Ieri meriggio folle, ma ributtantemente colto. A colloquio con Matisse. La Banca d'Italia di tanto in tanto si ricorda di essere la nostra "madre" e smette di essere matrigna con la compagine impiegatizia anche in quiescenza. Una visita a Matisse ce la propina a prezzi stracciati affidandoci alla brava faconda ammaliante Serena della fervida associazione del romano Archimede.
Entrando nelle lussuose "scuderie" del Quirinale mi assale però un moto di smarrimento, quasi di angoscia. Il Lotto mi assicura che con il suo gioco "l'arte non ha confine". Mi propina tutto un interno floreale, matissiano. E' mera illusione fotografica ma mi dà un senso di ripulsa, di fastidio: mai abiterei in una casa decorata da Matisse. sempre il solito fiore stilizzato sulle parete sulle porte sugli arredi e persino sul culo della modella che ti porge le terga seduta sul sofà tutto il solito fiore, col vestito tutto il solito fiore.
Matisse è un genio: lo cogli subito. Al primo quadro all'ingresso dell'iter della sua mostra. Al primo panno da lui dipinto, al primo disegno anche se appena abbozzato. Preciso e maniaco, algido e filosofico, rappreso e loquacissimo ma dalle scarne parole. Sa ma rinnega, eccelle ma cambia pittura. E' un genio, appunto. ma mi accora, mi annichila, non lo capisco forse perché lo comprendo molto. Non gli piacerà Joyce ma è più frigido di ogni Stephen Dedalus, sempre in fuga dalla pesantezza carnale e spirituale.
Donne che non hanno volto, odalische che non fan sesso, esterni che atterriscono, interni che si cloroformizzano, colori che non coitano, solo si accostano senza orgia se non qualche volta. Solo tendaggi e tendaggi. Braccia che diventano braccioli e braccioli che diventano mura e mura che non hanno cielo. I cieli esterni raggrinzano le anime che son foglie e le foglie perdono colore verzura carne. Il seno di una peccatrice vive di una rotondità piatta e compatta come gingillo, anelli pettorali.
Ma Matisse è genio ed io non lo sono. me ne distacco e per fortuna amando la luce, la tattilità delle umane dimore, l'ostentazione di palazzi patrizi, della Roma imperiale e papalina, fuggitiva da ogni cenciosità francescana alla papa cicciu, da quel terrazzino finito androne degli ascensori moderni e agili posso spaziare guatando dalle vetrate non ostative la grande eretica Roma.la mia Roma. riluttante di tutte queste sonnolenze geniali del genio Matisse.
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