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domenica 23 marzo 2014

la trasuta di li miricani


La trasuta di li miricani Mini storia racalmutese di CALOGERO TAVERNA APPARECCHIU MIRICANU .... di Nicolò Falci APPARECCHIU MIRICANU ... (“apparecchiu miricaaanu, jetta bummi e sinni vaaaaa, apparecchiu miricaaanu jetta bummi e sinni vaaaaa ...” Passanu ‘n cìalu tanti aeroplani e ‘n testa a mia pinzera luntani (su comu granci ca vannu ‘nnarrìari) e mi riviju carusu arrìari. La guerra aviva finutu d’allura. A lu paisi la vita era dura e ni li gruìcchi ancora guzzìava l’ecu di bumma ca ‘n terra scuppiava. L’allavancavanu li miricani -ca chini avivanu l’aeroplani- p’arrigalari la dimucrazìa a la Sicilia, a l’Italia mìa. Ma tutti sannu ca a li carusi -pi fari un juacu cu antri vavusi- ogni occasioni ci duna lu spuntu, comu la cosa ca ora vi cuntu. Si n’apparecchiu passava, vulannu, li picciliddri, currìann’e ridìannu, ‘n coru cantavanu na filastrocca ... ... ... ma chiddru già era junt’a Milocca! (((“apparecchiu miricaaanu, jetta bummi e sinni vaaaaa, apparecchiu miricaaanu jetta bummi e sinni vaaaaa ...”))). Passa lu tìampu ma li miricani bumm’arrigalan’a cu voli pani, dimucrazìa pinsannu di dari a cu cujetu vulissi arristari. Spirassi, allura, ca ddri picciliddri, ca hannu pi tettu sulu li stiddri, uguali a nantri putissiru fari e ddra canzuna assìami cantari: ca ddr’apparecchi ca volanu gantu ad iddri ‘un portanu lacrimi e chiantu: eranu fansi, ma ora su mansi! Genti trasportanu ni li so’ panzi, genti pacifica ca viaggia in paci e pò firriari unn’è ca cci piaci. Chista è la spranza ca tutti avìammu, ed è cosa fatta si lu vulìammu. Calen di maggio; maggio mese dei fiori; maggio mese del mio compleanno. Siamo nel maggio del 1943. Il 10 di quel mese compio nove anni; frequento la terza elementare e pare che sia bravo a scuola: il primo della classe, dicono. Mio cugino, Giacomo Saccomando, non brilla molto a scuola, ma è davvero bravo con la "fileccia". Calpisce le colombe anche lassù nelle feritoie di "LU CANNUNI". Svelto coi pugni, si fa rispettare da quelli che vengono su LU CHIANU CASTIEDDU da SANTA NICOLA o da LA FUNTANA. Io dovrei essere un funtanaru, ma sto con mia nonna in una sorta di catoio DARRIERI SAN GNISEPPI, sopra la discesa di San Francesco. Mio cugino sta nelle CAMMARI di SUSU; il padre è militare in Grecia. Pur anzianotto è dovuto partire per soldato per il fatto che si era dovuto arruolare nella Milizia dopo un alterco con milite protetto da Carminu Burruano. Credo che allora mi invidiasse avendo io oltre che la madre anche il padre a casa. Da fanciullo mio cugino era piuttosto manesco e forse cattivo: con gli animali era piuttosto crudelle. Io ero fragilino, tanto pio e volevo farmi parrino. A giocare al dottore con le bambine non andavo: mon sapevo neppure cosa facessero. Ed Angila la figlia di Rita mi ebbe per superbo e ce l'ebbe con me persino a tardissima età. Era bruttarella, oltretutto, e semmaio io arrossivo ed abbassavo gli occhi per una biondina di San Giuliano. A vederla dopo, piccoletta e rachitella, ebbi a dubitare delle mie capacità discernitrici. In quel maggio, con mia nonna e con la sorella di mia nonna - la zza Turidduzza, spirlongona rispetto alla sorella, ma col lo stesso Jppuni, egualmente e totalmente in nero, meno il candido fazzoletto in testa - andai alla Curma a mettere la ticchiara a li ficara. Poi io, mia nonna e sua sorella, ci inerpicammo per lu Castidduzzu ove la zza Turidduzza aveva una robba bella grande in una proprietà vasta e ben alberata. Anche là mettemmo la ticchiara. Laggiù, a Portoempedoche sparavano i cannoni in risposta alle cannonate delle navi americane, ma non ce ne curavamo. Eravamo abbastanza lontani e non era sera: allora sì che era uno spettacolo sembrava uno spettacolare sastieddu fuocu. Mia nonna e sua sorella avevano i figli emigrati in America: a Buffalo la prima; a New York la zza Turidduzza. Entrambe prima dello scoppio della guerra erano state fornite abbondantemente di zucchero e caffé. Mia nonna teneva sopra lu cantaranu una fila di burnie piene di quel ben di Dio, che rano merce preziosa ora durante il conflitto. Mio cugino, scendeva spesso di soppiatto e salendo su una siggiteddra, che mia nonna non alta di statura predilegdeva, riusciva a scoperchiare la burnia dello zucchhero e trangugiare pugni pieni di quella prelibatezza. A me sembrava che commettesse peccato mortale ed ero convinto che non si confessasse neppure anche se si faceva la comunione. La prima comunione ce l'eravamo fatta insieme tre anni prima. Io avevo un completo di giacca e pantaloni lunghi che bianchi com'rrano mi facevano apparire come un buffo angioletti: con libricino bianco in mano frammezzato da una coroncina pur essa bianca - mio padre ne faceva commercio - mi fecero la fotografia appoggiato ad una colonnetta pittosto alta con sopra un vaso di fiori finti. La posseggo ancora. In quel maggio lì, in Africa era avvenuto quello che è avvenuto; per l'Italia la guerra era ormai irrimediabilmente persa. Toccava a noi subiro l'urto della strabocchevole potenza alleata; all'Ameria, all'amica Amirica, alla terra promessa di tanti emigranti, a tanti nostri compesani là emigrati, ai loro figli il compito di conquistarci. Fu liberazione? fu aggressione? Dopo le aspre polemiche dell'immediato dopoguerra, ecco riproporsi il quesito: Non crdedo che la parola sia davvero passata agli storici, alla ricerca obiettiva, anche se la querelle attuale mi sa troppo di pruriti eruditi. di voglia di contraddire, di correggere, di sapere, di potere essere più intelligenti. L'America ci è amica, la Germania ci protegge, i fascisti sobo patetici ed innocui nostri consanguinei, la Sicilia non ebbe guerre partigiane (e se ciò è un male per la crescita culturale, è un bene per il relativismo che bisogna avere nelle militanze politiche). Sfogliando una raccolta ben rilegata di un settimanale dell'epoca IL MATTINO ILLUSTRATO che il suocero di mio fratello teneva ben custodito, mi soffermo sull'ultimo numero della Sicilia fascista, l'anno XXI (ovverossia il 1943), mese di maggio. In quel maggio lì, in Africa era avvenuto quello che è avvenuto; per l'Italia la guerra era ormai irrimediabilmente persa. Toccava a noi subiro l'urto della strabocchevole potenza alleata; all'Ameria, all'amica Amirica, alla terra promessa di tanti emigranti, a tanti nostri compesani là emigrati, ai loro figli il compito di conquistarci. Fu liberazione? fu aggressione? Dopo le aspre polemiche dell'immediato dopoguerra, ecco riproporsi il quesito: Non crdedo che la parola sia davvero passata agli storici, alla ricerca obiettiva, anche se la querelle attuale mi sa troppo di pruriti eruditi. di voglia di contraddire, di correggere, di sapere, di potere essere più intelligenti. L'America ci è amica, la Germania ci protegge, i fascisti sobo patetici ed innocui nostri consanguinei, la Sicilia non ebbe guerre partigiane (e se ciò è un male per la crescita culturale, è un bene per il relativismo che bisogna avere nelle militanze politiche). Sfogliando una raccolta ben rilegata di un settimanale dell'epoca IL MATTINO ILLUSTRATO che il suocero di mio fratello teneva ben custodito, mi soffermo sull'ultimo numero della Sicilia fascista, l'anno XXI (ovverossia il 1943), mese di maggio. Mi colpisce l'assenza assoluta di immagini di Mussolini; ma quel periodico mai mostra Mussolini; forse era questione di censura di guerra. Sembra ormai che la guerra non ci sia più. Almeno per la Sicilia. Sono amori ancellari che hanno spazio; voli aerei dell'epoca, romantici, vagamente sensuali. Sono le cene dei ricchiche affiorano, in tempi credo (e ricordo) di grandi privazioni. Vestigia dell'ancora imperante regime un VOI al posto del Lei ed una periodizzazione cara a Starace. Dopo l'ultimo numero di maggio 1943, il periodico non arriva più a Racalmuto, nella casa dei solerti benestanti della famiglia Palermo. Neppure le innocue rievocazioni storiche di un papa pur discutibile per il fascismo come PIO XI ci saranno più. Sparisce il settimale con l'ultima pagina disegnata con scene soprattuttutto irridenti all'America. Dopo l'ultimo numero di maggio 1943, il periodico non arriva più a Racalmuto, nella casa dei solerti benestanti della famiglia Palermo. A giugno sostenni gli esami di terza elementare; terrorre di fanciullo il mio; soddisfazione paterna per il brillante risultato, il primo invero di tant'altri che hanno costellato la mia vita e che hanno riempito di orgoglio mio padre, che non lo celava al Mutuo Soccorso incassandone malcelate invidie. Io mi irritavo tanto; ma pover'uomo non faceva nulla di male. Ovunque tu sia, padre mio, questo tuo figlio, ora quasi ottantenne, ti ricorda con molto melanconico affetto e ti vuol bene come se tu fossi ancora fra noi. Ombre fluttuanti, ai miei occhi appariste .... eccovi ancora. Spolvero un vecchio testo di “cronaca”. Eugenio Napoleone Messana ecco come rammenta, riferisce, corregge, riempie di valenze politiche questo scorcio di storia locale. “Il 1943 fu l’anno più duro. … Gli allarmi cominciarono a susseguirsi. Mentre prima, sia di notte che di giorno, quando le campane a morto annunziavano l’allarme di rimanere a casa, limitandosi a vestirsi se a letto e a riempir d’acquale bacinelle per intinguervi le lenzuola in caso di lancio di gas asfissiante e metterli davanti le imposte, secondo le istruzioni avute in precedenza, poi si cominciò a correre nelle grotte. Gli aerei nemici si sentivano rombare sopra le case. ”Un giorno verso le tredici una raffica di mitraglia lanciata sul campanile della Matrice fece avvertire che realmente il pericolo c’era. Il 9 luglio 1943 mitragliarono un treno ad Aragona Caldare […] Verso le ore 21 si sentì un cupo rombo di aerei. Poco dopo piovvero le bombe in contrada Pantanelli. Ci fu il corri corri. Tutti alle grotte [cfr. foto successive]

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