Eppure io resto là, inchiodato alla mia sicilitudine, ai miei scoramenti, alle mie ombre, ai miei dolori ma anche ai miei siciliani sapori, alle mie siciliane brame, al mio essere LILLO, al mio risibile diminutivo: cosa può capirne la goriziana Cernigoi, tutta arroganza incolta, sapienza del nulla, né storica né atta a comprendere il diverso da sé. La mia CASTA DIVA sta altrove, nei sogni dei cieli dell'assurdo nei peccaminosi pascoli dei monti selenici, nel profondo del vulcano etneo. Bellini o mio Bellini, non dirglielo alla Cernigoi, quella non sa sognare, sa adagiarsi solo sugli aculei vindici di slavi repressi.
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sabato 9 agosto 2014
Beethoven Abbado Muti ..... ed io!
Tra Abbado e Muti non vi è differenza: entrambi nell'olimpo dell'alta direzione sinfonica. Solo diverse sfumature umorali. Muti è partenope, Abbado emiliano, certo più vicino a noi per essere della grassa Bologna. Muti scoppia di gioia di vivere anche quando celebra il funerale che è sempre sfarzoso con quelle barocche carrozze, con tutti quei pennacchi. Talora si ferma, un moto di desolata malinconia lo afferra, socchiude gli occhi, neppure il tempo per una lagrima e subito a tripudiare con una orchestra che non risparmia né in strumenti né in maestri orchestrali. Ha gli impeti della mia stessa anima ed è vero gli eguali spesso si respingono. Abbado dirige con il suo tetro soffrire, rappreso in sé come accerchiato da quei banchi di nebbie che mi annichilivano quando dopo il sole di San Geminiano passai a Modena alle cupe e mortuarie distese desolatamente nivee, all'annaspare la sera per trovare la via di casa per quei nebbioni senza respiro, per quel ghiacciarmi il gocciolar del naso per i freddi sotto zero la mattina quando da via dei Fogliani dovevo portarmi alla Banca d'Italia di fronte al teatro lirico e accanto alle nobili caserme dei cadetti dell'accademia militare. Sì, ma tanta nostalgia dentro ,anche per una lontana giovinezza che poteva esser lieta, amabile, piacevole, forse peccaminosa, ed invece fu burocratica, senza ardori, senza amori. Abbado mi capisce e mi culla fra i flutti di una musica che non è canzonetta..
Beethoven... l' EROICA
Carissima, mettiamo i puntini sulle "i" questo è solo uno scorcio dell'Eroica e si interrompe dopo alcune note della più stritolante, dolente, meravigliosa, emblematica, struggente. maledicente marcia funebre di ogni tempo e di ogni grande compositore. You tube dà un assaggino della perfetta colta lettura del grande compianto Abbado. L' " Eroica" dedicata davvero a Napoleone? Mari d'inchiostro versati! Io sono propenso a credere che Beethoven all'inizio una qualche simpatia verso il proteiforme Napoleone ce l'avesse ma poi da genio non poteva indulgere alle guerre, alle distruzioni, alle ignominie. E lasciò da canto Napoleone: quella marcia funebre, quel funerale senza appello la dice lunga. I geni non sono mai catalogabili. E questa è musica sublime, sovrana: va ascoltata tutta in religioso silenzio, ne va seguita la trama, il racconto, l'ira, il pianto, il rimpianto l'amore totale che Beethoven sognò e credo non ebbe mai. Ma forse il fragile animo femminile non era per il suo robusto veemente armonico sentire. Una sinfonia di Beethoven la si capisce (ed a mala pena) dopo averla ascoltata e riascoltata fino ad esaurirti, a prostrarti ad inginocchiarti e benedirlo e ringraziarlo: ti ha insegnato a vivere, a non essere meschino, banale, insignificante, ad essere "eroico".
Seconda lettera aperta al Sindaco di Racalmuto Messana sulle scempiaggini del suo locupletante ufficio storico
Gentilissimo Signor Sindaco avv. Emilio MESSANA
mi rivolgo a Lei per un torto che ho subito come storico di Racalmuto. Vero è che Tanu Savatteri in una rara se non unica citazione del sottoscritto mi ha qualificato autore di una "controstoria di Racalmuto" ma questo non giustifica la irridente maiolica che mi trovo davanti la chiesa del Monte su un ferreo e credo costosissimo leggio.
Là sta scritto, grosso modo, che nel 1543 fu posta su un altare di una "piccola" chiesa una statua di scuola gaginesca che diede nome a chiesa e quartiere e cioè parliamo della Chiesa del Monte.
Mai poteva venire scritta una cazzobubbola del genere se si fosse dato uno sguardo alle mie trentennali ricerche storiche, al profluvio di mie pubblicazioni, ai riscontri metodici e pignoli sulla nostra saga della Venuta della Madonna del Monte.
Francanmente confondere la visita partorale del 1543 del vescovo Tagliavia con una siffatta sceneggiatura inventata di sana pianta mi dà le traveggole. Non si può così falsare la nostra storia, le nostre radici, il nostro spirito religioso e persino i nostri maniaci culti mariani.
Dobbiamo qui presentare la fotocopia della visita pastorale di quel nobile Vescovo cognominato Tagliavia, di cui all'archivio arcivescovile di Agrigento?
Ma per scrivere una siffatta fandonia storica quanto e a chi è stato corrisposto in preziosi euro? E se i fondi sono comunitari come si è giustificata la spesa per serie ricerche storiche? E i vari uffici competenti di Racalmuto interposero la loro scienza e conoscenza dei fatti?
Non lessero le carte mie? Bene allora da dove presero queste scempiaggini storiche? E se è stato un appiglio per arraffare quattrini, non debbono pagare? Il dovere omertoso deve avere il sopravvento?
Caro Sindaco, nel tuo diaroio ci vuoi dire come sono andate le cose? Altrimenti a chi devo rivolgermi per la salvaguardia della mia seriatà espositiva della veridica storia paesana? Ho legittimaziomne attiva?
Ma se tu non mi rispondi debbo pensare che vuoi coprire qualcuno. Cercherò di fare scoprire la verità allora alle autorità competenti. Ci sarà pure giusticioa in questo Paese o no?
Cito a casaccio una pagina mia di quella che repuno l'unica vera storia di Racalmuto, con buona pace di Tani che ha voglia di ridurre l'opera storica mia a nient'altro che ad una controstoria, da prescinderne dunque per scrivere cazzate sulle novelle maioliche dei percorsi storici e didattiti racalmutesi.
Il quadro della vita religiosa racalmutese sotto Giovanni III del Carretto
Un vescovo agrigentino del tempo, il nobile Tagliavia nutrì eccessivo
interesse per la comunità ecclesiastica di Racalmuto. Nel 1540 mandò suoi
pignoli visitatori; tre anni dopo fece visita inquisitoria lui stesso. Poteva
considerarsi apparentato con il bigotto Giovanni III del Carretto, ma il barone
non viene neppure adombrato nelle relazioni episcopali che per nostra fortuna
si conservano nell’archivio vescovile di Agrigento.
In tali atti vescovili viene descritta piuttosto diffusamente la
condizione dell’organizzazione ecclesiale di Racalmuto.
Un
fenomeno nuovo emerge con il suo peso sociale, economico e soprattutto
bancario: quello delle confraternite. Le confraternite cinquecentesche di
Racalmuto nascono come associazioni per garantire la “buona morte” che è come
dire una onorevole sepoltura - il culto dei morti da noi è stato sempre
presente, ossessivo, dispendioso - ma subito, venute in possesso di
disponibilità finanziarie e monetarie, cosa di gran rilievo in un’angusta
economia curtense, assurgono a potentati economici molto simili alle attuali
banche: finanziano, danno in affitto gli immobili di proprietà (sia pure
relativa), fanno committenze per costruire chiese (fonte prima del loro
guadagno per le sepolture a pagamento che vi vengono fatte), le fanno riparare,
e così via di seguito. Non sono corporazioni di arti e mestieri, anzi sono
essenzialmente interclassiste. Il prete vi svolge un ruolo, ma solamente
religioso: è soltanto il cappellano spirituale. Nasce da qui il detto tutto
racalmutese: monaci e parrini, vidici la
missa e stoccaci li rini. Come dire i preti ed i monaci nelle confraternite
ci stano per celebrar messa, ma dopo bisogna loro “stuccarici li rini” beffarda espressione per specificare che ognuno
deve poi girarsi su se stesso per le mansioni e competenze proprie, in assoluta
indipendenza. I preti infatti non potevano inserirsi nella gestione economica,
tutta affidata al governatore laico ed agli altrettanto laici deputati che ogni
anno si eleggevano. Il vescovo Tagliavia cerca di irreggimentare il tutto, ma
con scarso successo.
Gli aridi inventari episcopali del
1540 e del 1543 ci consentono comunque di fare una ricognizione critica - senza
le grandi sbavature cui gli storici locali indulgono - delle chiese veramente
esistenti all’epoca. Abbiamo innanzitutto la vetusta chiesa di S. Antonio: è
parrocchiale, risale ad epoca immemorabile (noi pensiamo alla prima metà del
Quattrocento). Al tempo di Giovanni III del Carretto è fatiscente; nessuno
pensa a ricostruirla; la si lascia in abbandono ma alla fine la solerzia del
vescovo Tagliavia è tale che risorge a nuova vita e il culto in essa perdura
sino alle soglie del Settecento.
Monsignor Pietro
Tagliavia ed Aragona, nel tempo in cui fu vescovo di Agrigento curò molto le
visite pastorali. Racalmuto fu prima, nel 1540, assoggettato ad un’ispezione
sommaria la cui verbalizzazione è contenuta in cinque fogli ove è riportata, in
sostanza, una secca inventariazione dei beni delle più importanti chiese di
allora: Nunziata, Santa Maria di Gesù, Santa Margherita, Madonna del Monte e
San Giuliano. [1] Tre anni dopo, il paese subì,
come si è accennato, una più seria indagine da parte del vescovo in persona, che vi si recò il giorno
11 giugno 1543. Il taglio del resoconto è ora molto più articolato, e viene
fornito uno spaccato della vita religiosa locale di grande interesse.[2]
Al centro della locale
comunità religiosa è l’arciprete don Nicolò Gallotto (o de Gallottis). E’
originario della terra di San Marco, diocesi di Messina; è anche canonico
agrigentino (“est etiam canonicus agrigentinus”). Non riusciamo a sapere, però,
se risiede in paese. Gode di metà delle rendite e degli emolumenti, perché
l’altra metà serve per il sostentamento di quattro cappellani che accudiscono
alla chiesa e amministrano i sacramenti all’intera popolazione (“dictus dopnis
Nicolaus habet dimidiam omnium redditum et emolumentorum ... alia dimidia est
assignata quatuor capellanis qui serviunt dicte ecclesie et administrant populo
ecclesiastica Sacramenta.”).
Ricade su Racalmuto
l’onere del sostentamento del suo arciprete, cui spetta per antico diritto (“ex
disposictione”), il beneficio della “primizia”. E’ questo un gravame tributario
in forza del quale ogni fuoco (famiglia) è assoggettato alla corresponsione di
un tumolo di frumento ed un altro di orzo all’anno; le vedove sono obbligate
solo per il tumolo di frumento; i non abbienti sono esonerati (”primitiam ..
contigit dictus archipresbiter seu eius locum tenentes unaquaque domo dicte
terre et illam solvunt hoc modo: unaqueque domus solvit tumulum unum frumenti
et unum ordei, exceptuatis viduis, que solvunt tumulum unum frumenti tantum
singulo anno”.)
Nella visita del 1540
era stato precisato che il Gallotto percepiva annualmente tale primizia nella
misura di 25 salme di frumento e 22 di orzo. Considerando una salma formata di
16 tumoli, avremmo 400 fuochi di cui 48 quelli di vedove capo-famiglia. La
popolazione abbiente ascenderebbe quindi a circa 1600 abitanti. Ma siamo molto
lontani dai dati disponibili per quell’epoca. Nel rivelo del 1548, sotto Carlo V, Racalmuto risulta forte di 890
fuochi per oltre 3100 abitanti. Non crediamo che vi fossero 490 case di
indigenti; il numero degli esonerati e degli evasori doveva essere molto
elevato. Ed il fenomeno dovette essere duraturo. Un paio di secoli dopo, nel
1731, l’arciprete Algozini dava i seguenti ragguagli sulla primizia di
Racalmuto, un diritto che evidentemente si perpetuava: «questa chiesa non ha
decime ma la Matrice solamente ha ogni anno in primizie, tolti li miserabili e fuggitivi, formenti di lordo in
circa salme quarantaquattro, in orzi salme sedici in circa, dovendo pagare ogni
capo di casa tum.lo uno di formento e tum.lo uno d’orgio.» Tradotto in
statistica demografica, abbiamo una popolazione di 2800 abitanti, a fronte di
una popolazione effettiva dichiarata dallo stesso Algozini in 5134 anime
suddivisa in 1200 famiglie. Sorprendono le analogie e le concomitanze con il
fenomeno elusivo del 1540. A meno che in entrambi i casi si dichiarasse
soltanto la metà (la dimidia pars di spettanza dell’arciprete).
Oltre alle primizie, l’arciprete
Gallotto percepiva i proventi per quelli che l’Algozini due secoli dopo chiama
diritti di stola: i proventi cioè dei funerali e dell’amministrazione dei
servizi religiosi (“mortilitia et alia provenientia ex administratione cure”).
Nel 1540 si constatava
che la chiesa dell’Annunziata dell’omonima confraternita fungeva anche da
chiesa parrocchiale al posto della Matrice intitolata a S. Antonio e non si
aveva nulla da eccepire. Visitata per prima, se ne annotava la doppia funzione:
«Ecclesia di la Nuntiata confraternitati
et servi pro maiori ecclesia di ditta terra». E’ comunque alla chiesa maggiore
che spetta il diritto delle primizie: essa, in quanto “maior ecclesia”, «habet
primitias videlicet salme 25 frumenti et salme 22 ordei in persona domini
Nicolai Gallocti cum onere unius misse quotidie» Ma tre anni dopo, il vescovo Tagliavia ha di
che ridire: per lui, l’Annunziata è “ecclesiola” e quindi non può fungere da
chiesa madre; è un tempio «valde parvulum et angustum pro tanto populo”. La
vecchia matrice di S. Antonio è diruta; ma poiché essa sarebbe adeguata alle
esigenze di spazio dell’accresciuta popolazione, viene ordinato dal presule che
venga restaurata e riedificata. «Et quia .. ecclesia [maior] est diructa, et
hec que servit pro maiori ecclesia est valde angusta, ideo iussit provideri quo
dicta maior ecclesia restauretur et reedificetur.» Non si mancò di eseguire gli
ordini vescovili: sappiamo di certo che nel 1561 la chiesa Madre è proprio S.
Antonio.
Le nostre notizie sull’arciprete venuto dalla diocesi di Messina sono
tutte qui. Non abbiamo neppure un appiglio per formulare un qualsiasi giudizio
sulla sua figura. Poté essere un bravo sacerdote, ma poté essere un semplice
percettore di benefici ecclesiastici. Dei quattro cappellani che lo
coadiuvarono (o lo sostituirono) non sappiamo neppure i nomi.
Le carte episcopali
richiamate a proposito dell’arciprete Gallotto contengono accenni ad altri
sacerdoti racalmutesi della metà del Cinquecento: fra loro spicca don Francesco
de Leo, vicario foraneo della terra di Racalmuto. Si sa quanto importante fosse
il ruolo del vicario che fungeva da rappresentante del vescovo sul luogo. A lui venivano demandati i compiti
esecutivi della giurisdizione della Curia agrigentina, specie in materia
penale. Il vicario era uomo temuto e rispettato, forse ancor più
dell’arciprete, che spesso si limitava a percepire i frutti del beneficio
ottenuto per entrature curiali e non metteva neppure piede nella parrocchia di
cui era titolare.
Il de Leo era vicario,
dunque, al tempo dell’arciprete Gallotto. Tra gli altri compiti aveva quello di
curare gli interessi del canonico don Giovanni Puiates, titolare del beneficio
di Santa Margherita. Naturalmente, anche questi si limitava a percepire i
pingui proventi racalmutesi senza interessarsi neppure della chiesa che sorgeva
accanto a quella di Santa Maria di Gesù: a ciò pensava il vicario d. Francesco
de Leo ed era incarico che espletava encomiabilmente. Il vescovo Tagliavia nel
visitare, nel 1543, la chiesa di Santa Margherita la trova «satis bene
compositam» ed il merito l’attribuisce al vicario, «hoc propter bonam curam
dopni Francisci de Leo, vicarii dicte terre.»
Del solerte vicario,
oltre a questa notizia, non sappiamo null’altro. Possiamo giudicarlo, comunque,
positivamente e tutto fa pensare che fosse racalmutese. Si spiega così perché
tenesse alla vetusta chiesa di S.
Margherita che, se è da dubitare che risalisse al 1108 come scrisse nel 1641 il
Pirri, era pur sempre un luogo di culto di cui ad un diploma del 1398. Il de
Leo sembra avere care le tradizioni indigene. La chiesa, varie volte rinnovata
e ricostruita, era da tempo immemorabile sede di un titolo canonicale
agrigentino. «Ecclesia Sancte Margarite - si sa dalla visita del 1543 - est
titulus canonicatus” che al tempo spettava al cennato canonico Pujades. I
contadini racalmutesi dovevano corrispondere le decime al canonicato della
Cattedrale di Agrigento e non risulta che il beneficiario sia stato mai un
racalmutese. Quando si trattò di giustificarne il titolo originario, si
assunsero a documenti due antichissimi diplomi del 1108. In essi si descrive la
donazione di un fondo da parte di Roberto Malconvenant ad un suo parente, il
milite Gilberto, a condizione che vi edificasse una chiesa. Gilberto accetta,
si fa chierico ed inizia, costruisce e completa un tempio nella sua terra
intitolandolo a Santa Margherita Vergine. Il vescovo Guarino in una domenica
del 1108 consacra chierico e chiesa
inquadrandoli nella giurisdizione della Cattedrale agrigentina.
L’ubicazione del centro
agricolo è di ardua individuazione. Nel diploma viene così descritta
l’estensione del fondo: se ne specificano i confini; emergono quindi punti di
riferimento e località che nulla hanno a che vedere con Racalmuto. Quella
antica chiesa “normanna” non è posta pertanto vicino a Santa Maria, non ci
compete e lasciamola al suo destino. Il fascino della storia racalmutese non si
appanna certo per il venire meno di una tale tradizione.
Resta assodato che a Racalmuto
il culto di Santa Rosalia è ben antico. Non sembra, però, che vi sia qualcosa
su S. Rosalia nelle primissime visite pastorali agrigentine del 1540-3, dato
che in quella del 1543 si accenna solo alle seguenti chiese racalmutesi:
1) Chiesa
Maggiore, sotto il titolo di S. Antonio;
2) “Ecclesiola”
sub titulo Annuntiationis Gloriose Virginis Marie, da tempo sede di una
Confraternita e dove era stato trasferito il Santissimo, chiesa adibita ormai
al posto di quella Maggiore, già fatiscente;
3) Chiesa di
Santa Maria del Monte;
4) Chiesa di santa
Maria di Gesù;
5) Chiesa di
Santa Margherita;
6) Chiesa di San
Giuliano;
Nella
precedente visita del 1540 abbiamo:
1) Chiesa della
“NUNTIATA”
2) Chiesa di
Santa Maria di Gesù (Jhù)
3) Chiesa di
Santa Margherita;
4) Chiesa di
“Santa Maria di lo Munti”;
5) Chiesa di S.
Giuliano.
(Cfr.
le pagine 196v-198v della Visita)
|
Passando al setaccio i radi accenni delle carte episcopali del 1540-1543
abbiamo che non proprio recenti erano le chiese quali:
·
la Nunziata,
visto che vi si trovava una vecchia tunichella di damasco turchino ( Item uno paro di tunichelli una di villuto
iridato cum soj frinzi di varij coluri et l’altra di damasco turchino vechia);
·
Santa
Maria di Gesù col suo vecchio paramento di borchie stagnate (Item uno casubolo di borcati vecho stagnato);
·
Santa Margherita sia per quel che sappiamo dalle
antiche fonti sia come testimoniano i “avantiletto” lisi (item dui avantiletti vechi). Significativo invece che a S. Giuliano
non v’era nulla di vecchio.
Il
testamento di don Giovanni III del Carretto
Di Giovanni del Carretto è consultabile il testamento ([3]) steso
sul letto di morte: a raccoglierlo il notaio Jacopo Damiano, quello finito
sotto le grinfie del Santo Ufficio. L’inventario della vita del barone viene in
qualche modo abbozzato.
In epigrafe, la data: 2 gennaio 1650. Riguarda il “molto spettabile
signor D. Giovanni de Carrectis, domino e barone della terra di Racalmuto,
cittadino della felice città di Palermo, dimorante nel Castello della detta
terra e baronia di Racalmuto, che fa testamento dinanzi il notaio ed i
testi”. “Sebbene infermo nel corpo, è
tuttavia sano di mente ed intelletto, con la parola ed i sensi integri”.
Il testamento esordisce con una sorpresa: erede universale non viene
nominato il primogenito (Girolamo, futuro primo conte di Racalmuto), ma il
secondogenito, “lo spettabile signor don Federico de Carrectis barone di
Sciabica, secondogenito legittimo e naturale nato e procreato dallo stesso
spettabile signor testatore e dalla fu spettabile donna Aldonza consorte del
medesimo”.
Ripete in dialetto, il morente barone: “legitimo e naturali, procreatu da
me e dalla condam Aldonsa mia mugleri in
tutti e singuli beni, e cosi mei mobili e stabili presenti, e futuri, e massime
in la Vigna e loco chiamato di lo Zaccanello, con tutti soi raggiuni e
pertinentij, e suo integro statu, pretensioni, attioni, e ragiuni, frumenti,
orzi, cavalli, e scavi; superlectili di casa, massarij, boi et altri animali,
et instrumenti di massaria, vasi di argento manufatti esistenti in lo detto
Castello con li nomi di miei debitori ubicumque esistenti e meglio apparenti”.
Se si è avuta la pazienza di scorrere questa specie d’inventario, si ha
un’idea di quanto ricco e bene arredato fosse il Castello; vi era una frotta di
servitù e vi erano veri e propri schiavi (“scavi”).
A don Federico vanno 200 once di rendita annuale, oltre alla definitiva
proprietà di mille once promesse a suo tempo dal testatore come dote assegnata
nel contrarre matrimonio con donna Eleonora di Valguarnera.
“Del pari il prefato signor testatore volle e diede mandato che lo stesso
spettabile D. Federico erede universale abbia e debba sopra la restante eredità
versare al signor don Girolamo del Carretto la somma occorrente per le spese
del funerale quale dovrà essere celebrato in relazione alla qualità della
persona dello stesso spettabile testatore sino alla somma di once 100 da
prelevarsi da quelle 600 once che stanno nella cassaforte (in Arca) del medesimo testatore ed
essendoci più bisogno di più si aviranno da pagare communiter da entrambi
gli eredi don Federico e don Girolamo”.
“Del pari il prefato testatore istituisce suo erede particolare il molto
spettabile signor D. Girolamo de Carrectis suo figlio dilettissimo primogenito,
legittimo e naturale nato dal medesimo Testatore e dalla spettabile quondam
Donna D. Aldonza sua consorte, cui va la baronia nonché i feudi della terra di
Racalmuto con tutti ed ogni giusto diritto, con le giurisdizioni civili e
criminali, il mero e misto imperio giusta la forma dei privilegi ottenuti nella
regia curia, con le prerogative sui feudi, sul Castello, sugli stabili e con
tutti gli altri diritti quali il terraggiolo,
le gabelle ed ogni altra consuetudine spettante alla predetta baronia. A questo
del Carretto suo indubitato figlio primogenito spetta pertanto nella detta
Baronia ogni pretesa, azione, ed imposizione. Gli competono altresì denaro,
frumento, orzo, servi, suppellettili di casa, buoi e messi ovunque esistenti,
nonché gli animali ovunque si trovino, come i frumenti nelle masserie, i vasi d’argento
esistenti nel Castello e tutte le ragioni creditorie con le eccezioni che
seguono”.
Giovanni III morente pensa alla sua cappella privata
nel castello e la dota: «Item praefatus spectabilis dominus Testator voluit, et
mandavit quod omnes raubae sericae, et jugalia Cappellae existentes in Castro
dictae Terrae quae inservierunt pro Culto Divino, etiam illae raubae quae sunt,
ut dicitur de carmisino, et imburrato remanere debeant in Cappella dicti Castri
pro uso dictae Cappellae in Culto divino.»
“E così il predetto testatore volle e diede
mandato, ordinò e invitò come ordina ed invita il detto spettabile don Girolamo
suo figlio primogenito, futuro ed indubitato successore nella detta Baronia
affinché voglia e debba bene trattare, reggere e governare tutti ed ogni
singolo vassallo della predetta terra e non permettere che vengano molestati da
chicchessia, e ciò per amore di nostro
Signore Gesù Cristo e per quanto abbia cara la salute dell’anima del
testatore.»
Non crediamo che Girolamo I del Carretto abbia
dato troppo peso alla retorica raccomandazione paterna. Se ne dipartì anzi per
Palermo e Racalmuto fu solo il luogo da dove provenivano le sue cospicue
disponibilità liquide, spese soprattutto per ottenere prestigiosi quanto tronfi
titoli dalla corte spagnola.
“Del pari il testatore lascia il legato a carico di
Girolamo di far dire tante messe nel
convento di San Francesco di Racalmuto. Là doveva pure essere eretta una
Cappella bene adornata per cui dovevano essere spese almeno 100 once.”
“Al Convento dovevano pure andare le 7 once di reddito
annuale cui era tenuto il magnifico Giovanni de Guglielmo, barone di Bigini.”
Di quella Cappella a San Francesco, nulla è dato
sapere: crediamo che Girolamo del Carretto aveva ben altro a cui pensare a
Palermo per spendere soldi per una tomba regale nel lontano e spregiato
Racalmuto. Crediamo, anzi, che di quell’eccesso di devozione sia stato
considerato artefice ed inspiratore il notaio. Come familiare del Santo
Ufficio, Girolamo I del Carretto ebbe quindi modo di incolpare il malcapitato
Jacopo Damiano e farne un eretico che ebbe il danno della privazione dei beni e
la beffa del sanbenito. Leggere il
commento di Sciascia per la letteraria rievocazione di questa pagina purtroppo tragica nella sua acre realtà
storica.
Il morente barone dichiara di avere speso 130 once
nella compera di legname e tavole per il tramite di mastro Paolo Monreale e
mastro Giacomo Valente. Sancisce che devono essere bonificate 27 once per la
costruzione della chiesa di Santa Maria di Gesù e 11 once per completare il tetto “della chiesa
di Santa Maria di lu Carminu”.
Giovanni del Carretto ha anche figlie femmine da
dotare:
1.
donna Beatrice del Carretto, moglie di don Vincenzo de
Carea, barone di San Fratello e di Santo Stefano (150 once in contanti da
prelevare dalle casse del castello);
2.
donna Porzia del Carretto, moglie di don Gaspare
Barresi (altro che lotta intestina con i Barresi, dunque). Si parla di altre 50
once in contanti da erogare;
3.
Suor Maria del Carretto, dilettissima figlia legittima,
monaca del convento di Santa Caterina
della felice città di Palermo. Oltre alla dote per la monacazione, altre
20 once a carico dell’erede Girolamo;
Il notaio Jacopo Damiano fu forse anche un tantinello
venale: introdusse una clausola che, se non fu determinante, contribuì quasi
certamente alla sua rovina ed al suo deferimento al Santo Uffizio da parte dei
potenti ed ammanigliati del Carretto. La clausola in latino recita: «Item ipse
spectabilis Dominus testator legavit mihi notario infrascripto pro confectione
praesentis, et inventarij, et pro copijs praesentis testamenti, et inventarij
uncias quinque, nec non relaxavit et
relaxit mihi infrascripto notario omnia jura terraggiorum, censualium, et
gravorum omnium praesentium, et praeteritorum anni praesentis tertiae
inditionis pro Deo, et Anima dicti Domini Testatoris per esserci stato buono Vassallo, et Servituri, et ita voluit et
mandavit.» Vada per le cinque once di parcella: cara ma tollerabile; l’esonero
dal terraggio e dai censi, no. Francamente era troppo. Ed a troppo caro prezzo
Jacopo pagò quella sua cupidigia. Un accenno veloce alle sue disavventure:
Jacopo Damiano, notaro fu imputato di opinioni luterane ma “riconciliato” nell’Atto di fede che si
celebrò in Palermo il 13 di aprile del 1563 (tre anni dopo la morte e la
redazione del testamento di Giovanni III del Carretto). Ebbe salva la vita, ma
non i beni né l’onore. Impetra accoratamente: «... per molti modi ed expedienti che ipso ha cercato, non trova forma
nixuna di potirisi alimentari si non di ritornarsi in sua terra di Racalmuto
[in effetti ci sembra originario di Agrigento, n.d.r.]. .... [ed i parenti, uomini d’onore] vedendo ad esso exponenti con lo ditto habito a nullo modo lo
recogliriano, anzi lo cacciriano et lo lassiriano andar morendo de fame et
necessità ...».
Tanta la beneficenza del barone morente (ma era compos
sui, o il ‘luterano’ notaio inventava?):
·
5 once al venerabile convento di San Domenico
della città di Agrigento;
·
5 once alla venerabile chiesa di Santa Maria del
Monte;
·
10 once al venerabile ospedale della terra di
Racalmuto;
·
5 once alla venerabile confraternita di San
Nicola di Racalmuto;
5 once alla venerabile chiesa di San Giuliano; inoltre poiché il testatore
ha
[2]) Cfr. «LA VISITA PASTORALE DI
MONS. PIETRO DI TAGLIAVIA E D'ARAGONA - parte II (Anno 1542-43)» - tesi di
laurea di Rosa Fontana, relatore Paolo Collura dell'Università degli Studi di
Palermo - facoltà di lettere e filosofia - anno accademico 1981-1982. Racalmuto
risulta trattato nelle pagine 207-218. Inoltre: ARCHIVIO VESCOVILE DI AGRIGENTO
- "GIULIANA" - VISITA 1542-43
- colonne 190v-193v.
[3] ) Archivio di Stato di
Palermo - Fondo Palagonia - Atti privati n. 630 - anni 1453-1717 - ff. 44r -
56v.
venerdì 8 agosto 2014
Genetliaci veri
Carissimo Ben, hai due anni meno di me, quindi ce ne hai di compleanni da festeggiare. Per questo odierno tuo genetliaco ti mando auguri con tanti ricordi risalenti al triennio 1951-53, liceo Empedocle sez. A (elitaria). Tu peraltro eri figlio di un glorioso vicepreside, ne avevi diritto; io - montanaro - chissà come mi ci hanno fatto entrare. Eravamo pochini ma selezionati; nessuno di noi ha poi sgarrato nella vita. Cera Ave Gaglio che pregava e implorava per noi. Poi altri. Ricordi il prof. La Corcia? Già la Di Mauro dove la mettiamo.? Ma i colossi eravamo noi finiti in nove alla licenza liceale e tutti prpmossi a giugno con buoni voti. Ma c'eravamo aiutati nei compiti. Carissimo, diciamocelo senza eccessiva modestia: molti di noi abbiamo fatto storia. Certo c'era il primo della classe: Beppe Cino. Non l'ho più rivisto. ma pare che Di Giovanni si sia fatto valere, E Colavolpe? Completa tu l'elenco. Ci fu una pecora proprio non bianca. Era mio paesano. Mi ha procurato qualche guaio. ma non fa niente. Ora tutti attorno agli 80 anni siamo perfetti. Ci debbono santificare. Anche me che rifiuto il paradiso. Abbracci fraterni
RACALMUTO in ALBO (dei no-profit) ha fatto la prova finenstra. ora tutti bianchi che più bianchi non si può
Cui prodest? Chi ci guadagnerà? Cosa si guadagnerà? Cose del genere a Racalmuto non mi paiono cose nuove. Abbiamo avuto persino la fabbrica dei sagrestani, o no? Rammento un esilarante alterco persino volgare tra il mio dilettissimo ex arciprete di Racaknmuto e l'altrettanto mio amico Carminu Gueli, al secolo Riddiu di la chiazza, per imposizione del vero poeta dialettale Fofu Scimé. Cedto, le portantine hanno permesso percorsi preferenziali, naturalmente nell'occupazione sicura. E i racalmutesi che a Racalmuto ci stanno più di me ne sanno più di me anche se pubblicamente ne dicono meno di me.
Ma giriamo la faccia del disco: chi ci rimetterà? chi si ritroverà escluso peggio della fondazione Sciascia con le pulizie regionali di Crocetta?
Ma ci sarà una inchiesta per sapere chi ha sperperato e chi no? Chi è veramente no profit e chi già ci lucra sopra? chi non si sta precostituendo una pedana atta a fare certi salti mortali nell'arraffamento di privilegi, evasioni fiscali, soldi, benemerenze, provvidenze e beneficenze varie: Credo che come sempre essere rossi o dipinti di rosso sia un miracoloso lasciapassare? Ma attenzione che Emilio Messana uomo onesto è e per le esperienze che ha in famiglia va a finire che comincia, con una scure salutare, proprio da estrose sue omonime. Intanto perché al riguardo COLPI DI SPILLO si è data al silenzio?
Piccola apercredito al novello sindaco di Racalmuto avvocato Emilio Messana, già rosso scarlatto
Lo ammetto, sono umorale. Forse è lu ddesidderiu ca mi lo fa ddiri! Vedo un Emilio Messana in fase di conversione. Dopo un mese di fiele, una luna di fiele anziché di miele, ed io non credo di essere stato alieno dal versare falso zucchero nelle pietanze diaristiche che il novello sindaco andava ammannendo, ecco che mi pare che stia facendo capolino una sorta di resipiscenza, un ripensamento una voglia di cambiar marcia. Circondato da gente che te la raccomando, sommerso da un quarantennio di mala gestio, necessitato a trarre un certo sangue lavorativo in gente neghittosa per DNA e per vocazione sommergente alla fannullaggine ironica e tetragona, alle prese con una provincia fatiscente ma mal gestita, con una regione alquanto froscia, con uno Stato lontano ma avverso, con una spocchiosa Comunità europea che gli enti comunali specie del SUD li tollera solo per costringerli a suicidi risparmi e non potendone fare a meno comincia a indirizzarsi verso le coraggiose soluzioni, ad aprirsi (ma solo un poco) ai suoi avversari, critici ma non malefici, a non dire solo la sua ma a fare la sua. Io spero bene. Avrò ragione? Ai posteri l'ardua sentenza
giovedì 7 agosto 2014
Lettera aperta. Richiesta di collaborazione. Chiunque potrebbe darmi una mano. Ponderate gente. Non dite che non c'è lavoro. Createvelo. La Regione paga un sacco di soldi per fare arricchire venali calunniatori. Potrebbe spenderli meglio.
Lettera aperta. Richiesta di collaborazione. Chiunque potrebbe darmi una mano. Ponderate gente. Non dite che non c'è lavoro. Createvelo. La Regione paga un sacco di soldi per fare arricchire venali calunniatori. Potrebbe spenderli meglio.
Tu forse non stai seguendo le mie battaglie sulla verità storica del caso Messana. Molte infamie si sono scritte su di lui. Ora però sono venuti fuori i documenti americani della NARA, Non tutti. Il mio sogno è quello di mandare una nave scuola di giovani ricercatori per riscrivere la vera storia degli americani in Sicilia, ivi compreso il ruolo del Guarino Amella di Canicattì. Pensavo a te come capo squadra sfruttando il tuo inglese molto serio Adeguato, insomma.
Tu forse non stai seguendo le mie battaglie sulla verità storica del caso Messana. Molte infamie si sono scritte su di lui. Ora però sono venuti fuori i documenti americani della NARA, Non tutti. Il mio sogno è quello di mandare una nave scuola di giovani ricercatori per riscrivere la vera storia degli americani in Sicilia, ivi compreso il ruolo del Guarino Amella di Canicattì. Pensavo a te come capo squadra sfruttando il tuo inglese molto serio Adeguato, insomma.
Nlon c'è da riabilitare nessun questore Messana, c'è solo da perseguire i suoi venali calunniatori
Ci stiamo sforzando di rinvenire la vera verità storica dei fatti di Riesi del 1919. Abbiamo pubblicato giornali e cronache dell'epoca. Questa qui non è una intollerabile mistificazione?
CREDIAMO DI AVERE DEL TUTTO SMANTELLATO LA TESI CHE VORREBBE IL QUESTORE MESSANA COLPEVOLE COME QUI SI DICE. RESTA SOLO LA CALUNNIA, L'INFAMIA. SE IN BUONA FEDE CI SI CORREGGA ANCHE SE CI SI CHIAMA ANPI
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92° anniversario assassinio Giovanni Orcel
13 ottobre 2012 .
L ’ANPI domenica 14 ottobre 2012 alle ore 9, ricorda Giovanni Orcel nel 92° anniversario del suo assassinio avvenuto il 14 ottobre 1920 in Corso Vittorio Emanuele all’altezza della Biblioteca centrale dove con la Cgil, e il Centro Impastato deporremo una corona sotto la lapide che lo ricorda.
Giovanni Orcel è una delle figure più significative del movimento operaio palermitano, segretario generale della FIOM dal marzo del 1919 operava per unire lotte urbane e lotte delle campagne sulla scia di Nicola Barbato e anche del fratello Ernesto Orcel fondatore del Fascio dei Lavoratori di Cefalù, ed in stretto collegamento con Nicolò Alongi, il dirigente contadino assassinato dalla mafia nel febbraio del 1920.
Orcel viene assassinato ad un anno dalla strage di Riesi del 1919 dove vengono assassinati 15 contadini compreso un tenente di fanteria che si era opposto all’ordine fascista di sparare sui contadini che manifestavano per la riforma agraria. Ad ordinare il fuoco in solidale intesa con la mafia è stato un fascista della prima ora, Ettore Messana di Racalmuto, ufficiale di P.S., poi membro dell’OVRA, il servizio segreto, efferato criminale di guerra questore a Lubiana negli anni 40 ed infine lo ritroveremo inspiegabilmente ….Ispettore generale di polizia in Sicilia negli anni 1945!
Entrambi i delitti, inequivocabilmente di matrice fascista e mafiosa, sono rimasti impuniti.
Su Giovanni Orcel leggi Giuseppe Carlo Marino, 1976 nel libro "Partiti e lotta di classe in Sicilia da Orlando a Mussolini" (Bari, De Donato, 1976); poi nel saggio di Giuseppe Carlo Marino "Vita e martirio di Nicola Alongi, contadino socialista" e in numerosi altri scritti.
Il libro di Giovanni Abbagnato, Giovanni Orcel. Vita e morte per mafia di un sindacalista siciliano. 1887-1920, ricostruisce l’attività di Orcel e le lotte di quegli anni.
Il logo del referendum per l’art. 18 ci ricorda che Orcel, Alongi e la lunga scia di sangue di sindacalisti e cittadini uccisi, lottarono per la difesa della dignità umana e la dignità del lavoro, che oggi i governi della destra politica, in assenza di opposizione vera, stanno di fatto abolendo.
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Postato in Anpi notizie, ANTIFASCISMO, EVENTI, Lotte contadine, memoria, Movimento Fasci Lavoratori Siciliani, segnalazioni iniziative
Tags: ANPI Palermo Centro Impastato CGIL Ernesto Orcel Ettore Messana Fascio dei Lavoratori siciliani di Cefalù FIOM Giovanni Abbagnato Giovanni Orcel Nicola Barbato Nicolò Alongi Strage di Riesi
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agosto: 2014 L M M G V S D
Martedì 0:04
il questore Messana con De Gasperi nei primissimi anni Cinquanta. Se Messana era quello che vogliono diffamare De Gasperi lo teneva accanto a sé?
Martedì 18:45
prof. Casarrubea
Ha ragione. Ma non sempre i capi sanno quelli che i subalterni fanno. La storia insegna dall'uccisione di Cesare in poi. Complimenti per la bella foto, prodotta di una mano molto esperta. Le foto di Messana in giro si contano sulle dita di una mano e lei ne ha beccato una. E' possibile sapere di quale archivio fa parte?
Taverna
di quel poco che è rimasto alla nipote di Messana. Purtroppo nel cambiare CASA MANDATOTUTTO AL MACERO.LA RABBIA!!!
Mercoledì 15:33
GIORNALE DI SICILIA 11-12 ottobre
Dopo i tumulti di Riesi
Truppe rientrano a Riesi
Lo stato dei feriti
Un sottotenente ucciso
CALTANISSETTA 10 notte.
Finalmente, stamane dopo tre giorni di tumulti e di ansie nella cittadina di Riesi è ritornata una relativa calma. Stamane alle 2 dalla miniera di Trabia, ove si trovava concentrata, tutta la forza, composta di arditi, fanteria, carabinieri, agenti, mitragliatrici, ed artiglieri, mosse in colonna alla riconquista del paese. Da due giorni in vari punti della città si vedevano ad una certa distanza i contadini armati che guardavano l’ingresso montando a turno la sentinella.
Stamane però all’alba quando gli arditi giunsero per primi alla porta della città, i contadini si squagliarono di sangue.
Immediatamente si prese possesso di tutti i servizi pubblici, compreso il telegrafo.
Secondo le notizie segrete pervenute al questore comm. Presti, comunicato subito al commissario Caruso, poterono essere rinvenute le armi, le munizioni e la mitragliatrice che i tumultuanti avevano tolto alla truppa. Il paese è occupato militarmente e vi regna una certa calma.
Stamane qualche negozio cominciò a riaprire e i cittadini, dopo due giorni in cui sono rimasti serrati in casa, cominciarono a far capolino per le vie della città. Dai paesi vicini e da questo centro sono partiti dei medici per apprestare le cure ai feriti.
I morti accertati finora ammontano a 10 dimostranti e fra gli stessi vi sono 50 feriti.
Fra i militari sono stati feriti due soldati, ed è stato ucciso il sottotenente Di Caro Michele, da Villarosa, con un colpo di rivoltella alla gola.
Il deputato provinciale ingegnere Accardi, ferito ieri nei tumulti, migliora sensibilmente. Trovasi sul posto l’Ispettore del Ministero dell’Interno comm. Trapi, inviato appositamente per procedere ad una inchiesta.
L’on. Pasqualino Vassallo ha pubblicato un proclama alla cittadinanza, invitandola alla calma e promettendo tutto il suo interessamento per la soluzione dei più urgenti problemi che la interessano. L’on. Pasqualino Vassallo partirà presto per Riesi, per fare opera pacificatrice.
In città ha fatto impressione l’arresto dell’avvocato Carmelo Calì, sul cui movente la questura mantiene il massimo riserbo.
Pare che il Calì sia accusato di aver provocato i tumulti, d’accordo con l’Angeletti inducendo i contadini all’occupazione delle terre. Però nulla di preciso si è potuto finora sapere. Oggi intanto tanto l’Angeletti che il Calì sono stati condotti nel nostro carcere giudiziario. Molti altri arresti sono stati operati sul luogo. L’Angeletti, secondo notizie pervenute alla nostra questura, sarebbe un anarchico e disertore della Regia Marina.
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Questo il completamento della cronaca dei fatti di Riesi del successivo numero del Giornale di Sicilia. Come al solito, cronaca stringata ma molto efficace e soprattutto molto attendibile. Vorrei vedere come i detrattori attuali del Messana possano ficcare le loro infamanti calunnie in questo quadro effettuale di tragiche vicende. Certo, il movimento contadino non ci fa bella figura e noi che siamo di una certa parte politica e siamo fanatici e ne soffriamo, abbiamo voglia di sovvertire la verità dei fatti per comprovare la qualità delle nostre idee persino quali si calano nella inflessibile storia.
Fede politica, attaccamento alle proprie scelte ideali, voglia di salvaguardare ricostruzioni storiche a noi favorevoli sono comprensibili ma come poi si possa arrivare alle calunnie e scempiaggini storiche dell'ANPI di Palermo è cosa sconcertante. Ecco quello che per l'ANPI di Palermo sarebbe avvenuto in quell'otto e nove ottobre del 1919 a Riesi e di chi sarebbe stata la colpa. E guarda caso in quel tempo in cui almeno in Sicilia di fascismo ancora nulla, ebbene non poté che essere un fascista il colpevole di tutto e non poté che essere stato il Messana il solito stragista e non più tardi del 2012 ci tocca leggere:
"Orcel viene assassinato ad un anno dalla strage di Riesi del 1919 dove vengono assassinati 15 contadini compreso un tenente di fanteria che si era opposto all’ordine fascista di sparare sui contadini che manifestavano per la riforma agraria. Ad ordinare il fuoco in solidale intesa con la mafia è stato un fascista della prima ora, Ettore Messana di Racalmuto, ufficiale di P.S., poi membro dell’OVRA, il servizio segreto, efferato criminale di guerra questore a Lubiana negli anni 40 ed infine lo ritroveremo inspiegabilmente ….Ispettore generale di polizia in Sicilia negli anni 1945!"
Di sicuro, il Messana, dceduto nella metà degi anni ’60 non può più rintuzzare e sporgere una raffica di denunce per calunnia aggravata come fece con l’allora onorevole comunista Montalbano che fu cotretto ad una serie di contorcimenti giuridici etici e storici per cavarsela da una esemplare condanna. Forse a qualcuno può venire in mente che trattasi di personaggio ormai storico e quindi lo si piuò dileggiare come più fa comodo.
E no! E lo dico a tutti i detrattori del Messana, da Malgrado Tutto a Link Sicilia, alla Cernigoi, a Lucarelli, a Rai tre, a Bompiani, a Casarrubea, a Procacci e ad un altro paio di cronisti che abboccarono alla lauta pietanza offerta dall’ANPI et similia.
La famiglia Messana c’è ancora, sta pagando costi altissimi morali economici e materiali per questa martellante campagna di infamie assurde e inventate contro il gr. Uff. comm. di SS. Maurizio e Lazzaro, l’ispettore generale di PS dott. Ettore Messana da Racalmuto, il paese di Sciascia.
E’ in corso ancora una indegna lite che un ex genero della nipote diretta del Messana ha intentato presso i costosissimi tribunali della Sacra Rota e presso altrettanto costosissimi tribunali civili italiani contro la figlia della irrefrenabile dottoressa Giovanna Messana, in quanto vuol divorziare o addirittura conseguire l’annullamento religioso del vincolo matrimoniale perché lui non puo vivere coniugalmente con una disendente del "famigeraro Ettore Messana, stragista di Stato, criminale di guerra, capo del banditismo (‘politico’ da scrivere in piccolo per non farlo apparire) siciliano", quello dei tempi insomma bandito Giuliano di Montelepre.
E costoro, codesti detrattori vogliono almeno procedere ad un ravvedimento operoso, ad una resipisenza specie ora che vengono a galla mari di documenti non tanto giustificativi del Messana quanto comprovanti senza ombra di dubbio che al Messana non possono appiopparsi le infamie che artatamente e in modo martellato stanno facendo circolare.
16 ore fa
GENT.MO professore.non ho modo di far recapitare alla Cenigoi le mie controdeduzioni alle sue insolenze Ove Ella avesse possibilità di avere un qualche modo e sempre che volesse adoperarsi in una faccenda che non la riguarda Le sarei particolarmente grato. La ringrazio comunque con i miei deferentVedo adesso che la signorina Cernigoi cerca di infilzarmi con la sua femminea alabarda. Intanto non sa che il prof. Casarrubea si è disociato dalla querula goriziana.
Attacca tanto il siciliano Messana e poi si scandalizza che in Sicilia chiamarsi Lillo è cosa usuale. Ma per una titina è ben comprensibile che il tutto si fermi nelle foibe triestine. Non solo quello di cui si scandalizza la signorina goriziana ma molto altro ho scritto a difesa del buon nome di Messana, con ferrea documentazione che frantuma le ampollosità documentaristiche della trentaduenne sposata. Il tasco torto non sa cos'è? non sa nulla di mafia? Mi ha tagliato tutti i canali di comunicazione e quindi non ho potuto farle avere questa mia ultima fatica che la chiama (in negativo) in causa. Vedrà quando affronterò la faccenda della sua Lubiana. Trascrivo sotto tutto quello che mi dice sperando che mi denunci, visto che qualche familiare del Messana la potrebbe denunciare penalmente e perseguirla civilmente. La smetta di dare apodittici giudizi basandosi su fasulli documenti. Quanta alla fasullità o incongruenza delle carte che cita ho già molto pubblicato nel mio CONTRA OMNIA RACALMUTO e molto pubblicherò ancora, non mi fermo alla prima taverna. E così forse le ho giustificato il mio cognome dato che quanto al mio diminutivo di Calogero, Lillo appunto, tale nomen trova nella dessa titini rigetti.
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facebook
La Nuova Alabarda
MA CHE GLI FACCIO, AGLI UOMINI?
Dopo avere attizzato gli appetiti malsani e paranoici del già citato su queste pagine Melchiorre Gerbino, da un paio di mesi sono oggetto di invio di messaggi che oscillano tra l'intimidatorio e l'offensivo di persona che si firma "Lillo Taverna" (come un uomo adulto possa chiamarsi Lillo mi è peraltro oscuro) e che con questo nome ha una pagina FB. Tale Taverna sembra essersi eretto a difensore sperticato della figura del defunto questore Ettore Messana, sul cui operato all'epoca del fascismo ebbi modo di scrivere un paio di articoli (che ho recentemente inserito anche su questa pagina), citando documenti ufficiali conservati negli archivi di stato di Trieste e Lubiana e facendo riferimento alle ben più approfondite ricerche condotte da Giuseppe Casarrubea. Insomma il sedicente Taverna, che mi apostrofa con l'anacronistico termine di "signorina", non so se per suggerire un mio stato civile peraltro non corrispondente (duole deluderlo, ma sono sposata da 32 anni) o se per sminuirmi, in quanto l'idea che generalmente si ha di una "signorina" non è quello di una ricercatrice storica seria, mi ha inviato una serie di messaggi privati sulla mia pagina FB (condividendoli, se ho capito bene, anche con altre persone, a me sconosciute) millantando con queste persone di "disporre" di un "canale riservato" (veramente la messaggistica è disponibile a tutti sulla mia pagina personale...) nei quali vorrebbe dimostrare che Casarrubea ed io avremmo diffamato la figura di Messana. Per sminuire la credibilità delle mie ricerche scrive (ad un cugino, presumo, del quale non riporto il nome, ma al quale mi ha descritta come "tal Carnigoi (sic) triestina, filoslava e con scarso amore patriottico per questa nostra Italia) che
"la Cernigoi si basa su un fascicolo postumo di gente titina che ha cercato invano di ricattare l'Italia".
Curioso termine "fascicolo postumo" eccetera per definire il carteggio che contiene i documenti originali della questura fascista che operò nella Lubiana occupata diretta dal questore Messana tra il 1941 ed il 1942, ma tant'è. Per dare più forza alla propria teoria che Messana non fu un criminale di guerra (come denunciato dalla Jugoslavia ed il cui modus operandi fu stigmatizzato anche da una relazione della Polizia civile del Governo militare alleato di Trieste, amministrazione angloamericana) ma un eroe, il Taverna afferma:
"Non può credere (Cernigoi, n.d.r.) che l'Italia degasperiana abbia conferito l'alta onorificenza al Messana ignara o peggio correa di quella caterva di accuse infamanti titina contro chi avesse avuto dallo Stato Italiano incarichi in quella tragica storia della costituzione della provincia di Lubiana che lei non può antipatriotticamente ridurre ad un crimine di guerra".
Ciò che io credo è del tutto ininfluente, sta di fatto che l'Italia post-degasperiana (nel 1954, quando era in carica il governo Scelba) conferì una medaglia di bronzo al torturatore e capo di una banda di torturatori ed assassini, il commissario Gaetano Collotti dell'Ispettorato speciale di PS.
Alla fine, dopo avere accusato la sottoscritta e Casarrubea di essere "antitaliani", Taverna conclude nel seguente squisito modo:
"Porto il tasco torto, infilzo la Cernigoi e il suo pigmalione siciliano Casarrubea. Per me sono artefici di una indegna campagna di stampa infondatamente calunniosa contro il Gr. Uff. dottore Ettore Messana".
Cosa sia il "tasco torto" è cosa per me incomprensibile, però mi duole constatare che i toni del "signorino" Lillo Taverna ricordano in modo inquietante quelli del noto Melchiorre Gerbino. Taverna ci "infilza", Gerbino ci molla "calci in culo" (cito).
Bene, i documenti sono pubblici e disponibili, non sono "propaganda titina", checché ne dica Taverna, i verbali della questura italiana di Lubiana sono documenti italiani, se Taverna ritiene che l'occupazione fascista della provincia di Lubiana non sia stato un crimine di guerra è padrone di pensarlo, ma ciò fa supporre che le sue polemiche non siano innescate tanto per amore della verità, quanto per volontà di riabilitare un sistema fascista che è stato condannato dalla storia. E rimando al mittente le accuse di "antitalianità", "antipatriottismo" eccetera che mi lancia Taverna, dato che nessuno più dei fascisti ha offeso ed insultato l'Italia riducendola ad una dittatura imperialista e sanguinaria che ha seminato morte e distruzione in Europa.
GIORNALE DI SICILIA 11-12 ottobre
GIORNALE DI SICILIA 11-12 ottobre
Dopo i tumulti di Riesi
truppe rientrano a Riesi
Lo stato dei feriti
Un sottotenente ucciso
CALTANISSETTA 10 notte.
Finalmente, stamane dopo tre giorni di tumulti e di ansie nella cittadina di Riesi è ritornata una relativa calma. Stamane alle 2 dalla miniera di Trabia, ove si trovava concentrata, tutta la forza, composta di arditi, fanteria, carabinieri, agenti, mitragliatrici, ed artiglieri, mosse in colonna alla riconquista del paese. Da due giorni in vari punti della città si vedevano ad una certa distanza i contadini armati che guardavano l’ingresso montando a turno la sentinella.
Stamane però all’alba quando gli arditi giunsero per primi alla porta della città, i contadini si squagliarono di sangue.
Immediatamente si prese possesso di tutti i servizi pubblici, compreso il telegrafo.
Secondo le notizie segrete pervenute al questore comm. Presti, comunicato subito al commissario Caruso, poterono essere rinvenute le armi, le munizioni e la mitragliatrice che i tumultuanti avevano tolto alla truppa. Il paese è occupato militarmente e vi regna una certa calma.
Stamane qualche negozio cominciò a riaprire e i cittadini, dopo due giorni in cui sono rimasti serrati in casa, cominciarono a far capolino per le vie della città. Dai paesi vicini e da questo centro sono partiti dei medici per apprestare le cure ai feriti.
I morti accertati finora ammontano a 10 dimostranti e fra gli stessi vi sono 50 feriti.
Fra i militari sono stati feriti due soldati, ed è stato ucciso il sottotenente Di Caro Michele, da Villarosa, con un colpo di rivoltella alla gola.
Il deputato provinciale ingegnere Accardi, ferito ieri nei tumulti, migliora sensibilmente. Trovasi sul posto l’Ispettore del Ministero dell’Interno comm. Trapi, inviato appositamente per procedere ad una inchiesta.
L’on. Pasqualino Vassallo ha pubblicato un proclama alla cittadinanza, invitandola alla calma e promettendo tutto il suo interessamento per la soluzione dei più urgenti problemi che la interessano. L’on. Pasqualino Vassallo partirà presto per Riesi, per fare opera pacificatrice.
In città ha fatto impressione l’arresto dell’avvocato Carmelo Calì, sul cui movente la questura mantiene il massimo riserbo.
Pare che il Calì sia accusato di aver provocato i tumulti, d’accordo con l’Angeletti inducendo i contadini all’occupazione delle terre. Però nulla di preciso si è potuto finora sapere. Oggi intanto tanto l’Angeletti che il Calì sono stati condotti nel nostro carcere giudiziario. Molti altri arresti sono stati operati sul luogo. L’Angeletti, secondo notizie pervenute alla nostra questura, sarebbe un anarchico e disertore della Regia Marina.
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Questo il completamento della cronaca dei fatti di Riesi del successivo numero del Giornale di Sicilia. Come al solito, cronaca stringata ma molto efficace e soprattutto molto attendibile. Vorrei vedere come i detrattori attuali del Messana possano ficcare le loro infamanti calunnie in questo quadro effettuale di tragiche vicende. Certo, il movimento contadino non ci fa bella figura e noi che siamo di una certa parte politica e siamo fanatici e ne soffriamo, abbiamo voglia di sovvertire la verità dei fatti per comprovare la qualità delle nostre idee persino quali si calano nella inflessibile storia.
Fede politica, attaccamento alle proprie scelte ideali, voglia di salvaguardare ricostruzioni storiche a noi favorevoli sono comprensibili ma come poi si possa arrivare alle calunnie e scempiaggini storiche dell'ANPI di Palermo è cosa sconcertante. Ecco quello che per l'ANPI di Palermo sarebbe avvenuto in quell'otto e nove ottobre del 1919 a Riesi e di chi sarebbe stata la colpa. E guarda caso in quel tempo in cui almeno in Sicilia di fascismo ancora nulla, ebbene non poté che essere un fascista il colpevole di tutto e non poté che essere stato il Messana il solito stragista e non più tardi del 2012 ci tocca leggere:
"Orcel viene assassinato ad un anno dalla strage di Riesi del 1919 dove vengono assassinati 15 contadini compreso un tenente di fanteria che si era opposto all’ordine fascista di sparare sui contadini che manifestavano per la riforma agraria. Ad ordinare il fuoco in solidale intesa con la mafia è stato un fascista della prima ora, Ettore Messana di Racalmuto, ufficiale di P.S., poi membro dell’OVRA, il servizio segreto, efferato criminale di guerra questore a Lubiana negli anni 40 ed infine lo ritroveremo inspiegabilmente ….Ispettore generale di polizia in Sicilia negli anni 1945!"
Di sicuro, il Messana, dceduto nella metà degi anni ’60 non può più rintuzzare e sporgere una raffica di denunce per calunnia aggravata come fece con l’allora onorevole comunista Montalbano che fu cotretto ad una serie di contorcimenti giuridici etici e storici per cavarsela da una esemplare condanna. Forse a qualcuno può venire in mente che trattasi di personaggio ormai storico e quindi lo si può dileggiare come più fa comodo.
E no! E lo dico a tutti i detrattori del Messana, da Malgrado Tutto a Link Sicilia, alla Cernigoi, a Lucarelli, a Rai tre, a Bompiani, a Casarrubea, a Procacci e ad un altro paio di cronisti che abboccarono alla lauta pietanza offerta dall’ANPI et similia.
La famiglia Messana c’è ancora, sta pagando costi altissimi morali economici e materiali per questa martellante campagna di infamie assurde e inventate contro il gr. Uff. comm. di SS. Maurizio e Lazzaro, l’ispettore generale di PS dott. Ettore Messana da Racalmuto, il paese di Sciascia.
E’ in corso ancora una indegna lite che un ex genero della nipote diretta del Messana ha intentato presso i costosissimi tribunali della Sacra Rota e presso altrettanto costosissimi tribunali civili italiani contro la figlia della irrefrenabile dottoressa Giovanna Messana, in quanto vuol divorziare o addirittura conseguire l’annullamento religioso del vincolo matrimoniale perché lui non puo vivere coniugalmente con una disendente del "famigeraro Ettore Messana, stragista di Stato, criminale di guerra, capo del banditismo (‘politico’ da scrivere in piccolo per non farlo apparire) siciliano", quello dei tempi insomma bandito Giuliano di Montelepre.
E costoro, codesti detrattori vogliono almeno procedere ad un ravvedimento operoso, ad una resipisenza specie ora che vengono a galla mari di documenti non tanto giustificativi del Messana quanto comprovanti senza ombra di dubbio che al Messana non possono appiopparsi le infamie che artatamente e in modo martellato stanno facendo circolare.
i saluti. Calogero Taverna
4 ore fa
Prrof. Casarrubea
Caro dott. Tsaverna, per tagliare la testa al toro, come si suol dire, basterebbe che lei rendesse pubblici alcuni dei documenti che riabilitano Messana. In fondo a chi, com un minimo di serietà fa una ricerca, solo i documenti interessano, perchè sono quelli che necessitano alla formulazione di un giudizio, o alla sua riformulazione. Mi creda, il resto conta poco.
Risposta odierna di Calogero Taverna
Gentilissimo Professore, non sono per niente d'accordo. Io i documenti li ho già pubblicati, anche se non tutti. Questi documenti e gli altri non riabilitano il Messana per il semplìce fatto che non c'è nulla da riabilitare. Quello che c'è è che io conto ben sette fonti che falsando documenti, accantonandone altri evitando di completare le ricerche archivistiche, storiche e persino giornalistiche, trascurando sentenze passate in giudicato hanno calunniato il Messana. Provato che il Messana nel 1919 non fu stragista, che nel 1942 non fu criminale di guerra e peggio, che diciamo il primo maggio del 1947 non era "capo del banditismo siciliano" (sue parole), che di conseguenza da siffatte intenzionali calunnie ne sono derivati gravissimi danni alla famiglia di OGGI, delle due una: o le fonti - come ho cercato in tutti i modi di farle ravvedere - rettificano le loro calunniose condanne, o saranno i competenti tribunali a stabilire la verità dei fatti con le conseguenze del caso. Quindi il toro può starsene tranquillamente con la sua testa sul collo. Né a me (extra partes) né alla offesa signora Giovanna Messana può importare dei calunniatori . Credo che la signora stia preparando le carte per passarle al suo avvocato romano nel prossimo settembre. Intelligenti pauca.
mercoledì 6 agosto 2014
La Cerngoi mi infilza: non apprezza il mio classico nome siculo e non sa casa è un tasco torto
Vedo adesso che la signorina Cernigoi cerca di infilzarmi con la sua femminea alabarda. Intanto non sa che il prof. Casarrubea si è disociato dalla querula goriziana.
Attacca tanto il siciliano Messana e poi si scandalizza che in Sicilia chiamarsi Lillo è cosa usuale. Ma per una titina è ben comprensibile che il tutto si fermi nelle foibe triestine. Non solo quello di cui si scandalizza la signorina goriziana ma molto altro ho scritto a difesa del buon nome di Messana, con ferrea documentazione che frantuma le ampollosità documentaristiche della trentaduenne sposata. Il tasco torto non sa cos'è? non sa nulla di mafia? Mi ha tagliato tutti i canali di comunicazione e quindi non ho potuto farle avere questa mia ultima fatica che la chiama (in negativo) in causa. Vedrà quando affronterò la faccenda della sua Lubiana. Trascrivo sotto tutto quello che mi dice sperando che mi denunci, visto che qualche familiare del Messana la potrebbe denunciare penalmente e perseguirla civilmente. La smetta di dare apodittici giudizi basandosi su fasulli documenti. Quanta alla fasullità o incongruenza delle carte che cita ho già molto pubblicato nel mio CONTRA OMNIA RACALMUTO e molto pubblicherò ancora, non mi fermo alla prima taverna. E così forse le ho giustificato il mio cognome dato che quanto al mio diminutivo di Calogero, Lillo appunto, tale nomen trova nella dessa titini rigetti.
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La Nuova Alabarda
MA CHE GLI FACCIO, AGLI UOMINI?
Dopo avere attizzato gli appetiti malsani e paranoici del già citato su queste pagine Melchiorre Gerbino, da un paio di mesi sono oggetto di invio di messaggi che oscillano tra l'intimidatorio e l'offensivo di persona che si firma "Lillo Taverna" (come un uomo adulto possa chiamarsi Lillo mi è peraltro oscuro) e che con questo nome ha una pagina FB. Tale Taverna sembra essersi eretto a difensore sperticato della figura del defunto questore Ettore Messana, sul cui operato all'epoca del fascismo ebbi modo di scrivere un paio di articoli (che ho recentemente inserito anche su questa pagina), citando documenti ufficiali conservati negli archivi di stato di Trieste e Lubiana e facendo riferimento alle ben più approfondite ricerche condotte da Giuseppe Casarrubea. Insomma il sedicente Taverna, che mi apostrofa con l'anacronistico termine di "signorina", non so se per suggerire un mio stato civile peraltro non corrispondente (duole deluderlo, ma sono sposata da 32 anni) o se per sminuirmi, in quanto l'idea che generalmente si ha di una "signorina" non è quello di una ricercatrice storica seria, mi ha inviato una serie di messaggi privati sulla mia pagina FB (condividendoli, se ho capito bene, anche con altre persone, a me sconosciute) millantando con queste persone di "disporre" di un "canale riservato" (veramente la messaggistica è disponibile a tutti sulla mia pagina personale...) nei quali vorrebbe dimostrare che Casarrubea ed io avremmo diffamato la figura di Messana. Per sminuire la credibilità delle mie ricerche scrive (ad un cugino, presumo, del quale non riporto il nome, ma al quale mi ha descritta come "tal Carnigoi (sic) triestina, filoslava e con scarso amore patriottico per questa nostra Italia) che
"la Cernigoi si basa su un fascicolo postumo di gente titina che ha cercato invano di ricattare l'Italia".
Curioso termine "fascicolo postumo" eccetera per definire il carteggio che contiene i documenti originali della questura fascista che operò nella Lubiana occupata diretta dal questore Messana tra il 1941 ed il 1942, ma tant'è. Per dare più forza alla propria teoria che Messana non fu un criminale di guerra (come denunciato dalla Jugoslavia ed il cui modus operandi fu stigmatizzato anche da una relazione della Polizia civile del Governo militare alleato di Trieste, amministrazione angloamericana) ma un eroe, il Taverna afferma:
"Non può credere (Cernigoi, n.d.r.) che l'Italia degasperiana abbia conferito l'alta onorificenza al Messana ignara o peggio correa di quella caterva di accuse infamanti titina contro chi avesse avuto dallo Stato Italiano incarichi in quella tragica storia della costituzione della provincia di Lubiana che lei non può antipatriotticamente ridurre ad un crimine di guerra".
Ciò che io credo è del tutto ininfluente, sta di fatto che l'Italia post-degasperiana (nel 1954, quando era in carica il governo Scelba) conferì una medaglia di bronzo al torturatore e capo di una banda di torturatori ed assassini, il commissario Gaetano Collotti dell'Ispettorato speciale di PS.
Alla fine, dopo avere accusato la sottoscritta e Casarrubea di essere "antitaliani", Taverna conclude nel seguente squisito modo:
"Porto il tasco torto, infilzo la Cernigoi e il suo pigmalione siciliano Casarrubea. Per me sono artefici di una indegna campagna di stampa infondatamente calunniosa contro il Gr. Uff. dottore Ettore Messana".
Cosa sia il "tasco torto" è cosa per me incomprensibile, però mi duole constatare che i toni del "signorino" Lillo Taverna ricordano in modo inquietante quelli del noto Melchiorre Gerbino. Taverna ci "infilza", Gerbino ci molla "calci in culo" (cito).
Bene, i documenti sono pubblici e disponibili, non sono "propaganda titina", checché ne dica Taverna, i verbali della questura italiana di Lubiana sono documenti italiani, se Taverna ritiene che l'occupazione fascista della provincia di Lubiana non sia stato un crimine di guerra è padrone di pensarlo, ma ciò fa supporre che le sue polemiche non siano innescate tanto per amore della verità, quanto per volontà di riabilitare un sistema fascista che è stato condannato dalla storia. E rimando al mittente le accuse di "antitalianità", "antipatriottismo" eccetera che mi lancia Taverna, dato che nessuno più dei fascisti ha offeso ed insultato l'Italia riducendola ad una dittatura imperialista e sanguinaria che ha seminato morte e distruzione in Europa.
Attacca tanto il siciliano Messana e poi si scandalizza che in Sicilia chiamarsi Lillo è cosa usuale. Ma per una titina è ben comprensibile che il tutto si fermi nelle foibe triestine. Non solo quello di cui si scandalizza la signorina goriziana ma molto altro ho scritto a difesa del buon nome di Messana, con ferrea documentazione che frantuma le ampollosità documentaristiche della trentaduenne sposata. Il tasco torto non sa cos'è? non sa nulla di mafia? Mi ha tagliato tutti i canali di comunicazione e quindi non ho potuto farle avere questa mia ultima fatica che la chiama (in negativo) in causa. Vedrà quando affronterò la faccenda della sua Lubiana. Trascrivo sotto tutto quello che mi dice sperando che mi denunci, visto che qualche familiare del Messana la potrebbe denunciare penalmente e perseguirla civilmente. La smetta di dare apodittici giudizi basandosi su fasulli documenti. Quanta alla fasullità o incongruenza delle carte che cita ho già molto pubblicato nel mio CONTRA OMNIA RACALMUTO e molto pubblicherò ancora, non mi fermo alla prima taverna. E così forse le ho giustificato il mio cognome dato che quanto al mio diminutivo di Calogero, Lillo appunto, tale nomen trova nella dessa titini rigetti.
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La Nuova Alabarda
MA CHE GLI FACCIO, AGLI UOMINI?
Dopo avere attizzato gli appetiti malsani e paranoici del già citato su queste pagine Melchiorre Gerbino, da un paio di mesi sono oggetto di invio di messaggi che oscillano tra l'intimidatorio e l'offensivo di persona che si firma "Lillo Taverna" (come un uomo adulto possa chiamarsi Lillo mi è peraltro oscuro) e che con questo nome ha una pagina FB. Tale Taverna sembra essersi eretto a difensore sperticato della figura del defunto questore Ettore Messana, sul cui operato all'epoca del fascismo ebbi modo di scrivere un paio di articoli (che ho recentemente inserito anche su questa pagina), citando documenti ufficiali conservati negli archivi di stato di Trieste e Lubiana e facendo riferimento alle ben più approfondite ricerche condotte da Giuseppe Casarrubea. Insomma il sedicente Taverna, che mi apostrofa con l'anacronistico termine di "signorina", non so se per suggerire un mio stato civile peraltro non corrispondente (duole deluderlo, ma sono sposata da 32 anni) o se per sminuirmi, in quanto l'idea che generalmente si ha di una "signorina" non è quello di una ricercatrice storica seria, mi ha inviato una serie di messaggi privati sulla mia pagina FB (condividendoli, se ho capito bene, anche con altre persone, a me sconosciute) millantando con queste persone di "disporre" di un "canale riservato" (veramente la messaggistica è disponibile a tutti sulla mia pagina personale...) nei quali vorrebbe dimostrare che Casarrubea ed io avremmo diffamato la figura di Messana. Per sminuire la credibilità delle mie ricerche scrive (ad un cugino, presumo, del quale non riporto il nome, ma al quale mi ha descritta come "tal Carnigoi (sic) triestina, filoslava e con scarso amore patriottico per questa nostra Italia) che
"la Cernigoi si basa su un fascicolo postumo di gente titina che ha cercato invano di ricattare l'Italia".
Curioso termine "fascicolo postumo" eccetera per definire il carteggio che contiene i documenti originali della questura fascista che operò nella Lubiana occupata diretta dal questore Messana tra il 1941 ed il 1942, ma tant'è. Per dare più forza alla propria teoria che Messana non fu un criminale di guerra (come denunciato dalla Jugoslavia ed il cui modus operandi fu stigmatizzato anche da una relazione della Polizia civile del Governo militare alleato di Trieste, amministrazione angloamericana) ma un eroe, il Taverna afferma:
"Non può credere (Cernigoi, n.d.r.) che l'Italia degasperiana abbia conferito l'alta onorificenza al Messana ignara o peggio correa di quella caterva di accuse infamanti titina contro chi avesse avuto dallo Stato Italiano incarichi in quella tragica storia della costituzione della provincia di Lubiana che lei non può antipatriotticamente ridurre ad un crimine di guerra".
Ciò che io credo è del tutto ininfluente, sta di fatto che l'Italia post-degasperiana (nel 1954, quando era in carica il governo Scelba) conferì una medaglia di bronzo al torturatore e capo di una banda di torturatori ed assassini, il commissario Gaetano Collotti dell'Ispettorato speciale di PS.
Alla fine, dopo avere accusato la sottoscritta e Casarrubea di essere "antitaliani", Taverna conclude nel seguente squisito modo:
"Porto il tasco torto, infilzo la Cernigoi e il suo pigmalione siciliano Casarrubea. Per me sono artefici di una indegna campagna di stampa infondatamente calunniosa contro il Gr. Uff. dottore Ettore Messana".
Cosa sia il "tasco torto" è cosa per me incomprensibile, però mi duole constatare che i toni del "signorino" Lillo Taverna ricordano in modo inquietante quelli del noto Melchiorre Gerbino. Taverna ci "infilza", Gerbino ci molla "calci in culo" (cito).
Bene, i documenti sono pubblici e disponibili, non sono "propaganda titina", checché ne dica Taverna, i verbali della questura italiana di Lubiana sono documenti italiani, se Taverna ritiene che l'occupazione fascista della provincia di Lubiana non sia stato un crimine di guerra è padrone di pensarlo, ma ciò fa supporre che le sue polemiche non siano innescate tanto per amore della verità, quanto per volontà di riabilitare un sistema fascista che è stato condannato dalla storia. E rimando al mittente le accuse di "antitalianità", "antipatriottismo" eccetera che mi lancia Taverna, dato che nessuno più dei fascisti ha offeso ed insultato l'Italia riducendola ad una dittatura imperialista e sanguinaria che ha seminato morte e distruzione in Europa.
GIORNALE DI SICILIA 11-12 ottobre
GIORNALE DI SICILIA 11-12 ottobre
Dopo i tumulti di Riesi
Truppe rientrano a Riesi
Lo stato dei feriti
Un sottotenente ucciso
CALTANISSETTA 10 notte.
Finalmente, stamane dopo tre giorni
di tumulti e di ansie nella cittadina di Riesi
è ritornata una relativa calma. Stamane alle 2 dalla miniera di Trabia, ove si trovava
concentrata, tutta la forza, composta di arditi, fanteria, carabinieri, agenti,
mitragliatrici, ed artiglieri, mosse in colonna alla riconquista del paese. Da
due giorni in vari punti della città si
vedevano ad una certa distanza i contadini armati che guardavano l’ingresso
montando a turno la sentinella.
Stamane però all’alba quando gli
arditi giunsero per primi alla porta della città, i contadini si squagliarono
di sangue.
Immediatamente si prese possesso di
tutti i servizi pubblici, compreso il telegrafo.
Secondo le notizie segrete pervenute
al questore comm. Presti, comunicato subito al commissario Caruso, poterono
essere rinvenute le armi, le munizioni e la mitragliatrice che i tumultuanti
avevano tolto alla truppa. Il paese è occupato militarmente e vi regna una
certa calma.
Stamane qualche negozio cominciò a
riaprire e i cittadini, dopo due giorni
in cui sono rimasti serrati in casa, cominciarono a far capolino per le vie
della città. Dai paesi vicini e da questo centro sono partiti dei medici per
apprestare le cure ai feriti.
I morti accertati finora ammontano a
10 dimostranti e fra gli stessi vi sono 50 feriti.
Fra i militari sono stati feriti due
soldati, ed è stato ucciso il sottotenente Di Caro Michele, da Villarosa, con
un colpo di rivoltella alla gola.
Il deputato provinciale ingegnere
Accardi, ferito ieri nei tumulti, migliora sensibilmente. Trovasi sul posto
l’Ispettore del Ministero dell’Interno comm. Trapi, inviato appositamente per
procedere ad una inchiesta.
L’on. Pasqualino Vassallo ha
pubblicato un proclama alla cittadinanza, invitandola alla calma e promettendo
tutto il suo interessamento per la soluzione dei più urgenti problemi che la
interessano. L’on. Pasqualino Vassallo partirà presto per Riesi, per fare opera
pacificatrice.
In città ha fatto impressione
l’arresto dell’avvocato Carmelo Calì, sul cui movente la questura mantiene il
massimo riserbo.
Pare che il Calì sia accusato di aver
provocato i tumulti, d’accordo con
l’Angeletti inducendo i contadini all’occupazione delle terre. Però nulla di
preciso si è potuto finora sapere. Oggi intanto tanto l’Angeletti che il Calì
sono stati condotti nel nostro carcere giudiziario. Molti altri arresti sono
stati operati sul luogo. L’Angeletti, secondo notizie pervenute alla nostra
questura, sarebbe un anarchico e disertore della Regia Marina.
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Questo il completamento della cronaca
dei fatti di Riesi del successivo numero del Giornale di Sicilia. Come al
solito, cronaca stringata ma molto efficace e soprattutto molto attendibile.
Vorrei vedere come i detrattori attuali del Messana possano ficcare le loro infamanti calunnie in
questo quadro effettuale di tragiche vicende. Certo, il movimento contadino non
ci fa bella figura e noi che siamo di una certa parte politica e siamo fanatici
e ne soffriamo, abbiamo voglia di sovvertire la verità dei fatti per comprovare
la qualità delle nostre idee persino quali si calano nella inflessibile storia.
Fede politica, attaccamento alle
proprie scelte ideali, voglia di salvaguardare ricostruzioni storiche a noi favorevoli sono comprensibili ma come
poi si possa arrivare alle calunnie e scempiaggini storiche dell'ANPI di
Palermo è cosa sconcertante. Ecco quello che per l'ANPI di Palermo sarebbe avvenuto
in quell'otto e nove ottobre del 1919 a Riesi e di chi sarebbe stata la colpa.
E guarda caso in quel tempo in cui almeno in Sicilia di fascismo ancora nulla,
ebbene non poté che essere un fascista il colpevole di tutto e non poté che
essere stato il Messana il solito stragista e non più tardi del 2012 ci tocca
leggere:
“Orcel viene assassinato ad un anno
dalla strage di Riesi del 1919 dove vengono assassinati 15 contadini compreso
un tenente di fanteria che si era opposto all’ordine fascista di sparare sui
contadini che manifestavano per la riforma agraria. Ad ordinare il fuoco in
solidale intesa con la mafia è stato un fascista della prima ora, Ettore
Messana di Racalmuto, ufficiale di P.S., poi membro dell’OVRA, il servizio
segreto, efferato criminale di guerra questore a Lubiana negli anni 40 ed
infine lo ritroveremo inspiegabilmente ….Ispettore generale di polizia in
Sicilia negli anni 1945!”
Di sicuro, il Messana, dceduto nella
metà degi anni ’60 non può più rintuzzare e sporgere una raffica di
denunce per calunnia aggravata come fece
con l’allora onorevole comunista Montalbano che fu cotretto ad una serie di
contorcimenti giuridici etici e storici per cavarsela da una esemplare
condanna. Forse a qualcuno può venire in mente che trattasi di personaggio
ormai storico e quindi lo si può dileggiare come più fa comodo.
E no! E lo dico a tutti i detrattori
del Messana, da Malgrado Tutto a Link Sicilia, alla Cernigoi, a Lucarelli, a
Rai tre, a Bompiani, a Casarrubea, a Procacci e ad un altro paio di cronisti
che abboccarono alla lauta pietanza offerta dall’ANPI et similia.
La famiglia Messana c’è ancora, sta
pagando costi altissimi morali economici e materiali per questa martellante
campagna di infamie assurde e inventate contro il gr. Uff. comm. di SS.
Maurizio e Lazzaro, l’ispettore generale di PS dott. Ettore Messana da
Racalmuto, il paese di Sciascia.
E’ in corso ancora una indegna lite
che un ex genero della nipote diretta del Messana ha intentato presso i
costosissimi tribunali della Sacra Rota e presso altrettanto costosissimi
tribunali civili italiani contro la figlia
della irrefrenabile dottoressa Giovanna Messana, in quanto vuol
divorziare o addirittura conseguire l’annullamento religioso del vincolo
matrimoniale perché lui non puo vivere coniugalmente con una disendente del
“famigeraro Ettore Messana, stragista di Stato, criminale di guerra, capo del
banditismo (‘politico’ da scrivere in piccolo per non farlo apparire) siciliano”, quello dei tempi
insomma bandito Giuliano di Montelepre.
E costoro, codesti detrattori
vogliono almeno procedere ad un ravvedimento operoso, ad una resipisenza specie
ora che vengono a galla mari di documenti non tanto giustificativi del Messana
quanto comprovanti senza ombra di dubbio che al Messana non possono appiopparsi
le infamie che artatamente e in modo martellato stanno facendo circolare.