altri appunti sul fascismo a Racalmuto
Non crediamo che fra quelle “masse rurali” fosse da
includere il ceto contadino racalmutese. Nulla ce lo lascia intravedere. E’,
però, certo che agrari locali, esercenti delle miniere di zolfo racalmutese,
gabellotti, contadini e braccianti ed il piccolo ceto dell’infima borghesia di
Racalmuto ebbero modo di disaffezionarsi ai loro referenti politici sia della
Democrazia Sociale di Guarino Amella e Colonna di Cesarò, sia allo stesso
partito democratico-riformista di Enrico La Laggia, cui ultimamente aveva
aderito una frangia degli ottimati racalmutesi. Mussolini parlava dell’
«Aventino» quale epicedio dello stato demo-liberale. Non cìera cultura greca a
Racalmuto bastevole per apprezzare l’immagine classica. Vi era molto buon senso
(ed pressanti interessi del quotidiano) per dissentire dai loro deputati eletti
nel listone “nazionale” del 1924 che ora facevano l’«Aventino». In definitiva,
nepppure Gramsci mostra di apprezzare questi rappresentanti degli agrari siciliani
con i quali, inopinatamente, si trovava in sodalizio.
«Ho visto in faccia la “piccola borghesia “ con tutti i suoi
tipici caratteri di classe - scriveva Gramsci alla moglie il 22 giugno 1924
commentando i primi lavori dell’Aventino ([1]). - La parte più ributtante di
essa era costituita dai popolari e dai riformisti (per non parlare dei
massimalisti, povera gente di cascia andata a male; i più simpatici erano
Amendolae il generale Bencivenga dell’opposizione costituzionale che si
dichiaravano favorevoli in principio alla lotta armata e disposti anche (almeno
a parole) a porsi agli ordini dei comunisti, se questi fossero in grado di
organizzare un esercito contro il fascismo. Un deputato democratico-sociale (è
questo un partito siciliano che unisce latifondisti e contadini) che è duca
Colonna di Cesarò, ministro di Mussolini fino al mese di marzo, dichiarò di
essere più rivoluzionario di me perché fa la propaganda del terrore individuale
contro il fascismo. Tutti, naturalmente, contrari allo sciopero generale da me
proposto e all’appello alle masse proletarie ... ».
Colonna di Cesarò - è certo - non riuscì a propagandare “il
terrore individuale contro il fascismo”, a Racalmuto. I locali suoi aderenti
dovettero disorientarsi non poco: già amavano molto poco i blandi socialisti
racalmutesi agli ordini dell’avv. Vella; figuriamoci se potevano dare credito a
chi osava associarsi con i bolscevichi del 1921.
A livello locale il problema centrale restava sempre quello
dei finanziamenti per lo zolfo invenduto. La faccenda del 1922 veniva ricordata
ancora. I più avvertiti avevano l’odiato
senatore Einaudi per quello che scriveva allora sulle colonne del Corriere
della Sera. Il governo di Mussolini diede quel decreto invocato sotto Facta
(D.L.n. 202 dell’11/1/1923). Nel nuovo corso fascista si potevano dunque
riporre attese meridionalistiche e di intervento statale. Tra le varie
provvidenze del decreto, lo stato garantiva lo smaltimento a prezzi
remunerativi dello stock e si impegnava nel finanziamento del Consorzio, ma su
obbligazioni dell’ente garantite sugli esercizi futuri. «Insomma - scrive Salvatore Lupo [2]- a pagare sarebbe
stata la futura produzione». Vi era - è vero - chi come Carlo Sarauw, forse per
opposto interesse, aveva di che ridire su quanto si riusciva a conbiare in
provincia di Agrigento e di Caltanissetta. «Io posso spiegarmi che un’accolta
di maffiosi ignoranti delle province di Girgenti e di Caltanissetta abbia
potuto premere a Palermo sull’amministrazione del Consorzio [...] ma non posso
ammettere che essa potesse allungare i suoi tentacoli fino a Roma o piegasse il
Governo alle direttive di quegli organi del Consorzio che subivano la sua
azione». ([3]) In quel di Racalmuto, ove gli interessi zolfiferi passavano
trasversalmente per tutti i ceti sociali, vi fu soddisfazione per il
provvedimento mussoliniano del gennaio 1923 ed iniziava quel consenso che dopo
il 1926 si consoliderà penetrantemente, in profondità, in maniera totalizzante.
Le bizze dell’Aventino dei propri deputati dovettero apparire atteggiamenti
incomprensibili, sospetti, fedifraghi, da non approvare, da rimuovere.
Il delitto Matteotti, invero, non lasciò indifferente
l’intera comunità civica racalmutese. Se dobbiamo credere a E.N. Messana, il
socialista Vella si diede da fare: «Fu lui - scrive il Messana ([4]) - che in
seguito all’uccisione di Giacomo Matteotti si presentò con la guantiera a
raccogliere il contributo per la corona. Entrò nel salone di Salvatore Rizzo,
Paparanni, e là Luigi Scimè, giovane
figlio del Dr. Nicolò, gli diede L. 0,50, altri uguale cifra o meno. Contribuirono
molti racalmutesi, oltre i summenzionati si ricordano il comm. Giuseppe
Bartolotta consigliere provinciale in carica, il sindaco Scimè, Pio Messana,
Salvatore Falcone, Calogero Mattina fu Gaetano, Carmelo Schillaci Ventura,
Giuseppe Cutaia, i fratelli Luigi e Giuseppe Lo Bue. Questi furono segnati a
dito e perseguitati dal fascismo. Luigi Scimè, ufficiale effettivo
dell’esercito, non avanzò più di grado.»
L’emozione per l’efferato delitto dovette essere una
momentanea reazione, non coinvolgente la stima verso Mussolini. Questo, almeno
a Racalmuto. A più ampio raggio, ancor oggi non crediamo che sia stata
stabilita la verità storica. Troppi risentimenti, molti condizionamenti
ideologici. A distanza di settant’anni, in riviste storiche pur autorevoli, la
vicenda Matteotti viene così rievocata, passionalmente, con evidenti pregiudizi
di valore:
«Giacomo Matteotti -
leggesi nell’editoriale del n. 1-2 del 1994 di Storia e Civiltà ( [5]) -
segretario del partito socialista unitario, capo - con Giovanni Amendola -
dell’opposizione al fascismo, [..] mentre dalla sua abitazione, per il
lungotevere Arnaldo da Brescia, si dirigeva, attorno alle 16, verso il
Parlamento, era sequestrato, costretto a entrare in un’automobile ed, essendosi
difeso, ucciso. [Fu] uno dei più esecrandi delitti che la storia ricordi.
[AM1][Ad eseguirlo, c’erano] una brutale figura di squadrista toscano, Amerigo
Dumini e suoi quattro complici.
«Come sarebbe emerso, dal memoriale Rossi, e da altre
ammissioni, se anche Mussolini non era
stato il diretto mandante, vi aveva dato il suo tacito consenso. La commozione
popolare fu così profonda, che avrebbe dovuto avere per sbocco, con quale
vantaggio per l’Italia è inutile dire, l’immediato tracollo del fascismo. Mancò
una forza organizzata a dirigere la rivolta. Non vi fu, da parte della
Monarchia, come nel ‘22, la coscienza del dovere. Al governo venne lasciato il
modo, con pochi ritocchi alla sua compagine, di sopravvivere, e al fascismo di
consolidarsi, più per l’altrui debolezza che per virtù propria, profittando anzi
dell’irrimediabile errore delle opposizioni, di astenersi dalla presenza in
Parlamento (l’«Aventino»), che avrebbe consentito, nel gennaio ‘26, di farne
deliberare la decadenza. Non mancò la “trahison des clercs”, in un’ora
straordinariamente feconda per la cultura: e Giovanni Gentile, pur surrogato
come ministro dell’istruzione, ad assicurarsi maggior potere, si assunse la
responsabilità d’un manifesto degli intellettuali a favore del fascismo, cui,
con un numero minore di firme, se ne sarebbe contrapposto un altro, redatto dal
Croce.
«[Il processo venne trasferito] alla lontana e più
tranquilla Chieti, [e si ebbe] l’arrogante difesa di Farinacci (cui si consentì
di dichiarare di assumerla “prima come segretario del partito, e poi come
avvocato” e che il processo non si sarebbe fatto “né al regime né al partito”).
Esclusa dalla stessa pubblica accusa, la premeditazione ed ammessa la
preterintenzionalità, la sentenza, del
24 marzo 1925, condannava solo tre degli imputati a cinque anni, undici mesi e
venti giorni, che, col condono di ben quattro anni per una opportuna amnistia,
e tenuto conto della carcerazione preventiva, li rendeva, di fatto, liberi.»
L’avvento del fascismo nell’area provinciale di
Agrigento.
Nella Sicilia - scrive Salvatore Leone ([6]) - in cui il
fascismo ebbe “natura ricettiva e non radiante”, schematizzando possiamo dire
che l’aristocrazia agraria aderì al regime nei tardi anni ‘20, quando si
renderà contodella sostanziale convenienza ad appoggiare il nuovo gruppo di
potere. La piccola borghesia cittadina darà il suo consenso agli inizi degli
anni ‘20 con uno spirito fortemente protestatario nei confronti di quello Stato
liberale che l’aveva schiacciata al basso al livello contadino. L’adesione al
nuovo regime della media borghesia e degli intellettuali, parecchi dei quali
avevano alle spalle una consistente tradizione autonomista, avvenne mediante
comportamenti incerti e talora contraddittori che si protrassero fino ai primi
anni ‘30».
La provincia di Agrigento (allora Girgenti) rispecchia
grosso modo siffatta diversa datazione del consenso al fascismo, anche se è
difficile rinvenire intellettuali di spicco che tardino nel concedere il loro
accondiscendimento al nuovo regime. Luigi Pirandello aderisce tempestivamente
al fascismo; Enrico La Loggia se ne mantenne sempre fuori; ed anche Giovanni
Guarino Amella. Francesco Renda vuole come nemico del fascismo padre Michele
Sclafani «che diede filo da torcere ai fascisti dell’Agrigentino [..] seppure
anche lui non fu alieno dal cercare l’intesa e la collaborazione con essi e ddirittura dal proporre soluzioni
impossibili, come la costituzione di un grande partito siciliano
clerico-fascista». ([7]) Per non parlare dei socialisti rimasti coerenti, è
difficile inquadrare figure come i fratelli Ambrosini di Favara, o l’avv.
Cesare Sessa, o l’avv. Bonfiglio. Fortemente caratterizzata in termini di
pronta adesione al fascismo è la figura dell’on. Abisso, che alla fine, però,
si guarda bene dall’aderire alla Repubblica sociale di Salò. Analogo discorso
potrebbe farsi per il narese on. Riolo.
Francesco Renda ha ben ragione quando dichiara che le
origini dei fasci di comattimento di Girgenti (e di quei radi della provincia
nel periodo 1919-20) sono «avvolte nella nebbia». ([8]) Nell’agrigentino, il
fascismo ebbe davvero, dai suoi esordi sino al consolidamento del Regime,
“natura ricettiva, e non radiante.”
Quando nel 1942, in piena guerra, vari autori - spesso
maldestri, o ingenui o disinformati - redassero i «Panorami di realizzazioni
del Fascimo» che dovevan essere una ricerca delle primissime origini del
fascismo delle varie province, non avevano molta carne al fuoco, per quanto
riguarda il Meridione e la Sicilia. L’autore agrigentino - tal Vincenzo
Agozzino - deve proprio arrmpicarsi sugli specchi per reperire esaltanti
«cronache della vigilia rivoluzionaria fascista nella provincia di Agrigento»
([9])
«Agrigento sempre più bella e suggestiva», aveva detto
Mussolini al popolo di Agrigento il 15 agosto 1937. E’ frase lapidaria che l’Agozzino invoca in
premessa. Ci racconta poi del fascio di Agrigento nel 1919. «..La Camera del
lavoro di Agrigento, - narra - aderente al Partito Socialista Ufficiale, con
rapida azione agganciò le masse delle zone industriali prima e poi delle zone
minerarie ed agricole, creando una forte organizzazione che presto si mosse
alla conquista delle amministrazioni comunali. Così in Canicattì, Ravanusa e
Palma Montechiaro si ebbero maggioranze socialiste e quasi ovunque le minoranze
furono rosse. [..] In questi ambienti [..] solo un manipolo di giovanissimi
intese il richiamo dei valori spirituali della stirpe fondando nel maggio del
1919 il primo Fascio dell’agrigentino. La riunione avvene in una stanza
dell’Albergo Centrale dove si costituisce un nucleo di azione contro il
sovversivismo locale di vario colore, dal rosso, al nero e al verde, che assume
il nome di Fascio Futurista di Azione [..]
«1920- 21 - 22
«Si forma poi il Fascio di Combattimento che in un secondo
tempo viene intitolato al Caduto Pierino Del Piano. Solo il 20 novembre 1920
avviene il riconoscimento ufficiale del Fascio di Combattimento di Agrigento.
Viene anche ad Agrigento la propagandista rossa Maria Giudice. Migliaia e
migliaia di persone sono adunate all’Arena Bonsignore [..] La propagandista non
doveva parlare e non parlò. Aveva appena pronunciato la parola ‘Compagni’ che
ebbe inizio una fitta sassaiola [da parte di piccoli bene appostati sulla
terrazza di villa Garibaldi]. [Ne seguì]
un fuffi fuggi generale, mentre la stessa oratrice veniva colpita al
viso. Legnate da orbi furono distribuiti agli uscenti dalla arena, mentre la
lotta si spezzettava in singoli episodi dai quali però risultava la coraggiosa
fuga dei rossi e il primo assalto alla Camera del lavoro [..] [Si trattava] di
pochi squadristi, circa quaranta, che [cominciarono a] sgominare le forse
rosse, nere e verdi.
«[Altra aggressione.] La Camera del lavoro viene assalita e
devastata, mentre mobilio e carte son dati alle fiamme fra il canto di
Giovinezza. Successivamente dopo un
comizio tenuto dai combattenti, vien dato un nuovo assalto alla Camera del
lavoro con la completa distruzione del mobilio, delle carte e di una bandiera
rossa che è poi bruciata in piazza Gallo. La stessa sera avviene un conflitto
con un gruppo di guardie regie, risoltosi con una brillante fuga degli agenti
di Cagoia [Nitti, n.d.r.]. [..] Altre azioni repressive, di ritorsione e di
propaganda vennero eseguite in tutta la provincia: vengono impediti alcuni
comizi; venne incendiato il circolo ferroviario; [talora] vengono a dar loro
man forte i camerati dei fasci di Porto Empedocle, Canicattì, Palma Montechiaro
e Sciacca. Il 24 aprile del 1921 una squadra agrigentina partecipò alle azioni
di rappresaglia in Caltanissetta in occasione dell’uccisione di Gigino Gattuso.
Alla Marcia di Roma [..] partecipò una squadra, mentre le altre rimasero
mobilitate in sede.
«In provincia agirono in periodo ante marcia i fasci di
Canicattì, Licata, Palma Montechiaro, Porto Empedocle, Ravanusa, Raffadali,
Naro, Sambuca, Grotte, Bivona. Il fascio di Canicattì venne riconosciuto il 4
dicembre 1920; il Fascio di Licata, il 1° febbraio 1921; quello di Montechiaro
fu fondato il 1° marzo 1921; quello di Porto Empedocle fu riconosciuto nel
marzo 1921; quello di Ravanusa, il 15 ottobre 1920. Altri fasci venero fondati
nella seconda metà del 1922 e fra questi Raffadali, Sambuca di Sicilia, Naro,
Grotte e Bivona. Naro soprattutto, fondatosi il fascio nel luglio del 1922 e
riconosciuto il 18 ottobre successivo, si segnalò in vivaci interventi locali
contro i sovversivi, che culminarono con la devastazione della sezione
socialista.»
Il volume dei “Panorami” riporta a questo punto un’altro
squarcio del discorso che Mussolini pronunciò “dalla terrazza del Palazzo Reale
di Palermo - 5 maggio 1924”: “C’è forse una pietra del Carso, pietra di quelle
doline dove non abbiano sofferto e dove il popolo è diventato grande, c’è forse
zolla di tutto l’arco di trincee che andava dallo Stelvio al mare che non sia
stata bagnata da stille di purissimo sangue siciliano?»
Prima della marcia su Roma, il quadro del fascismo
agrigentino è rado e sfilacciato. Iprefetti del luogo non vedevano di buon
occchio il nuovo movimento politico; lo tolleravano appena e se potevano lo
disperdevano. Rivelatrice è questa missiva al Ministero degli Interni del
sostituto del prefetto Vergara del 20 giugno 1922 ([10]): «Significo che al 31
maggio 1922 esistevano in questa provincia le seguenti sezioni del Fascio di
combattimento: Girgenti con 50 aderenti; Canicattì 20; Ravanusa 80; Sciacca 80.
A Palma Montechiaro la sezione è stata sciolta, ma esistono tuttavia una
diecina di simpatizzanti del partito fascista. La sezione di Naro, segnalata
con mia nota dell’11 maggio 1921 n. 225, è composta da ex-combattenti e non
fascisti. Anche la sezione di Porto Empedocle è stata sciolta».
Con la marcia su Roma, l’atteggiamento dei prefetti
ovviamente cambia, anche perché giungono prefetti di evidente ispirazione
fascista. Più che con il Ministro dell’Interno Benito Mussolini, i rapporti
(improntantati alla più deferente fiducia) sono con il sottosegretario Finzi
(almeno sino alla caduta di costui per il delitto Matteotti). In questa
congiuntura fu prefetto di Agrigento il dott. Ernesto Reale. Già vice prefetto,
fu nominato nella carica il 16 marzo 1923 ed il 22 ottobre 1924 lasciò
Agrigento per la prefettura di Potenza. Era nato a Sassari il 30 giugno 1875
(morirà a Roma il 30/12/1947). Era dunque un uomo di 58 anni, ma evidentemente aveva fiutato il nuovo corso
e vi si era prontamente adattato. Non è da credergli quanfo afferma: «Escludo
nel modo più formale che io abbia imposto la costituzione di Fasci nei comuni
dove non esistono sotto minaccia diretta o indiretta di scioglimento dei
Consigli Comunali o pressioni di qualsiasi altro genere.» ([11]) Era una
risposta ad un perentorio telegramma dell’11 luglio 1923, a firma Mussolini,
che reclamava seccamente una giustificazione. « S.E. Cesarò - diceva il testo -
comunicami che V.S. avrebbe invitato costituire fasci dove non esistono sotto
minaccia scioglimento consiglio comunale. Voglia V.S. notiziarmi in propoisto.»
La puntualizzazione del prefetto è abile come
emerge dal seguente “rapporto dimostrativo”:
«Dal marzo, quando assunsi in questa provincia le funzioni
di Prefetto, ad oggi furono istituiti cinque nuove sezioni del P.N.F. nei
seguenti comuni:
1. Castrofilippo -
dove l’Amministrazione comunale era già sciolta ed il Comune retto da un
R.Commissario;
2. S. Giovanni
Gemini - Amministrazione Comunale Popolare;
3. Alessandria della
Rocca - Amministrazione Comunale Riformista;
4. Raffadali -
Amministrazione Comunale Socialista;
5. Montaperto -
Frazione di Girgenti - Amministrazione Comunale Popolare.
Per la costituzione di Tali Sezioni non ci fu affatto
bisogno di intimidazioni o minaccie né da parte mia né da parte della Federazione
Provinciale. Fu l’effetto di una attiva propaganda Fascista.
Faccio osservare a V.E. che fra i Comuni sudetti non ve n’è
alcuno amministrato da Democratici-Sociali. Sto esaminando personalmente la
posizione del Comune di Raffadali dove àavvi il feudo di S.E. il Ministro
Colonna Duca di Cesarò, il quale intende porre la Sua candidatura in quel
Mandamento, e mi riservo fare le proposte del caso.
Restano tuttora da costituirsi le sezioni del P.N.F. nei
comuni seguenti:
Aragona
Montallegro
Villafranca
Comitini
S. Angelo Muxaro
Calamonaci
Favara
Cianciana
Burgio
Lampedusa
Lucca Sicula
Ad eccezione degli ultimi due, dove l’Amministrazione
Comunale è Riformista e Popolare, e di Lampedusa, lontana, sperduta nel mare
Africano, tutti gli altri comuni sono amministrati da scritti alla Democrazia
Sociale. E per questi, non solo non fu fatta da me alcuna pressione per la
costituzione di Sezioni del P.N.F., ma dovetti mostrarmi a ciò risolutamente
contrario almeno per ora. Invero quei Comuni - specialmente i maggiori - Favara
e Aragona - sono talmente infestati dalla mafia, che è necessario procedere ad
un’accurata chiarificazione e selezione, per evitare che nelle costituende
Sezioni Fasciste venga ad annidarsi la forma più subdola della delinquenza
Isolana.
Nei detti Comuni pertanto, che come ho detto, sono
amministrati da Demo-Sociali, nonché esercitare pressioni, è stato invece
necessario a me ed al Fiduciario Provinciale resistere alle vive e ripetute
pressioni che ci vennero fatte per la costituzione di Sezioni Fasciste da
elementi di altri partiti troppo interessati e troppo malfidi.
Si addiverrà certamente a costituire anche lì Sezioni
Fasciste, ma solo quando il lavoro - delicatissimo - di selezione sarà
ultimato. E le Sezioni dovranno essere formate da elementi puri e sicuri. E
senza bisogno di minaccie di scioglimenti di Consigli Comunali.
A proposito dei quali debbo fare presente alla E.V. che gli
scioglimenti da me proposti furono sempre effettuati per ragioni di ordine
pubblico o per disordini amministrativi e riguardano i seguenti Comuni:
Canicattì - Palma Montechiaro - Ravanusa - già amministrati
da socialisti ufficiali;
Sambuca Zabut - Campobello di Licata - S. Margherita Belice
(quest’ultimo in corso), già amministrati da riformisti (La Loggiani).
Faccio osservare che nessuno di questi comuni è amministrato
da democratici Sociali.
Concludendo:
1. Nessuno dei Consigli Comunali sciolti dal marzo in poi
era amministrato da Democratici
Sociali.
2. Non solo non ho fatto minaccie per la costituzione di
Sezioni Fasciste nei Comuni dove mancano (quasi tutti amministrati da
Demo-Sociali) ma ho dovuto e devo tuttora resistere, per le ragioni suesposte,
a pressioni che vengono fatte, anche da elementi Demo-Sociali, per la
costituzione di talune Sezioni stesse».
Nel successivo luglio il prefetto Reale sembra più un
federale fascista che un dipendente del Ministero degli Interni. Ecco quanto
scrive il 10 luglio 1923:
«Alla vigilia della riunione della Giunta Esecutiva del
P.N.F. credo doveroso inoltrare il seguente rapporto riassuntivo sull’andamento
del Fascismo in questa Provincia.
Dal Marzo in poi si è verificato un considerevole sviluppo
ed una notevole chiarificazione.
Sviluppo: in quanto sono numericamente cresciuti gli
iscritti alle Sezioni dei Fasci (4568) e dei Sindacati (4382). L’entrata nel
Fascismo dell’on. Abisso ed una parziale fusione, da me caldamente patrocinata,
delle forze migliori degli ex-combattenti, hanno contribuito a tale sviluppo.
Occorrerà lavorare ancora per assorbire nei Fasci almeno un altro migliaio di
ex-combattenti che ora sono fuori perché non possono e non credono di
distaccarsi da altri partiti.
Chiarificazione: in quanto, dopo mie vive insistenze, si è
proceduto alla epurazione di talune sezioni, mediante eliminazione di elementi
indegni.
In proposito debbo rilevare di avere dovuto superare non
poche resistenze da parte del Fiduciario Provinciale e della Federazione
Provinciale che non vedevano con eccessiva simpatia l’ingerenza del Prefetto in
questo campo.
Questo processo di epurazione si è accentuato maggiormente
nei riguardi della M.V. i cui iscritti avevano raggiunto il numero di 1800,
mentre ora sono ridotti a poco meno di 1500. Ma è un bene.
Attualmente la situazione, tenuto conto delle difficoltà
ambientali, e dei personalismi da superare, e specialmente dei numerosi
elementi malfidi infiltratisi nelle sezioni, e che debbono man mano eliminarsi,
può dirsi abbastanza soddisfacente.
Però la mia opera assidua di sgretolamento delle camarille
locali, dei vecchi ed agguerriti partiti, e specialmente del partito riformista
(La Loggia), di quelle Social-Comunista e popolare - opera che ha portato allo
scioglimento di sette Amministrazioni comunali, e che intendo continuare -
dovrebbe essere più attivamente fiancheggiata dalle Autorità Fasciste di questa
Provincia. Dovrebbe soprattutto essere ripresa l’azione di propaganda fascista
che ora languisce in una stasi apatica.
E’ d’uopo riconoscere che il Fiduciario Provinciale attuale
Ing. Narciso Dima, se pure non eccessivamente energico, ha finora fatto il
possibile per lo sviluppo del Fascismo, sacrificandosi anche finanziariamente,
contribuendo del proprio, trascurando la sua professione. Le sezioni Fasciste
non gli dànno che un aiuto finanziario scarsissimo.
Occorre, è anzi urgente, che l’On. Giunta Esecutiva
stabilisca un congruo aiuto finanziario.
Nessuna preparazione ha potuto fare la Federazione per le
lezioni Provinciali appunto per mancanza assoluta di propaganda. Occorrerebbe
istituire nuove sezioni nei Comuni dove ancora mancano (18 su 41)), ma
occorrono mezzi sopraluoghi locali ecc., mezzi che mancano.
Se si dovessero fare le elezioni provinciali ora, alla
scadenza dei poteri della Commissione Reale, sarebbe una débacle dal punto di
vista fascista. Mentre gli altri partiti, soprattutto i Democratici sociali e i
popolari, si vanno organizzando e preparando alla lotta, che ritengono
imminente, e dispongono di mezzi finanziari cospicui, i Fasci poco o niente
hanno potuto fare. Occorre, ripeto, finanziarli.
Ho detto débacle se i fasci dovessero lottare da soli,
chiudendosi nella più assoluta intransigenza nei riguardi degli altri partiti.
Ma occorre esaminare la situazione nei riguardi della
Democrazia Sociale: situazione che in questa Provincia è estremamente delicata.
La Democrazia Sociale si mantiene qui in piede di guerra
pronta ad una lotta, come pronta ad un accordo coi Fasci, per una eventuale
collaborazione.
Senonché qui si presenta una difficoltà.
I Deputati Demo-Sociali sono gli On. Pancamo e
Guarino-Amella; binomio indissolubile. L’On. Pancamo è elemento puro,
inattacabile. L’ideale sarebbe poter scindere il binomio, e accordare i Fasci
cogli elementi migliori della Democrazia Sociale che fanno capo all’On.
Pancamo. Ma questo è impossibile.
Non poca parte degli elementi che fanno parte all’On.
Guarino-Amella - che ha largo seguito - sono bacati dalla mafia che sino a poco
tempo addietro ha imperato in questa provincia, e che ora è smontata, disorientata.
Effetto dei provvedimenti energici di P.S.- Accordarsi cogli elementi
demosociali che fanno capo all’On. Guarino Amella, vorrebbe dire accordarsi
anche in certo modo con la mafia. E allora si ricadrebbe nel vizio delle
elezioni precedenti che si facevano appunto con l’aiuto della mafia.
D’altra parte il partito Guarino Amella vuol dire S.E. Di
Cesarò, del quale il primo è il più fido e autorevole luogotenente in questa
Provincia.
I fasci risentono di questa situazione.
Il Fiduciario Provinciale Ing. Dima, sembra contrario a
qualsiasi accordo coi Democratici Sociali. I suoi avversari - e ne ha anche in
seno ai Fasci - dicono che ciò dipende dalla sua origine La Loggiana.
Comunque questa situazione non può risolversi se non si
conoscono in modo preciso e in tempo utile le direttive del Governo al
riguardo.
Concludo:
1. Occorre finanziare la Federazione Provinciale perché
eserciti una più attiva azione di propaganda;
2. Occorre procedere alla nomina del Fiduciario Provinciale.
L’attuale Ing. Dima, in conseguenza della ritardata conferma ha perduto un po’
di autorità e prestigio. Urge quindi o confermarlo o nominarne uno nuovo, che
possa esplicare con autorità e energia l’azione Fascista, e fiancheggiare la mia
azione politica e amministrativa.»
Il prefetto di Agrigento è, peraltro, quello che è in grado
di fornire ragguagli precisi e dettagliati sulla “situazione del Fascismo in
Provincia di Girgenti al 27 ottobre 1923”. Val la pena di riportare
integralmente la sua relazione al ministero:
«In mancanza di fascismo puro, limitato a pochissimi
elementi, i Fasci della Provincia di Girgenti sono costituiti necessariamente
da elementi tratti da altri partiti politici.
Il partito politico finora predominante in questa Provincia
era il partito Demosociale, imperniato sui Deputati Grarino Amella e Pancamo,
(agli ordini di S.E. Di Cesarò) e Abisso. Col passaggio di quest’ultimo al
Fascismo, avenuto nell’Aprile, questo partito cominciò a sgretolarsi. Gli
elementi migliori passarono anch’essi, in buon numero al Fascismo. E se è vero
che il partito personale Abisso si va sempre più rafforzando, è pur vero che il
Fascismo sta prendendo uno sviluppo sempre più grande e più saldo - anche
perché questi elementi ex-demosociali sono assai più sinceri degli altri.
In sostanza non deve credersi che sia il partito Abisso che
si faccia sgabello del Fascismo per rafforzarsi, ma è il Fascismo che acquista
realmente forza e compattezza dai numerosissimi elementi che staccatisi come ho
detto dalla Democrazia Sociale facente capo all’On. Guarino, Pancamo e Di
Cesarò, si sono appoggiati all’on. Abisso.
Al Ministero è noto come io abbia visto con una certa
diffidenza il passaggio dell’On. Abisso al Fascismo.
E’ per me doveroso ora dopo diversi mesi di vigile
esperienza porre in rilievo la disciplina e l’ossequio non solo apparente, ma
effettivo alle Direttive del Duce, dell’On. Abisso verso il quale ora
convergono le forze migliori della Provincia, forze che Egli dirige e orienta
risolutamente verso il Fascismo.
Il Fiduciario Provinciale, d’intesa con lui ha potuto
sistemare la posizione prima equivoca, ora chiara di parecchie sezioni
Fasciste, ha potuto costituirne delle nuove, e rafforzarne delle altre.
Non è quindi vero che il Fascismo non abbia presa in
Provincia di Girgenti. Questo forse poteva dirsi alcuni mesi addietro, quando
si verificò una stasi - da me segnalata - che avrebbe dovuto preludere ad una
grave crisi, dovuta sopratutto all’azione allora scarsamente efficace del
Fiduciario Provinciale, il quale era rimasto per oltre due mesi quasi privo di
autorità. Causa il ritardo della sua conferma. Ma la crisi fu superata e la
minaccia di essa, in certo modo, fu anche benefica. L’attività del P.F. fu da
me e dall’On. Abisso galvanizzata; molte opposizioni più o meno interessate
furono smontate. Il susseguirsi di importanti avvenimenti patriottici, che
riunivano in un solo patriottico sentimento importanti forze Fasciste, valsero
a guadagnare anche le simpatie della grande massa della popolazione la quale prima diffidente, segue ora con
vivissima simpatia, gli spettacoli sempre bellissimi di giovinezza di forza di
disciplina che le adunate Fasciste hanno dato modo di apprestare. A questo
aggiungasi la continua, dirò quasi sistematica, valorizzazione dei veri
combattenti, mutilati e decorati di Guerra, ai quali spesso per mio personale
intervento si sono aperti i Fasci, portandovi una cospicua forza morale.
Concludendo la situazione nei riguardi del Fascismo è molto
migliorata in confronto al passato, e non credo di peccare di soverchio
ottimismo, se affermo che essa migliorerà ancora di più e più si chiarificherà.
Personalità cospicue di cui non si può mettere in dubbio
l’alto patriottismo e che hanno sempre combattuto palesemente il sovversivismo
mascherato da riformismo e da popolarismo, come l’On. La Lumia ex Deputato
assai molto stimato nella importante zona di Licata, e l’On. Parlapiano Vella,
altro ex Deputato, nella zona di Ribera e Bivona, hanno sinceramente aderito al
Fascismo.
Degli altri partiti anche in conseguenza dell’azione da me
svolta; il Socialista è ormai morto; il Riformista è ridotto ai minimi termini,
il popolare è in continua dissoluzione.
Gravi incidenti tra Fascisti, per l’urto di tendenze
diverse, in questa Provincia non sono mai avvenuti. Incidenti non gravi, sono
stati risolti tempestivamente, anche pel mio intervento diretto, senza
strascichi di ire e di odi.
La situazione, quindi, può dirsi veramente buona, specie se
si raffronta con quella di altre Provincie Siciliane. E diventerà migliore se
si potrà continuare nell’attuale indirizzo, se questo non verrà modificato per l’intervento,
per ora non necessario, di elementi che, per quanto autorevolissimi, non
sarebbero forse in grado di valutare, per la scarsa conoscenza di questo
ambiente, le condizioni specialissime di esso in rapporto ai partiti ed alle
persone. Unisco un prospetto riguardante i sindoli Comuni della Provincia.»
La relazione - un vero e proprio resoconto di un
propagandista del fascismo - è comunque perspicua per chiarezza, esaustività,
penetrazione dell’ambiente socio-politico. Il Reale doveva avere entrature
preferenziali a Roma - anche in ambito della direzione del P.F. - se può
accennare, in conclusione, alla eventualità - che poi si verificherà appieno -
della venuta ad Agrigento di “elementi autorevolissimi”. E saranno costoro a
cambiare il volto del fascismo agrigentino.
Frattanto, valga il prospetto del prefetto Reale, ai nostri
fini molto significativo perché stranamento vi è omesso totalmente il paese di
Racalmuto che in questa ricerca è il nostro oggetto di studio.
«Provincia di Girgenti
1°) - Comuni nei quali i Fasci hanno una posizione
dominante: (su un totale di 41)
Casteltermini - Siculiana - Porto Empedocle - Sciacca -
Caltabellotta - Santa Margherita - Sambuca - Menfi - Montevago - Calamonaci -
Campobello di Licata - Camastra - Ribera - Licata - Naro - Canicattì (n.° 16)
2°) -Comuni nei quali esistono dei Fasci, sui quali non è
ancora possibile fare sicuro assegnamento, ma la cui situazione migliora
giornalmente:
Cammarata - S. Giovanni Gemini - Castrofilippo - Grotte -
Bivona - S. Stefano Quisquina - Villafranca - Palma Montechiaro - Ravanusa -
Realmonte - Montallegro - Alessandria Rocca - Favara - Cattolica - S. Biagio
Platani - Raffadali (n.° 17: in effetti sono sedici: il dattilografo omise di
battere forse Racalmuto per mero errore. Se aggiungiamo questo paese torna il
totale di n. 41 centri dell’agrigentino, n. d.r.)
3°) - Comuni dove il Fascismo non ha ancora presa,
specialmente perché combattuto dalla mafia:
Comitini - Burgio - Lucca Sicula - Cianciana - S. Angelo -
Aragona A Lampedusa, data la grande distanza, e la difficoltà delle
comunicazioni marittime (una volta alla settimana) nulla si è potuto ancora
fare.
4°) - Girgenti - Situazione non buona, ma discreta, a motivo
della esistenza degli Stati Maggiori - attivissimi - dei partiti Riformista
(che fa capo all’On. La Loggia), Popolare (che fa capo al prosindaco Gr. Uff.
Sclafani e all’On. Fronda), e dei residui del partito Demo-Sociale (On. Pancamo
e Guarino). I primi due, specialmente difendono ostinatamente le proprie
posizioni.
Fra giorni si verificherà la crisi nell’Amministrazione
Comunale Popolare-Riformista.
Molto vi sarà da guadagnare pel Fascismo se il R.
Commissario che verrà prescelto saprà lavorare bene e risanare moralmente e
finaziariamente il Comune.»
Il prefetto Reale, alla fine dell’anno, diviene un vero e
proprio fiduciario del fascismo. Ecco, a dimostrazione, quanto scrive all’On.
Avv. Francesco Giunta - Segretario Generale del Partito Naz. Fascista - in data
11 dicembre 1923:
«Situazione del Fascismo nella Provincia di Girgenti
Ottemperando allo incarico da V.S. On. Affidatomi a Siracusa
di vigilare e seguire da vicino il Fascismo in questa Provincia, pregiomi
riferire quanto segue:
E’ continuata più attiva che mai la ingerenza del Grande
Uff. Sacerdote Sclafani, capo del
Partito Popolare nell’organizzazione del fascismo Provinciale.
Alla lettera originale a firma sac. Sclafani in data 25
ottobre, da me mostratale a Siracusa, con cui egli offriva l’incarico di
costituire un Fascio in Comitini (dove non era stato possibile finora la sua
costituzione trattandosi di un comune infestato dalla mafia) ad un tale Dr.
Bongiorno, congiunto di un capo della mafia locale, si sono aggiunti altri
gravi elementi.
E’ infatti in mio potere una dichiarazione del Maggiore Cav.
Orestano R. Commissario di Palma, con cui attesta che il Sac. Sclafani inviò
una lettera analoga al Sac. Zimmili per richiedere “il nome di persona fidata
al P.P. da far passare subito al Fascismo e da incaricare della ricostituzione
di quel Fascio”.
E’ pure in mio potere un rapporto del Colonnello Sindico, R.
Commissario di Raffadali, col quale mi informa che a costituire il fascio di
Joppolo “fu incaricato certo Onorio Sacco, alter ego del Sac. Camilleri, capo
del P.P. che egli dirige secondo gli intendimenti di Padre Sclafani”.
E non più tardi di ieri ho potuto constatare de visu perché
mi trovavo sul posto, un abboccamento tra il Sac. Sclafani e il Sindaco di
Porto Empedocle. Da informazioni certe mi risulta che lo Sclafani d’accordo col
detto Sindaco intende di riorganizzare quella Sezione Fascista, per asservirla
ai suoi fini.
E non posso passare sotto silenzio un episodio che non
conferì certo serietà all’azione del Fiduciario nella riorganizzazione del
Fascio di Sciacca.
Giova premettere che egli anziché seguire le direttive
opportunamente dategli da V.S. On., di “lasciare in disparte gli elementi dei
vecchi partiti” incaricò della costituzione del fascio di Sciacca, fra gli
altri l’avv. Giuseppe Imbornone di oltre 60 anni che mai era stato Fascista,
bensì era in quest’ultimo periodo, riformista tanto che aveva nello scorso anno
partecipato ad un banchetto in onore dell’On. La Loggia.
A prescindere dal fatto che l’Imbornone era stato candidato
politico bocciato per due volte, la sua scelta era inopportuna perché cognato e
suocero rispettivamente di Corrado Turano e vella Gaetano, l’uno detenuto nelle
Carceri di Sciacca, come capo di una vasta associazione a delinquere; l’altro
espluso dal Fascismo perché affiliato alla maffia consenziente il Fiduciario
Provinciale.
L’Avv. Calogero Guarino, capitano degli Arditi, decorato e
ferito, essendosi dimesso dalla
Commissione di reggenza per protestare contro l’infiltrazione popolare, voluta
dagli altri due membri riceveva da
Girgenti un telegramma a firma Dima con cui si accettavano le sue dimissioni, e
quasi simultaneamente ne riceveva un altro da Roma, a firma dello stesso Ing.
Dima che gli riconfermava lo incarico.
Tali provvedimenti contraddittorii, oggetto di salaci
commenti, valsero a dimostrare che a Girgenti qualcuno sostituisce il Dima, e
dà importanti disposizioni senza neanche interpellarlo. Inutile ripetere chi
possa essere questo qualcuno.
E così a Sciacca in luogo della Sezione sorta nel 1920
esiste ora un piccolo Fascio trucco composto prevalentemente di popolari.
A Menfi, altro centro dove i combattenti e i mutilati,
organizzati sin dal 1919, si erano trasfusi nel Fascismo, fu incaricato della
reggenza, insieme ad altre figure insignificanti, il Gr. Uff. Bivona, di 75
anni, il quale nelle elezioni del 1919 distribuì i voti di cui disponeva fra la
lista di Nitti e quella di Don Sturzo; nel 1921 li diede alla lista Verderame,
voti annullati dalla Giunta delle Elezioni per corruzione. Nel 1922, il Bivona
fu successivamente riformista (La Loggiano) e popolare (Sturziano). Ora è a
capo del Fascismo di Menfi, dove fece nominare Segretario Politico Berto
Ravedà, intimo congiunto del Segretario Provinciale del P.P. Sturziano Avv.
Molinari.
A Licata il Fiduciario Provinciale dopo avere tolto
l’incarico al signor Ettore Sapio amico e parente dell’On. Verderame lo affidò
ad una Commissione di Reggenza alla quale pure lo tolse per riaffidarlo al
Sapio.
Ciò, nel giro di pochi giorni, ha arrecato grave pregiudizio
al partito anche perché è notorio che l’Ing. Dima aveva chiesto al Generale
Starace, l’espulsione del Sapio per indegnità.
La Sezione Fascista di Licata è ora una succursale del partito riformista,
che, è bene si sappia, in questa Provincia fa causa comune coi popolari.
Analoghe repentine metamorfosi si verificarono a Bambuca di
Sicilia.
In taluni Comuni della Provincia, refrattari al Fascismo
perché completamente asserviti alla maffia (Cianciana - Burgio - Aragona -
Comitini - Favara) non era stato possibile - anche perché io mi ero opposto
risolutamente - costituire dei Fasci. In queste ultime settimane, all’unico
scopo di procurarsi segretari politici disposti a votare per la sua rielezione
il Fiduciario fece sorgere per incanto delle sezioni Fasciste, composte di
elementi apertamente devoti all’On. La Loggia, o al partito popolare.
Il Fiduciario Provinciale, sapendo della mia opposizione ad
un Fascismo così impuro ed equivoco, non mi avvertì neppure della costituzione
di questi Fasci.
Le elezioni compiute per la ricostituzione dei direttorii,
tranne che a Girgenti nella prima votazione durante la mia assenza, sono
procedute ordinate, senza dar luogo a incidenti o proteste. Specialmente la
seconda votazione a Girgenti si svolse calmissima.
I risultati finora furono i seguenti:
1°) A Girgenti riuscì la lista dei vecchi fascisti con
carattere di opposizione al Fiduciario Provinciale.
2°) A Canicattì riuscì una lista ostile al Fiduciario
Provinciale composta quasi tutta di ex Ufficiali combattenti e decorati con a
capo il valoroso Generale Gangitano più volte decorato al valore e ferito.
3°) A Porto Empedocle riuscì una lista degli elementi
uscenti, fascisti di vecchia data, contrarii al Fiduciario.
Vi furono anche elezioni in comuni di minore importanza:
Casteltermini, Bivona, Siculiana e Palma con risultati varî. In complesso però
si è creata una situazione artificiosa specie in queste ultime settimane per
effetto della sovrapposizione degli elementi popolari, riformisti, alla
gerarchia Fascista.
I maggiorenti demosociali si mantengono per lo più inattivi
nella incertezza dell’atteggiamento da assumere di Fronte al Governo Fascista.
Una organizzazione veramente forte e seria del Fascismo, ne potrebbe diminuire
di molto l’efficienza. Le Sezioni di vecchia data, in gran parte ostili al
Fiduciario Prov. Intendono affermarsi sul nome del predetto Generale Gangitano,
come Segretario Politico Provinciale, il quale ha sempre combattuto apertamente
la Democrazia Sociale. Per evitare questo pericolo si minacciano nuovi
scioglimenti da parte della Federazione Provinciale.
Per conto mio, ho ritenuto conveniente mantenermi del tutto
estraneo al movimento fascista di quest’ultima fase. E ho pur dato disposizioni
affinché i funzionari dipendenti si astenessero da qualsiasi ingerenza.
Tali direttive sono state rigorasamente osservate.
Date le circostanze di fatto sopra riferite e delle quali
potrei occorrendo dare la documentazione, ritengo di dover confermare la
proposta che ebbi l’onore di farLe a
Siracusa e cioé lo scioglimento della Federazione Provinciale, con la nomina di
una Commissione di Reggenza che proceda ad una rigorosa revisione delle Sezioni
ed il rinvio delle elezioni.
In linea subordinata ritengo che si debba negare il
riconoscimento alle Sezioni di Comitini, Favara, Cianciana, Burgio, Bivona,
Joppolo e Aragona.
Infine per la ricostituzione delel Sezioni di Licata,
Sciacca, Menfi e Sambuca, dove le condizioni sono favorevoli allo sviluppo di
un forte e sincero Fascismo, propongo che vengano rigorasamente seguite le
direttive opportunamente dalla S.V. On. Date coll’ordine del giorno emesso a
Siracisa, affidandone la riorganizzazione a elementi estranei all’ambiente, e
non asserviti ai vecchi partiti locali.»
La peculiarità di Agrigento di un fiduciario a capo della
federazione fascista provincila si trascinò sino al 26 gennaio 1924. Sotto tale
data venne incaricata di regge il fascismo agrigentino una Commissione
Straordinaria, come aveva proposto il prefetto Reale in via principale. Tale
Commissione si resse sino al 17 aprile 1924, quando venne eletto tal Girolamo
Galatioto, che durò sino al 4 aprile 1925. Dopo abbiamo un certo Paladino
Raffaele, che a diverso titolo, fu capo del fascismo agrigentino sino al 13
settembre 1925. Quindi è il tempo del celeberrimo Achille Starace che fu
commissario straordinario del federazione di Agrigento dal 13 settembre 1925 al
17 maggio 1926. Il 17 maggio 1926 subentra l’On. Angelo Abisso: esso è il
federale di Agrigento sino al 29 dicembre 1927.
Questi sono i suoi successori:
1. D’Andrea Calogero
dal 29 dic. 1929 sino al 14 gennaio 1931;
2. Basile Carlo
Emanuele dal 14 genn. 1931 al 17 aprile 1931 (Commissario Straordinario);
3. Morello Vincenzo
dal 17 aprile 1931 all’ 11 giugno1932;
4. Puccetti Corrado
dall’11 giugno 1932 al 6 febbraio 1933;
5. Gaetani Alfonso
dal 6 febbraio 1933 al 1° aprile 1937;
6. Guggino Emerico
dal 1° aprile 1937 al 4 aprile 1940;
7. Di Marsciano
Ermanno dal 4 aprile 1940 al 3 maggio 1943;
Candrilli Manlio dal 13 maggio 1943 sino all’entrata degli
americani. ([12])
Ufficialmente, la Federazione fu costituita il 15 novembre
1922. I personaggi che si sono succeduti alla sua guida non sono tutti di
grosso risalto. Alcuni dati biografici aiutano a comprendere l’altalenare di
personalità a vario spessore che si registra nella direzione del fascismo
agrigentino.
Dima Narciso
Laurea in ingegneria - assicuratore. Iscritto ai fasci sin
dal 1919. Fiduciario della Federazione dal 15 novembre 1922. Agente generale
dell’INA per Girgenti.
Galatioto Gerolamo
nato a Ravanusa (Ag.) il 10 agosto 1894. Partecipò alla guerra
del 1915-18 con il grado di tenente di fanteria. Ebbe due medaglie di bronzo.
Paladino Raffaele
nato a Floridia (Sr) il 10 gennaio 1884. Laurea in lettere,
insegnante. Figlio di Esattore Comunale. Socialista rivoluzionario;
interventista; nazionalista. Iscritto al Fascio nel 1920. Espulso dal PNF nel
marzo 1926 «quale elemento disgregatore», fu riammesso nel maggio successivo.
Non aderì alla RSI.
Starace Achille
«”Buttatelo giù per le scale”, fu l’urlo di Mussolini che
scacciava definitivamente Starace dal’anticamera della Sala del Mappamondo a
Palazzo Venezia. Il “duce” lo aveva privato di ogni carica e di ogni onore in
breve tempo. Nel ‘39 Starace dovette dimettersi da segretario del partito
fascista e nel ‘41 da capo di stato maggiore della milizia: la sua stella era
tramontata per sempre. Cominciarono per lui gli anni delle umiliazioni e della
misera che non ebbero più termine fino al giorno della sua esecuzione in
Piazzale Loreto a Milano, il 29 aprile 1945.» [13]
«La sua vicenda personale non si chiude in se stessa, maè il
riverbero di un costume che andava mutando, la sua biografia è anche il
racconto della vita esemplare d’un gerarca fascista assai potente, di una sacra
autorità del Ventennio. E’ uno specchio in cui si riflettevano gli italiani del
Littorio irreggimentati in una coreografia alienante di cui Starace era regista
discusso e irriso ma ubbidito.
«La condanna del fascismo è nelle cose di tutti i giorni e
negli eventi della storia. Rovesci e sciagure furono addebitati al regista,
come conseguenza d’un’apparente organizzazione del partito che non poteva
reggere alla prova del fuoco. Di lui si fece un capro espiatorio. Misero tutto
sul suo conto. Lo distrussero, e forse lo meritava. Mussolini lo scacciò, e
forse aveva buone ragioni per farlo. L’ingranaggio ormai lo stritolava e
nessuno poteva riabilitarlo. Cercò di risollevarsi da solo, con una morte
dignitosa davanti al plotone d’esecuzione.» ([14])
Nel “carteggio riservato” della Segreteria particolare del
Duce, custodito nell’Archivio Centrale dello Stato di Roma, ben tre voluminosi
fascicoli riservati ([15]) sono destinati allo Starace. Vi è di tutto.
Mussolini lo seguiva in tuttto. Dalle cose pruriginose (pederastia, tradimenti
tra fratelli, orge) a quelle invereconde (le celebri avventure galanti) ai
latrocinii, alle concussioni. La parentesi agrigentina di Starace vi emerge per
gli aspetti più inquietanti: la sua amicizia con Abisso fu molto interessata.
Non è provato, ma niente smentisce la miserevole vicenda dei tanti soldi
spillati all’on. La Lumia di Licata dietro promessa di una resurrezione
politica.
Un anonimo faceva al “duce” in data 28/5/1932 questa
delazione ([16])
«A S.E. Benito Mussolini - Ministro degli Interni, Roma - Dopo
un lavoro faticoso e pericoloso di spionaggio, ho potuto appurare i dati di
fatto che vengo ad esporVi, nell’interesse generale del Fascismo e particolare
della Provincia di Agrigento.
«Da parecchi anni l’On.le La Lomia, politicamente di Licata,
corrisponde la somma di lire cincquantamila annue all’On.le Starace.- Detti
pagamenti, che ad oggi ammontano a £. 350.000 sono stati fatti direttamente con
vaglia bancari girati dallo stesso all’attuale Segretario del Partito, oppure a
mezzo del Senatore Abisso, difensore della delinquenza siciliana. Per detta
somma l’On. Starace, fin dalla sua gestione commissariale nella provincia di
Agrigento, si è impegnato di difendere l’associazione Abisso-La Lomia fino alle
estreme conseguenze. In conseguenza di questo fatto l’On. Starace ha inviato
come Questore di Agrigento il Comm. Papa, che appena arrivato in sede si è
premurato di chiamare al telefono il Comm. Lo Dico, ex Preside della Provincia
di Agrigento, al quale comunicava un discorso cifrato, in seguito al quale,
dopo pochi giorni, avveniva nei pressi di Porto Empedocle .. nel villino campestre del detto Lo Dico ,
una riunione segreta alla quale partecipavano, il Questore, Lo Dico, il
senatore Abisso, il dott. Di Leo Calogero sanitario del comune di Sciacca e
fratello del Segretario Federale Agrigentino in pectore, il dottore Venezia medico chirurgo dentista
di Sciacca, fervente propagandista
repubblicano, l’nsegnante Castellana
Alfonso di Lucca Sicula, il cav. Liborio Friscia di Ribera, il Capo Manipolo
Friscia Gaetano di Ribera, il Marturana Salvatore di Agrigento, alcuni
rappresentanti dell’On.le La Lomia ed altri Abissiani della Provincia.
«Scopo della riunione fu di impartire disposizioni perché
fosse fatto molto rumore in Provincia per la promessa dell’On. Starace del
rovesciamento imminente della situazione politica provinciale.
«In seguito a tale riunione infatti in vari paesi della
Provincia furono sguinzagliati degli agenti provocatori che tentarono
dappertutto di sollevare incidenti. A prova della veridicità della promessa
dell’On. Starace in quella riunione l’On.le Abisso riferì per comunicazione
avuta dall’On. Starace che il ritardo del provvedimento di rovesciamento si doveva
al fatto che presso la magistratura di Sciacca giaceva una pratica per la
riesumazione di un processo di associazione a delinquere per stabilire se il
padre del futuro Segretario Federale di Agrigento fosse stato a suo tempo
coinvolto in detta associazione. Al che il Questore Papa prese la parola
assicurando ‘in ogni caso la Segreteria Federale sarà data a persona che pur
sembrando neutrale tuttavia sarà al completo servizio del Senatore Abisso’».
Nella permanenza ad Agrigento, l’On. Starace ebbe modo di
incontrarsi con due uomini politici: l’on. Abisso e l’on. Cucco; del primo ne
consolidò la fortuna, del secondo ne stabilì l’umiliante radiazione dai ranghi
(almeno sino al 1939). La lotta alla mafia non c’entra affatto. Diversamente la
sorte dei due politici siciliani doveva esse parallella, identica essendo la
radice mafiosa.
L’on. Abisso fu tanto camerata dell’On. Starace da seguirlo
in scandalose frequentazioni di donnine romane. Le spie di Mussolini
riferivano. Ma senza effetto.
Abisso Angelo
E’ figura centrale dell’agone politico agrigentino, almeno
dal 1913 sino al 1933 quando il nobile Gaetani diviene federale di Agrigento.
Equilibrismi polticici, repentine conversioni, tradimenti, trasformismo
determinano un effetto alone sul personaggio, che resta equicoco, indefinibile,
moralmente opaco. Ciò trascende l’angusta economia di questa ricerca per il
doveroso approfondimento.
Al nutrito partito di fiancheggiatori - sprezzantemente
chiamati abissisiani - si contrappone quello dei denigratori ad oltranza. Nelle
carte di archivio abbondano le denunzie, le calunnie, le insinuazioni. L’on.
Abisso finisce nell’osservatorio della Segreteria particolare del Duce che apre
a suo carico un folto fascicolo informativo. ([17]) Il potente amico Starace
riesce, in ogni caso, a parare i fulmini mussoliniani. La stella politica di
Abisso potè appannarsi alla fine, ma non si oscurò per tutta la durata del
fascismo.
D’Andrea Calogero
Nato a Campobello di Licata (Ag) il 30 maggio 1877, si laureò
in giurisprudenza. Fu avvocato ed insegnante. Partecipò alla guerra del 1915-18
col grado di capitano, poi maggiore di fanteria. Iscrittosi al fascio il 20
novembre 1922, fu preside dell’Istituto Tecnico di Agrigento. Rivestì anche la
carica di Vice Preside dell’Amministrazione Provinciale di Agrigento. Non aderì
alla R.S.I.
Basile Carlo Emanuele
nato a Milano il 21 ottobre 1885, morì a Stresa il 1°
novembre 1972. Barone plurilaureato (giurisprudenza e lettere), giornalista e
scrittore, era figlio di un prefetto. Fu nominato senatore. E’ autore di romazi
e novelle. Aderì alla R.S.I. e fu quindi prefetto di Genova dal 25 ottobre 1943
al 26 giugno 1944. Ebbe l’incarico di sottosegretario alle FF.AA dal 27 giugno
1944. Venne ad Agrigento come commissario straordinario di questa federazione
per consentire una svolta in termini di affrancamento dalla influenza dell’On.
Abisso. Vi restò dal 14 gennaio 1931 fino al 17 aprile 1931. Passò le consegne
alla scialba figura di Vincenzo Morello di cui sappiamo che fu fascista fin dal
1920. L’11 giugno 1932 viene sostituito da Corrado Puccetti: da questo momento
la vicenda della federazione agrigentina esula dai limiti della presente
investigazione storica.
Quale giudizio può formularsi sul primo quindicennio del
fascismo agrigentino (1921-1926)? Ci pare illuminante, pur nel suo settarismo e
nella passionalità per il ribollire delle passioni del tempo, la sguente
anonima delazione che si rinviene nella carte ministeriali romane ([18]):
«La storia politica della provincia di Girgenti, [Girgenti
cambia denominazione in Agrigento durante il fascismo, nel 1927, con il r.d. 16
giugno 1927, n.° 1143, n.d.r.] specie nell’ultimo quindicennio, rappresenta
quanto di più deplorevole possa esservi nella vita pubblica italiana. Sparitò
l’on. Nicolò Gallo, che dal 1884 ne fu quasi ininterrottamente il dominatore,
il suo posto venne assunto dall’on. Domenico De Michele. Costui, ch’era stato
del Gallo il luogotenente fedele non aveva di lui né l’ingegno né la dottrina
né l’ascendente, ma seppe mantenersi al potere col favore di S.E. Giolitti, del
quale fu seguace fedelissimo, e creando attorno a sé una rete di interessi e di
interessati. Contro questa oligarchia, bollata col nome di cosca, insorsero le
forze nuove della Provincia ch’ebbero come principale loro esponente Giovanni
Guarino Amella. Sono ancora ricordate le polemiche, spesso virulente,
dell’organo dell’opposizione “IL MOSCONE”, nel quale al De Michele ed ai suoi seguaci
si fecero le accuse più atroci e più infamanti.
«In tali consizioni di cose venne l’allargamento del
suffragio e vennero le elezioni del 1913, nelle quali le forze dell’opposizione
riuscirono vittoriose e furono eletti deputati Giovanni Grarino Amella,
Antonino Parlapiano Vella e Angelo Abisso. Costui, fino a pochi mesi prima
semplice segratario al Ministero dei LL. PP., aveva compreso l’enorme
capovolgimento che il suffragio universale avrebbe prodotto nelle imminenti
elezioni e , dimessosi, si era lanciato a capofitto nella lotta, aggregandosi
alle file dell’opposizione, ma proclamandosi “individualista e simpatizzante
per i socialisti (discorso politico del 1913 a casa Gerardi)”
«Ma l’opposizione, divenuta maggioranza ed impadronitasi del
potere politico ed amministrativo in provincia, non credette di meglio che di
.... seguire i metodi dei precedenti padroni, anzi di perfezionare e
incrementare tali metodi. Il nepotismo più sfacciato, il favoritismo più aperto
furono regola di vita per essa, e poichédopo pochissimo tempo scoppiava la
guerra, se ne trasse motivo per inaugurare in provincia il più sconfinato
dispotismo. Messo da parte l’on. Antonino Parlapiano, che per temperamento e
per tradizione non era adatto a seguire in tutto e per tutto i metodi della
nuova cricca, questa s’imperniò sul binomio Guarino-Abisso, i quali durante la
guerra furono i dominatori incontrastati di tutti gli organi amministrativi,
statali e parastatali della provincia. Non solo l’amministrazione provinciale propriamente
detta e quella dei varii comuni passò nelle loro mani ed in quelle delle loro
creature; non solo per avere più incontrastato dominiol’on. Abisso ad es. Tenne
a Sciacca, malgrado il Consiglio comunale - pu da lui eletto - non fosse
sciolto, un Commissario prefettizio di sua scelta per ben 5 anni; ma Consorzio
granario, Commissione esoneri, Consiglio d’amministrazione del Banco di Sicilia
etc. etc. Commissioni militari di requisizione furono accentrati nelle loro
mani direttamente o a mezzo di persone parenti od amiche. Quello che fu fatto
al Consorzio granario, gli scandali delle varie Commissioni di requisizione,
nelle quali era magna pars il comm. Lo Dico odierno alter ego dell’on. Abisso
in quel di Girgenti, non hanno bisogno di illustrazione, perché ancora se ne
occupano le cronache dei tribunali con i varii processi, ancora non chiusi, di
truffe, falsi e malversazioni a carico dello Stato, commesse tutte sotto le
grandi ali dei due grandi patroni della provincia. E mentre i due facevano a
Roma professione d’interventismo, e l’on. Abisso indossava la divisa di tenente
del genio ma, sebbene appena trentenne, non andava al fronte pur facendosi
bello dell’amicizia di Valentino Coda (dove mai l’ebbe a conoscere resta sempre
un mistero!); a Girgenti e Palermo si cooperavani per imboscare il maggior
numero di gente, fratelli, cognati e cugini; per esonerare come agricoltori
barbieri e murifabbri, e per difendere avanti ai tribunali militari il maggior
numero di disertori o di falsificatori di esoneri. La cronaca del tribunale
militare di Palermo informi. Si cominciava così da parte dell’on. Abisso a
creare quella leggenda d’irresistibile avvocato penalista, che, stabilitosi
pieno ed intero il suo dominio politico, gli doveva assicurare il monopolio
delle Assisie di Sciacca e Girgenti e la fama di “detentore delle chiavi del
carcere”.
Appartiene a questo periodo la persecuzione inflitta
dall’on. Abisso, attraverso a tre inchieste tutte quante negative, ad un
capitano - Gravina - reo di aver preso in contravvenzione lo zio di lui Friscia
per vendita illecita di grano requisito; contravvenzione sfumata per il
tempestivo intervento del Commissario dei Consumi che svincolava “a posteriori”
il grano venduto. Ed appartengono a questo periodo i contorcimenti politici
dell’Abisso e la smargiassata della “messa in stato di accusa dell’on. Giolitti
per altro tradimento” da lui chiesta a S.E. Salandra e da questi qualificata
come una semplice “sciocchezza” del deputato di Sciacca. Ciò che però non
impediva, all’on. Abisso, al feroce interventista del ‘15, di divenire, appena
Giolitti tornò al potere, di divenire un giolittiano ferventissimo, anzi il
luogotenente generale dell’uomo di Dronero in quelle famigerate elezioni del
1921, e di chiedere e di ottenere da lui, alla vigilia dell’elezioni istesse,
la nomina a commendatore motu proprio, affissa poi subito alle cantonate di Sciacca e provincia
col relativo telegramma di S.E. Giolitti.
«Venne il dopoguerra e venne di moda il bolscevismo. Ed
allora Guarino ed Abisso, ma questi più del primo, entrambi però sempre in
combutta tra di loro, provvidero a dare alla provincia di Girgenti il saggio
migliore e maggiore del’opera bolscevica.
Le occupazioni delle terre di Ribera e Menfi, ma sopratutto quelle di
Ribera, col tentato sequestro del Duca di Bivona e con i vandalismi
conseguenziali, furono opera diretta, ispirata, suggerita e talvolta
predisposta dall’on. Abisso. Il quale arrivò persino ad ottenere che l’autorità
politica impedisse l’esecuzione delle sentenze del magistrato (come per il
rilascio del feudo Scifitelli disposto con sentenza della Corte di appello, ed
impedito dal Prefetto di Girgenti!). Né si dica che ciò egli abbia fatto per
venire in soccorso ai combattenti, perché di tali occupazioni poco o nulla si
sono giovati gli autentici combattenti e le terre, quando non sono state
retrocesse ai proprietari per inadempienza delle pseude cooperative da lui
create, sono andate a finire in mano a gente che la guerra non vide neanche da
lontano. Esempio la lottizzazione dell’ex feudo Nadore in quel di Sciacca,
dell’ex feudo Fiore e Bertolino di Menfi; e, uno per tutti, l’esperienza
disastrosa della celebre Cesare Battisti di Ribera.
Intanto alla Camera il binomio, per sorreggersi, seguiva una
linea di condotta veramente meravigliosa. Data l’instabilità dei governi, i
due, per trovarsi a cavallo, non votavano assieme se non quando l’esito della
votazione era sicuro; ma quando si trattava di votazione incerta i due
demo-sociali (giacché Abisso aveva finito per rinunciare al suo individualismo
e seguire l’amico Guarino anche nel partito di S.E. Di Cesarò) o si dividevano
votando uno contra ed uno a favore, oppure, mentre l’uno si squagliava, l’altro
votava a favore. Così i due poterono rimanere ministeriali con tutti i
ministeri ed essere fautori e sostenitori di quei Governi imbelli del passato,
contro di cui così spesso e volentieri, con riconoscenza ammirevole, ora si
scaglia ogni tanto il fascista on. Abisso. Il quale una sola volta dovette
passare per oppositore, quando cioè l’on. Nitti, accortosi ch’egli erasi
prudentemente squagliato in una votazione non volle accettare le
congratulazioni che s’era affrettato a fargli dopo conosciuto l’esito
favorevole del voto! E ministeriali furono persino col ministero Fatta [Facta,
n.d.r.] del quale uno dei due avrebbe volentieri fatto parte se i popolari non
si fossero opposti facendo a loro preferire il La Loggia.
«Intanto il movimento fascista andava montando, e lo Abisso,
sempre tempista e previdente, disponeva che nei varii comuni della provincia
sorgessero delle sezioni fasciste composte da persone a sé fide, ma di seconda
mano; gente di scarto e sfiduciata al doppio scopo d’impedire che la gente per
bene potesse accostarsi e far proprio il movimento e di poterlo sconfessare, e
buttare a mare gli esponenti stessi senza sua compromissione, ove il movimento
fosse fallito. Né appena avvenuta la marcia su Roma egli permise che quelle
sezioni s’ingrossassero sia con elementi
proprii, sia permettendo l’ingresso di altri elementi estranei alla cricca, non
essendo sicuro che il regime potesse consolidarsi. Ma quando capì che esso
ormai durava, allora fece il gran passo, si separò dal Guarino ed entrò nel
fascismo con tutti i suoi adepti.
«Da quel giorno è stata sua cura costante non solo di
sfruttare nel modo migliore, a vantaggio proprio dei parenti e dei gregari, la
sua posizione dominante; ma sopratutto quella di allontanare dal fascismo tutti
coloro che gli potessero dare ombra costringendo l’elemento migliore della
provincia o a fare del dissidentismo o a starsene a casa o a passare
addirittura all’antifascismo. Del resto non potrebbe essere diversamente.
Infatti in provincia il fascismo non esiste, come del resto non esiste
antifascismo: non c’è che dell’abissinismo e dell’antiabissinismo. Anche coloro
che odiano il fascio possono esservi ammessi purché passino sotto le forche
caudine dell’omaggio e dedizione ad Abisso ed ai suoi luogotenenti. Di esempii
se ne possono citare a migliaia, ma noi citeremo i più gravi ed importanti.
«Sciolto il Consiglio comunale di S. Stefano Quisquina,
poiché i veri fascisti di colà non erano da lui benvisti, egli volle che il
Fascio fosse rappresentato dai sigg. Vincenzo Ippolito e Con osservanza., cioè
dagli autentici maffiosi del luogo. E costoro ebbero l’amministrazione comunale
e furono i padroni del paese finché, passati sinceramente o no poco importa, al
fascismo i socialisti del luogo e denunciato in alto loco i precedenti degli
amministratori scelti dallo Abisso, costui fu costretto di abbandonarli al loro
destino.
«Così in Alessandria della Rocca non ha esitato a silurare i
vecchi fascisti del luogo, rei di poca arrendevolezza a lui, per accogliere e
mettere al loro posto un suo ex-compagno demo-sociale reduce dal comitato
aventiniano-matteottiano di Girgenti.
«Né basta. Abbattuto il La Loggia egli non ha esitato a fare
rivolgere invito ai partigiani di quello perché passassero nelle sue file, e
bastò che il dott. Traina di S. Margherita, anifascista nell’anima, si ponesse
a sua personale discrezione, perché egli senz’altro gli lasciasse il dominio
del paese abbandonando i suoi vecchi compagni, che rappresentano il minor
numero.
«Quello però che dimostra viemmeglio quale sia lo spirito
che anima lo Abisso, è dimostrato dal suo accordo col’ora defunto on. De
Michele. Costui, dopo la caduta, era passato nelle file del La Loggia di cui fu
fino ad ieri il seguace più ostinato, anche perché i Baiamonte suoi oppositori
nel paese natìo di Burgio erano passati al fascismo.
«Caduto il La Loggia, il De Michele fece degli approcci per
passare al fascismo, e poiché i Baiamonte avevano mostrato di avere delle
preferenze per il prof. Noto Sardegna, inviso allo Abisso perché a lui
superiore per intelligenza, cultura e ... tutt’altro, questi non esitò a
dimenticare il passato e ad ammettere il De Michele nel direttorio provinciale
dietro promessa di appoggiare, contro Noto, certo Ciaccio un vero Carneade di
Sambuca, come possibile candidato del Collegio di Bivona. Ed i Baiamonte furono
cacciati in galera!
«Del resto che lo Abisso faccia del fascismo a suo uso e
consumo lo dimostra un fatto per quanto piccolo e materiale: a Sciacca, sua
cittadella, si sono spese dal Comune fior di quattrini per creare un lussuoso
circolo ANGELO ABISSO, che tutti i fascisti, sopratutto se impiegati, debbono
frequentare; mentre per la Sezione del Fascio esiste una stanzetta angusta che
sta quasi sempre serrata.
«Non parliamo poi dei criteri amministrativi seguiti al
Comune di Sciacca. Due Consigli comunali, sebbene da lui eletti e composti
tutti suoi gregari, si sono dovuti dimettere rei soltanto di aver voluto
qualche volta ribellarsi agli ordini dello zio Salvatore Friscia, un
ex-rappresentante che ha monopolizzato, durante la guerra attraverso al
monopolio dei permessi d’esportazione, ed oggi attraverso altri sistemi, il
commercio locale, e che crede il Comune essere cosa sua personale. Ed oggi si
propone come podestà un impiegato di prefettura, mentre non mancano nel partito
gente idonea alla carica, per il timore, confessato, che queste possano avere,
dopo nominate, delle velleità d’indipendenza agli ordini delll Abisso e del suo
luogotenente!
«Del resto lo stesso sistema si segue negli altri comuni. A
Menfi alter ego dell’Abisso, è certo Volpe, un contadino semi analfabeta, ma
esecutore fedelissimo degli ordini ch’egli gli dà e suo rappresentante ...
anche negli affari professionali; a Girgenti domina incontrastato in suo nome
il Comm. Lo Dico, reduce dei fasti delle Commissioni di requisizione, e che pur
essendo un semplice procuratore legale NON laureato, divide con lo Abisso i
maggiori trionfi in Corte d’Assisie.
«Perché poi la piaga maggiore che il dominio di quest’uomo
ha portato in provincia, è la difesa assunta della peggiore delinquenza,
l’esautoramento completo della giustizia. [...] [Anonimo del 14.10.1926,
n.d.r.]»
Lo spaccato è senza dubbio tutto in negativo e va accettato
per quel che vale: ma qualche luce la riverbera sul quel periodo. Uno dei suoi
limiti più vistosi è quello di limitare lo sguardo critico alla sola parte
occidentale di Agrigento. Per la restante parte disponiamo di altre carte
riservate, anonime ma informate, che ben si prestano a fornirci altri spunti
critici.
L’anonimo proviene da Naro ed è datato: 15 settembre
1931. Qui viene presa di mira la fazione
dell’On. Riolo.
«Eccellenza - esordisce ([19]) - In nome di sedicimila
coscienze, ancora non vendute né aggiogate al carro del banditismo locale, si
ha l’onore di farVi conoscere quanto segue:
«La Sezione del P.N.F. venne istituita in Naro nel Novembre
del 1922 da pochi giovani animosi, di pura fede nostra, i quali per riuscire
SOLAMENTE AD ACCAMPARSI tra le rive di questa mefitica palude politica
dovettero sfidare tutte le ire e scavalcare tutti gli ostacoli, opposti al loro
sano e santo entusiasmo dagli altri Partiti locali, in modo specialissimo da
quella vera associazione a delinquere che fu il così detto partito della
democrazia social massonica.
«L’avvento del Fascismo al potere avrebbe dovuto segnare la
scomparsa di quella più vera e maggiore piaga di Egitto, ma le prepotenze, le
intimidazioni, le corruzioni, l’intrigo fecero sì che la “COSCA” provinciale
(facente capo allora all’on. Abisso, capo riconosciuto di tutta la mala vita
urbana e rurale) si mantenesse a galla e così nella prima elezione politica fascista
(1924) l’avv. Salvatore Riolo Specchi venne compreso, tra lo stupore e la
indignazione di tutti, nella lista Nazionale.
«Conseguenze dirette della candidatura e quindi della
elezione di questo oscuro satellite abissino furono:
1°) = L’ingresso di tutti i demo social massonici nella
sezione del Partito Fascista di Naro;
2°) = La caduta del direttorio locale e la sostituzione di
tutti i membri di questo, per imposizione del Deputato, con elementi di pura
marca Riolana;
3°) = L’automatico allontanamento dalle cariche e anche
dalle fila del Partito dei fascisti della prima ora.
«Da quel giorno sino ad oggi tutto l’immenso ritmo fecondo
di idee e di opere del regime è stato costretto a vivacchiare, in servitù
sterile e semi-boccaccesca, tra una parete e l’altra dell’allegra dimora della
signora TITA RINALDI RIOLO la quale ha voluto dividere col marito,
assiduamente, l’onere e l’onore di governare le sorti e la storia nuove del
paese, ad esclusivo beneficio della sua famiglia naturale e politica. Da allora
sino ad oggi, senza uno scarto, senza rossori, con la medesima flemma vuota e
sorniona, tutte le cariche del Partito, distribuite patriotticamente in
famiglia sono sate occupate nel modo seguente:
AVV. COMM. SALVATORE RIOLO SPECCHI - Classe 1876
Deputato alla Camera. Capo, di nome se non di fatto del P.
Fascista locale. Ex imboscato e protettore di imboscati ed autolesionisti.
Presidente del Consorzio granario durante la guerra, a Girgenti. Capo della
massoneria paesana e gran fratello di quella provinciale. Attualmente, si dice,
è dormiente. Venne incluso nella lista Nazionale con questa esilarante
menzogna: “PER ESSERSI COSTANTEMENTE OCCUPATO DEI PROBLEMI DELL’AGRICOLTURA” =
mentre qui è notorio che egli di agricoltura non conosce neppure l’ortica. Tipo
vano e vuoto ma ambiziosissimo sarebbe capace, pur di conservare la
medaglietta, di accodarsi anche a Don Sturzo, com’ebbe un giorno cinicamente a
dichiarare nella farmacia Bellomo: per sincerarsi chiedere informazioni a
costui e ad un reverendo Polizzi, se questi due individui sono disposti a
servire la verità. Espertissimo nell’intrigo e nelle pastette sa conciliare le
opposte tendenze e le sfrenate ingordigie di parenti, di amici e di protetti,
da sette anni tutti patriotticamente a posto con stipendi da generalissimi chi
in Naro chi nel Capoluogo.
«Nel breve giro di tre anni fece regalare a questo povero
Municipio la bellezza di VENTIDUE Commissari.
«Nel 1919, 20 e 21, imperversando il terrore rosso non mise
mai il naso fuori né permise che l’avessero messo fuori i trenta satelliti
della sua fortuna, lietissimi di poterlo imitare in questa bisogna col medesimo
entusiasmo col quale lo avevano imitato e talvolta superato in viltà durante la
guerra.
«Nel 1922 tradì e strozzo l’amministrazione comunale dei
combattenti dei quali, fin dal 1925, perseguita con ogni mezzo, compresa la
maldicenza in pubblico, la locale sezione.
«Dal 1925 sino al dicembre 1930 assassinò politicamente,
moralmente, finanziariamente il Podestà Cammilleri Sillitti prima e costrinse
dopo a dimettersi da Commissario Prefettizio, successo ad un povero Re
Travicello, il proprio cugino Comm. Totò Riolo Tomasi, reo dinanzi al pubblico
d’essere un povero idiota, sebbene onesto e fattivo come il Cammilleri
Sillitti. Lui che sa appena leggere e scrivere, ha anche l’incarico di
Sovrintendente ai Monumenti di Naro, ma i rari illustri visitatori che capitano
qui sono costretti a chiedersi esterrefatti
se Naro è in Italia o non, tali e tante sono le prove materiali delle
rapine, delle manomissioni, della incuria che hanno sofferto e continuano a
soffrire tutti i monumenti e le reliquie del nostro splendore antico.
«E fianlmente, tanto per conchiudere alla svelta si fa noto
che non sapendo fare altro, da sette anni ha sfruttato tutto il suo genio nel
far conferire croci e commende ad individui i quali rappresentano in Naro o
fuori il fiore della feccia, della incapacità, dell’strionismo,
dell’antipatriottismo e segnatamente dell’ANTIFASCISMO, come si verrà mano a
mano dimostrando. [Si butta quindi fango sulle seguenti persone: Avv. Ignazio
Riolo, classe 1887; avv. Giuseppe Riolo, classe 189; avv. Carlo Riolo, classe
1892; Comm. Salvatore Riolo Tomasi; Girolamo Rinaldi, classe 1889; Ciro
Rinaldi, classe 1887; Luigi Rinaldi, classe 1885; Rosario Specchi-Rinaldi; Cav.
Uff. Antonio Castelli, classe 1874; Cav. Antonio Castelli; Antonio Gueli
Alletti, classe 1873; Alfonso Borsellino, classe 1884; Antonino Costa di anni
37; Cav. Onofrio Nicolaci, commissario
di P.S.- Il corrosivo astio e la vigliaccheria dell’anonimato rendono quelle
note ributtanti e - ai nostri fini - per nulla significative. Ci asteniamo
pertanto dal riportarle, n.d.r.] [...]
« Eccellenza - Sono
due anni giusti che noi meditiamo se valeva proprio la pena di stendere le
paginette di questa deplorevole storia locale, tutt’altro che completa
specialemnte nei riguardi dei maggiori esponenti del P.N.F. di qui i quali, se
hanno la tessera e tutti gli onori del Partito, assolutamente non ne possiedono
lo spirito e meno ne incarnano il dovere e la pericolosa e miracolosa missione.
«A Naro, Eccellenza, il Fascismo è un mito e il feudo è
tutto. La conseguenza, disastrosa, è la seguente:
contro una banda di senzapatria, composta tra ladroni e
lacchè, da un centinaio d’individui c’è tutta intera una cittadinanza la quale
vuole da sette anni e spera indarno che la luce di verità, la febbre di bene,
la protezione augusta del regime, divengano una realtà viva e feconda anche per
essa; oggi, nel momento in cui scriviamo, è il collasso generale con brevissime
parentesi d’insurrezione spirituale sorda e furiosa, di cui qualche cosa devono
pur sapere nel capoluogo. Arriveranno queste povere pagine fino al Tribunale
dell’E.V.? E se arriveranno avrete Voi il tempo e la bontà di degnarle di uno
sguardo?
«Ecco degli interrogativi che spezzano l’anima e, perché
no?, anche l’entusiasmo.
«Ma se Voi non potete e non volete leggere la storia del falso
Fascismo riolano di naro, degnateVi almeno dedicare cinque soli minuti a queste
ultime pagine il cui contenuto dedichiamo alla Vostra serena Giustizia.
1
«A Naro esiste una banca dal pomposo titolo “BANCA
COMMERCIALE INDUSTRIALE AGRICOLA”. Ne è Presidente il Comm. Benedetto Gaetani,
COGNATO DELL’ON. RIOLO, ex massone, falso fascista anch’egli, falso patriotta e
nullità assoluta sotto qualsiasi punto di vista. Gran parte dei debitori di
quella Banca sono tutti della banda Riolo parecchi dei quali sono anche
debitori morosi da anni. Da circa 20 anni questa Banca non fa bilancio e non dà
conto a nessuno dei suoi numerosi azionisti.
«Di questi non parla e non ricorre nessuno perché sta sempre
pronta per chi osa la minaccia delle
manette e del confino.
2
«A Naro esiste una Congregazione della Carità. Anche questo
Istituto, per quanto concerne la sua attività, sino al 30 maggio 1928, è un
groviglio di infamie irregolarità e di ladrerie. L’ex cassiere, un certo Costa
Gaetano, padre del perito Comunale Antonino Costa (del quale ci occuperemo
all’ultimo) deve dare una grossa somma CIRCA LIRE SEDICIMILA e non vuole
sentirne. Per informazioni sottoporre ad inchiesta l’attuale Presidente dott.
Salvatore Aronica e se questi non vuole parlare metterlo a confronto per
esempio con qualche magistrato locale, con un Sac, Polizzi, con un farmacista
Ferracani ecc.
3
«A Camastra (ora frazione di Naro) tre anni addietro veniva
costruita la strada interna principale. Questa è costata centinaia di migliaia
di lire ma è divenuta praticamente impraticabile come la famosa pedonale di
Naro. C’è stata in questi ultimi tempi e proprio per la strada una sollevazione
dei cittadini di quella sventuratissima borgata, ben presto domata con minacce
di deportazione e di altro contro i più cospicui capi di quel movimento,
volutamente presentato come antifascista (il solito argomento dei tirannelli
che vogliono godere in pace il frutto delle pubbliche rapine).
«Autore e direttore tecnico di quell’opera è stato
precisamente il perito comunale di Naro ing. Antonino Costa, Il collaudo è
avvenuto di sera e dopo il ritorno qui del deputato Riolo, tra motti e sarcasmi
del pubblico che assisteva, Quest’anno le autorità provinciali tanto per
offrire una offa di soddisfazione alla opinione pubblica nervosissima, hanno
fatto eseguire sul posto una inchiesta la quale ha avuto la fine di tutte le
inchieste della provincia feudo dei deputati Abisso, Riolo e Con osservanza.
«Il pubblico di Naro e di Camastra non ha più fiducia né ad
uomini né a promesse. E questo è forse il suo torto e il suo debole, del quale
profittano sfacciatamente gli altri, i cosidetti padroni per continuare ...
4
«Il deputato Riolo dice di avere la protezione di eminenti
Gerarchi del Partito, vanta l’appoggio incondizionato del sig. Prefetto Miglio,
si dichiara invulnerabile da parte del Segretario Provinciale Cav. Morello.
TUTTO CIO’ IN PUBBLICO E SENZA RETICENZE.
5
«A Naro il gagliardetto è nome e cosa sconosciutissima. Non
si vede in nessuna ricorrenza. Così per volere espresso di questo Segretario
Politico il quale si scusa dicendo che non ha fascisti ai quali affidarlo.
6
«A Naro il cav. Borsellino Alfonso, individuo privo
sin’anche di licenza elementare, veniva proposto ripetute volte alle Gerarchie provinciali, sino a 15 giorni addietro, come
podestà di Naro dal Deputato Riolo.
«Ultima fresca, gloriosa azione di lui è stato lo stupro
d’una povera servetta, costretta dalla miseria a lasciarsi tacitare con poche
centinaia di lire. La servetta è minorenne.
«Il pubblico sa e
pensa, mastica e dice innominabili cose contro l’eroe e i compagni che
lo salvarono. Chi ci guadagna non è certo il Fascismo.
7
«A Naro, dopo l’ecatombe di podestà e di commissari voluta
dal deputato Riolo, nel corso di quest’anno è venuto con funzioni di
Commissario Prefettizio il Cav. Steno Pelatti di Bologna, austera figura di
fascista e di amministratore. Così, per lui da quel mese abbiamo finalmente
visto, conosciuto e toccato la febbre, la forza, l’idea del regime. Ma abbiamo
ragione di ritenere che il Commissario Prefettizio non sia stato mai e oggi
meno di prima di gradimento dell’onesto deputato, che egli cominci ad essere
stufo e nauseato della persecuzione lenta, tenace, ipocrita di questo becchino
di Funzionari patriotti e puliti e che quanto prima se va via lui (Pelatti) si
debba annegare nella solita fradicia baraonda tanto cara a fruttifera alla
truppa del nostro illuminato onorevole.
«Soggiungeremo che il Pelatti in pochi mesi di permanenza al
Municipio è riuscito a cattivarsi talmente la stima e la simpatia del pubblico
(riuscendo così anche a mettere nella voluta luce il viso legale e romano del
Fascismo) che un grosso milionario, famoso per la sua tirchieria, gli ha
spontaneamente messo a disposizione una forte somma acciocché ne faccia uso a
suo gradimento senza darne conto a chicchessia!
8
«Da anni era stata raccolta una ingentissima somma in
America e qui per la erezione di un Monumento ai Caduti.
«La funzione di cassiere venne assunta, manco a dirlo, dal
solito
Cav. Dott. Antonio Gueli Alletti - V. Segretario Politico.
«Il Monumento è lì che aspetta d’essere inaugurato, tanta è
stata la patriottica sollecitudine in merito del generalissimo Riolo e
consorti, Mai denari, nelle mani nette e pure di questo caro oculista di vili,
si sono come sempre patriotticamente squagliati e non è possibile ottenere i
conti. Lo stesso generalissimo Riolo convenne talvolta in pubblico dicendo che
effettivamente il costo di quell’opera e delle altre sussidiarie risulta enorme.
Noi diciamo che per molto meno parecchia gente
di qui e di altrove è andata a gustare la muffa e l’onta delle patrie
galere.
«Pertanto denunziamo il cav. Antonio Gueli Alletti, cugino
del deputato Riolo, per furto continuato di fondi pubblici in danno del
Comitato Pro-Monumento e forse per disubbidienza agli ordini superiori di
presentare conti di gestione puliti e leggibili. Così facendo riteniamo di aver
messo posto la nostra coscienza di
cittadini e di fascisti, e sentiamo di avere servito la giusta esigenza di un
pubblico che ha dato quasi 200 mila lire e da anni non può sapere come queste
siano andate a finire.
«Soggiungiamo che su questo terreno non scenderà mai il
desideratissimo oblìo, unico scampo liberatore cui crede di affidare la propria
vita e l’nore questo fortunato frutto di carabiniere.
«Quindicimila cittadini vaglieranno sempre sino a tanto che il
ladro camuffato fascista renda ai nostri morti l’oro versato con sangue e
lacrime di tutti. Insistiamo: tutto qui sarà possibile, ma giammai permetteremo
che vampiri sfrontati come il Gueli Alletti e C/i, attacchino le loro
immondissime labbra anche sui ricordi dei nostri DUECENTOQUARANTA EROI CADUTI
PER LA PATRIA.
9
«Il 13 Settembre u.s. Domenica, in seguito ad accordi presi
tra tutte le Autorità a proposito della Festa dell’Uva, tutta la cittadinanza
volle manifestare apertamente la sua simpatia e la gioia verso il regime
incarnato nel Cav. Pelatti (Commissario Prefettizio) distribuendo ed affissando
manifesti di colore inneggianti al Duce al Prefetto, al Cav. Morello, al
Commissario Pelatti, al Fascismo. Per questa manifestazione, descritta come un
delitto presso la Prefettura di Agrigento, parecchi fascisti della prima ora,
rei di avervi preso parte col solito entusiasmo, furono diffidati dalla
Questura di Agrigento. Vi preghiamo in modo specialissimo di fare indagare su
questo fatto.
«Naro, 15 Settembre dell’anno IX° E.F.
I Cittadini»
* * *
L’agone elettorale agrigentino aveva visto come
protagononisti i seguenti deputati:
Elezioni del 16 novembre 1919:
Partito liberale
democratico:
Abisso Angelo
(voti di lista 23.516) voti personali 8.825 + 65;
Guarino Giovanni (
“ “ “
“ ) “
“ 14.267 + 62;
Pancamo Antonino
( “ “
“ “ )
“ “ 6.109 + 153.
(Non eletti: Brucculeri Giuseppe, La Lumia Ignazio e Scaduto
Francesco)
Partito Popolare Italiano
Fronda Eugenio (voti
di lista 12.206) voti personali 5.115 +
72.
(Non eletti: Arone Pietro, Micciché Giovanni, Montalbano
Domenico, Messina Giuseppe, Parlapiano Vella Antonino)
Partito Democratico
La Loggia Enrico
(voti di lista 19.383) voti personali
5.925 + 0;
Vecchio Verderame Gaetano Arturo.
(Non eletti: Vaccaro Michelangelo, Caramazza Ignazio, Picone
Gaspare Ambrogio).
Partito Socialista Ufficiale
Voti 6.813: nessun eletto.
(Non eletti: Arancio Antonino, Cammarata Giuseppe, Friscia Michele, Giuliana Francesco, Sessa
Cesare (voti n.° 2.554), Vernocchi Olindo).
elezioni del 25 maggio 1921
Partito Democratico Liberale
Verderame Gaetano arturo (voti 12.402)
Alleanza Democratica Sociale
Pasqualino Vassallo Rosario (voti 112.623)
Colajanni Napoleone
Lo Piano Agostino
Abisso Angelo (voti 95.146)
Camerata Salvatore
Guarino Amella Giovanni (voti 93.247)
Sorge Francesco.
(Non eletti Pancamo Antonino e Adonnino G. Battista).
Partito Democratico Riformista
La Loggia Enrico (voti 31.114)
(Non eletto: Ambrosini Gaspare con voti 22.032)
Partito Comunista Italiano
Voti di lista 8.071. Non eletto Sessa Cesare con voti 4.367.
Partito Popolare Italiano
Vassallo Ernesto (voti 46.922)
Cascino Calogero
Aldisio Salvatore.
Partito Socialista Ufficiale
Costa Mariano
Cigna Salvatore Domenico.
Le elezioni del 6 aprile del 1924 si svolsero - come noto -
con un listone nazionale cui andava il premio di maggioranza in base alla legge
Acerbo. Per la Sicilia, tale premio si risolse
invece in un danno, facendo perdere alla lista nazionale d’ispirazione
fascista due deputati. Annota il Renda
([20]): «Il risultato elettorale, nella sua essenza, fu il risultato di
un ampio e indiscutibile consenso politico. Il previsto premio di maggioranza
si risolse in danno anziché in vantaggio del listone. In base ai voti ottenuti,
infatti, i deputati eletti avrebbero dovuto essere 40, cioè due in più dei 2/3
(38) consentiti dalla legge. Non era dunque retorico parlare di trionfo.»
Elezioni del 16 aprile 1924
Venivano eletti nel
Partito della Democrazia Sociale
Colonna di Cesaro’ Giovanni (voti 25.307);
Guarino Amella Giovanni (voti 9.455);
Lo Monte Giovanni (voti 12.537);
Fulci Luigi (voti 7.779);
Restivo Empedocle.
(Non veniva eletto Giulio Bonfiglio: voti 5.715).
Partito dell’Opposizione Democratica
La Loggia Enrico (voti 5.259).
Partito Comunista
Lo Sardo Francesco (voti 5.057).
Partito Socialista Massimalista
Vella Arturo (voti 2.581)
Il listone
nazionale ebbe, come si è detto, il pieno: i deputati che in qualche modo
avessero attinenza con Agrigento furono:
Lista Nazionale (n.° 21)
Cucco Alfredo (voti 52.973)
Abisso Angelo (voti 32.184)
Pasqualino Vassallo Rosario (voti 22.348)
Vassallo Ernesto (voti 21.017)
Palmisano Paolo (voti 18.408)
Riolo Salvatore (voti 21.017)
Gangitano Luigi (voti 5.718).
In quella tornata elettorale i trombati di lusso della
provincia di Agrigento furono: Giulio BONFIGLIO (voti 5.715) della Democrazia
Sociale del duca di Cesarò e Cesare Sessa (voti 3.004 del Partito Comunista).
Riesce a farsi, invece eleggere, sia pure con pochi voti, il Gangitano, una
figura di ex conbattente e quindi di fascista di vecchia data (lo troviamo
attivo a Racalmuto nel lontano 1919).
I successivi plebisciti del 1929 e del 1934 hanno tutt’altra
fisionomia e le elezioni al parlamento sono automatiche: basta avere avuto il
consenso a Roma, presso le corporazioni, a venire inseriti nel listone, da
approvare o respingere in toto con un sì o con un no.
Per quel che qui occorre basta rammentare che nel 1929, il
24 marzo, vanno Montecitario, dalla provincia di Agrigento: Luigi Gangitano,
Salvatore Riolo, Vito Palermo e Paolo Palmisano. Luigi Gangitano e Vito
Palermo. Angelo Abisso fu invece mandato
al Senato. Nel 1934, nel plebiscito del 25 marzo, salgono al Parlamento Luigi
Gangitano, Vito Palermo; Paolo Palmisano
e Salvatore Riolo si perdono per strada.
Per la Sicilia, le statistiche ufficiali parlano di un
inarrestabile trionfo del Fascio Littorio:
Proporzioni dei voti ottenuti dalle
liste del Fascio Littorio in rapporto a 100
Anno
1924
1929
1934
Percentuale
69,8%
99,9%
100%
([21])
* * *
Si è già visto quale ruolo ebbe a svolgere il prefetto Reale
nella penetrazione del primo fascismo nella provincia di Agrigento. Era da
tempo, specie sotto Crispi e Giolitti, che l’istituto prefettizio aveva un peso
determinante nell’evoluzione politica nella zona d’influenza. Era un gioco
occulto ma penetrantissimo e di risolutiva importanza. Solo lo studio delle
carte d’archivio - mirabilmente custodite nell’Archivio Centrale di Stato -
consentono di squarciare questi misteri della gestione del potere nell’Italia
post-unitaria, almeno sino all’avvento della democrazia di popolo con la
riforma ed il ridimensionamento dei prefetti.
Un elenco dei prefetti di Agrigento (limitatamente al primo
periodo fascista) non è quindi qui ozioso:
Cognome e nome
titoli
dati anagrafici
data di nomina
data di fine
incarico
nuova destinazione
Pugliese Samuele
Dott. - prefetto a disposizione
n. a Perano (Chieti)
6.9.1872 + Roma, 14.8.1939
15 febbraio 1922
5 aprile 1922
prefetto di Foggia
Rocco Raffaele
Dott. Prefetto di Grosseto
n. a Napoli il 2.12.1864
18 giugno 1922
16 giugno 1923
collocato a disposizione
Reale Ernesto
Dott. Vice prefetto
n. a Sassari il 30.6.1875 + Roma il 30.12.1947
16 marzo 1923
22 ottobre 1924
prefetto di Potenza
merizzi giovanni antonio
Dott. Prefetto di Lecce
Sondrio 11.7.1861
22 ottobre 1924
10 gennaio 1925
prefetto di Macerata
Rivelli Giovanni Battista
Dott. Vice prefetto
Campagna (Salerno) 24.6.1870 + Roma 10.9.1967
10 gennaio 1925
12 febbraio 1926
Prefetto di Aquila
Salvetti Giacomo
Vice prefetto
Pallanza (Novara) 7.3.1877 + Torino 1°.10.1953
12 febbraio 1926
16 ottobre 1926
Prefetto di Grosseto
Maggiotto Giovanni
Dott. Prefetto di Grosseto
Venezia 18.2.1857 + Roma 18.12.1938
16 ottobre 1926
16 novembre 1927
collocato a disposizione
Sacchetti Sebastiano
Dott. Vice Prefetto
Teramo 15.8.1880 + Roma 13.2.1952
1° dicembre 1927
16 dicembre 1929
collocato a disposizione
Miglio Federico
Dott. Prefetto a disposizione
Castrovillari (Cosenza) 4.8.1883 + Firenze 27.4.1956
16 dicembre 1929
16 aprile 1932
collocato a disposizione
* * *
L’anno della grande turbolenza in seno alla Federazione
fascista di Agrigento è il 1925 e ciò ben si spiega se si ha presente il quadro
politico nazionale. Tutto cambiava in Italia; tutto doveva cambiare ad
Agrigento. Come? Si ha voglia di affermare, a posteriore, alla siciliana
maniera, gattopardescamente. In definitiva, cambiava tutto per non mutare
nulla.
Ritroviamo, come al
solito, la cronaca fedele nelle carte prefettizie che si custodiscono a Roma
([22]). Il quadro è decisamente esaustivo per non doverlo qui riportare
piuttosto integralmente.
Un telegramma cifrato parte dalla prefettura di Girgenti il
29.1.1925 alle ore 22 della sera. «Incidenti - recita - verificatisi occasione
rinnovazione Direttorio questa Federazione provinciale fascista e di cui
informai codesto On. Ministero con espresso 19 corrente n.° 31 Gab. Hanno avuto il seguito che si
prevedeva.» Il Ministero annota a matita “non è pervenuto a noi”.
«I quattro deputati fascisti - scende nel dettaglio il
telegramma cifrato - della provincia Onorevoli Abisso, Riolo, Palmisano e
Gangitano hanno concordemente aperta una decisa campagna contro il segretario
provinciale Cav. Galatioto considerato che dopo atteggiamento da lui assunto di
aperto antagonismo in loro confronto confermato dalla condotta tenuta nella
predetta circostanza non possa egli rimanere nella carica che ricopre, tanto
più che recente rielezione del Galatioto sarebbe illegale, perché riunione non
fu preceduta da regolare convocazione. Constami che predetti Deputati ed altri
esponenti Direttorio provinciale abbiano chiesto al Direttorio Nazionale
provvedimenti a carico del Galatioto e che sarebbe per venire qui On. Starace
per compire inchiesta. E’ opinione generale condivisa anche da persone
rispettabili al di fuori partiti locali che permanenza Galatioto al posto di
segretario provinciale può danneggiare anziché giovare al fascismo della
provincia, dato suo temperamento impulsivo, violento, inconciliabile che gli ha
procurato larghissime antipatie.
«Per questi motivi ritengo bene un eventuale suo
allontanamento dalla carica di segretario provinciale ed un probabile
conseguente suo dissidentismo non potrebbe pregiudicare molto situazione
fascismo locale tenuto anche conto che
suo ascendente si limita a pochi elementi più SCALMANATI e irriflessivi. Tutte
queste circostanze mi hanno sconsigliato di tentare un amichevole componimento
della vertenza ed il Galatioto che prevede quasi certa perdita carica cerca
correre ripari. Sembra che egli intenda recarsi costà domani per portare nelle
alte sfere sue proteste ed ottenere anche udienza da S.E. il Presidente del
Consiglio dei Ministri. Prefetto RIVELLI».
Il lavorio sotterraneo diviene febbrile. Contro Galatioto
opera, subdolamente il prefetto Rivelli, che frattanto ottiene che venga
nominato un Commissario. Si tratta del prof. Paladino che sappiamo essere un siciliano di Floridia, a suo tempo
socialista rivoluzionario e quindi interventista e nazionalista, iscrittosi al Fascio nel 1920.
Il prefetto si premura di catechizzarlo. Vedremo: senza troppo successo. Il
collegamento prefettizio con Roma è puntuale. In data 5 aprile 1925 parte un
telegramma cifrato (alle ore 21) dalla prefettura di Girgenti per il Ministero
Interno - Gabinetto. Vi si legge: «La crisi che in gennaio erasi aperta in seno
Direttorio questa Federazione provinciale fascista e di cui riferii a codesto
On. Ministero con espresso 19 detto n.° 31 Gab. E con telegramma successivo
giorno 29, ha avuto ora suo epilogo con la nomina da parte della Direzione del
Partito fascista di un Commissario nella persona del Prof. Paladino, redattore
del giornale “Il Popolo d’Italia” edizione romana, il quale è giunto qui ieri
sera con incarico preparare e presiedere Congresso provinciale dei Fasci per
nomina nuovo Direttorio Federazione provinciale fascista.
«Situazione assume speciale importanza pel fatto che tutti e
4 i deputati fascisti della provincia solidamente e di pieno accordo muovono
guerra per ragioni di indole morale al segretario federazione fascista Cav.
Galatioto cui figura fu già da me rappresentata nei succitati dispacci.
Commissario Prof. Paladino ha oggi avuto meco un colloquio nel quale gli ho
fatto comprendere che il dissenso è insanabile e che nell’interesse del
fascismo sarebbe bene escludere il Galatioto
dalle future combinazioni del Direttorio provinciale.»
La fazione di Galatioto è in subbuglio. E’ molto forte nella
parte orientale dell’agrigentino. Racalmutesi emergenti ne fanno parte: Puma e
Burruano. Un personaggio che diverrà fin troppo celebre nel dopoguerra:
Calogero Vizzini, è della congrega. Il prefetto Rivelli è vigile ed ostile.
Telegrafa a Roma il 15 maggio 1926 (ore 20,35) in questi termini: «Viene oggi
spedito da qui a V.E. nonché a S.E. il Presidente Consiglio e segretario
generale Partito a firma Commissari Prefettizi Canicattì, Racalmuto e Grotte e
Sindaco Ravanusa [Calogero Vizzini, n.d.r.] telegramma protesta voluta mia
azione ostile fascismo. Con espresso odierno onoromi dare dettagliati
chiarimenti in merito tale infondata protesta ispirata e promossa da noto esaltato
Gerolamo Galatioto già segretario federazione fascista scopo sfogare suo livore
per vedersi oramai spogliato ogni autorità e prestigio seguito sua azione
deleteria in seno Partito e in conseguenza suo atteggiamento di aperta
avversione ai quattro deputati fascisti della provincia per fini personali
elettorali. PREFETTO RIVELLI»
Il telegramma accusatorio era partito solo poche ore prima
(16,20) da Girgenti e ovviamente lo spionaggio prefettizio era vigile e
solerte. Era stato indirizzato a S.E. Mussolini; a S.E. Federzoni e a S.E.
Suardo; testualmente affermava: «Sottoscritti commissari prefettizi Canicattì,
Racalmuto, Grotte e sindaco Racavanusa protestano vivamente contro operato
questo Prefetto che calpestando pure idealità fasciste tende sfacciatamente agevolare elementi democratici
sociali e principalmente Guarino Amella nel suo vecchio collegio composto
nostri paesi. Denunciano costante inspiegabile sabotaggio amministrativo scopo
favorire elementi antifascisti che notoriamente invita suoi ricevimenti.
Denunciano sue basse persecuzioni contro puri fascisti rei solo di non
sottomettersi sue intenzioni ricorrendo anche fornire informazioni false.
Denunciano recrudescenza abigeati. Denunciano sua mancanza impegno onore
imponendo dimissioni chieste da notissimi democratici sociali. Comunicano loro
dimissioni da commissari e sindaco e chiedono energico intervento Governo
Partito con rigorosa inchiesta. Sottoscritti segretari politici fasci Grotte,
Canicattì, Racalmuto, Ravanusa, fermi loro posto responsabilità perché
ripongono fiducia piena commissario straordinario federazione fascista e organi
Partito, affermano loro piena solidarietà commissari sindaco ai quali dànno
pubblico atto per magnifica opera fascista svolta nonostante palese
ostruzionismo Prefetto.
«Puma avv. Agostino - Commissario prefettizio Canicattì;
«Vassallo Ernesto - Commissario prefettizio Grotte;
«Burruano avv. Salvatore - Commissario prefettizio
Racalmuto;
«Vizzini Calogero - Sindaco Ravanusa;
«Caramazza Gaetano - Segretario politico Fascio Canicattì;
«Montagna Nino - Segretario politico Fascio Grotte:
«Burruano Salvatore - Segretario politico Fascio Racalmuto;
«Vizzini Calogero - Segretario politico Fascio Ravanusa.»
[1]) 2000 pagine di Gramsci, vol. II: Lettere edite e
inedite 1912-1937, a cura di G. Ferrara e N. Gallo, Milano 1964, p. 45.
[2]) Salvatore Lupo, La crisi del monopolio naturale. Dal
Consorzio obbligatorio all’Ente Zolfi, in Economia e società nell’area dello
zolfo - secoli XIX-XX - Salvatore Sciascia editore, Caltanissetta-Roma, 1989,
pag. 354.
[3]) Lettera ad A. Di Nola
in Archivio Carnazza, fasc. 28, III 37, busta “C” ; Industria zolfifera
e legge mineraria. Cit. in Lupo, op. cit. pag. 354.
[4]) Eugenio Napoleone Messana - Racalmuto nella storia
della Sicilia - Canicattì 1969 - p. 234.
[5]) Editoriale “Il delitto Matteotti” di Storia e Civiltà -
gennaio-giugno 1994 - Edizione del Lavoro - Roma - a. X, n. 1-2 - a firma
P.F.P. (Pier Fausto Palumbo, direttore responsabile), pag. 7-9.
[6]) Salvatore Leone - Per una storia delle strutture
culturali: le Società di storia patria - in Storia d’Italia - Le Regioni:
dall’Unità ad oggi - la Sicilia - Einaudi editore 1987 - pagg. 876-877.
[7]) Francesco Renda - Storia della Sicilia - dal 1860 al
1970 - Vol. II - Sellerio Editore Palermo, 1985, pag. 365.
[8]) ibidem pag. 354.
[9]) Vincenzo Agozzino - Cronache della Vigilia
rivoluzionaria fascista nella provincia di Agrigento - in Panorami di
realizzazioni del Fascismo - Il movimento delle squadre nell’Italia meridionale
e insulare - Vol. VI - Roma, 1942 , pag.
167 e segg.
[10]) Archivio Centrale dello Stato - M.I. - P.S. - 1925 -
busta 115 G1
[11]) Archivio Centrale dello Stato - Gabinetto Finzi -
1922-24 - busta 6 fascicolo 53. Anche i successivi passi virgolettati che si
riferiscono al prefetto Reale sono tratti dal predetto fascicolo dell’ACS di
Roma.
[12]) Mario Missori - Gerarchie e statuti del P.N.F. - Roma
1986 - pag. 91.
[13]) Dalla copertina di Starace - l’uomo che inventò lo
stile fascista di Antonio Spinosa BUR
Milano 1988.
[14]) Antonio Spinosa - l’uomo che inventò lo stile
fascista di Antonio Spinosa - BUR Milano
1988, pagg.8-9.
[15]) Archivio Centrale dello Stato - Segreteria particolare
del Duce “Carteggio riservato 1922-1943” - buste nn.° 36; 49 e 94.
[16]) Archivio Centrale dello Stato - Segreteria particolare
del Duce “Carteggio riservato 1922-1943” - busta n.° 94.
[17]) Archivio Centrale dello Stato - Segreteria particolare
del Duce “Carteggio riservato 1922-1943” - busta n.° 78.
[18]) Archivio Centrale dello Stato - M.I. - P.S. - 1926 -
busta 88 - C1.
[19]) Archivio Centrale dello Stato - M.I. - P.S. - 1931 - busta
310 - C1.
[20]) Francesco Renda - Storia della Sicilia - dal 1860 al
1970 - Vol. II - Sellerio Editore Palermo, 1985, pag. 372.
[21]) Per i dati statistici cfr.: ISTAT Statistiche Elezioni
Politiche - XXV Legislatura, elezioni del 16 novembre 1919 (Roma 1920) - XXVI
Legislatura, elezioni del 25 maggio 1921, Collegio di Girgenti pag. 78 - XXVII
Legislatura, elezioni del 6 aprile 1924, passim - XXVIII Legislatura, elezioni
del 24 marzo 1929 (Roma 1930), passim - XXIX Legislatura, elezioni del 25 marzo 1934, passim (ma in particolare
pagg. 39 e 51).
[22]) Archivio Centrale di Stato - M.I. - P.S. 1925 - Busta
n.° 121.)
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