RACALMUTO LA RIVOLTA
DEL 1862 – VIVA IL ROMANZO DI NINO VASSALLO
L’esimio Nino Vassallo sta
deliziando i lettori di MALGRADOTUTTO con un suo sicuramente pregevolissimo
romanzo storico (rectius MICROSTORICO) sulle vicende racalmutesi del 1862 . Un romanzo storico si può
permettere tutto e il contrario di tutto. Io – lo confesso – non l’ho ancora
letto; quelle diavolerie informatiche mi annebbiano la vista. Un ottantenne
come me, va capito. Aspetto quindi di comprarlo in libreria per centellinarlo
ghiottamente e riverentemente. Prima di siffatta improba fatica, mi sia
permesso di rievocare qui miei vecchi appunti. Ovviamente mi serviranno per
chiosare con magari qualche strale ironico, caratteristica che tutti mi
riconoscono o mi addebitano. Consentirà magari allo stimato Nino Vassallo da
dove potranno arrivare certi colpi proibiti e schivarli. Spero – se Dio al
quale non credo mi concederà salute e
vita sufficiente – di potermi un domani incontrarmi e scornarmi col diletto
Nino in un pubblico dibattito magari al Chiaramontano se gli attuali delegati e
sovraintendenti dovessero concedercelo.
Si è visto don Giuseppe Farrauto affiancare nel 1848 i
Messana nei fomiti antiborbonici; e dire che dopo i suoi eredi passeranno come
borbonici per eccellenza. Ma era avvenuto un incidente gravissimo con tanto di
ignominia per una infamante carcerazione. “Signori Farrauto, - apostroferà
l’impudente barone Luigi Tulumello nella campagna elettorale del 1873 - che
diremo di voi? La storia è a tutti palese, sembra da voi soli non
rammentata!!!..”: un parlare per “ ’nnimmi ”; un bell’esempio di “jttari
‘nnimmi”, come direbbe Sciascia, « ... un parlare minaccioso - cioè - e
ricattatorio che, ad eccezione della persona cui è diretto, può sembrare strano,
strambo.» Crediamo che il salace barone
Tulumello si riferisse alle scudisciate che le famiglie Farrauto e Matrona -
ora alleate - si erano inferte nel 1862, al tempo dei fatti del 6 settembre
1862.
Leonardo Sciascia quei fatti li dà in flash in Occhio di Capra (pag. 17) sintetizzando e rivisitando un
capitolo di storia paesana che si trova in un’opera di un prefetto dell’epoca;
Enrico Falconcini. «Da un prefetto ingiustamente “dispensato” - chiosa il
grande scrittore racalmutese - (non destituito, tenne a precisare il ministro)
sappiamo come è che anche a Racalmuto si tentò di non cambiare nulla nonostante
il tutto che era cambiato (vedi Giuseppe Tomasi, principe di lampedusa e duca
di Palma). Il prefetto si chiamava Enrico Falconcini, e della sua amara esperienza,
sull’ingiustizia che lo aveva colpito, fece un libro che pubblicò in Firenze
nel 1863. Un capitolo è dedicato ai fatti del 6 settembre 1862 a Racalmuto.
Racconta che nel paese c’erano due partiti: quello dei Farrauto, che vestiva
“in calzon corto ed in coda”, e quello dei Matrona, che “amava indossare la
camicia rossa”. Quel giorno, il partito dei Farrauto pensò di “profittare
dell’abbattimento che dal fatto di Aspromonte eniva alla parte sua rivale, per
correre alle case dei Matrona ed appiccare con questi una volta di più accanita
zuffa”. Si fanno rientrare in paese i renitenti alla leva, si bruciano gli
archivi, si devasta la caserma dei carabinieri, si devasta il casino di
conversazione, si svaligia il corriere postale e si dà fuoco alla corrispondenza;
e si pone assedio alle case dei Matrona, che però validamente si difendono. Due
giorni dopo arrivano a Racalmuto truppa, procuratore del re e giudice
istruttore: e si arrestano i Matrona. Il prefetto Falconcini interviene
energicamente a farli scarcerare: ed è molto probabile che anche questo
intervento gli sia stato messo in conto nel provvedimento che lo dispensava dal
servizio.»
* * *
La verità storica sulla ribellione racalmutese del 1862
L’indulgenza che Sciascia propina al forestiero prefetto
Falconcini è sospetta per vari versi: ma forse Sciascia ebbe sotto mano solo
qualche sporadica fotocopia dell’opera del Falconcini e non poté farsene
un’idea precisa. Certe sortite di quell’ex deputato, impovvisato prefetto,
stentiamo a credere possano essere passate inosservate la loico scrittore
racalmuetse e - peggio - venire addirittura condivise. Si pensi che Falconcini
ad un certo punto credeva fosse in sua mercé arrestare la gente sospetta per
farla ‘cantare’ sotto processo: peggio di taluni eccessi della moderna
antimafia - giustamente stilettata dal grande racalmutese.
Falconcini stette pochi mesi a capo della provincia di
Girgenti. I suoi metodi dittatoriali, vessatori, improvvidi suscitarono
campagne di stampa avverse e attacchi in parlamento, tanto da spingere Silvio
Spaventa a destituirlo repentinamente, senza neppure chiedere una qualche
giustificazione. La misura era al colmo. Il Falaride di Girgenti veniva detto
sulla stampa. Ed a ragione, se diamo appena uno sguardo critico alle vicende
racalmutesi in cui fu odioso protagonista.
Falconcini, umiliato ed offeso da provvedimento
ministeriale, scrisse un libro a sua difesa - e sicuramente a sue spese - che
si premurò di mandare in Parlamento nella speranza - disillusa - che potesse
sortire un qualche effetto a suo favore. Stizzosamente, Ubaldino Peruzzi
tagliava corto con tal cav. Boggio deputato al parlamento di Torino - in
atteggiamento difensivo verso il defenestrato prefetto di Girgenti.
Scrivendogli testualmente «egli [falconcini] è stato dispensato, non
destituito, dalla carica di prefetto di Girgenti. Prendendo questa
determinazione il ministero non ha inteso infliggere al signor Falconcini
veruna punizione o biasimo, percché non ne abbia motivo.» Non era vero, ma la
sortita burocratica era di quelle da tappare la bocca a chiunque. Non c’era
però riprovevole dietrismo come lascia intendere Sciascia. Il prefetto era
venuto in Sicilia ed in quella sperduta landa del sud convinto di avere a che
fare con dei coloni africani cui raddrizzare le gambe.
Abbiamo il maligno sospetto che si sia lasciato guidare
anche dalla malevola animosità contro taluni nuovi ceppi borghesi dell’oriundo
avvocato Picone. Costui si era premurato di ospitare questa espressione del
nuovo stato sabaudo a casa sua. Poi, pare palesamente pentito per i guai che
ciò ebbe a procurargli. Stralciamo dalle sue Memorie. « 13 agosto 1862- leggesi a pag. 658 -
Giunge il novello prefetto signor Falconcini. Il dopo pranzo giunge un
generale con due pezzi di artiglieria di campagna ed altra truppa di linea, che
la sera circonda la città. !4 agosto - La sera parte tutta la truppa, lasciando
sparutissima guarnigione. Disertano taluni soldati, onde riunirsi a Garibaldi -
21.- Si pubblicano le copie dell’ordinanza di Cuggia, prefetto di Palermo, per
le quali si proclama lo stato d’assedio in tutta Sicilia, le quali vengono
lacerate. Il dopo pranzo si vedono parecchie pattuglie di soldati, le quali si
ritirano ai reclami di taluni uffiziali della guardia nazionale, che trae a sé
il peso della custodia dell’ordine. 22.- Giungono lettere che annunziano
l’entrata di Garibaldi in Catania. 27.- Giunge un proclama di Garibaldi, per lo
quale protesta a favore del re, e contra il ministero. 30.- Giunge al prefetto
di Reggio Calabria un telegramma, che annunzia Garibaldi disfatto e ferito in
Aspromonte. Lutto, sgomento, pianto nelle famiglie dei garibaldini. 31.- Si
vuol fare una strepitosa dimostrazione contro il governo, ma non si giunge a
farla. Il malumore aumenta. SETTEMBRE. 1 a 6.- Lo spirito pubblico eccitato.
Risse e malumore per la novella moneta decimale. [ ...] 8.- Arrivano per la via
di mare circa cinquecento bersaglieri, che si dicono essere di coloro che
attaccarono Garibaldi. 9.- Si pubblica un’ordinanza di Cialdini, per la quale
si dispone: “Che le bande armate che saranno trovate in campagna, saranno
trattate come briganti, e che gli avanzi delle bande garibaldine, nel termine
di cinque giorni, dovranno presentarsi, e saranno trattati quali prigionieri di
guerra. Scorso quel termine lo saranno come briganti.” Gran malumore! 13.-
Giunge il 32° di linea. [...] OTTOBRE. 1.- Per ordinanza del colonnello
Eberhard è comandato il disarmo, proibita l’asportazione e la detenzione delle
armi, sotto pena di fucilazione. 11.- Un vapore trasporta centosessanta
detenuti di s. Vito. 12 al 25.- Giunge il 4° di linea. Innumerevoli arresti di
ladri, di galeotti e di galantuomini alla rinfusa. [...] DICEMBRE. 14.- Si vede
sulle mura delle case, lungo il corso principale scritto: Abbasso Falconcini.
17.- Mi si invia, per la posta, un biglietto che dice: “ Si prepara una
combinazione, che sembra infernale, la quale se verrà ad effetto,la vostra casa
andrà in fumo. Ciò si fa non per colpir voi, ma il prefetto.” Questi abita il
quarto piano superiore al mio. [...] 1863 - GENNAIO. 13.- Proclama di
Falconcini, che promuove una soscrizione contro il brigantaggio di Napoli. 6.-
Egli con altro proclama, annunzia la sua destituzione. [...] FEBBRAIO. 12.-
Arrivo del novello prefetto Bosi.»
Ma veniamo alla rivolta racalmutese. Tra la variegata
documentazione Falconcini scegliamo per primo questo rapporto al Ministro
dell’Interno che ci pare il più obiettivo. «Al Ministro dell’Interno. Il paese
di Racalmuto è uno di quei luoghi ove malauguratamente ha regnato ben poco
l’impero della legge e dell’autorità, per le dissensioni esistenti fra
gl’individui delle due famiglie Matrona e Ferrauto, che atteggiandosi a partito
politico si facevano lecito ogni azione che fosse creduta invisa al partito
avverso.
«Così rima dell’arrivo di Falconcini, n.d.r.] dovè sciogliersi il consiglio comunale [...] Fu inviato un
commissario nella persona del consigliere Di Catania [col compito anche ] di
ricostruire la guardia nazionale.
«[...] niuno iscritto delle classi 40 e 44era stato obbediente
alla chiamata [della leva]. [Racalmuto fu abbandonato] nella seconda metà di
agosto dal distaccamento di truppe sotto gli ordini del generale Ricotti per
operare nei dintorni di Catania [..]
«Il giorno 6 [settembre 1862] il paese cadde in preda ad un
terribile disordine. I malviventi, i rei di omicidio e furti, tutti latitanti alla giustizia, i coscritti
renitenti e persone di mal’affare sopraggiungevano nel paese, quale orda
invaditrice cui non opponeva resistenza la guardia nazionale sebbene eccitata e
capitanata dal giudice di mandamento.
«Era saccheggiata la caserma dei carabinieri ... si appiccò
il fuoco agli archivi del comune e della percettoria ed agli stemmi sabaudi; fu
aggredito e saccheggiato il corpo di guardia della milizia nazionale; si
saccheggiava il casino di compagnia, si aprivano le carceri ai detenuti, si
aggrediva la vettura corriera, derubando i passeggeri e bruciando in piazza fra l’orda popolare i
dispacci postali, e così paralizzata l’azione di ogni autorità, gli abitanti si
scambiavano fra loro secondo i partiti colpi di fucile che fortunatamente non
produssero lacrimevoli effetti.
« [...] nella notte del 7 settembre una colonna andò sul
posto per rimettere l’ordine, arrestare i colpevoli e fare eseguire in ogni
parte il proclama del generale Cialdini sullo stato d’assedio.
« [...] Gli arresti furono eseguiti dalla truppa nel numero
di sessanta circa.
«[....] molte delle persone compromesse nei disordini,
costituiti in banda di circa 150 soggetti, tutti debitori di reati o renitenti
alle leve, si accamparono in armi nei monti circostanti al paese quasi gettando
una sfida alla truppa, che non poteva agire contro di loro, preoccupata come
era nell’interno ad eseguire il disarmo, custodire gli arrestati e mantenere la
quiete.
«Una compagnia di bersaglieri sotto gli ordini del maggior
comandante il 6° battaglione, moveva da qui nella notte per dare la battuta ai
briganti ricoverati nel monte detto Castellazzo [secondo Picone - per noi più
correttamente - Castelluzzo ] Difetto di preventiva intelligenza
colla prefettura di Caltanisetta [sic], sebbene richiesta, fece sì che dato
l’assalto dalla colonna i briganti retrocessero e non trovata altra truppa che
li attaccasse a tergo poterono rifuggirsi isolatamente nella provincia suddetta,
ma cessò la loro presenza d’infestare le campagne e minacciare di nuovo
Racalmuto.
«Rimasta in questo luogo una compagnia di bersaglieri, che
sembrò sufficiente a tenere in rispetto l’autorità del governo, ai 18 settembre
fu eseguita la traduzione dei detenuti a Girgenti per disporne come di ragione;
ed infatti molti sono stati già liberati dal potere ordinario, i veri colpevoli
essendosi resi latitanti, ed altri in minor numero essendo rimasti in carcere
come dediti a qualunque azione criminosa.
«Sebbene l’autorità giudiziaria non potesse raccogliere
abbastanza prove per incriminarli, risultò da tutto l’insieme che causa dei
fatti avvenuti era l’animosità fra le famiglie Matrona e Ferrauto che avevano
diviso il paese. Allontanatesi quelle famiglie per timore di severe misure, la
popolazione riacquistò quiete invidiabile che rimane inalterata.
«Girgenti, li 8 ottobre 1862. Il prefetto: Falconcini.»
Cattivo prefetto, pessimo profeta: i Matrona ed i Farrauto
furono costretti all’esilio - a quanto sembra - ma la quiete a Racalmuto non
arrivo; anzi i successivi fatti di gennaio mostrano un’arroventarsi del clima
di contestazione. Il popolo di Racalmuto non era dunque quella misera cosa in
mano agli ottimati corrispondenti ai Matrona ed ai Farrauto (famiglie solo di
recente giunte a Racalmuto: nel settecento; i primi al seguito di un prete
funzionario di conti succeduti ai Del Carretto; i secondi con armenti di
pecore, come si sopra visto). Non erano costoro che potevano dominare il non
irruento ma non succubo popolo di Racalmuto. Il prefetto era male informato.
Abbiamo insinuato dall’avvocato Picone.
La nota è importante, poi, per la storia del circolo unione:
preso di mira dal popolino, sichiamava ancora “circolo di compagnia”; la prosa
prefettizia sembra avvolorare ciò oltre ogni ragionevole dubbio.
Non crediamo che, se Sciascia avesse letto davvero questo
passo del libercolo del Falconcini, si sarebbe indotto ai sullodati
apprezzamenti positivi.
Il circondario di Girgenti era piuttosto disarmato in quel
periodo: tutto l’intero distaccamento bersaglieri, 6° battaglione, presidiava
il derelitto Racalmuto e sicuramente ne insidiava le donne, con tanta rabbia
dei barbuti - ed in gran parte latitanti - maschi del luogo,
pregiudizievolmente renitenti alla leva dei Sabaudi. Come dargli torto?
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