccolto XI ind. 1763, quali mi
bisognano per mangia;
y)
La Matina sac. d. Pietro, rivela s.13 ff.
raccolto XI ind. 1763, delli quali li bisognano s. 5 ff. per simenza, s. 2 per
soccorso e s. 6 per mangia;
z)
Avarello sac. d. Alberto, rivela s. 75.11.2 ff. raccolto XI
ind. 1763, delli quali s. 10 ff. per simenza, soccorso si d. sem.° s. 8, soccorso sem.° di legumi s. 8 e s. 49.11.2
per mangia ed impiego di mia casa;
aa) Busuito
sac. d. Antonino, rivela s. 6 ff. raccolto XI ind. 1763, delli quali mi
bisognano s. 1.4 ff. per simenza, s. 2 per soccorso sem.° di legumi e s. 1 soccorso di d.° sem.° di
forte e per governare le vigne ed il resto. per mangia;
bb) Scibetta
ed Alfano sac.d . Giuseppe, rivela s. 70 ff. raccolto XI ind. 1763, delli quali
40 vendute a questa un. per publ. panizzo, s. 6 per simenza e il restante per
mangia di mia famiglia, soccorso delli metatieri di legumi ed orzo e p.
migliari dieci di vigna e più per fare l'arbitrio di campagna;
cc) Farrauto
sac. d. Saverio, rivela s. 0.8 ff. raccolto XI ind. 1763, quali mi servono per mangia;
dd) Biondi
sac. d. Baldassare, rivela s. 4 ff. raccolto XI ind. 1763, delli quali li
servono per mangia;
ee) Alfano
sac. d. Filippo, rivela s. 30 ff. raccolto XI ind. 1763, delli quali li bisognano
s. 4 ff. per simenza, s. 7 per soccorso di d.° semin.° e sem,° di legumi e
governare la vigna.
Nel
mezzo del ‘700, a Racalmuto, dunque, occorrevano 4.346 salme di frumento per la
“mangia” dell’intera popolazione che, secondo “la numerazione delle anime” del
quale si custodisce in quel mirabile scrigno (purtroppo in gran dispitto alle
locali autorità) che è l’archivio della Matrice, ascendeva a circa 5.800 anime
sotto n. 1537 capi-famiglia. [31]
Il panizzo pubblico richiedeva qualcosa come 1.195 salme di frumento, il che
significa che oltre l’78% delle famiglie non aveva grano proprio bastevole per
sostentare il proprio gruppo familiare e doveva far ricorso al pubblico
“panizzo”. Solo 126 possidenti potevano considerarsi autosufficienti, ivi
compresi i quattro conventi ancora aperti, ed i 31 ecclesiastici (preti e
diaconi) che costituivano il 2% dei “fuochi” racalmutesi del ‘700. Non
disponiamo, purtroppo, notizie sul frumento che, finito nei pubblici caricatoi,
emigrava per esportazioni o per le cosiddette “tratte” che per secoli avevano
foraggiato il “biscotto” degli eserciti spagnoli.
-
i
vigneti.
Ma
non tutte le terre erano destinate al frumento. da un rollo della Confraternita
di Santa Maria (dedita alla buona morte, e si sa che il culto dei trapassati è
stato da tempo un buon affare a Racalmuto) abbiamo potuto enucleare qualcosa
come 102 vigneti di varia dimensione, con vette di 18.000 viti che i fratelli
Taibi vantavano in località Montagna, dislocati pressoché dappertutto, e
coltivati in vario modo: “vinea de aratro” (come dire che fra vite e vite si
poteva arare e quindi coltivare frumento o legumi o altro); “vinea cum suis
arboribus” (la vigna alberata era consueta a Racalmuto, almeno fino a quando
non ebbe a prendere piede quella a tettoia, ultimamente coperta con teli di
plastica, in modo anche osceno); “vinea arborata com eius clausura” (una bella
vigna alberata in mezzo a chiuse di terre da pane); “vinea cum eius clausuris, arboribus et domo”
(una spaziosa “robba” con vigneti, frutteti e campi di grano); “clausura cum
domibus, aqua, terris scapulis et arboribus et aliis” (era la “chiusa” che il
potente e ricco Giovanni Amella possedeva nel feudo di Gibillini, a confine con
il vigneto di suo fratello Giovanni, con quello di Pietro Salvo e con il vigneto
di Antonino Gugliata).
Non
disponiamo di dati sufficienti a tracciare un valido quadro statistico, ma il
seguente speccietto non è poi del tutto trascurabile:
DATA
|
COGNOME NOME
|
LOCALITA'
|
||
1589
|
MASTROSIMONE Marianus et Joannella
de Mastrosimone
|
CASALI VECCHIO
|
||
1589
|
BURGIO PIETRO
|
CASALI VECCHIO
|
||
1589
|
GIANGRECO MARIANO
|
CASALI VECCHIO
|
||
1589
|
GRACI VINCENZO
|
CASALI VECCHIO
|
||
1578
|
MONTELEONE NICOLO'
|
SERRONE
|
||
1580
|
LUPARELLO ANTONINO
|
NOCE
|
||
1580
|
DE LIO JACOBO
|
NOCE
|
||
1587
|
SUTTASANTI PIETRO
|
SCALA
|
||
1587
|
RIZZO MARTINO
|
SCALA
|
||
1587
|
ALAIMO IACUZZO MARCO
|
SCALA
|
||
1594
|
MACALUSO GIUSEPPE DI VINCENZO
|
SERRONE
|
||
1594
|
GUELI ANTONINO
|
SERRONE
|
||
1594
|
BARBIERI PIETRO
|
SERRONE
|
||
1596
|
SURCI PAOLO
|
SERRONE
|
||
1596
|
FRANCO BARTOLO
|
SERRONE
|
||
1596
|
SFERRAZZA - Gerlandus Sferracza
quondam Antonini alias Cannatuni uti tutor Francisci Sferracza eius fratris
|
ROVETTO FONTE
|
||
1596
|
MESSINA PAOLINO
|
GARAMOLI CORVO
|
||
1596
|
PALERMO FABIO
|
GARAMOLI CORVO
|
||
1596
|
RESTIVO DRAGO GIOVANNI
|
GARAMOLI CORVO
|
||
1596
|
MULE' VILLICO ANTONINA
|
GARAMOLI CORVO
|
||
1596
|
LUPARELLO LEONARDO
|
GARAMOLI CORVO
|
||
1596
|
MESSINA PAOLINO
|
GARAMOLI CORVO
|
||
1596
|
LA LICATA ANTONELLA
|
CELSO-LOGGIATO-GIBILLINI
|
||
1596
|
AMELLA JO. VITO
|
CELSO-LOGGIATO-GIBILLINI
|
||
1596
|
ALLETTO ANTONINO
|
CELSO-LOGGIATO-GIBILLINI
|
||
1596
|
LA LICATA ANTONELLA
|
PIRO-NOCE-FICOAMARA
|
||
1596
|
LA ROCCA PIETRO
|
PIRO-NOCE-FICOAMARA
|
||
1596
|
LA LICATA GIURLANDELLA
|
MALVAGIA
|
||
1596
|
RIZZO MARCO
|
MALVAGIA
|
||
1597
|
BARBERI GRIXO VINCENZO
|
SAMBUCHI
|
||
1597
|
RUGGERI LUIGI
|
SAMBUCHI
|
||
1597
|
LO BRUTTO CARLO
|
SAMBUCHI
|
||
1597
|
CALCI GIUSEPPE
|
SAMBUCHI
|
||
1597
|
BARBERI alias MOSSUTO ANTONINO
|
CULMITELLA
|
||
1597
|
CACCIATORE mastro PIETRO
|
CULMITELLA
|
||
1597
|
AGRO' VENTO GIOVANNI
|
CULMITELLA
|
||
1597
|
LA LICATA LOGIA ANGELO
|
DONNA FALA - PORTELLE
|
||
1597
|
TAIBI CINO LUIGI
|
DONNA FALA - PORTELLE
|
||
1597
|
LA LATTUCA GIUSEPPE
|
DONNA FALA - PORTELLE
|
||
1597
|
INGRAO FILIPPO
|
BOVO
|
||
1597
|
MORREALE mastro MARIANO
|
BOVO
|
||
1598
|
FIXINA E STAFARACI Filippus de
Fixina et Vincentius Stafarachi socer et gener
|
SANTA DOMENICA
|
||
1598
|
BELLOMO PIETRO
|
SANTA DOMENICA
|
||
1598
|
ACQUISTA SIMONE
|
SANTA DOMENICA
|
||
1598
|
GENTILE LUCIANO
|
BOVO
|
||
1598
|
PARLA VINCENZO
|
BOVO
|
||
1600
|
MANTEGNIA PASQUALE
|
GAZZELLE
|
||
1600
|
PIEMONTISI ADDARIO
|
GAZZELLE
|
||
1600
|
BRUCCULERI SIMONE
|
GAZZELLE
|
||
1600
|
GARLISI GIROLAMO FU SANTO
|
GAZZELLE
|
||
1600
|
BARBA ANTONINO FU PAOLO
|
MANCHI
|
||
1600
|
AMELLA GRAVUSO PAOLO
|
MANCHI
|
||
1600
|
BARBERI FILIPPO
|
MANCHI
|
||
1600
|
PETRUZZELLA GERLANDO
|
MANCHI
|
||
1600
|
SIGNORINO VITO
|
GIBILLINI
|
||
1600
|
AMELLA SEBASTIANO
|
GIBILLINI
|
||
1600
|
LA LOMIA GIOVANNELLA
|
GIBILLINI
|
||
1600
|
GRILLO GIOVANNI
|
BOVO
|
||
1600
|
CARAVELLO FILIPPO
|
BOVO
|
||
1600
|
PIRNICI GIOVANNINO
|
BOVO
|
||
1600
|
LA LICATA ANTONELLA
|
NOCE
|
||
1600
|
LA LICATA ANTONELLA
|
PIDOCCHIO
|
||
1600
|
LA LICATA ANTONELLA
|
GAZZELLA
|
||
1600
|
PIEMONTISI ADDARIO
|
GAZZELLA
|
||
1600
|
GIANDALIA SIMONE
|
GAZZELLA
|
||
1602
|
TAIBBI VINCENZO ED ALESSANDRO
|
MONTAGNA
|
||
1602
|
CURTO ANTONINO DI BARTOLO
|
MONTAGNA
|
||
1602
|
RIZZO PIETRO DI SIMONE
|
MONTAGNA
|
||
1602
|
SANFILIPPO SANTO
|
MONTAGNA
|
||
1602
|
TAIBBI VINCENZO ED ALESSANDRO
|
MONTAGNA
|
||
1602
|
BUSCEMI CORRADO
|
MONTAGNA
|
||
1603
|
MACALUSO FRANCESCO DI VINCENZO
|
GRANCI
|
||
1603
|
POMA IACOBO
|
GRANCI
|
||
1603
|
LAURICELLA ANTONIO
|
GRANCI
|
||
1603
|
AMELLA GIOVANNI DI FRANCESCO
|
GIBILLINI
|
||
1603
|
SALVO PIETRO
|
GIBILLINI
|
||
1603
|
D'ASARO PIETRO, PITTORE
|
GARAMOLI CORVO
|
||
1603
|
MACALUSO FRANCESCO FU VINCENZO
|
GARAMOLI CORVO
|
||
1603
|
D'ASARO PIETRO, PITTORE
|
NOCE
|
||
1603
|
GUADAGNO NOT. GIOVANNI
|
|||
1604
|
BARBIERI ANTONIA
|
CULMITELLA
|
||
1604
|
CACCIATORE PAOLO
|
CULMITELLA
|
||
1604
|
AGRO' VENTO GIOVANNI
|
CULMITELLA
|
||
1604
|
MONTELEONE not. NICOLO'
|
MENTA
|
||
1604
|
IANNUZZO SALVATORE FU ANGELO
|
BIGINI
|
||
1604
|
PACE GERLANDO
|
BIGINI
|
||
1604
|
XANDRO CATERINA
|
PIDOCCHIO
|
||
1604
|
TAIBI ALESSANDRO
|
PIDOCCHIO
|
||
1604
|
GIGLIA ANTONINO
|
PIDOCCHIO
|
||
1606
|
BORSELLINO PIETRO DI ANTONIO
|
MONTAGNA
|
||
1606
|
MACALUSO ALESSIO
|
MONTAGNA
|
||
1606
|
PETRUZZELLA BARTOLO
|
MONTAGNA
|
||
1607
|
LO NOBILI mastro GIULIO
|
STALLUNERI
|
||
1607
|
BARONE mastro FRANCESCO
|
STALLUNERI
|
||
1607
|
LO NOBILE mastro FRANCESCO
|
STALLUNERI
|
||
1607
|
GUELI GIUSEPPE DI GERLANDO
|
STALLUNERI
|
||
1608
|
CURCIO ANDREA
|
GIBILLINI
|
||
1608
|
CAPOBIANCO MICHELE
|
GIBILLINI
|
||
1608
|
MESSINA ORLANDO
|
GARAMOLI
|
||
1608
|
PALERMO FABIO
|
GARAMOLI
|
||
1608
|
LO GIUDICE VINCENZO
|
GARAMOLI
|
||
1608
|
RESTIVO GIOVANNI
|
GARAMOLI
|
||
I vigniti,
sparsi un po’ ovunque, si palesano però più insensivi a Garamoli, in contrada
Montagna, a Bovo, alla Noce, alla Menta, al Rovetto, a casali Vecchio, a
Culmitella, al Serrone; in varie località che in quel tempo facevano parte del
feudo di Gibillini, come dire i versanti di Monte Castelluccio; in talune
contrade oggi di incerta, e talora ormai dimenticata, ubicazione quali: Bigini,
Gazzelle, Granci, Malvagia, Manchi,
Pidocchio, Sambuchi, Stalluneri, Santa Domenica; e non mancavano vigneti
neppure nella parte Nord, a cavalcioni del vallone oggi così desolato, come ci
testimoniano i dati relativi a Donna Fala o a Quattro Finaiti.
Integrando
i dati con quelli che appaiono da un altro “rollo” – sempre custodito in
Matrice – abbiamo, infatti, vigneti – oltre alle località citate – in contrade
quali: Carcarazzo, Pernice, Muscamenti, Cannatone, per non parlare del Ferraro,
dei Malati, del Saracino, Sant’Anna, San Giuliano, Rocca Russa, Canalotto,
Muccio, Giardinello (feudo di Gibillini), Corbo, Petravella, Cozzo della
Pergola, Santa Maria di Gesù, Marcianti (feudo di Gibillini), Vella del Corbo,
Arena, Muccio (feudo di Gibillini), Lago (feudo di Gibillini), Scifitello,
Castilluzzo (feudo di Gibillini), Carmelo.
- il
sommacco.
Una
piantagione, che se pur tarda è comunque attestata da documenti del XVII
secolo, è quella del sommacco: serviva per la concia delle pelli e quindi,
allignando nei costoni rocciosi, ebbe a propagarsi in quelle zone impervie con
intensità tale che ancor oggi – seppure ormai quasi inutilizzata – non si
riesce ad estirpare. La solita Matrice ci fornisce dati d’archivio: è del 1685
questo documento che attiene ad una ipoteca :
Item in et
super salma una et tumulis octo terrarum cum eius vinea et summacio intus et
torculare sitis et positis in dicto pheudo et in contrata Bovi secus vineam
Francisci de Poma Agostini et secus contrata dello Corbo et alios confines.
Apparteneva
ad una famiglia ancor oggi in auge: al sacerdote don Pietro Casuccio ed al
fratello Nicolò. E certo, di sommacco ebbe bisogno il padre del “nonno del
nonno” di Leonardo Sciascia – che, diversamente da quanto asserisce in Occhio di Capra lo Scrittore, era
racalmutese puro sangue. Mastro Leonardo Sciascia s’induceva il 22 aprile del
1768 a fare società con mastro Carmelo Bellavia e con mastro Giuseppe Alfano, a
suo volta associato con mastro Pietro Picone.
-
gli alberi
da frutta
Gli alberi da frutta, che un tempo dovevano essere molto
diffusi, furono drasticamente ridimensionati quando i sabaudi, gli austriaci ed
i Borboni ebbero l’infelice idea di tassari in modo capitario.
La rarefazione degli alberi da frutta si coglie benissimo
nel rivelo che il convento degli agostiniani fa agli atti del notaio
Michelangelo Savatteri, il 10 maggio 1754. [32]
Il convento – ove da giovane divenne
diacono fra Diego La Matina - è ancora aperto, ad onta dei divieti papali, ed è
davvero prospero. Eppure, si guardi come sono esigue e ristrette le specie di
alberi da frutta:
«Beni stabili
rusticani
Possiede questo venerabile convento salma 1 e tumoli
8 di terre, atte a giardino secco, in questo stato, contrata S. Giuliano,
confinante con il detto venerabile convento e via pubblica di tutti i lati, che
secondo l'estimo dell'esperto di questa terra ragionati ad onze 120 per salma,
sono di valore cento ottanta onze, o. 180;
Item in dette terre vi esisteno alberi di diverse
sorti, cioè mandorle n.° 70 a tt. 6
per uno sono di valore onze 12 che secondo l'estimo dell'esperto d.o, fanno o.
12
Alberi di olive
n. 12 a tt. 6 per uno sono di valore onze quattro secondo l'estimo dell'
esperto ;
Alberi di pruni [albero che fa le susine = Prunus domestica
culta L., v. Traina] di tutta sorte n.° 200 a tt. 8 per ogn'uno secondo
l'estimo dell'esperto;
Alberi di peri n.° 15 secondo l'estimo dell'esperto
ragionati a tt. 6 per uno sono di valore onze;
Alberi di fastuche [ pistacchio = Pistacium L.) n. 8 che secondo l'estimo dell'esperto a tt.
15 per uno sono di valore onze 4;
Alberi di noci
n. 2 secondo l'estimo dell'esperto unza una per uno sono onze due;
Alberi di pomi
[pyrus malus L., probabilmente compresi gli alberi di “cutugna”, cotogno, Pyrus
cydonia L.] n.° 6 ragionati secondo l'estimo dell'esperto a tt. tre per uno
sono di valore tt. deciotto;
Alberi di granati
[melograno, Punica granatum L. Denominato dalla città spagnola, a memoria
dell’importazione araba] n.° venti secondo l'estimo dell'esperto a tt. 3 per
uno sono di valore onze due;
Alberi di fichi
n.° 15 secondo l'estimo dell'esperto a tt. 4 per uno sono di valore onze due.»
Mancano
aranci e mandarini ed anche limoni. Mancano: gelsi, sorbi, peschi, nespoli,
ciliegi ed altre specie oggi piuttosto ricorrenti nelle campagne di Racalmuto.
Notisi la prevalenza dei frutti invernali. Quanto al valore, questa la
gerarchia: noce (un’onza ad albero); pistacchio (15 tarì ad albero); pruni
(tarì 8 ad albero), nonché mandorli, ulivi e peri (tutti sollo stesso standard
di 6 tarì ad albero) e, quindi, gli alberi di fico (4 tarì ad albero), i
melograni con i pomi a soli 3 tarì ad albero. Si tace sui fichidindia che
dovevano pur esserci.
- le risorse agricole degli agostiniani di S. Giuliano.
Il documento ci pare perspicuo anche per quest’altri
rilievi agrari:
«Possiede pure detto venerabile convento, in detto stato
contrada Barona, salma una e mondelli due di terre scapoli per uso di
seminerio, confinante con Carlo Barone, e via publica, che secondo l'estimo
dell'esperto ragionati ad onze 120 salma sono di valore cento trenta cinque
onze ...... -/ 135.
Possiede più detto venerabile convento tumoli 12 di
terre occupate da n.° migliara 8 di vigne nel feudo delli Gibillini Contrata
Ferraro confinante con vigne di Santo Diana, Nicolò Curto, ed altri, e via
publica, che secondo l'estimo
Possiede pure detto venerabile convento in detto stato
mcontrada Barona salma una, e mondelli due di terre scapoli per uso di
seminerio confinante con Carlo Barone, e via publica, che secondo l'estimo
dell'esperto ragionati ad onze 120 salma sono di valore cento trenta cinque
onze ...... -/ 135
Possiede più detto venerabile convento tumoli 12 di
terre occupate da n.° migliara 8 di vigne nel feudo delli Gibillini Contrata
Ferraro confinante con vigne di Santo Diana, Nicolò Curto, ed altri, e via
publica, che secondo l'estimo dell'esperto ragionate ad onze 12 per migliaro
sono di valore onze novantasei e tarì 10 ....................-/ 125.10.
In dette vigne esiste il Palmento per commodo della vendemmia e con
altre due case di abitazione terrane e cioè una entrata, e l'altra paglialora,
e due camere di sopra, che secondo l'estimo dell'esperto di questa sono di
valore onze trenta
................................................................... -/ 30
In dette vigne vi sono n.° trenta quattro alberi di mandorle, peri,
fiche, ed olive, che secondo l'estimo dell'esperto di questa ragionati a tt. 6
per uno sono di valore onze se, e tarì venti quattro
.........................................................................................................................
-/ 6.24.
Possiede di più detto venerabile convento tumoli 8 di terre atte a
seminerio confinanti coll'istesse vigne di sopra ad onze 64. salma secondo
l'estimo dell'esperto importa trentadue onze .. -/ 32
In dette terre
vi esiste fiumara con sua acqua sorgente in n.° 100 alberi di Pioppo che
prezzati
secondo l'estimo dell'esperto a tt. 8, grana uno, sono di valore onze
quattordici e tarì 20 ..-/14.20»
Lo spaccato contadino del
mondo racalmutese settecentesco si tinge anche di questo tratto non proprio
edificante. I ricchissimi frati di San Giuliano si danno alla questua lungo le
campagne ed ottengono dai devoti villici questi tutt’altro che trascurabili
“introiti spirituali”:
«Introito Spirituale
In primis salme 10 formenti provenuti per questua ragionati a tt. 40
salma importa ...............-/ 3
E più salmi 6 orzi a tt. 24 salma provenuti per questua importa .............................................
-/ 4
E più salmi 4 fave provenute per questua ragionati a tt. 24 salma
importa .............................. -/ 3
E più salme due lenti[cchie] provenuti per questua a tt. 42 salma
importa ....……................... -/ 2
E più salma 1 ceci provenuti per questua ragionati ad -/1.26 salma
importa .................. -/1.26
E più botte sei musto ragionate a onze 1.7 botte
.................................................................-/ 6»
I frati
questuanti portano nelle stive del convento «formenti, orze, fave, lenticchie e
ceci». Il Borbone, da Napoli, insensibile a cosiffatte devozioni, tassa.
Il convento di S. Giuliano ha pure il problema della
gesione delle vigne site al Ferraro: ecco come denuncia il «Prodotto delle vigne di Gibillini»: sono
vigne «date a società, franche d'ogni spesa, un anno per l'altro, [per un
valore di] botte 4 di vino-mosto, ragionate per onze 3,3 per botte.»
Restiamo colpiti da quel pioppeto di 100 albero lungo la
“fiumara” del Ferraro. Oggi, nessuna traccia è più lì rinvenibile, né di
pioppi, né di acque fluenti. Il pioppo,
come i tanti canneti di cui parlano le fonti, erano indispensabili nelle
costruzioni edili. Due grossi volumi contabili denominati “libri della fabrica”
sono consultabili in Matrice ai fini dell’inveramento della costruzione della
nostra chiesa madre, sempre che si abbia voglia di discostarsi delle letterarie
attribuzioni di Sciascia ad un prete in alumbramiento. Nel Seicento si faceva ricorso al pioppetto
di Garamoli. Era difficoltoso ed il trasporto costava. Lo sfruttamento di
facchini era comunque possibile: bastava dar loro “salsicce e vino”. A
comprova, citiamo: «il 22 dicembre del 1658 si pagavano mastro di Napoli e suo
figlio «per havere andato in Garomoli per sbarrare li travetti et n° 3 burduna
che mancano al complimento della nave [della Matrice] ed in più per havere
fatto portare dui carichi di travetti di Garamoli.» Occorrono 20 tarì «per havere fatto venire dui burduna da
Garamoli e più per pani, salzizza e vino a vinti homini che uscirono detti
burduna dentro la fiumana e ni portaro uno a 2 dicembre alli detti Gueli et
Napoli e suo figlio per intravettare e pulire la travetta.» Le tre attuali
navate della Matrice furono dunque intravettate con legname di Garamoli nel
dicembre del 1658, quando don Santo d’Agrò – il prete alumbriato da Sciascia - era
morto da 21 anni (risulta, appunto tumulato, nella parte allora esistente della
Matrice, sotto l’altare della Maddalena il 22 luglio 1637).
I pioppi degli agostiniani del Ferraro non dovevano essere
dissimili da quelli di Garamoli, e del tutto uguali a quelli – radi – che
ancora resistono nello zubbio sotto Fra Diego. Questa è almeno la tesi dei
grandi naturalisti racalmutesi che abbiamo interpellato.
Rintracciato via E-Mail il mio compagno di liceo prof.
Giovanni Liotta, lo apostrofai nel dicembre del 1999 in questi termini:
A Garamoli, dunque, v’era nel 1658 una “fiumana” ove
impenetrabilmente prosperava un bosco di alberi ad alto fusto che
all’occorrenza venivano utilizzati per fare dei “burdana” per il tetto delle
chiese. Qui si tratta della nostra matrice (ovvio che quella di cui parla
Sciascia fatta a spese di un prete, l’Agrò, in vena di alumbriamento, non
esiste). Di che tipo erano quegli alberi? Ha ragione il dott. Salvo che li
vuole della famiglia populus alba? Si
potrebbe pensare ad una colonia di pioppi
neri (p. nigra)? O ad
altre specie di alberi ad alto fusto?
Perché sono spariti?
E prontamente – e tanto simpaticamente, quanto gentilmente
– il grande entomologo mi precisava:
Quanto alle piante che vivevano e ancora vivono ai bordi del
canale per lo smaltimento dell'acqua della sorgente, credo, come Salvo, che
debbano essere attribuite alla specie Populus
alba, (il pioppo più comune della zona).
Ma noi
continuiamo a sperare che i citati esperti racalmutesi ci forniscano risultati
di appositi studi: Racalmuto li merita.
h) La fauna
Così come a
Milena, anche a Racalmuto, la fauna che circolava dal Neolitico al periodo
tardo romano era sostanzialmente costituita dagli ovicaprini (si calcola sul
46,75%), dai bovini (sul 20,19%) e sui maiali (intorno al 19,57%) [33] Anche a
Racalmuto ebbe a pascolare il cervo e seppure rade non mancarono la volpe, la
lepre ed il cinghiale.
Ci pare
pertinente pure ai nostri siti questo passaggio del lavoro della Wilkens:
«Oltre ai resti di mammiferi sono stati identificati anche alcuni molluschi
marini (Murex trunculus, Glycymeris
sp., Glycymeris violacescens), marini
fossili (Dentalium sp.) e terrestri (Rumina decollata, Helix aspersa, Eobania
vermiculata, Leucochroa candidissima).
Mentre è probabile che le conchiglie marine, compreso il Dentalium fossile, venissero utilizzate a scopo ornamentale, la
presenza di molluschi terrestri può essere causale, dato che non sono stati
trovati in numero tale da far supporre un loro uso alimentare.»
Nell’Eneolitico,
in zona Rocca Aquilia così prossima alla contrada Marchesa di Racalmuto, «la
percentuale degli ovicaprini è molto alta, raggiungendo il 71,55%. [..…]La
caccia ha un interesse molto limitato con il 3,44% e due sole specie: il cervo
e la volpe. […]Tra gli ovicaprini
prevale nettamente la pecora, essendo la capra rappresentata solo da un
frontale femminile con cavicchie.»
Risale al
Bronzo antico l’utilizzo certo di bovini come animali da lavoro. Non mancava il
cane. Nel Bronzo medio, i maiali tra uno e due anni venivano utilizzati per la
macellazione. Per le pecore «le macellazioni avvenivano alla nascita, a 3/5
mesi e a 8/9 mesi nei giovani, si hanno resti di subadulti di 18/24 mesi e di
adulti di età media ed avanzata. Si aveva quindi uno sfruttamento di tutte le
possibilità del gregge: latte, carne e lana.» «I resti di cane sono scarsi e
comprendono la mandibola di un giovane compresa tra uno e quattro mesi. Gli
altri frammenti appartengono ad adulti di piccola taglia. Tra le specie
selvatiche sono stati identificati la volpe, il cinghiale, il cervo e la
tartaruga.»
Verso la
fine dell’età del Bronzo, la commestione del cane risulta con certezza: «una
mandibola di cane con denti regolari denota la presenza di un individuo a muso
lungo, mentre un frammento di femore con graffi di scarnificazione sul lato
ventrale in prossimità dell’epifisi distale, indica che anche i cani venivano
utilizzati nell’alimentazione.»
Estendiamo
a Racalmuto queste importanti “interpretazioni e confronti” della Wilkens:
«Nell’economia di questa area la caccia ha sempre avuto un’importanza
secondaria e solo nel Neolitico di Mandria i resti di animali selvatici
raggiungono una percentuale significativa (11,72%). La tendenza verso un
allevamento misto con forte importanza della pastorizia affiancata da buone
percentuali di bovini e maiali è evidente dall’esame del materiale neolitico. I
bovini sembrano in questa fase destinati essenzialmente alla produzione di
carne e latte, mentre negli ovicaprini, che in tutti i periodi sono costituiti
in massima parte da ovini, sembra prevalere l’interesse per la lana e il latte
rispetto a quello per la carne. […] Nell’Eneolitico si accentua la tendenza
verso la pastorizia a danno principalmente dell’allevamento dei maiali. […]
Negli strati più recenti di Serra del Palco … è presente il cavallo.»
Il cavallo
pare che sia giunto tardi in queste zone: «Il cavallo, identificato solo in
livelli di età storica, raggiunge a Rocca Amorella un’altezza di mm. 1316. Si
tratta quindi di un individuo di taglia media. I resti di asino sembrano invece
da attribuire ad animali di piccola taglia.»
In
definitiva, «tra gli animali selvatici si nota una certa varietà di specie nel
Neolitico (volpe, lepre, cinghiale e cervo). […] Solo il cervo si trova con
regolarità in quasi tutte le fasi. E’ da notare il tasso nel Bronzo tardo di
Serra del Palco. […] Il daino è presente solo a Rocca Amorella.» Non mancava il
gatto.
In millenni
di attività venatoria e di braccognaggio, la facies faunistica di Racalmuto è radicalmente cambiata.
Naturalmente vi ha contribuito l’antropica modificazione della locale
vegetazione. Il degrado degli ambienti per il dissennato utilizzo di
fitofarmaci è stato spesso esiziale. Vi si aggiunga la vulnerazione che le
tante strade hanno determinato nell’ecosistema del territorio..
Resiste,
comunque, nella zona la Volpe (Vulpes
vulpes crucigera Bech.), avente pelliccia rossastra sul capo e sul tronco e
grigia sulle parti inferiori. Vive in genere tra le sterpaglie dei campi o
trale balze rocciose (come nella cava di Fulvio Russo, al Serrone). Pare che non sia del tutto scomparso il Gatto
selvatico (Felis silvestris Schreb.).
Tra i roditori sopravvive l’Istrice (Hystrix
cristata cristata L.). Pure ancora presente il Riccio (Erinaceus europaeus consolei Barr. – Ham.), un insettivoro dal capo
largo e con il muso appuntito. Tutte le parti superiori del corpo sono
ricoperte, dalla fronte alla coda, da aculei di due o tre centimetri di
lunghezza. Lepri e conigli non mancano, anche se ormai non più indigeni, ma
provenienti dai paesi slavi ed immessi nel territorio per ripopolamento,
purtroppo senza avvedutezza veterinaria, e quindi, non di rado, infetti e
contagiosi. Lepre comune (Lepus europaeus
corsicanus De Wint) e coniglio selvatico (Oryctolagus cuniculus huxleyi Haeck.) sono per ora preda - al Castelluccio, al
Serrone, alla Pernice, persino sotto le varie “robbe” di campagna – di quella
fosca genia dei cacciatori locali, per fortuna in via di estinzione.
Sembrano
tornare a volteggiare sulle lande racalmutesi gli antichi rapaci. Consueti i
rapaci notturni quali: il Barbaggianni (Tyto
alba Scopp.), dal piumaggio biancastro nella parte inferiore del corpo e
rossastro nella parte superiore, con disco facciale a forma di cuore in cui
sono inseriti occhi relativamente piccoli di colore oscuro, la Civetta (Athene noctua Scop.) – e pensiamo al
Giorno della Civetta di Sciascia – piumaggio grigio marrone, attiva nel
crepuscolo e nelle prime ore dell’alba, divoratrice di insetti e predatrice di
topi e uccelli di piccole dimensioni. E, poi, il Gufo comune (Asio otus L.) e l’Allocco (Strix aluco L.). A noi fa ancora effetto
l’ansimante gridio dello Jacobbu (strix bubo L.), quando, dopo l’estivo
imbrunire al Serrone, sfreccia invisibile tra i vigneti. E quasi umano è il
richiamo dei piccoli che, sempre al Serrone, la volpe reitera divagando ora qui
ora là nella notturna pastura.
Corvi,
cornacchie, gazze, storni, cardellini, fringuelli, allodole, capinere, tordi,
merli, rondini, pettirossi, sono uccelli passeriformi o ancora non estinti o in
fase di piacevole ritorno. L’upupa, ma anche il piccione selvatico, la tortora,
la quaglia, la coturnice di Sicilia allietano ancora i nostri campi. Rettili,
di solito innocui (i familiari scursuna)
continuano, in primavera, a spogliarsi delle loro lunghe squame sui campi,
sempreché non uccisi prima dalla superstizioso e biblico ribrezzo dei contadini
nostrani. Lucertole a iosa: dalla Podarcis
wagleriana (Gist.) alla comunissima Podacis
sicula sicula (Raf.). Sui muri delle case e sulle rocce due specie di
gechi, grandi divoratori di insetti: la Tarentola
mauritanica (L.) e l’Hemidactylus turcicus (L.)
E che dire delle lumache: a Racarmutu aviemmu li babbaluciara, diceva un’ingenua canzone
popolare. Babbalucieddi, babbaluci,
iudisca e muntuna, termini familiari a tutti i racalmutesi.
[1] ) Fulco Pratesi e Franco Tassi,
Guida alla natura della Sicilia, pp.
21-22, Mondadori, Milano 1974.
[2] ) ibidem, p. 204
[3]) Ferdinando Milone: Sicilia, la natura e l’uomo - Torino, 1960, pag. 13.
[4]) L. Trevisan: Les mouvements tectiques récents en Sicile -
Hipothèses et problèmes.
[5]) Luigi Romano: Idrogeologia della propagini sud-ovest dell’altipiano di Racalmuto
-GEOLOGIA - Università di
Palermo - Facoltà di Scienze - Anno Accademico 1978-79 , pag. 6
[6] ) L. Mauceri: Notizie su alcune tombe .. scoperte fra Licata e Racalmuto, in Ann. Inst. Corr. Arch., 1880
[7] ) S. Tine': L'origine delle tombe a
forno in Sicilia, in Kokalos 1963, p. 73 ss.
[8] ) Leonardo Sciascia, L’antimonio, in Opere 1956-1971 – pag. 384, Bompiani Milano, 1987.
[9] ) ibidem, p. 384
[10] ) Dalle capanne alle “robbe” – La storia lunga
di Milocca-Milena – a cura di Vincenzo
La Rosa – Pro Loco Milena 1977 – p. 7
[11] ) ibidem, p. 15 e ss.
[12] )
Per maggiori dettagli cfr. Decima A.,
Werzel F.C., 1971 – Osservazioni
sulle evaporiti messiniane della Sicilia centro-meridionale. Riv. Min.
Sicil., 22, pp. 172-187.
[13] )
Per approfondimenti, cfr. Carobbi G.,
1971 – Trattato di mineralogia. Vol.
II – Firenze.
[14] ) Vedansi a Racalmuto, ad
esempio, le polle solfuree sopra Gibillini, in contrada Perciata.
[15]) Marcello Panzica La Manna, Aspetti del fenomeno carsico sotterraneo nel
territorio di Milena (CL) , in Dalle
Capanne alle “Robbe”, cit. p. 27 e ss.
[16] )
Fruibili sono le seguenti letture: Calvaruso
E., Cusimano G., Favara R., Mascari A., Panzica La Manna M., 1978, Primo contributo alla conoscenza del
fenomeno carsico nei gessi di Sicilia. Inghiottitoi di M. Conca (Campofranco –
CL), Atti XIII Congr. Naz. Di Speleologia, Perugia, (preprints); Cigna A..A., 1983, Sulla classificazione dei fenomeni carsici, Atti Congr. Naz. Di
Speleologia. Le Grotte d’Italia, (4), XI, 1983, pp. 497-505; Madonia P., Panzica La Manna M., 1987, Fenomeni carsici ipogei nelle evaporiti in
Sicilia, Atti Simp. Int. Il Cars. Nelle Evapor. In Sicilia, Le Grotte
d’Italia (4), XIII, 1986, pp. 163-189.
[17] ) ARCHIVIO VESCOVILE DI
AGRIGENTO - REGISTRO VISITE 1608-1609 - MONSIGNOR Dn VINCENZO BONINCONTRO -
VESCOVO DI GIRGENTI - (INDICE A PAG. 13: RACALMUTO PAG. 244 aggiunto: 203)
[19] ) ibidem,
f. 331
[20] )
Cosimo Marcenò – lineamenti floristici e vegetazionali del territorio di Milena
(CL), in Dalle Capanne alle “robbe”, op. cit., pp.37-41.
[21] ) Pratesi e Tassi, Guida
alla natura della Sicilia, op. cit. p. 10.
[22] ) Vds. Malgrado tutto, novembre 1999 – n. 5 p.
17.
[23] ) Leonardo da Regalpetra, Racalmuto 1990, p. 8
[24] ) Gli amici della noce, Fondazione
Leonardo Sciascia – Racalmuto 1997 – p. 11.
[25] ) ibidem, p. 7.
[26] ) ibidem, p. 7.
[27] ) ibidem, p. 11.
[28] ) Francesco Renda, Storia della Sicilia dal 1860 al 1970, vol. primo – Sellerio
Palermo 1984, p. 96.
[29] ) Ci si permetta di autocitarci: Calogero Taverna, La
signoria racalmutese dei Del Carretto, Infotar Racalmuto 1999: «Una cosa è certa; Federico del Carretto era
saldamente insediato nella baronia di Racalmuto ben prima che avesse
l'investitura da Alfonso d'Aragona l'11 febbraio 1453. Reperibile presso
l'archivio di Stato di Palermo il contratto che lo vedeva associato nel 1451 con
Mariano Agliata per uno scambio di grano delle annate del 1449 e 1450 contro
quello di Girardo Lomellino consegnabile a luglio. Il Bresc [op. cit. pag. 884]
commenta: «ce qui permet une fructueuse spéculation de soudure». In termini
moderni si parlerebbe di outright in grano. La domiciliazione sarebbe stata
pattuita presso il "caricatore" di Siculiana..»
[30] ) Renda. F., Storia
della Sicilia .., op. cit. p. 84 «Lo
sfruttamento capitalistico del lavoro contadino riuscì ad elaborare varianti
ancora più gravose del terraggio, quali il paraspolo, o altri analoghi
rapporti, in cui il concessionario fu trasformato in prestatore d’opera senza
salario certo e definito (il compenso sarebbe stato una quota parte del
prodotto conseguito a fine stagione, generalmente grano, nella misura di un
quinto, di un quarto e in casi eccezionali di un terzo).»
[31] ) Per ampi dettagli, v.
il ns. Racalmuto in microsoft, c/o
Biblioteca comunale di Racalmuto.
[32] )
ARCHIVIO SI STATO PALERMO - DEPUTAZIONE DEL REGNO - INVENT. N. 5 - riveli Vol.
n. 4093 anno 1748 – ff. 250-257-
[33] ) Barbara Wilkens, Resti faunistici provenienti da alcuni siti dell’area di Milena, in
“Dalle capanne alle ‘robbe’ …” cit.
p. 127 e ss.
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