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martedì 7 luglio 2015

arrivano iturchi

[articoletto n.° 18]

ARRIVA LA CIVITA’ ARABA
                                         di Calogero TAVERNA


Con gli Arabi l’antica civiltà racalmutese si eclissa e non può fondatamente affermarsi che sia subentrata la tanto favoleggiata cultura saracena. Il tempo degli arabi a Racalmuto è totalmente buio: né vestigia archeologiche, né testimonianze scritte, né tradizioni appena attendibili, né indizi in qualche modo illuminanti. L’abate Vella nel Settecento fabbricò un falso su Racalmuto che è, appunto, inventato di sana pianta. Certo, per i racalmutesi è ostico pensare che di arabo Racalmuto non ha nulla: già, perché i tanto conclamati toponimi - a partire dal nome del paese - o l’etimologie arabe dei vari lemmi della parlata locale, resta da vedere se risalgono ai tempi della dominazione saracena o non piuttosto, come pare, a quelli posteriori della signoria normanno-sveva sulle sconfitte popolazioni  arabe. A sfogliare una qualsiasi delle pubblicazioni degli eruditi locali che si sono dilettati di storia racalmutese, la vicenda araba è ben condita di fatti, dati, curiosità, risvolti sociali, politici, demografici, religiosi. Vai a dir loro che trattasi di meri vaneggiamenti, di fole senza fondamento, di ingenue credenze. Racalmuto non ebbe moschee, né consistente intensità demografica tanto da raggiungere nel 998 ‘il numero di 2000 abitanti’ (frutto questo dell’irrefrenabile fantasia dell’abate Vella), né nobiltà terriera, né ‘usi e costumi che assieme ad una presenza genetica’ noi racalmutesi ci trascineremmo sino ai nostri dì. E’ certo che un paese di tal nome non esistette per nulla durante tutta l’epoca araba: Racalmuto sorge attorno alla metà del XIII secolo, quasi duecento anni dopo la conquista normanna dell’agrigentino. E il suo toponimo (indubbiamente arabo) lascia trasparire l’assesto voluto da Federico II, dopo la repressione dei moti ribellistici degli sudditi arabi dell’intero territorio agrigentino. Non possiamo credere, con il Tinebra Martorana, che «... Moezz ordinò l’inurbamento di queste popolazioni rurali, fra le quali era quella di Rahal Maut, e per suo ordine l’Emir di Palermo, a rendere più tranquilla l’industria agraria e più sicura la proprietà, creò ufficiali addetti alla esazione delle imposte. Spento così per opera di Moezz l’abuso delle esazioni, la libera operosità dell’agricoltore dovette svolgersi notevolissimamente. Rahal Maut a quest’epoca è uno dei popolosi casali.» Così, nel 998 «.. il nostro villaggio conteneva 1101 adulti e 994 di un’età inferiore ai 15 anni.» Tanto secondo quel che «il governatore di Rahal-Almut, AABD-ALUHAR, per bontà di Dio servo dell’Emir Elihir di Sicilia» era in grado di rapportare al suo Padrone Grande a seguito dell’ordine ricevuta dall’Emir di Giurgenta ([1]) Ma l’intera faccenda nient’altro è che il solito imbroglio storico dell’abate Vella. Nell’introduzione alle memorie del Tinebra, Leonardo Sciascia non manca di cicchettare lo storico locale per avere contrabbandato come storia quella che era stata una mera invenzione del “famoso Giuseppe Vella” e ciò per la «tentazione  dell’accensione visionaria, fantastica», non sapendo «resistere al piacere di riportare un documento falso pur sapendo che è falso». E del resto lo stesso Sciascia confessa: «anch’io non mi sono privato del piacere di riportare quel documento pur conoscendone la falsità, e precisamente nelle Parrocchie di Regalpetra.» E di piacere in piacere, il falso affascina tuttora i racalmutesi. Anche il compianto p. Salvo  (v. Ecco tua Madre, Racalmuto 1994, p. 20) non resiste al fascino di quella falsità. Ed a ben vedere, neppure Leonardo Sciascia mostra totale resipiscenza se nel 1984, nel presentare la mostra di Pietro d’Asaro, si lascia andare a questa arditezza storica: «... siamo nella microstoria di Racalmuto: antico paese che esisteva già, un pò più a valle, quando gli arabi vi arrivarono e, trovandolo desolato da una pestilenza, lo chiamarono Rahal-maut, paese morto. Ma non era per nulla morto, se fu riedificato arrampicandolo verso l’altipiano che dal paese prende oggi il nome....». Non sembra che la fonte di cui si serve Sciascia sia altra o più attendibile rispetto a quanto va asserendo il solito Tinebra Martorana (v. pagg. 33 e segg.).



[1]) Nicolò Tinebra Martorana: Racalmuto - memorie e tradizioni - Palermo 1982, pp.  35 e ss.

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