Il lugubre
fardello di "paese di
morti" o "morto" si deve al profluvio storico
dell'avvocato girgentano, [1]Giuseppe PICONE, che
per tutta la seconda metà dell'Ottocento imperversò nella
riesumazione della microstoria locale (anche se non senza meriti, come
oggigiorno gli viene sempre più riconosciuto).
Avventuratosi il PICONE, tardivamente e da
autodidatta, nello studio della lingua araba, egli ritenne suo diritto
storpiare il toponimo "RACALMUTO"
in RACHAL-MAUT ( Cfr. Giuseppe PICONE:MEMORIE STORICHE AGRIGENTINE,
Agrigento, 1982, riedizione anastatica della pubbli‑cazione in Girgenti del 1866 resso Salvatore Montes,
pag. 413 e ib. nota n.2)-
Là il termine [1]MAUT[1] e in caratteri arabi,
letto in MAUT e quindi traslato i MORTO, il tutto privo di ogni legittimazione linguistica.
Come dopo
meglio preciseremo, il più antico toponimo di Racalmuto con cui ci
siamo imbattuti è [1]RACHALCHAMUT[1] ed appare nei
registri della Corte Angioina di Napoli del 1271 (Reg. 1271 A, f.246 del
DE LELLIS).
In vari
Diplomi del XIII secolo abbiamo: [1]RAHALMUT[1] (Cfr. DOCUMENTI
DA SERVIRE ALLA STORIA DI SICILIA - PRIMA SERIE - DIPLOMATICA a cura di
Raffaele STARABBA - PALERMO 1882, pag. 12, [data di riferimento 10
settembre 1282, XI Ind.]) e [1]RAKALMUTO[1] (Cfr.
ibidem p. 364: anno di rif. 1283).
Nei Registri avignonesi del XIV secolo - da
noi direttamente consultati presso l'Archivio segreto del Vaticano - abbiamo: [1]Rachalmoto[1], [1]Rachalmutu[1] e [1]Rachalmuto[1].
Nel XVI secolo, il monaco saccense FAZELLO
indica sbrigativamente il nostro paese con il nome [1]RAJALMUTO[1].
Il PIRRO - ben conosciuto dal PICONE e che scrive nel
XVII secolo – trascrice traducendo in latino “]RAHYALMUTUM”.
Nel DIZIONARIO TOPOGRAFICO DELLA SICILIA[1] di Vito AMICO e
Gioacchino di MARZO, tenuto costantemente sott'occhio dal PICONE, il toponimo viene riportato in 13 variazioni,
a seconda degli autori citati, ma giammai in qualcosa che potesse in qualche
modo giustificare la storpiatura [1]RACALMAUT[1] necessaria al funambolismo arabico dell'avv.
Picone.
Nelle tardive, ma non troppo, trascrizioni degli
amanuensi parrocchiali della Matrice di Racalmuto, le più antiche delle
quali risalgono agli anni sessanta del 1500, da noi seguite piuttosto
attentamente, il nome di Racalmuto viene spesso storpiato, ma mai in RACALMAUTO o voce
simile. [1]RAYALMOTO[1] (10 gennaio 1583), [1]RAULMUTO[1] (7 gennaio 1585), [1]RECALMUTO[1] (28 ottobre
1585), [1]RAYALMOTO[1] (6 febbraio 1594)
sono voci presenti negli atti di matrimonio di quel tempo. Sia, però, ben
chiaro, quando l'atto è
solenne, l'ortografia può essere discutibile, ma il toponimo è
preciso: [1]RACALMUTO[1] (cfr. annotazioni
del 16 luglio 1598, quando "pigliau la possessioni don Vito Bellosguardo e
don Antonio d'Amato procuratori di don Lixandro CAPOZZA per l'arcipretato
di [1]Racalmuto[1] come appare per atto
plubico"; o del 14 agosto 1599; oppure del 7 marzo 1600 allorché‚
"di la majori ecclesia di “Racalmuto” pigliau possissioni don Andria
[1]Argumento[1] a li 7 di marzo XIII ind.
1600".
Il Picone, dicevamo, tradusse dall’arabo molto
arbitrariamente come Racalmuto=PAESE DEI MORTI.
Purtroppo, a corrergli dietro è stato il nostro storico locale,
l'ottocentesco [1]Nicolò
TINEBRA-MARTORANA[1]: così [1]RACALMUTO[1] è divenuto da
quel dìsinonimo di "villaggio
[1]morto[1], [1]distrutto[1], [1]diroccato[1]" (cfr. pag. 24
dell'edizione racalmutese delle MEMORIE del 1982). Del resto il TINEBRA era, come
storico, succubo dell'avvocato girgentano, come il querulo richiamo a quella
autorità, ricorrente nelle pagine delle "MEMORIE" del Nostro,
sta ad attestare. Il povero TINEBRA, invero, tentòdi fugare la iellatoria
etimologia del PICONE e di suo aggiunse, ma timidamente, quel pudico
"distrutto". Dalla sua aveva uno studioso del calibro di Vito AMICO, ( [1]AMICO Vito Maria[1]: fu un monaco
benedettino, valente storico e geografo, nato a Catania nel 1697 e ivi
morto nel 1762. Priore di vari conventi, ebbe la cattedra di storia civile
presso l'università di Catania (1743). Dal 1751 fu storiografo regio
Carlo III di Spagna. Le sue opere: [1]CATANIA ILLUSTRATA[1] (4 voll. - 1740-
43); [1]LEXICON TOPOGRAPHICUM
SICULUM[1] (1757-600.
Quest'ultima opera rappresenta il primo dizionario storico della Sicilia e
viene tuttora utilmente consultata nella traduzione di [1]G. Di MARZO[1] [1]Dizionario
topografico della Sicilia[1], 2 voll. 1855) - [da
"[1]LESSICO UNIVERSALE
TRECCANI[1]]..
Secondo Vito Amico, Racalmuto "fra gli arabi
vale [1]RAHALMUT[1] casale decaduto o
diruto". Tinebra Martorana poteva,
dunque, omettere la lugubre etimologia del PICONE. Non lo fece, pur conoscendo
il [1]'Lessico topografico
siculo'[1] dell'AMICO
(cfr. nota 12 di pag. 24). Solleticava la sua vanità giovanile il potere
scrivere a vent'anni in arabo, sia pure copiando
meccanicisticamente due termini presi in prestito dal PICONE: "Rahal"
e "Maut".
Si dà il caso che Leonardo SCIASCIA assegni al
libro del Tinebra l'insorgere presso i racalmutesi “di un rapporto più intrinseco e profondo col luogo in cui sono nati, nel riverbero del
passato sulle cose presenti-“ (v. PREFAZIONE, pag. 9).
Alle scuole elementari, la maestra MARTORANA e il
'professore' CAVALLARO mi insegnarono oltre mezzo secolo fa che Racalmuto
significava 'paese di morti'. Mia madre, mi ripeteva il passo del Tinebra
che la sua insegnante elementare, la maestra MACALUSO, le aveva fatto e
'imparare a memoria'. Ma con tutto il rispetto che debbo a SCIASCIA e al suo
culto per “l'aura romantica che trascorre nel libretto del
TINEBRA,” debbo dire che quella funerea etimologia ho voglia di
ripudiarla in toto; è davvero stramba, infondata e storicamente insensa.
Se
una congettura è ammessa, allora più attendibile appare l'ipotesi che
vorrebbe l'etimo "RACALMUTO" quale "[1]CASTELLO DI CHAMUTO. CHAMUTH
fu l'ultimo emiro della dominazione araba del territorio tra Agrigento ed Enna.
Egli venne vinto, ma non umiliato, dal conte Ruggiero il normanno nel
1087. Tutto fa pensare che a Racalmuto vi fosse una fortezza, se non due,
vuoi al Castelluccio, vuoi 'a lu
Cannuni'. E 'RAHAL' vuol anche dire in arabo fortezza, castello, stazione.
Quella fortezza era sotto il dominio di CHAMUTH. In quel tempo, o dopo nella
memoria degli arabi umiliati, essa non poteva che venire indicata che come la
Rocca di CHAMUT, donde - almeno
per noi - RACALMUTO.
[Debbo però ora aggiungere che i miei studi e le
mie rcerche posteriori mi hanno, e di molto, allontanato da siffatte pur
affascinanti tesi. La storia è fatta così: non si dice mai l’ultima parola.] Conosciamo
le gesta di CHAMUTH perché‚ un benedettino normanno, che fu al
seguito del conterraneo RUGGIERI, ce ne ha tramandato la memoria. Trattasi della cronaca del secolo
XI del monaco [1]Gaufredo MALATERRA[1]. Michele AMARI non
lo ebbe in grande stima, ma nel raccontare quegli eventi nella sua [1]Storia dei Musulmani di
Sicilia[1] fa solo l'eco al
monaco benedettino. A nostra volta, noi
trascriviamo quel passo di sapido stile ottocentesco. E' una pagina di storia che, in
ogni caso, investe la nostra terra di Racalmuto nel frangente della sconfitta
araba ad opera dei predoni normanni.
® Il
cauto normanno [il conte Ruggieri] avea occupata Girgenti, - narra appunto
Michele AMARI - mentre i marinai italiani si apparecchiavano tuttavolta
all'impresa di al-Mahdyah. Sbrigatosi di Benavert nel 1086, radunava a dì
primo aprile del 1087 le milizie feudali, volenterose e liete per la
speranza di acquisto; e sì conduceale all'assedio di Girgenti. Ubbidiva allora
Girgenti con Castrogiovanni e con tutto il paese di mezzo, a un rampollo della
sacra schiatta di Alì, del ramo degli Idrisiti che avevano regnato un tempo
nell'Affrica occidentale, e della casa de' Bamì[1]Hammud[1], la quale tenne per poco il califato di
Cordova (1015- 1027) indi i principati di Malaga e di Algeziras (1035-1057), ma
cacciata dalla Spagna, andò cercando fortuna qua e là. Par che un uomo di
codesta famiglia, passato in Sicilia, non sappiamo appunto in qual anno, abbia preso
lo stato in quelle province, tra le guerre civili che si travagliarono coi
figli di Tamil; portato in alto non da propria virtù, ma dal nome illustre e
dalle pazze vicende dell'anarchia.
Chamut il suo nome, qual si legge nel Malaterra e
ben risponde alla voce che a nostro modo si trascrive Hammùd. Il quale si rannicchiò tra sue rupi
inaccesse di Castrogiovanni, mentre la moglie e i figlioli soggiornavano in Girgenti,
e i Normanni circondavano la città , batteano le mura con lor macchine;
tanto che occuparonla a dì venticinque luglio del medesimo anno. Ruggiero
v'acconciò fortissimo un castello, munito di torri, bastioni e fosso; lasciovvi
buon presidio, e battendo la provincia, in breve ne ridusse undici castella: Platani,
Muxaro, Guastanella, Sutera,[1]Rahl[1], (su tale toponimo [1]RAHL[1] abbiamo appuntato
tutta la nostra attenzione ritenendo che
potesse essere quello del nostro paese. AMARI riduce in RAHL un [1]RACEL[1] che trovavasi nel
manoscritto malaterrano che fu trafugato dall'Italia dallo spagnolo ZURRITA e
pubblicato a Saragozza nel 1578. Quel manoscritto è andato perduto. La
pubblicazione che resta ancora l'edizione principe fu recepita nella colossale
opera di Ludovico Antonio MURATORI, [1]RERUM ITALICARUM
SCRIPTORES[1] nel vol. V con il
sintetico titolo HISTORIA SICULA, Gaufredi MALATERRAE[1]. Il Muratori dà la lezione [1]RACEL[1] e in calce annota [1]RASEL-BIFAR[1] ad indicazione di
altre lezioni da lui tenute presenti. L'Amari non si produce in ulteriori
ricerche paleografiche: distingue RACEL da BIFAR; per lui arabista, RACEL
equivale a RAHL [casale]; si confessa incapace di individuare un RAHL nelle
pertinenze agrigentine, che ne sono piene. Il PICONE segue la pista dell'AMARI
e nelle sue MEMORIE (cfr. pag. 401) reputa incompleto il toponimo e segna
[1]RAHAL...[1], distinguendolo
comunque da [1]BIFAR[1], una località piuttosto
nota tra Campobello di Licata e Licata. Si sa che la raccolta di
'scriptores rerum italicarum' è stata, a cavallo di secolo, oggetto di
pregevolissime riedizioni con interventi di personalità della cultura del
calibro del CARDUCCI. Il testo del monaco benedettino dell'XI secolo ha avuto nel 1927
una diligentissima riedizione con una illuminante introduzione da parte di
Ernesto [1]PONTIERI[1]. Questi venne in
Sicilia; trovò altri codici (A=Cod. X. A 16 della Biblioteca Nazionale di
Palermo; B=Cod.II.F
12 della Società Siciliana per la storia patria; C=Cod. 97 della Biblioteca
universitaria di Catania e D=Cod. QqE 165 della Biblioteca comunale di Palermo)
che, comunque, mutili e scorretti e pur sempre derivanti dalla fonte
dell'edizione principe del 1578, non gli furono di molto aiuto. Il PONTIERI adottò
la lezione [1]RASELFIFAR[1], legando insieme
Racel e Bifar, e in nota fornì la versione della Biblioteca universitaria
di Catania (C): [1]RACEL GIFAR[1]. Nel 1937, Carlo
Alfonso NALLINO, nell’integrare le note della [1]STORIA DEI MUSULMANI DI SICILIA[1] di M. AMARI controbatteva
al PONTIERI e reinterpretava il passo malaterrano con questa dissertazione
[aggiunta a nota n. 1 di pag. 177 op. cit.]: In realtà i
castelli sono 10 e non 11. L'ed. princeps del Malaterra (Saragozza 1578), e le
prime cinque che la seguirono pedissequamente, hanno 'Ravel, Bifara',
come se si trattasse di due luoghi diversi; ciò ingannò V.D'Amico, Diz. topogr.
trad. Dimarzo (Palermo 1855-56, l'ed. latina è del 1757-1760), che nel
vol. I, pag. 143-144 tratta di Bifara e nel II, p. 398 di RACEL
(dal solo Malaterra), e quindi l'Amari. Nessuno dei due pose mente
all'attenzione del Diz. stesso, I, p. 143, che Bifara 'dicesi anche RAGAL
BIFARA' (evidentemente nell'uso locale siciliano). Il traduttore
Dimarzo, I p. 144, n. 1, osserva che Bifara ' è un sottocomune aggregato
a Campobello di Licata , in provincia di Girgenti (Agrigento), circondario
di Ravanusa'. Campobello dista 50 Km. da Girgenti (Agrigento) e 9 da
Ravanusa. E. Pontieri, ultimo editore del Malaterra (1928), trovò nei mss.
anche le varianti Raselbifar e Raselgifar e scelse a torto la prima nel
testo (p. 88) e nell'indice (p. 153), mentre è certo che il primo componente e [1]rahl[1] (racel, racal,
ragal), come ben vide l'A. [cfr. pag. 178 op. cit.] Quel che sorprende in entrambi quest'ultimi
due studiosi è il fatto che con la loro lezione i casali conquistati da
Ruggiero il Normanno diventano dieci in aperto contrasto con la premessa
del MALATERRA che parla di ben undici castelli agrigentini presi all'arabo CHAMUTH: una
contraddizione che andava per lo meno giustificata. Come si vede un gran
pasticcio e ci scusiamo se l'averlo qui accennato può essere apparso pedante e
tedioso. Ma è l'unico proba‑bile appiglio ad una fonte storica delle origini
del toponimo RACALMUTO. Alla fine della fatica, vien però da
domandarsi se sia proprio importante trovare un antico toponimo da
assegnare alla storia della nostra terra. [ed ora aggiungiamo che alla luce di atre
nostre ricerche questa è una lezione che abbamo del tutto abbandonata. Noi ne
siam certi, Racalmuto sorde e viene denominata alla fine dell’XII secolo.
Invero il oponimo già esisteva. Era attribuito ad una località di Sottana , ad
un locale convento di Basiliano). Che questi si siano insediatia nache a
Racalmuto, magari presso i convento di an Benedetto e si siano partati dietro
quel toponimo ben documentato dal Cusa? Noi pensiamo di s, ma esta nostra
singola non autorevole congettura. Ai migliori di noi l’ardua sentenza).
Il Malaterra quindi completa
l’elenco con Biifara, Micolufa, Naro, Caltanissetta, Licata, Ravaenusa. A completamento del discorso sui toponimi
svolto prima, riportiamo il commento dell'AMARI
nella sua STORIA (pag. 177, n. 1): I nomi delle castella prese nella
provincia di Girgenti, sono tolti dal Malaterra, correggendo alcun evidente
errore del testo. Rimane dubbio il suo [1]Racel[1], che ho trascritto
sicuramente in Rahl (stazione), ma vi manca il nome che dee seguire per
determinare quella appellazione generica, il qual nome io non saprei indovinare tra i moltissimi
Rahl di quella provincia. Credo avere bene letto Ravanusa il Remise (variante
Remunisse) del testo, poichè‚ MICOLUFA sorgea presso Ravanusa. Del resto Simone
da Lentini, autore del XIV secolo, il quale copiò Malaterra nel suo
libro 'La conquista di Sicilia' recentemente uscito alla luce (Collezione d'opere
inedite e rare, Bologna 1865, in -8),dà otto soli nomi degli undici, dicendo non avere
ritrovato gli altri ne' testi; ed un ms. della stessa opera, appartenente alla Bibliothéque
de l'Arsenal in Parigi (Ital. N. 68) ne dà sette soltanto: Platani,
Musan, Guastanella, Catalanixetta, Bosolbi, Mocofe, Ciaxo 'e li altri, aggiunge,
non so chi si fusseru e non si canuxirianu, ect.). Intorno i nomi non si
trovano nella lista odierna de' Comuni di Sicilia, vi vegga il Dizionario Topografico
dell'Amico e l'Indice che io ho messo in fine della 'Carteomparée de la Sicile,
[1859], Notice'.
L’Amari così continua la sua storia dei Musulmani: Ruggero “talché occupava tutto il paese
dalla foce del fiume Platani a quella
del Salso ed a Caltanissetta, di che ei compose non guari dopo, con qualche
aggiunta la Diocesi di Girgenti, ed or vi risponde tutt'intera la provincia di
questo nome e parte della finitima di Caltanissetta.
La moglie e i figlioli dell'Hammudita caduti in suo
potere, tenne Ruggiero in sicura e onorata custodia: pensando, così nota il
Malaterra, che più agevolmente avrebbe tirato quel principe agli accordi,
con servare la sua famiglia
illesa da tutt'oltraggio.” ( Cfr. Michele [1] AMARI[1] - STORIA DEI
MUSULMANI DI SICILIA, Catania 1937, Vol. III, parte prima, pagg. 174,
ss. Nel trascrivere il CHAMUTH del MALATERRA in HAMMUD, l'AMARI annota [nota 1
di pag. 175]: la [1]h[1], sesta lettera dell'alfabeto
arabico, fu resa per lo più, sino ad uno o due secoli addietro, con
le lettere latine [1]ch[1]; e il [1]d[1], ottava lettera, più
spesso con una [1]t[1] che con una [1]d[1]. L'anonimo ha HAMUS [cioè
ANONIMO, presso Caruso, Bibl. Sic. pag. 855].
Sapendosi dalla storia che Chamuth, fatto cristiano
con tutta la famiglia, rimase sotto il dominio del conquistatore, possiamo ben identificare
il casato con quello di Ruggiero HAMUTUS, già proprietario di certi
beni che Federico II concedea nel 1216 alla chiesa di Palermo (Diploma
presso Pirro, Sicilia Sacra, p. 142) e dell'Ibn Hammud, ricchissimo signore che
Ibn GUBAYR vide in Sicilia nel 1185. Questo nobil uomo poteva essere nipote o bisnipote del regolo di
Castrogiovanni. Sapendosi ch'ei portasse il soprannome d'Abù al Qàsim,
sembra anco il Bucassimus, celebre per brighe alla corte di Palermo, ne'
primordi del regno di Guglielmo il Buono. Ancor oggi, alcune nobili famiglie siciliane
vantano discendenze da quel ceppo Hammùdita. Trattasi dei nobili NICASIO
di BURGIO. Impietoso l'Amari contro il libello di Nicasio Burgio, conte
palatino XXIII intitolato “Ladiscendenza di Achmet” ultimo potente ammiraglio fra i Saraceni dominanti
in Sicilia, rappresentato in questo medesimo luogo dalla chiarissima famiglia
Burgio. pubblicato a Trapani nel 1786. Indulgente il NALLINO che nella stessa
nota si dilunga accogliendo le precisazione di una nobildonna di quella famiglia.
Costei segnala che i primogeniti della casata Burgio continuano a chiamarsi
ACHMET, ( ad. es. ACHMET RUGIERO NICASIO BURGIO, principe di Aragona e di
Villafiorita, di Palermo).
Per quel che ci riguarda, un'ipotesi potrebbe avere
qualche fondamento. Tra i beni del citato Ruggiero HAMUTUS poteva esserci
qualche signoria sul diruto castello di Racalmuto, un tempo appartenuto al
nonno, o bisnonno, CHAMUTO. Ma trattasi di congettura che lascia il tempo che
trova [e che noi abbiamo del tutto abbandonato come una delle tante cervellotiche
congetture che si continuano a contrabbandare per questo paese che essendo di
Sciascia dovrebbe essere rigoroso nella ricostruzione delle proprie origini.]