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mercoledì 30 dicembre 2015


Quelli dei tronfi e vocianti siti dell'incolta sinistra disfattista l'altro giorno si sono messi  fare la voce grossa credendo di colpire il sistema: “la Banca d'Italia è una normale società per azioni in mano a quattro o cinque banche manigolde: è una normale società provata i cui padroni azionisti sono ..” e giù elenchi specchietti  griglie e grafici.

 

E bravi lor signori! si sono però  accorti che facevano appunto il gioco dei loro odiati avversarsi? Quello di ridurre un "istituto di diritto pubblico" apicale, che una volta quando occorreva lo si voleva addirittura farlo assurgere a istituzione di rilevanza costituzionale, sia pure in forza di una inesistente ‘costituzione materiale’ ora cambiando tendenza, lo si vorrebbe nient’altro che una privatissima società di capitali ripartiti tra le più chiacchierate grandi banche italiane (e non so perché si escludono le generali). 

 

Certo una mano di aiuto gliela dà il D.LGS. 1settembre 1993, n° 385  che fingendo di sistemate tutte le leggi in materia bancaria e creditizia ha incostituzionalmente delegittimato l'"ordinamento sezionale del credito" con radice o appiglio nell'art. 47 (se non 41) della costituzione .

E in quell'ordinamento svettava la Banca d'Italia ai sensi e per gli effetti della legge bancaria del 1936 che cessava di essere "fascista" per il recepimento costituzionale voluto anche da Togliatti (che per me è molto importante).

E all'articolo 20 di quella legge magari così come canonizzata dall'ABI  leggo: "La Banca d'Italia , creata con la l. 10 Agosto 1893, N. 449, è dichiarata Istituto di diritto pubblico.

Il capitale della Banca è di trecento milioni di lire ed è rappresentato da 300.000  quote di mille lire ciascuna, interamente versate.

Ai fini della tutela del pubblico credito e delle continuità di indirizzo dell'Istituto  di emissione, le quote di partecipazione  al capitale sono nominative e possono appartenere solamente a:

- a) Casse di risparmio;

- b) Istituti di credito di diritto pubblico e Banche di interesse nazionale;

- c) Istituti di previdenza;

d) Istituti di assicurazione".

 

Certo tutta una impostazione giuspubblicistica possibile in epoca fascista ( tutto nello stato niente fuori dallo stato) ma di ardua acquisizione costituzionale e ancor peggio di recepimento nella moderna impostazione dei bilanci societari a partita doppia e figuriamoci ora   con l'abbandono del buon Luca Pacioli e l'incolto abbandonarsi alle pragmatiche visioni contabili di stampo anglosassone.

 

Comunque sino ai tempi di Ciampi noi assistevamo a un bilancio serioso della BI ove in classica partita doppia di privatistica concezione e come potete vedere dell'acclusa foto di una di codeste esilaranti pagine a firma Ciampi quelle metafisiche quote delle partecipazioni  per modo di dire in realtà giuspubblicistiche talune persino desuete ecco come appaiono, quasi la Banca d'Italia fosse l'azionarietta dello zio buon'anima che si era arricchito vendendo occhiali.

 

Sottesi problemi irrisolti giganteschi, come quelli del fatiscente e ambiguo "Consiglio superiore della Banca d'Italia", una comica scimmiottatura dei CDA delle normali società di capitali o di quelle annuali assemblee dei partecipanti in cui il Governatore ancora ha il destro della andreottiana predica del mese mariano.

 

Invero il problema se lo pose Tremonti d'ordine e per conto di Berlusconi e cercò di requisire la Banca d'Italia facendola fagocitare dal TESORO, cosa in astratto persino  encomiabile, ma che dimostrò la sua caducità quando quei due signori, sospinti da Bertone, volevano nominare la Tarantola prima governatrice in gonnella. Gioco non riuscito per una furbata di Napolitano e massoneria bancaria dietro, che poterono braccare il Tremonti tarantoliano dicendo che la legge c'era (mi pare un art. 19) ma il regolamento no, e quindi si dovette tornare prima  se non peggio di prima: e fu così che nella  sala del San Sebastianino poté farvi ingresso addirittura l'ex comunista del servizio studi, Visco (oggi in gran tempesta).

 

[continua]

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