venerdì 5 settembre 2014

Alla domanda: ma codesta Santa Rosalia Sinibaldi è esistita davvero? gli storici seri anche ecclesiastici arricciano il naso. Andatevi a leggere di P. Collura, scienzato della paleografica e storico eccelso, Santa Rosalia nella storia e nell'arte, Palermo 1977, e mi darete ragione. Certo dovete essere uomini di cultura raffinata, non sicofanti della speculazione edilizia o diaconi a pagamento.

Alla domanda: ma codesta Santa Rosalia Sinibaldi è esistita davvero? gli storici seri anche ecclesiastici arricciano il naso. Andatevi a leggere di P. Collura, scienzato della paleografica e storico eccelso, Santa Rosalia nella storia e nell'arte, Palermo 1977, e mi darete ragione. Certo dovete essere uomini di cultura raffinata, non sicofanti della speculazione edilizia o diaconi a pagamento.
Se poi giriamo la frittata  e ci domandiamo: ma davvero codesta santa, codesta fragile fanciulla che alla Quisquina in una grotta stigia senza aver mai studiato lettere antiche si mette ad incidere sulla dura pietra una epigrafe dal latino perfetto ed elegante? lo scetticismo diviene assordante. Se infine per vecchie manie campanilistiche la vogliamo far nascere a Racalmuto, il sospetto di grande truffa è indomabile.  Almeno un tempo la volevano - padre Cipolla, padre Scimè S.J., padre Parisi S.J. - far nascere nel vetusto castello racalmutese anche se con tutte le migliori intenzioni  non è agevole ricondure quei due trecenteschi torrioni sotto l'impero di Guglielmo il Malo. Ma ora che la vogliono far nascere in un maniero mercantile del mugnaio Romano retrodatabile al massimo a fine Settecento, non so se indignarmi o  riderci soptara. Voi che ne dite?
Hanno trafugato dallo spoglio di padre puma un foglione di quattro pagine e hanno credutro che chissà quale attendibilità probante potesse avere. Noi quel foglione l'abbiamo avuto tra le mani e l'abbiamo sottoposto alle nostre celebrate manie ispettive da trent'anni. Lo pubblichiamo qui per far presente, che è grafia dell'arciprete Genco che poi sappiamo essersi recato a Palermo per scopiazzare alcuni passi del Cascini. Noi abbiamo  riscontrato a Roma quei passi ed altro alla Biblioteca Nazionale. Siamo andati oltre. Abbiamo appurato come della faccenda di Santa Rosalia si è occupata la Santa Inquisizione e il padre Spucces dovette partirsi da Palermo nel 1642 per cercare di fare quadrare le peregrinazioni improbabili di questa fanciulla dall'AULA di Gugliemo il Malo alle Grotte della Quisquina ove incise il suo angelico epitaffio e morta giovanissima ebbe il tempo, portata dagli Angeli, ad andare a morire nelle grotte di Monte Pellegrino nel 1160 (SIC! 1160).  Comunque Rocco Pirri in un ottimo latino qualcosa riuscì a quadrare il cerchio di talché i padri boillandisti abbozzarono un quadro accettabile e la Sacra Congregazione dei Riti potè acconsentire che il 4 settembre la si celebrasse come santa. Ma attenzione con i limiti ed  il rigore storico che sono prerogativa delle congregazioni vaticane. Qualcuno tentò di sgarrare  nel Settecento e si beccò fior di scomuniche. Certo ora non scomunicano più ma è per questo che il mio amico padre Puma prima di decidersi a dare spago agli adoratori racalmutesi di Santa Rosalia ce ne volle. Ora, dopo quello che ho sentito l'altra sera, dopo che iattantemente si vuol far nascere la santa a Racalmuto nel 1130, quando cioè  a Racalmuto non c'era nulla, manco il toponimo, non dico la scomunica ma i veti arcivescovili e papali stanno dietro l'angolo. Sarò il primo a sensibilizzare tali autorità bianche rosse violacee a non consentire che si facciano bere al popolo dei fedeli di Racalmuto siffatte baggianate. Ed ho  documenti, diplomi, carte vaticane per dimostrare sacrilega e forse truffaldina tanta spudoratezza. Pubblico il documento della Matrice che ad onta di padre Genco spesso sintassi e grammatica vanno a farsi benedire. Scribere DASSE per DESSE per me è gravissimo. L'annotazione Dn Ferdinando Martino fondatore dell'ospedale è uno spurio appunto e non certo una firma. Quel Martini lo sappiamo tutti che era uno squilibrato ed anche incolto. Sull'ultimo foglio quella ricerca sui Normanni la dice lunga sull'imbarazzo di padre Genco a doveva spiegare come potesse nascere a Racalmuto una Sinibaldi in tempi Normanni. Sotto la calligrafia cambia. E non più padre Genco ma altri (io penso padre Casuccio) vi inzuppa l'autorevolezza dell'ottocentesco 'Padre Antonio Parisi'. Già ipse dixit. Ma padre Parisi non può neppure dirsi Platone.
 
 
 
 
 

i magnifici sette a convegno nel Circolo Unione di Racalmuto, quello della Concordia di cui alle Parrocchie di Regalpetra di Leonardo Sciascia, insomma. E' d'obbligo iscriversi se si è donne o uomini di CULTURA, ovunque voi siate.

i magnifici sette a convegno nel Circolo Unione di Racalmuto, quello della Concordia di cui alle  Parrocchie di Regalpetra di Leonardo Sciascia, insomma. E' d'obbligo iscriversi se si è donne o uomini di CULTURA, ovunque voi siate.

Riceviamo e di seguito pubblichiamo la lettera di Alfredo Sole, recluso da 21 anni presso il carcere di Opera e condannato all’ergastolo ostativo. Sole invoca anche per se come i diritti sanciti dalla nostra Costituzione a partire dalla libertà di espressione sancita dall’articolo 21…

Interni

Lettera di un ergastolano: “Spero che l’articolo 21 sia valido anche per me…”

carcere2 Riceviamo e di seguito pubblichiamo la lettera di Alfredo Sole, recluso da 21 anni presso il carcere di Opera e condannato all’ergastolo ostativo. Sole invoca anche per se come i diritti sanciti dalla nostra Costituzione a partire dalla libertà di espressione sancita dall’articolo 21…
Di Alfredo Sole
Articolo 21 “Tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio
pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione …”.
Che meraviglia! Quel senso di civiltà che esprimono queste poche parole
iniziali basta per farti sentire parte di quella civiltà espressa lì a
parole, ma parole che divengono quasi palpabili. Brillano di luce propria.
I nostri Padri Costituzionalisti non poco ingegno posero al servizio di un
Paese che si era smarrito per renderlo civile. Continuarono questi grandi
uomini illuminati a sfornare articoli di Costituzione che resero l’Italia,
almeno su carta, un Paese di sani principi, di grande moralità. Il senso
di umanità dei nostri Padri fu così grande e traboccante che nacque anche
l’articolo 27: cito testualmente: “La responsabilità penale è personale;
l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva; le
pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e
devono tenere alla riabilitazione del condannato; non è ammessa la pena di
morte”.
Mi servo di quella libertà che mi dà l’art. 21 per parlare dell’art. 27.
Da condannato all’ergastolo, da uomo che ha scontato fino ad oggi 21 anni
di carcere, posso affermare la distruzione dell’articolo 27. Calpestato e
completamente ignorato è stato reso nient’altro che l’ombra di ciò che
rappresentava. Oggi, esiste la pena di morte; oggi, non esiste la
rieducazione del condannato; oggi, sei colpevole ancor prima che un
processo ti dichiari tale; oggi, tutte le pene tendono a trattamenti
contrari al senso di umanità. Ogni punto dell’articolo 27 è stato
demolito. Nessuno se ne rammarichi, in fondo, ma molto in fondo, restiamo
pur sempre un paese civile.
“Non è vero!” Qualcuno potrebbe obiettare, “la pena di morte in Italia non
esiste”. Risponderei a questo qualcuno che la mancanza di un boia non
significa che non esiste la pena capitale. Continuerei istruendo su che
cosa è oggi la pena dell’ergastolo, su come esistano due tipi di
ergastolo. Il primo tipo, seppur zoppicante, riesce ancora a trarre
vantaggio da quel senso di umanità che rappresentava l’articolo 27.
L’altro tipo di ergastolo è quello ostativo ai benefici. Ciò significa che
quel “Fine Pena Mai” diviene reale, cioè fino alla morte. Non è forse una
condanna a morte questa? Sì che lo è, ancora più crudele che se ci fosse
un boia.
Scrive Umberto Veronesi, nel Corriere della sera del 25/08/12, pag. 17:
“[…] esiste, secondo noi, anche un’altra forma di pena di morte:
l’ergastolo. Si chiama carcere «vita», ma in realtà è un modo per
sopprimere la vita, perché il carcerato non è più una persona, ma è
qualcuno che sperimenta una lenta agonia, giorno dopo giorno, fino alla
fine della sua esistenza”.
Una personale opinione del dott. Veronesi? Un suo libero pensiero forgiato
magari da una vita trascorsa a cercare come salvare vite sviluppando così
una sana ripugnanza per chi le vite le vuole sopprimere? Può darsi, ma c’è
di più. Opinioni e libertà di pensiero sono soggettivi, quindi soggetti a
critiche di chi magari la pensa diversamente. Ma non la scienza, quella
non è soggettiva, è oggettiva. Non dà spazi a opinioni, o pensieri vari.
Una scoperta scientifica rimane valida finché un’altra scoperta non
l’invalida. Se ciò non accade, quella scoperta scientifica diviene una
legge scientifica; non confutabile. Continua a scrivere il dott.
Veronesi;: “[…] Le più recenti ricerche hanno dimostrato che il nostro
sistema di neuroni non è fisso e immutabile, ma è plastico e si rigenera.
Quindi il nostro cervello può rinnovarsi”.
Che c’entra questo con il carcere a vita? Vorrei fare una deduzione
logica, ma mi limito a usare quella del dott. Veronesi che sicuramente è
migliore di qualunque deduzione possa fare io: “[…] In effetti ognuno di
noi può sperimentare come il suo modo di pensare e sentire non sia lo
stesso di 10 anni prima: ma il ragionamento ha ben più forti implicazioni
a livello della giustizia, perché il detenuto non è la stessa persona
condannata 20 anni prima…”.
Come ben si può capire, non si tratta più di semplici opinioni o pensieri
espressi ma bensì di una deduzione logica estrapolata da prove
scientifiche che dovrebbero far pensare. Non si può confutare il dott.
Veronesi. Certo, si può ignorare la verità che diffonde e continuare a far
finta di nulla. Del resto, siamo maestri in questo. Ogniqualvolta sentiamo
qualcosa che non vorremmo sentire, ignoriamo tutto. Come se ignorando il
problema, il problema sparisse. E’ proprio questo far finta di non
sentire, di non capire, di ignorare il problema che in carcere si muore e
si muore di carcere. Non siamo poi così civili come abbiamo sempre creduto
e come ci hanno fatto sempre credere, se ancora in Italia esiste una pena
che uccide. Una pena di morte con vestiti civilizzati, una pena capitale
senza boia ma che uccide più della sedia elettrica o della camera a gas.
Spero che l’articolo 21 sia valido anche per me, per un ergastolano che
dall’ombra di una cella vuol dire la sua, nonostante una dotta ignoranza.

Ecco perché Santa Rosalia non poteva nascere a Racalmuto


Biografia[modifica sorgente]
(LA)
« Ego Rosalia Sinibaldi Quisquinae Et Rosarum Domini Filia Amore D.ni Mei Iesu Christi In Hoc Antro Habitari Decrevi » (IT)
« Io Rosalia di Sinibaldo, figlia del Signore della Quisquina e del Monte delle Rose, per amore del mio Signore Gesù Cristo, ho deciso di abitare in questa grotta »
(Iscrizione rinvenuta nella grotta della Quisquina)
Rosalia Sinibaldi (o di Sinibaldo) nasce a Palermo intorno al 1128. La tradizione narra che mentre il conte Ruggero osservava il tramonto con sua moglie, la contessa Elvira, una figura gli apparve dicendogli: «Ruggero io ti annuncio che, per volere di Dio, nascerà nella casa di Sinibaldo, tuo congiunto, una rosa senza spine», per questo motivo pare che, poco tempo dopo, quando nacque alla bambina venne assegnato il nome Rosalia. Esiste un'altra tradizione che vede spettatori della visione Guglielmo II e sua moglie Margherita, ma ciò non sarebbe possibile: il 1128, presunta data di nascita di Rosalia, non coincide col regno di Guglielmo, che va dalla morte del padre Guglielmo I nel 1166 alla propria nel 1189. Nel 1128, siamo a due anni dell'incoronazione di Ruggero II, la Sicilia è ancora una Contea e Palermo sta per diventare capitale del Regno Normano d'Italia meridionale.
Suo padre, il conte Sinibaldo, signore della Quisquina e del monte delle Rose (attuali territori di Santo Stefano Quisquina e Bivona, siti in provincia di Agrigento), faceva discendere la sua famiglia da Carlo Magno. Sua madre Maria Guiscardi era a sua volta di nobili origini e imparentata con la corte normanna. Da giovane visse in ricchezza presso la corte di re Ruggero, un giorno il conte Baldovino salvò il re Ruggero da un animale selvaggio che lo stava attaccando, il re volle ricambiarlo con un dono e Baldovino chiese in sposa Rosalia[1]. La ragazza, all'indomani dell'offerta si presentò alla corte con le bionde trecce tagliate declinando l'offerta preferendo abbracciare la fede.
Inizialmente la ragazza si rifugiò presso il monastero delle Basiliane a Palermo, ma ben presto anche quel luogo fu troppo stretto a causa delle continue visite dei genitori e del promesso sposo che cercavano di dissuaderla dal suo intento. Decise quindi di trovare rifugio presso una grotta nei possedimenti del padre, che aveva visitato da fanciulla, presso Bivona. La sua fama intanto si diffuse presto e la grotta divenne luogo di pellegrinaggio. Un giorno la grotta fu trovata vuota e successivamente si venne a sapere che aveva deciso di tornare a Palermo occupando una grotta sul Monte Pellegrino per sfuggire ai pellegrini e trovare un rifugio silenzioso. Ma anche lì ben presto la sua fama la rese celebre ed iniziarono i pellegrinaggi, il 4 settembre del 1165 venne trovata morta dai pellegrini[2][3][4][5].
Il culto[modifica sorgente]

Reliquiario di Santa Rosalia
Secondo la tradizione cattolica, nel 1624 salvò Palermo dalla peste e ne divenne la patrona, spodestando santa Cristina, santa Oliva, santa Ninfa e sant'Agata. Mentre infuriava una terribile epidemia arrivata in città da alcune navi provenienti da Tunisi (antica "Barbaria"), la Santa apparve ad un povero 'saponaro', Vincenzo Bonelli (abitante dell'antico quartiere della "Panneria") che viveva barattando mobili vecchi, il quale avendo perso la propria giovane consorte a causa della peste nera, era salito sul Monte Pellegrino sul far della sera con l'intento di gettarsi giù dal precipizio prospiciente il mare (zona Addaura) per farla finita, causa la sua disperazione per l'immatura scomparsa della giovane moglie.
Al momento di mettere in atto il suo triste intento, gli apparve innanzi una splendida figura di giovane donna pellegrina, bella e di grande splendore, che lo dissuase dal suo proposito, portandolo giù con sé al fine, disse, di mostrargli la sua grotta; infatti, lo condusse nei pressi della vecchia Chiesa di S. Rosolea, già allora esistente e dove la si venerava da antica data, nei pressi della famosa grotta che ella gli indica come la sua "cella pellegrina" e scendendo con lui dalla cosiddetta "valle del porco" verso la città, esortantandolo a pentirsi e convertirsi, lo invita più di venti volte a informare il cardinale Doria, Arcivescovo della città di Palermo, che le ossa già in precedenza rinvenute da un cacciatore in quella grotta incastonate nella roccia e che si presumeva potessero essere della Santa eremita - di cui si coltivava in quel luogo la memoria - ma delle quali non era certa l'origine e che erano già state raccolte e venivano custodite nella cappella personale del Cardinale, erano veramente sue; inoltre, che non si facessero più "dispute e dubii" e che, infine, venissero portate in processione per Palermo, poiché lei, Rosalia, aveva già ottenuto la certezza, dalla gloriosa Vergine Madre di Dio, che al passaggio delle sue ossa, al momento preciso del canto del Te Deum laudamus la peste si sarebbe fermata.
Rosalia gli disse inoltre: "E per segno della verità, tu in arrivare a Palermo, cascherai ammalato di questa infermità (la peste) e ne morrai, dopo aver riferito tutto ciò al Cardinale: da ciò egli trarrà fede a quanto gli riferirai". Tutto questo il povero "saponaro" Bonelli lo raccontò al padre Don Petru Lo Monaco, che glielo fece riferire subito al Cardinale di Palermo, il quale -constatando che realmente il Bonelli si era improvvisamente ammalato di peste e ne stava di lì a breve morendo- gli diede credito ed eseguì ciò che dallo stesso gli era stato fatto sapere, liberando immediatamente durante la processione delle sante reliquie di Rosalia la città di Palermo dalla peste[6].
Il culto della Santa è tuttavia attestato da documenti (Codice di Costanza d'Altavilla depositato presso la Biblioteca Regionale di Palermo e antica tavola lignea che la rappresenta in veste di monaca basiliana ed oggi custodita presso il Museo Diocesano di Palermo) a partire dal 1196 ed era diffuso già nel XIII secolo (antichissimo altare a lei dedicato nella vecchia cattedrale rogeriana). Essendo che la memoria della Santa palermitana nel 1600 lasciava ancora qualche residuo nelle litànie (si narra infatti che durante una delle processioni che invocavano i vari santi per liberare la città dal contagio, due diaconi pronunciassero il nome di Santa Rosalia contemporaneamente, segno che fece riaffiorare l'interesse in città per il suo culto "sòpito"), la riscoperta del suo corpo glorioso sul Monte Pellegrino incastonato in un involucro di roccia cristallina e la successiva rivelazione al Card. Doria del racconto del povero Bonelli, con la conseguente liberazione della città dall'epidemia, ne sancì il definitivo e popolare patrocinio, ratificato a Roma sotto il pontificato di Urbano VIII Barberini.
Il culto è particolarmente vivo a Palermo, dove ogni anno, il 14 e il 15 luglio, si ripete il tradizionale "Festino" che culmina nello spettacolo pirotecnico del 14 notte e dalla processione in suo onore del 15. Il 4 settembre invece la tradizionale acchianata ("salita" in lingua siciliana) a Monte Pellegrino conduce i devoti al Santuario in circa un'ora di scalata a piedi. Nella provincia di Palermo il culto è presente a Campofelice di Roccella,in quanto importato dal principe palermitano fondatore dell'abitato attuale nel 1699, mentre in altri centri delle Madonie se ne trovano invece solo scarse tracce. A Bisacquino, feudo dell'arcivescovo di Monreale il culto deriva da una reliquia della santa donata nel 1626 dall'arcivescovo di Palermo.
In Sicilia il culto è attestato inoltre a Bivona e a Santo Stefano Quisquina, dove secondo la tradizione la santa visse per qualche tempo in eremitaggio e dove fu probabilmente introdotto dai Chiaramonte, signori feudali delle due località nella seconda metà del XIV secolo. A Bivona le prime notizie documentate della chiesa e della confraternita di Santa Rosalia risalgono al 1494. La santa era particolarmente invocata, insieme a San Rocco contro la peste: durante le epidemie del 1575 e del 1624 i bambini battezzati con i nomi dei due santi furono la quasi totalità dei nati, come risulta documentato nei registri di battesimo.
Inoltre in Sicilia è venerata ad'Alia (PA), Novara di Sicilia, [Mazara del Vallo] (TP), Capaci (PA) e quasi in tutta l'isola. Santa Rosalia è patrona anche di Santa Margherita Belice. Alessandro I Filangeri, signore di Santa Margherita, fece costruire la chiesa madre nella seconda metà del XVII secolo, dedicandola alla vergine Rosalia. Negli ultimi anni viene portato in processione, il 4 settembre, un busto della santa in argento con reliquiario, appartenente alla chiesa madre. Inoltre è Patrona di Delia (CL), Gravina di Catania, Santa Croce Camerina (AG), Rina di Savoca (ME).
Il culto a Bivona[modifica sorgente]

Il fercolo di Santa Rosalia a Bivona

La statua di Santa Rosalia a Bivona
« V.R. di grazia mi scriva alcuna cosa a ciò si accendano di più alla divozione di questa Santa
li cittadini nostri; alli quali viene scritto che nel tumolo dove si trovò la santa vi era scritto Rosalia Bivonesa »
(Lettera di Padre Lanfranchi, rettore del Collegio dei Gesuiti di Bivona, in seguito al rinvenimento delle reliquie della santa sul Monte Pellegrino, 1624)
Il culto più antico di cui si abbia traccia risale al 1375 (o addirittura per alcune fonti al 1348 o 1245, data probabilmente erronea).[senza fonte] In quel periodo in tutta la Sicilia - come in molti altri paesi europei - era scoppiata una grave pestilenza. Secondo tale culto santa Rosalia apparve ad una vergine di Bivona (o ad un uomo o a dei giurati) sopra un sasso, assicurando che se essi avessero costruito una chiesa in suo onore, proprio in quello stesso punto, la peste sarebbe miracolosamente cessata.
Secondo la tradizione, tuttavia, non si diede alcun credito all'evento e la peste continuava a mietere vittime. Fu solamente dopo la seconda apparizione, quella del 28 luglio 1246 (o 1349 o 1376), che la chiesa venne edificata. A Bivona la peste cessò non appena iniziarono i lavori per la costruzione dell'edificio sacro. Ma c'è anche un'altra tradizione: quella che ha inizio nel 1648, in seguito alle rivelazioni (e alle visioni) di suor Maria Roccaforte, bivonese, nata nel 1597 e morta nel 1648, raccolte dal gesuita Francesco Sparacino (autore di una biografia su santa Rosalia).
La suora raccontò che Santa Rosalia in persona le narrò la propria vita, arricchita di particolari "fantasiosi": per esempio, narrò che Rosalia, guardandosi allo specchio, vedeva il volto sofferente di Gesù Cristo. Secondo quest'ultima tradizione, la santa, a vent'anni, nel 1149, dopo aver trascorso sette anni di eremitaggio nella grotta della Quisquina, essendo stata scoperta da alcuni abitanti del posto, si trasferì a Bivona, poiché essa faceva parte dei possedimenti paterni (Sinibaldi domini Quisquinae et Rosarum, signore della Quisquina e del Monte delle Rose, il monte che sovrasta Bivona). Rosalia, "signora della Terra di Bivona", visse in paese per cinque anni presso una grotta inserita all'interno di un bosco di querce, attraversato dal fiume Alba, lo stesso che tuttora trascorre nel sottosuolo, davanti la Chiesa di Santa Rosalia.
Ma oggi di quel bosco è rimasto solo un ceppo della quercia dove la Santa era solita fermarsi per pregare e trovare rifugio: questo segno è visibile attraverso un'apertura con vetro posta vicino l'ingresso della Chiesa. In seguito venne trasportata, nuovamente dall'angelo, sul monte Pellegrino, a Palermo. Il culto crebbe negli anni, e nella successiva ondata di peste del 1575-1576 la santa venne invocata nuovamente, e la quasi totalità dei nati venne battezzata col suo nome. Il 4 settembre 1624, pochi giorni dopo il ritrovamento della grotta della Quisquina, santa Rosalia fu proclamata patrona di Bivona. E nel 1909 così scrisse il bivonese Giovan Battista Sedita:
« Che che se ne dica dei suoi natali a Palermo, della famiglia sua essere dei Sinibaldi da Palermo, pure Essa è gloria bivonese, che vale solamente a sorpassare ogni altro pregio di Bivona. Difatti Essa esplicò la sua vita d'anacoreta nelle montagne di Bivona, e più specialmente su quello della Quisquina allora appartenente a Bivona [...] »
Il fercolo o vara di Bivona[modifica sorgente]
Nel 1601 il sacerdote bivonese Ruggero Valenti, all'età di 80 anni, scolpì l'artistico fercolo che ancora oggi il 4 settembre viene portato in processione[7][8][9]. La "Vara" di Santa Rosalia, conservata nell'omonima Chiesa di Bivona, è un capolavoro di arte tardomanierista e di scultura lignea siciliana del Seicento.
Il culto a Palermo[modifica sorgente]
Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi Festa di Santa Rosalia.

Statua della santa durante il Festino del 2007 a Palermo
La leggenda del ritrovamento miracoloso delle spoglie di Rosalia è una tipica storia edificante; al passaggio delle reliquie una pestilenza cessa miracolosamente, al che i palermitani per riconoscenza scelgono a Santuzza come protettrice della città, dedicandole u fistinu (il festino) che si celebra dall'11 al 15 luglio con un carro trionfale, introdotto nel 1686, e un corteo storico in costumi seicenteschi. I festeggiamenti sono aperti alla mattina presto da un'alborata. Il pittore Jean Houel nel 1776 nel descriverlo così lo definisce: «È un'arca di trionfo mobile che porta una grandissima quantità di musici e la cui base è come una conca, portata su quattro ruote. Nel mezzo il simulacro della giovane con splendido abito, sospesa su di una nuvola e circondata di raggi di gloria».
Nel 1896 Pitrè descrive la figura della santa coronata di rose su un carro a vascello «a candelora verticale» e ci ha lasciato nel suo volume Feste patronali questa bellissima descrizione dell'urna con le reliquie e i particolari della suggestiva processione:
« Già fin dal secolo scorso i viaggiatori più illustri ebbero a notare che in tre, quattro, cinque giorni di spettacoli in occasione delle onoranze a santa Rosalia, solo uno ve n'era religioso, l'ultimo. Ma il fatto non è unico né raro nella storia delle feste patronali dei paesi cattolici: e in quelle della patrona di Palermo v'è pure qualche cosa che la ricorda anche negli spettacoli che sono o paiono mondani, come oggi si dice, o pagani, come si diceva fino a ieri. Il carro stesso che cosa è se non l'apoteosi della Santa, la cui figura dal braccio disteso e della mano aperta in atteggiamento solenne di benevolenza accenna a difesa, a sostegno, a protezione della città? Tutto il giorno è un viavai di devoti al Duomo a rendere omaggi alla santa. Nelle ore meridiane però le Compagnie della Pace, della Carità, dei Bianchi e di Sant'Elena e Costantino (già di San Tommaso), una volta ciascuna per sé, ora tutte insieme, vanno pubblicamente ad offrire la cera di uso e gli ossequi delle loro confraternite; mentre nella cappella della santa si celebra per loro e dal loro cappellano la messa.
"La processione delle reliquie di S. Rosalia è l'ultima delle feste," e vi prendon parte le confraternite, il Capitolo, l'Arcivescovato, la giunta comunale quando non se l'abbia a disdoro, ed una volta anche le corporazioni religiose tutte. E dico tutte, perché era questo un dovere al quale nessuna poteva sottrarsi trattandosi della Patrona della città; mentre, secondo le consuetudini locali o generali, alle frequenti processioni d'un santo o d'una santa d'un ordine religioso o d'un altro, solo alcune comunità intervenivano o si facevan rappresentare da pochi frati. In mezzo a queste diverse comunità di tanto in tanto si conducevano ceri ed obelischi raffiguranti i più notevoli avvenimenti della vita di S. Rosalia, o fatti biblici allusivi alle virtù di Lei. E poiché si festeggia la Patrona, non devono mancare le bare con le immagini degli altri santi, "le eccelse superbe moli e macchine piramidali, che formano la meraviglia degli stranieri, le quali precedono l'urna della Santa o Santuzza, come antonomasticamente la si appella. Questa processione delle bare o barelle è uno spettacolo che chiama molto popolino" »

Dal 1972 per iniziativa del comune l'architetto Rodo Santoro ha riprodotto il carro settecentesco e la "Santuzza" continua – tra storia e leggenda – a raccogliere la devozione dei Palermitani e l'ammirazione dei turisti per la spettacolarità della festa. La sera del 14 luglio la processione parte dal Palazzo reale e si snoda lungo l'antico Cassaro fino a mare, fermandosi dinanzi la Cattedrale e ai Quattro Canti, punto in cui il sindaco della città sale sul carro e depone dei fiori ai piedi della santa, gridando: «Viva Palermo e Santa Rosalia». Non appena la processione arriva al Foro Italico hanno inizio i fuochi d'artificio che durano fino a tarda notte.
Il culto a Santo Stefano Quisquina[modifica sorgente]
Molto antico è il culto che lega Santa Rosalia alla cittadina di Santo Stefano Quisquina. In seguito alla morte di S. Rosalia avvenuta intorno al 1166 il monte Quisquina faceva parlare della Santa. Nelle vicinanze della grotta fu costruito un piccolo altare di pietra. Ogni anno, il martedì dopo Pasqua, gli stefanesi con i sacerdoti si recavano in pellegrinaggio alla Quisquina. Alle bambine stefanesi si dava il nome di Rosalia come risulta dai registri parrocchiali. Una preziosa testimonianza del culto antico di S. Rosalia lo rivela una tela del 1464 conservata nella Matrice di S. Stefano, e raffigura i tre santi protettori: S. Stefano, La Madonna della Catena e S. Rosalia con una rosa in mano e un diadema di rose sulla testa.
Santa Stefano Quisquina BW 2012-10-08 11-46-24.JPG
Il 15 luglio 1624 furono portate in processione le ossa di S. Rosalia ritrovate su Monte Pellegrino e Palermo fu liberata dalla Peste. La notizia si diffuse anche a S. Stefano dove due Muratori palermitani che lavoravano nella costruzione del convento di S. Domenico si recarono alla Quisquina e il 24 agosto 1624 scoprirono dentro una grotta l’epigrafe di S. Rosalia,che riporta in latino “Ego Rosalia Sinibaldi Quisquina Domini filia amore mei Iesu Cristi in hoc antro habitari decrevi” che significa “Io Rosalia figlia di Sinibaldi Signore della Quisquina e del Monte delle Rose per amore del mio signore Gesù Cristo ho deciso di abitare in questa grotta”.
Era il testamento spirituale della santa scolpito con le proprie mani. Gli stefanesi chiesero all’Arcivescovo di Palermo il Cardinale Doria, le reliquie della Santa che furono donate in uno splendido busto argenteo il 25 settembre 1625. Nel 1693 un ricco mercante genovese Francesco Scassi si ritira alla Quisquina e fonda la congregazione dei monaci devoti a S. Rosalia e fa costruire i primi ambienti del convento che poi verranno ampliati con i finanziamenti del Principe Ventimiglia Barone di S. Stefano. La Festa di S. Rosalia a Santo Stefano Quisquina si è sempre celebrata con impegno e dispendio di mezzi.
La patrona viene celebrata la prima domenica di Giugno e il martedì successivo, una processione che parte dalla chiesa Madre con il busto reliquiario di S. Rosalia raggiunge la Quisquina, attraverso un sentiero che si snoda tra campi e s’inerpica sulla montagna accompagnata dalla cavalcata e da persone a piedi nudi e con i bambini in braccio. Quando la Santa arriva all’Eremo di Santa Rosalia alla Quisquina viene celebrata la Messa Solenne. In serata le reliquie tornano in paese accompagnate da una grande folla. La Manifestazione si conclude in Chiesa Madre con i Giochi Pirotecnici.
Il culto a Centuripe[modifica sorgente]

Statua della santa venerata a Centuripe
Santa Rosalia è la prima patrona di Centuripe (Enna) dove, secondo quanto scrive lo storico locale Ansaldi, il culto venne introdotto dai padri Agostiniani riformati della congregazione centuripina, che nel 1681 richiesero una reliquia della vergine palermitana ed ottenutala la cominciarono ad esporre alla venerazione dei fedeli.
Ben presto nel popolo si accese una fervente devozione verso la santa così, dopo averne fatto scolpire un simulacro, lo iniziò a condurre, insieme alla reliquia, su di un sontuoso fercolo ligneo per le vie della nascente cittadina. Non contenti di ciò i centuripini scelsero Rosalia come loro patrona e protettrice. Il 23 aprile 1696, tre anni dopo il terribile terremoto che sconvolse e distrusse la Sicilia orientale, tramite il sig. Vincenzo Vallone della Compagnia di Gesù, giunse alla chiesa Madre della città una seconda reliquia di santa Rosalia.
In realtà la devozione del popolo centuripino nei confronti della vergine palermitana precede l'arrivo delle sue reliquie in città. Dagli archivi della Chiesa Madre infatti è recentemente emerso che tutte le bambine nate nel 1625, l'anno successivo al miracolo della peste a Palermo, furono battezzate col nome di Rosalia. Inizialmente la festa di santa Rosalia veniva celebrata il martedì di pasqua, oggi invece la santa patrona è onorata solennemente il 15 ed 16 settembre di ogni anno.
Il culto a Pegli[modifica sorgente]
Santa Rosalia è anche patrona di Pegli (Genova), dove nel 1656 alcune reliquie della Santa furono portate direttamente da Palermo per contrastare l'epidemia di peste che stava sconvolgendo, come il resto del paese, anche quel borgo di pescatori (a Pegli si contarono 334 vittime). Il miracolo avvenne anche lì, e da allora la Santa è venerata come patrona della cittadina. Ad autorizzare il trasferimento delle reliquie, ancora oggi custodite nella chiesa Parrocchiale di S. Martino e Benedetto di Pegli, fu il Vescovo di Palermo cardinale Giannettino Doria (1573-1642), figlio di Gianandrea Doria, proprietario della Villa in Pegli ed erede del grande ammiraglio Andrea Doria. Successivamente, sul finire del XIX secolo, la Santa è venerata con grande devozione dal pegliese papa Benedetto XV (1854-1922). Ancora oggi, il 4 settembre la Santa viene festeggiata a Pegli con solenne processione per le vie della cittadina.
Note[modifica sorgente]
1.^ La storia della patrona festedisicilia.it
2.^ La vita di santa Rosalia palermoweb.com
3.^ Santa Rosalia santibeati.it
4.^ Storia di Santa Rosalia palermoweb.com
5.^ La storia di Santa Rosalia patrona di Palermo siciliaonline.it
6.^ trascizione dall'"Originale dellj testimonij di Santa Rosalia" - Manoscritto 2 Qq - 89 della Biblioteca Comunale di Palermo, a cura di Rosalia Claudia Giordano
7.^ Santa Rosalia a Bivona
8.^ Santa Rosalia
9.^ culto di Santa Rosalia a bivona
Bibliografia[modifica sorgente]
Paolo Collura, Santa Rosalia nella storia e nell‘arte, Palermo, 1977
Santa Rosalia nelle arti decorative, a cura di Maria Concetta Di Natale; introduzione di Antonino Buttitta; con contributi di Paolo Collura e Maria Clara Ruggieri Tricoli, Palermo, 1991
Rosalia Sinibaldi da nobile a santa, a cura di Maria Concetta Di Natale, Palermo, 1994
Il Seicento e il primo Festino di Santa Rosalia, a cura di Eliana Calandra, Palermo, 1996
Sara Cabibbo, Santa Rosalia tra cielo e terra, Palermo, Sellerio Editore, 2004
Giancarlo Santi, “Ego Rosalia. La Vergine palermitana tra santità ed impostura”, Edizioni La Zisa, Palermo 2009
Salvatore Tornatore, Il culto di Santa Rosalia a Bivona, la chiesa e il fercolo, Bivona 2009
Calogero Messina, Dove tutto parla di S. Rosalia - Spicilegio Quisquinese, Santo Stefano Quisquina 2011
Paolo Mira - Patrizia Morbidelli, Il nobile Francesco Magni e l’altare di Santa Rosalia nella chiesa dei Santi Cosma e Damiano di Turbigo, Turbigo 2013
Ortensio Scammacca, La Rosalia. Tragedia sacra [1632], introduzione, edizione e commento di Davide Bellini, postfazione di Michela Sacco Messineo, Pisa, ETS, 2013
Voci correlate[modifica sorgente]
Benedetto il Moro
Genio di Palermo
Altri progetti[modifica sorgente]
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Collegamenti esterni[modifica sorgente]
Santa Rosalia in Santi, beati e testimoni - Enciclopedia dei santi, santiebeati.it.
Lillo Taverna Non che questa sia una verità evangelica. Ma se ci arrampichiamo sulla Tradizione, ecco una tradizione che non è certo una cervellotica congettura. Secondo una versione accettata dalla Chiesa appare chiaro che se una Rosalia Sinibaldi è mai esistita questa visse nel XII secolo ed è stracerto che Racalmuto nel dodicesimo secolo non esisteva e giammai poteva esistere il palazzo di Don Illuminato Grillo. Quanto all'ultima (e per me sola chiesa che sia stata eretta n onore di Santa Rosalia a Racalmuto, credo che si possa tagliare la testa al toro recuperando i bei volumoni del nostro Catasto Capitario e sapremmo con precisione dov'era questa infelice chiesetta.

Santa Rosalia

CIRCOLO UNIONE RACALMUTO



CALOGERO TAVERNA




Il culto di Santa Rosalia a Racalmuto





Il culto di Santa Rosaliaa Racalmuto ha almeno cinque fasi.

1) IL CULTO AI TEMPI DI COSTANZA CHIARAMONTE;

2) QUELLO IMPOSTO DA BEATRICE VENTIMIGLIA VEDOVA DI GIROLAMO DEL CARRETTO CHE SECONDO IL CARTIGLIO DELLA TOMBA DEL CARMELO SAREBBE STATO OCCISUS A SERVO (9 APRILE 1626);

3) QUELLO INTERMEDIO SEMPRE PIU' IN DECLINO SINO ALLO SBARACCAMENTO DELLA VECCHIA E PER NOI UNICA CHIESETTA CHE SI ERGEVA NELL'ATTUALE VIA MARCO ANTONIO ALAMIO, DI FRONTE ALLA CASA DELLO STESSO ALAIMO PRIMA E POI DEI CATALANO E DI ECENTE DEL NOTAIO CINQEMANI. iN QUESTO PERIODO SI CONSOLIDA E DIVENTA PREMENINENTE LA DEVOZIONE ALLA NOSTRA MADONNA DEL MONTE, CHE DA IMAGO MIRACOLISSIMA DEL '500 RIFULGE NELLE CORONCINE DEL CATALANOTTO DI META' DEL '700. EPPURE GIURIDICAMENTE E PER IL CODICE CANONICO SANTA ROSALIA ERA E DOVEVA ESSERE PATRONA UNICA DI QUESTA NOSTRA TERRA CUM CASTRO ECCLESIAE TERRAE RACALMUTI:

4)DECLINO DEL CULTO DI SANTA ROSALIA DOPO IL 1793 AVENDO POCA PRESA TRA I FEDELI LA STATUA PAGATA DAL GRILLO C HE ANCORA SI TROVA IN mATRICE.

5) L'ATTUALE DEVOZIONE RIESUMATA DA PADRE PUMA UNA DECINA DI ANNI FA.



IL CULTO AI TEMPI DI COSTANZA CHIARAMONTE;

Chi fosse questa Costanza Chiaramonte non è agevole sapere. Ovvio che non può essere la Costanza di cui parla Federico Pipitone . Non può che essere la Costanza Chiaramonte di cui ci ha detto il çPresidente aproposito di BIVONA (fine del '400)




PIRRI 1636



 


 





 

 

1608 Ubicazione chiesa





Scendi adrittura per la casa del quondam Micheli Catalano affaccifrunti della chiesa di Santa Rosalia alla cantunera delli casi di Antonio Lo Brutto ....

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1936 incoronazione




 





 

 

 

PADRE PUMA UNA DIECINA di anni fa. il sottoscritto, tanto da venire sbeffeggiato in un foglietto dattiloscritto affisso in Piazzetta e dintorni; . che a sensibilizzare l'arciprete Puma con carte documenti corrette letture di diplomi e testi manoscritti (questi dell'arciprete Genco) è stato il dottore Calogero Taverna, prima che prendessero canso a Racalmuto altre dissertazioni non sempre documentate.

Denis MacK Smith – anglicano miscredente ma amico di Sciascia – scrive nella sua storia della Sicilia medievale e moderna (vol. 1° pag.258 s,) «Un’altra infezione giunse a Palermo nel 1624 su due navi che portavano schiavi cristiani riscattati da Tunisi. La vita della città giunse ad un arresto completo. Le reliquie di s. Cristina e s. Ninfa venivano portate ininterrottamente in processione per le strade diffondendo così l’infezione. Molti morirono, compreso il viceré, e Van DycK, che gli stava facendo il ritratto, fuggì all’esero. Il cardinale Doria condannò a morte un medico greco accusato di avere deliberatamente diffuso la peste per ottenere onorari supplementari, ma si scoprì che un rimedio più empirico consisteva nel bruciare gli oggetti infetti. Fallito ogni altro tentativo, furono rinvenute miracolosamente le ossa di s. Rosalia in una grotta vicino Palermo; sembra che il cardinale arcivescovo fosse a tutta prima dubbioso, ma l’opinione pubblica premeva e dopo sei mesi di caute deliberazioni da parte di dottori e teologi, egli accettò di retrocedere di grado le sue rivali e di nominare s. Rosalia principale patrona della città. Palermo fu liberata dalla peste, e d’allora in poi le elaborate feste di s. Rosalia divennero ogni anno la grande ricorrenza sociale di Palermo.»



Dopo tale lettura e dopo i miei riscontri nel Cascini e presso i padri bollandisti cercai di spingere il mio amicissimo padre Puma a fare avanzare di grado Santa Rosalia a Racalmuto (a dire il vero a farle riconoscere il grado che aveva dal 1626). Padre Puma era uomo saggio e mica un vacuo misticheggiante; una piccola vittoria l’ottenni: padre Puma riuscì a trasformare la melanconica deserta messa che ogni 4 settembre il maestro Pino Mattina faceva celebrare con ammirevole devozione, in una vera festa con una processione per le vie Gramsci e Garibaldi con una buona partecipazione di fedeli.



Dopo il Cascini – un gesuita del seicento che a servizio del Doria cardinale riuscì a mettere assieme oltre seicento pagine di una santa di perduta memoria, anche se di discreta devozione – a Racalmuto era stato l’arciprete Genco (tutt’altro che ignoto come vorrebbe un conclamato storico locale) ad andare a Palermo, consultare quel polveroso grosso volume e farne una sintesi manoscritta, peraltro in bella calligrafia. Ma a ben vedere il Tinebra Martorana ancora a fine Ottocento non sapeva nulla di Santa Rosalia, dopo il nefando mercimonio tra il canonico Mantione e il nobile Grillo sacerdote dei baroni Grillo, a fine Settecento. Ma un gesuita – sempre loro –predicava nella chiesa di San Giuseppe che sicuramente S. Rosalia era nata a Racalmuto. Fonte? Padre Cipolla: documento? Un diploma infiorato custodito in matrice.



Padre Puma ebbe a mostrarmelo svariati decenni fa. Cercai di tradurlo. Per uno scettico come me vedere un vicario generale del Doria (don Franciscus De La Riba) vendere a caro prezzo due frammentini di ossa di chissà quale cadavere per sante reliquie di Santa Rosalia a dei citrulli racalmutesi mandati dalla fedifraga vedova Del Carretto, faceva specie. E.N. Messana ci casca e giù una fandonia di un nobile Savatteri (nome spagnolo per dire ciabattino) figlio di un tal Scipione del medesimo casato che impavido va a Palermo tra gli appestati e porta a Racalmuto i frammenti mortuari salvifici: In premio: la figlia del conte e feudi al Serrone.



 

Un devosto studioso, il prof. Nalbone riuscì a solennizzare una storica edicola posta all'angolo dela incrocio tra Via Garibaldi e via Gramsci. Scrive al riguardo il dotto prof. Nalbone: "oggi un’antica immagine di Santa Rosalia, dipinta ad olio su legno, è visibile, nel Corso Garibaldi, in una edicola sul prospetto dell’abitazione della Famiglia Cutaia."





I tempi dell’interregno di Beatrice del Carretto Ventimiglia.



 

Non erano passati molti mesi dalla esecuzione del giovane conte Girolamo II che dei ladri audaci si erano introdotti nel castello per compiere una vera e propria razzia. L’ordine pubblico a Racalmuto era oltremodo precario: furti, abigeato, rapine nelle campagne (fascine di lino, "vaxelli" di api, frumento, buoi "formentini") sono ricorrenti. La vedova Facciponti tutrice dei figli ed eredi di Antonino Facciponti, disperata, non ha altro da fare che invocare le sanzioni spirituali (una scomunica a tutti gli effetti) per gli incalliti malviventi che la curia vescovile accorda di buon grado. [1] La curia invia il provvedimento al rev.do arciprete. Vi leggiamo dati sul feudo di Gibillini, su quello di Laicolia. Sappiamo di furti alla vedova di "molta quantità di filato, robbi di lana, robbi bianchi .. denari et altre robbe, stigli di casa et di massaria". Se da un lato si ha il disappunto per siffatte malandrinerie, dall’altro c’è la piacevole sorpresa di venire a sapere che sussisteva uno stato di discreto benessere in diffusi strati della popolazione racalmutese del Seicento.



Ma la crisi dell’ordine pubblico, qui, investe addirittura l’avvenente giovane vedova del conte. Sempre gli archivi vescovili ci ragguagliano su un’altra scomunica, stavolta comminata ai ladri del castello. Il 3 settembre 1622 [2] altra missiva al locale arciprete (e qui è ribadito che non è più don Vincenzo del Carretto, che peraltro è ancora vivo). " Semo stati significati da parti di donna Beatrice del Carretto et Ventimiglia - recita il monitorio vescovile - contissa di detta terra nec non da parti di don Vincenzo lo Carretto tutori et tutrici de li figli et heredi del quondam don Ger.mo lo Carretto olim conti di detta terra qualmenti li sonno stati robbati occupati et defraudati molta quantità di oro, argento, ramo, stagni et metallo, robbi bianchi, tila, lana, lino, sita, cosi lavorati come senza, et occupati scritturi publici et privati, derubati debiti et nome di debitori, rubato vino di li dispensi ... animali grossi et vari stigli con arnesi, cosi di casa come di fori." Un disastro dunque.



Don Vincenzo del Carretto riemerge come tutore dei figli del fratellastro. Affianca la cognata che in quanto donna, anche se contessa, non ha integra personalità giuridica per l’ordinamento del tempo. Ella necessita di un "mundualdo", compito che ben volentieri l’ex arciprete si accolla. Ed in tale veste lo ritroviamo nei processi d’investitura del piccolo Giovanni V del Carretto risalenti al 1621 (vedansi gli esordi dell’investitura n. 4074 del 1621 sotto la data del primo settembre 1621 [3] ). Ma non è da pensare che la volitiva vedova concedesse troppo spazio al cognato anche se prete. Nell’anno di vita del conte Girolamo II del Carretto successivo al bizzarro (almeno per noi che scriviamo a distanza di quasi quattro secoli) atto espoliativo di donazione universale, il potere di donna Beatrice del Carretto-Ventimiglia è già esclusivo. Figuriamoci dopo che il poco ingombrante marito si era fatto uccidere da un servo. La tradizione tutta racalmutese di corna, di servi amanti, di perdoni adulterini etc. un qualche fondamento ce l’avrà pure. Indulgervi, però, da parte nostra, sarebbe fuorviante.

La vedova riaffiora dalle ombre del passato con contorni netti allorché, mietendo la peste vittime desolatamente, si decide di postulare al potente cardinale Doria una qualche reliquia di Santa Rosalia, atta a debellare il flagello in paese. Il culto di Santa Rosalia è ben provato in Racalmuto, sin dal primo decennio del 1600, un quarto di secolo almeno anteriore alla discutibile invenzione delle spoglie mortali in Monte Pellegrino al tempo del cardinale Doria. In un appunto manoscritto del 15 ottobre del 1922 rinvenibile in Matrice, si riferisce - credo dall'arciprete Genco - che Santa Rosalia sarebbe nata a Racalmuto nel natale del 1120. Le prove documentali le avrebbe avute il canonico Mantione ma le avrebbe distrutte per dispetto al vescovo riluttante a finanziargli la pubblicazione di un suo libro. Tra l'altro, in quell’appunto manoscritto leggesi che «fui il 13 ottobre 1921 nella Biblioteca Nazionale di Palermo ed ebbi il piacere di leggerlo [un libro del Cascini] per summa capita. » In quel libro si parla di antiche iscrizioni e di chiese anche fuori Palermo. Viene inclusa "quella di Rahalmuto, della quale non appare altro millesimo, che questo M.CC. ed il muro è guasto"». Il testo riportato dall’Arciprete Genco non comprova certo che il 1200 fosse la data di costruzione di quell'antica chiesa, essendo sicuramente abrase le successive lettere della data, appunto per quel 'muro guasto'. II mio spirito laico mi spinge ad essere alquanto scettico sull'attendibilità di tante notizie contenute nel manoscritto: è certo, comunque, che di esse ebbe ad avvantaggiarsi il padre gesuita Girolamo Morreale nel suo "Maria SS. del Monte di Racalmuto" , stando a quel che si legge nelle pagine 23, 24, 69, 97, 98, 99 e 101.

Senza dubbio la fonte storica sulla Chiesa di Santa Rosalia più antica ed accreditata è quella del Pirri. (A pag. 697 abbiamo un’esauriente notizia). Il passo, in latino, può venire così tradotto: «A Racalmuto v'era una chiesetta [aedes] - antichissima - che risaliva all'anno 1400 circa. Fino al 1628 vi si poteva vedere dipinta un'immagine di santa Rosalia in abito d'eremita e portante una croce ed un libro tra le mani. Purtroppo, è andata distrutta per incuria di alcuni, ormai tutti presi dalla nuova chiesa dedicata alla medesima Vergine, di cui venerano alcune reliquie, essendosi peraltro costituita una confraternita denominata delle Anime del Purgatorio. La chiesa ha rendite per 70 once.» Non saprei se la nuova chiesa di Santa Rosalia sia sorta in altro posto oppure sopra quella vecchia. Quella vecchia, nel 1608, collocavasi nel mezzo della bisettrice Carmine-Fontana. Sappiamo che si trovava dalla parte della parrocchia di S. Giuliano.

Per uno studioso del luogo non vi sono dubbi: «la chiesa di Santa Rosalia eretta nell’omonimo rione fu sempre la medesima dal 1593, anno dal quale inizia la documentazione consultabile, sino al 1793, anno di cessione dell’ "edificio" al sac. Salvatore Maria Grillo.»

Di recente, ricercatrici universitarie hanno ritenuto un rudere (ampiamente fotografato) nei pressi della Barona essere l’antica chiesetta di S. Rosalia. E’ tesi che respingiamo: la Santa Rosalia del 1608 doveva ubicarsi nella parte sud-est di via Marc’Antonio Alaimo, qualche isolato a ridosso dell’attuale Corso Garibaldi. I documenti vescovili sembrano non dare adito a dubbi. Certo, c’è da interpretare l’aggettivo "nuova" usato dal Pirri. Per "nuova" chiesa si deve intendere un edificio nuovo ubicato altrove o il riadattamento del vecchio stabile? Un interrogativo, questo, che non ha ancora soluzione certa. Non si sa neppure dov’era ubicato il rudere venduto al nobile sacerdote Salvatore Maria Grillo, e dire che siamo nel recente 1793. L’abate Acquista parla nel 1852 di ben quattro distinti luoghi di culto in vario modo dedicati a Santa Rosalia. Il citato studioso locale non intende dar credito all’Acquista.



Don Vincenzo del Carretto si fa rilasciare un nulla osta ecclesiastico dalla curia vescovile agrigentina, costruisce la chiesetta della Modonna dell’Itria; la dota piuttosto consistentemente. Non gli porta fortuna: tra il 1624 ed il 1625 scocca il suo ultimo giorno di vita terrena. Crediamo sia una delle vittime del flagello endemico che in quel biennio si abbatté a Racalmuto. Il giovane medico Marco Antonio Alaimo - trasferitosi a Palermo - dava preziosi consigli ai fratelli rimasti in paese. Non potevano avere - e non avevano - grande efficacia.



Donna Beatrice del Carretto esce indenne dalla peste del 1624. La troviamo ancora solerte e dispotica nel 1626. Ella ha deciso che le reliquie di Santa Rosalia, portate a Racalmuto il 31 agosto 1625, vengano traslate da S. Francesco alla nuova (o rimessa a nuovo) chiesetta di Santa Rosalia.



Nella nuova chiesa di Santa Rosalia - che entra sotto la tutela della locale Universitas - il culto della santa è intenso. Il comune si fa carico di una lampada ad olio perennemente accesa. La delibera è adottata dai giurati dell’epoca Francesco Fimia, Giacomo Montalto, Benedetto Troiano e Francesco Lauricella. Ma non varrebbe nulla senza il benestare della potente vedova. E’ il giorno 18 aprile 1626. "Ad effectum in dicta ecclesia Sancte Rosalie detinendi lampadam accensam ante magnum altare ubi est collocata Reliquia sancta dictae dive Rosalie pro sua devotione et elemosina et non aliter nec alio modo", sanziona un comma della decisione comunale. "Praesente ad hec ill.me D. Beatrice del Carretto et Xx.liis comitissa dictae terre Racalmuti tutrice eius filiorum et affittatrice status eiusdem terre Racalmuti", soggiunge il documento. La contessa avalla ed autorizza l’impegno giurazio: diversamente il tutto sarebbe stato senza effetto. Va invece bene "quoniam predicta ipsa D. Comitissa sic voluit et vult et contenta fuit et est", giacché essa signora Contessa così volle e vuole, fu contenta ed è contenta.



Per di più "la predetta signora Contessa per la devozione che nutre verso la suddetta chiesa di Santa Rosalia e la sua santa reliquia, graziosamente concedette e concede quale tutrice e balia dei predetti suoi figli, alla venerabile chiesa di Santa Rosalia ed alla confraternita in essa esistente che si possa celebrare la festività con fiera in luoghi congrui ed opportunamente benedetti, da scegliersi dai signori Giurati. E siffatta festività e fiera (festivitas et nundinae) volle e vuole, nonché ne diede incarico e ne dà essa signora Donna Beatrice Contessa come sopra acciocché siano franche, libere ed esenti dai diritti di gabella spettanti al signor Conte della terra di Racalmuto. E l’esenzione vale per otto giorni cioè a dire da quattro giorni dalla detta festa sino a quattro giorni dopo». Un editto feudale con tutti i crismi come si vede. Ma è l’ultimo atto della chiacchierata contessa Beatrice del Carretto Ventimiglia di cui siamo a conoscenza che testimonia la sua presenza a Racalmuto. Dopo, si sarà trasferita a Palermo. Il figlio resta sotto la sua tutela sino al diciottesimo anno. Nell’archivio di Stato di Agrigento sono conservati i documenti del convento del Carmelo di Racalmuto. Vi si rintraccia una nota comprovante i diritti del convento a valere sulle doti di paragio di donna Eumilia del Carretto (argomento in seguito sviluppato). Vi si legge fra l’altro: «Don Joannes del Carretto comes Racalmuti et Princeps de XX.lijs ... concessit cum auctoritate donnae Beatricis del Carretto et XXlijs Comitissae Racalmuti et Principissae XX.lijs eius curatricis seu procuratricis» Era il 7 maggio 1636. [4] E già ad Agrigento imperversava il vescovo Traina.








Scala dei Turchi a sorteggio


 Poveri noi! Uno viene magari da Roma come me per vedere questa ormai tambureggiata Scala dei Turchi. Ha visto ad esempio e capito il quadro pollockiano di Accursio Vinti. Arriva a Siculiana pieno di amore per la Sicilia. Giunge al buon ristoro della entrata piccola. Appena si avventura per quei viottoli tra la bella macchia mediterranea, si vede cacciato via perché in soprannumero. Il va a fare in culo alla Sicilia, ai siciliani, al turismo della Trinacria è assicurato. Esiste ancora la nota intelligenza sicula? Mi sa che è finita con Totò Vasa Vasa!!


 

giovedì 4 settembre 2014

Caro Gaspare, voglio approfittare della bagarre che secondo me avete organizzata per farvi reciproca pubblicità. E' la legge del mercato. Sto tentando di organizzare un convegno che liberandosi dalle pastoie letterarie e dal saprofitismo che è insito nelle baruffe chiazzotte artatamente gonfiate, affronti davvero il grave problema di civiltà che è la ostatività ex 4bis quale mistificata per far durare fine pena mai e cioè l'ergastolo con i rigori disumani di un 41bis sine die. Se tu vuoi partecipare come relatore mi faresti davvero un favore. Grazie comunque. Lillo Taverna

Caro Gaspare, voglio approfittare della bagarre che secondo me avete organizzata per farvi reciproca pubblicità. E' la legge del mercato. Sto tentando di organizzare un convegno che liberandosi dalle pastoie letterarie e dal saprofitismo che è insito nelle baruffe chiazzotte artatamente gonfiate, affronti davvero il grave problema di civiltà che è la ostatività ex 4bis  quale mistificata per far durare fine pena mai e cioè l'ergastolo con i rigori disumani di un 41bis sine die. Se tu vuoi partecipare come relatore mi faresti davvero un favore. Grazie comunque. Lillo Taverna

La cosa che mi diverte di più nel sentire gente anche colta fare storia di Racalmuto è quando vengono a raccontarmi che una certa lecconeria storica è vera perché pur riferendosi a mille anni fa, l'ha raccontata la vecchia zia Carolina, novantenne per di più. Così tanto per dire, Santa Romana Chiesa che ha derubricato San Calogero in Sicilia, San Gennaro a Napoli e la Venuta della Madonna a Racalmuto (P. Morreale, S.J con sardoniche note di Sciascia in Gli Amici della Noce) dovrà rimangiarsi la scomunica contro chi sta povera Santa Rosalia Sinibaldi chi la fa nascere qui, chi la fa nascere là. Codesta Santa che a ben congetturare potrebbe essere nata a Rocca Sinibaldi dalle parti di mia moglie, nella valle del Salto cioè, è divenuto sicuro che sia stata partorita sotto l'arco di don Illuminato . , magari perché lì vicino c'era la rota dei Reietti a lu Culleggiu di li manache di patri Elia. A me l'ha assicuratu la mia dirimpettaia Rita la Mula di anni 120 raccontandomi persino che erano state insieme fino a quando non sono state affidate a Rusalia la Strascinata per l'allattamento. Mi chiedo come è possibile? Gli storici seri non sanno se è mai esistita una Santa Rosalia Sinibaldi, men che meno sanno il secolo della nascita (se mai vi è stata una tal Virgo Panormitana) e al mio paese assicurano che è nata da noi. A mia mi ficiru vidiri sinu la cuppuliddra e la naca chiddra a corda, nni lu sottoscala di lu Cannuni. Seriamente ne predicò a San Giuseppe il dottissimo gesuita padre Salvatore Scimé S.J. affermando che la fonte era patri Cipuddra, sì quello di scura e fuddra. Intanto a pagina 748 delle sue Memoriae Agrigentinae Ecclesiae scrive il titano della storia sacra siciliana l'abate Don Rocco Pirri: haec sanè Virgo cum ex aula Regis Guill. I. asperioris vitae desiderio acta, Deo impellente profugit ad Quisquinae paternae ditionis iuxta Bivonam agros, in eremum Angelis (ut creditur) comitantibus, se contulit. Non vi è dubbio che si tratta di Guglielmo I di Sicilia, detto il Malo, quindi 1131-1166. Sta Rosalia quindi risalirebbe a quell'epoca dieci anni in più dieci anni in meno. Ora su questo mi taglio anche gli zebedei: a quell'epoca Racalmuto non esisteva. Bisogna arrivare al 1375 per essere questo nostro un paese di 600 anime e secondo l'arcidiacono Bertrand du Mazel c'erano solo 136 case addirittura copertae palearum, Non c'era manco il Castrum che figura nella carte vaticane solo una ventina di anni dopo. Carta canta e villan dorme.

La cosa che mi diverte di più nel sentire gente anche colta fare storia di Racalmuto è quando vengono a raccontarmi che una certa lecconeria storica La cosa che mi diverte di più nel sentire gente anche colta fare storia di Racalmuto è quando vengono a raccontarmi che una certa lecconeria storica è vera perché pur riferendosi a mille anni fa, l'ha raccontata la vecchia zia Carolina, novantenne per di più. Così tanto per dire, Santa Romana Chiesa che ha derubricato San Calogero in Sicilia, San Gennaro a Napoli e la Venuta della Madonna a Racalmuto (P. Morreale, S.J con sardoniche note di Sciascia in Gli Amici della Noce) dovrà rimangiarsi la scomunica contro chi sta povera Santa Rosalia Sinibaldi chi la fa nascere qui, chi la fa nascere là. Codesta Santa che a ben congetturare potrebbe essere nata a Rocca Sinibaldi dalle parti di mia moglie, nella valle del Salto cioè, è divenuto sicuro che sia stata partorita sotto l'arco di don Illuminato . , magari perché lì vicino c'era la rota dei Reietti a lu Culleggiu di li manache di patri Elia. A me l'ha assicuratu la mia dirimpettaia Rita la Mula di anni 120 raccontandomi persino che erano state insieme fino a quando non sono state affidate a Rusalia la Strascinata per l'allattamento. Mi chiedo come è possibile? Gli storici seri non sanno se è mai esistita una Santa Rosalia Sinibaldi, men che meno sanno il secolo della nascita (se mai vi è stata una tal Virgo Panormitana) e al mio paese assicurano che è nata da noi. A mia mi ficiru vidiri sinu la cuppuliddra e la naca chiddra a corda, nni lu sottoscala di lu Cannuni. Seriamente ne predicò a San Giuseppe il dottissimo gesuita padre Salvatore Scimé S.J. affermando che la fonte era patri Cipuddra, sì quello di scura e fuddra. Intanto a pagina 748 delle sue Memoriae Agrigentinae Ecclesiae scrive il titano della storia sacra siciliana l'abate Don Rocco Pirri: haec sanè Virgo cum ex aula Regis Guill. I. asperioris vitae desiderio acta, Deo impellente profugit ad Quisquinae paternae ditionis iuxta  Bivonam agros, in eremum Angelis (ut creditur) comitantibus, se contulit. Non vi è dubbio che si tratta di Guglielmo I di Sicilia, detto il Malo, quindi 1131-1166. Sta Rosalia quindi risalirebbe a quell'epoca dieci anni in più dieci anni in meno. Ora su questo mi taglio anche gli zebedei: a quell'epoca Racalmuto non esisteva. Bisogna arrivare al 1375 per essere  questo nostro un paese di 600 anime e secondo l'arcidiacono Bertrand du Mazel c'erano solo 136 case addirittura copertae palearum, Non c'era manco il Castrum che figura nella carte vaticane solo una ventina di anni dopo. Carta canta e villan dorme.

Il dottore Salvatore Alfano punge ancora col suo PARLOINFOTO a proposito del convegno al CIRCOLO UNIONE sul culto di Santa Rosalia a Racalmuto (3 settembre 2014)

 
 
 
Il dottore Salvatore Alfano punge ancora col suo PARLOINFOTO a proposito del  convegno al CIRCOLO UNIONE sul culto di Santa Rosalia a Racalmuto (3 settembre 2014)

Il rammarico vero contro Racalmare è solo l'art.4bis quale spero ci venga a spiegare al circolo unione l'altro titano della cultura e del diritto, il favarese avvocato Russello in contrasto magari con Tano Savatteri o con qualche magistrato di grido, possibilmente Ingroia. Oltretutto capiremmo perché non hanno concesso i benefici di legge che manco a Berlusconi hanno negato al grande Totò Vasa Vasa. L'ho ripetuto allora e lo ripeto qui: le baruffe letterarie e gli accaparramenti sciasciani mi lasciano del tutto indifferente. Quisquilie da perdigiorno

Gaspare Agnello Ti preghererei di leggere la mia recensione sul libro Malerba che si trova sul mio sito e troverai che io concordo perfettamente con te. Infatti sono contro l'ergastolo in amniera assoluta perchè è contro la costituzione e contro il conctto cristiano di redenzione. per il resto non devo pubblicizzare niente. Ho fatto una recensione e mi hanno messo in croce. C'è anche la lobby dei giornalisti e non dico altro. Una coalizione contro cui non si può nulla. Oggi a Tg com 24 un certo liguori, con Savatteri, Sardo e Salòusti si soino divertiti a sfottere un Gaspare Agnello che non è stato invitato a esprimere il proprio concetto. Questa è informazione stile mafia che serve a distorcere le verità e a imbonire gli utenti.
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  • Piero Carbone Caro professore Agnello, io li conosco e non da ieri, si infastidiscono se uno la pensa diversamente o se fa qualcosa in cui loro non la fanno da primadonna, ma sa che nel giugno scorso assieme ad un altro lettore "critico" sono stato additato come "nemico storico" di "Malgrado tutto" e condannato all'ostracismo mediatico in effigie e "in verbis"? Potevano ignorarci in silenzio, invece hanno voluto lanciare un segnale nell'etere quasi da far valere come consiglio dissuasivo per altri. La colpa? Smentirli nelle inesattezze, rivelare i loro giochi, rimproverare un improprio uso di Sciascia e del paese e reagire alle false notizie che mi riguardavano. La vicenda delle elezioni amministrative è da manuale della disinformazione. Hanno voluto strafare: nel nome di Sciascia cercare di "non far funzionare" i cervelli degli altri, specialmente se liberi e veritieri, come si fece con Gramsci durante il fascismo. Ma come? In nome di Sciascia si dà la parola agli autori di un certo mondo di misfatti nei Premi letterari e poi nel "loro" giornale, sempre in nome di Sciascia, nome esibito accanto alla testata, si cancellano altri nomi rei di dire la loro e di produrre innocenti fatti culturali? Qualcosa non quadra. L'eclatante vicenda del Premio che lei con la sua coraggiosa e coscienziosa presa di posizione ha fatto "sbummicari" ne è soltanto l'ultimo, evidentissimo esempio. P.S. Dopo qualche anno dalla fondazione del giornale sono stato chiamato dal papà di un redattore a dare una mano d'aiuto ai ragazzi perché il giornale rischiava di chiudere, soluzione verso cui propendeva qualcuno in particolare. Ho fatto quel che ho potuto. Un fatto: il giornale ha cambiato assetto proprietario, ha continuato a pubblicarsi ed io sono stato estromesso. Come potrei essere definito "nemico storico" se non ricorrendo ad una buona dose di ingratitudine! O forse è solo smemoratezza.

  • Piero Carbone A proposito di storicità: http://archivioepensamenti.blogspot.it/.../non-glielo...

    archivioepensamenti.blogspot.nl
    Blog di Piero Carbone (da Racalmuto, vive a Palermo). Parole e immagini in "fric...assea". Con qualche link. Sicilincònie. Sicilinconìe. Passeggiate tra le stelle. Letture tematiche, attraverso i tags. Materiali propri, non solo recenti, ma anche di amici ospiti. Una regola valida per tutti: citare sem… Altro...
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  • Vittorio Chirminisi Ho visto Tg 24 è stata una cosa stomachevole....soprattutto Paolo Liquori e Sallusti.. hanno inferito con un certo accanimento, senza conoscerlo, contro Gaspare Agnello...E' stata una puntata vergognosa..costruita su nulla.....Una normale polemica letteraria l'hanno trasformata in tragedia pirandelliana....e non solo hanno anche minimizzato lo stesso Leonardo Sciascia....

  • Lillo Taverna Io qui ho censurato solo il mio amico Totò Petrotto sol perché mi ha intrufolato una sua aggressione polemica stracolma di accuse allusioni insinuazioni da codice penale, da diffamazione aggravata a mezzo stampa cioè e il guaio è che in tribunale ne avrei risposto io per quell'assurdo giuridico della responsabilità oggettiva. Per il resto possono scrivere a commento di quello che scrivo quello che vogliono anche contro di me, a condizione che non mi offendano come ha fatto qualche volta il Caglio Bovino. Ovvio che di taluni commenti al mio attacco a Racalmare non condivido un fico secco: ipocrisie, gesuitismo, piccole invidie, meschinerie di mediocri. Divertente insoma. Non conosco Paolo Liquori (a meno che non sia il Cencio di Lotta Continua)  men che meno Sallusti e quindi non so che dire. Se vi sono offese nei loro confronti, ovvio non mi appartengono e comunque 

  • Vittorio Chirminisi E forse è meglio non conoscerli...

  • Lillo Taverna chiedo loro scusa. Ma sia chiaro sono faccende loro: a me non me ne importa un fico secco. L'ho già detto e mi ripeto. Quanto al Sardo agrigentino, altrettanto: non lo conosco. Debbo dire che me ne dicono un gran bene e il libro che ha scritto (e che io mai leggerò) viene giudicato valido e soprattutto coraggioso. Non saprà molto di 4bis ma di umanità, saggezza, pietas ne ha tanta (mi dicono). Quanto a Gaetano Savatteri è una vita (la sua perché la mia è già il doppio della sua) che litigo e quante gliene ho dette. Ma lui, gran signore, uomo di acutissimo intelletto, scrittore sapidissimo mi ha sempre perdonato tutto. Anche perché sa che ne parlo male perché me lo vorrei comprare. Ma niente. E' tetragono alla adulazione e quindi per converso ad ogni tipo di denigrazione più o meno maligna, più o meno meschinella.- Non solo di corpo ma anche di mente è proprio eccelso. E non si cura dei pigmei specie se mosche cocchiere. Il rammarico vero contro Racalmare è solo l'art.4bis quale spero ci venga a spiegare al circolo unione l'altro titano della cultura e del diritto, il favarese avvocato Russello in contrasto magari con Tano Savatteri o con qualche magistrato di grido, possibilmente Ingroia. Oltretutto capiremmo perché non hanno concesso i benefici di legge che manco a Berlusconi hanno negato al grande Totò Vasa Vasa. L'ho ripetuto allora e lo ripeto qui: le baruffe letterarie e gli accaparramenti sciasciani mi lasciano del tutto indifferente. Quisquilie da perdigiorno