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giovedì 31 dicembre 2015

Sarò tutto direi ma "maledetto toscano" mai, Cecco Angiolieri no; se io fossi fuoco correrei subito a spegnermi , se vento e tempesta mi acquatterei nella mia bella casa di Roma. E siccome sono quel che sono me la rido delle imitatrici del Cavalier Marino che ci cimentano ancora nel poetare per destare solo meraviglia.

Ieri sul primo meriggio, d'improvviso, mi si psicanalizza: sarei il Cecco Angiolieri del Duemila. A qualificami o a squalificarmi è un genio dannato del paese mio, il paese della corda pazza, il paese secondo Sciascia , ove "la vita [sarebbe] lontana dalla libertà e dalla giustizia, cioè dalla ragione".
Forse a dire il vero la Racalmuto del 1954, la Racalmuto dei miei 20 anni era cos'ì, il Circolo della Concordia di allora era così, i giovani "diversi" che finivano suicidi erano così, lo zolfo che con l'antimonio essiccava mortalmente i polmoni era, così. Gibillini era così, il 'dito nella piaga dei salinai' era così, i residui sfollati alla fame erano così, l'arciprete Casuccio era così, padre Arrigo era così. Noi eravamo così. Io col cappellaccio da seminarista ero così e così lo scrittore Sciascia, soprattutto lui, maestro indolente e agente del consorzio agrario infastidito da don Pino quello a cui Sciascia rimbrottava: "tu vivi soltanto per questo:/ che ad un momento - io distratto -/ tu possa nel mio piatto povero/ metter lo schifo di una morta mosca."
 
Gia! Racalmuto il paese ove son nato, il paese regalato a Sciascia, che COSI' ce lo tramanda:
AD UN PAESE LASCIATO
mi è riposo il ricordo dei tuoi giorni grigi,
delle tue vecchie case che strozzano strade,
della piazza grande piena di silenziosi uomini neri.
 
Tra questi uomini ho appreso grevi leggende
di terra e di zolfo, oscure storie squarciate
dalla tragica luce bianca dell'acetilene.
 
E l'acetilene della luna nelle tue notti calme,
nella piazza le chiese ingramagliate d'ombra;
e cupo il passo degli zolfatari, come se le strade
coprissero cavi sepolcri, profondi luoghi di morte.
 
Nell'alba, il cielo come un freddo timpano d'argento
a lungo vibrante delle prime voci: le case assiderate;
ad ogni luogo che appassiva come un rosso geranio
nelle donne affacciate alla prova aerea del viale.
 
Una nave d malinconia apriva per me vele d'oro,
pietà ed amore trovavano antiche parole.
 
 
Sciascia rondista poi passato ad altro! Dire oggi che qesta è Racalmuto è maniaco sproloquio. Oggi Racalmuto ha case linde, fa persino le polveri sottili per lo sfrecciare continuo di macchine novelle. Le fanciulle oggi vezzose sciamano al BLOB e già quattordicenni mi dicono tenere mutandine sexy ché consunta la fastidiosa verginità dell'imene fanno e gioiscono d'amore fisico e orgiastico. Non più "silenziosi uomini neri": tra l'Agorà e il BS pensionati a modo loro d'oro ciarlanti come riddilii senza quiete. L'ISTAT mi dice che il reddito medio pro capite non esonderebbe i mille euro annui, l'Università di Lucca mi conforta  rivelandomi che invero il reddito medio pro capite annuo è di 13 mila e cinquecento euro. E biddrizzi e dinari non si ponnu ammucciari. Andate non prevenuti in questo piccolo lembo di Paradiso e mi darete ragione.
 
E se dico questo sarei il Cecco Angiolieri del Duemila? Non mi ci ritrovo. Dadaista che cerca di coprire la menzogna di stato  di ridicolo, sì; come Horatius, parvus atque obesus, qui castgat ridendo more, forse, qualche volta, quasi sempre. Maldestro imitatore dell'ALSO SPRACH ZARATHUSTRA, senza dubbio. Ma soprattutto vecchione delle Porte Scee che avendo combattuto la propria guerra sta come cicale d'estate sull'albero a parlar fiorito. Posso essere e mi vanto di essere il Mafioso Confeso col tasco stuortu che ha scandalizzato la Cernigoi;  e, sì, nella fanciullezza mi chiamavano LILLO e con tale diminutivo, dice sempre la Cernogoi, non posso tenere un blog che si dichiara CONTRA OMNIA.
 
Sarò tutto direi ma "maledetto toscano" mai, Cecco Angiolieri no; se  io fossi fuoco correrei subito a spegnermi,  se vento e tempesta mi acquatterei nella mia bella casa di Roma.  E siccome sono quel che sono me la rido delle imitatrici del Cavalier Marino che ci cimentano ancora nel poetare per destare solo meraviglia.
 
 
 
Cecco Angiolieri "S'i fossi foco"

 




S'i fosse fuoco, arderei 'l mondo;
s'i fosse vento, lo tempestarei;
s'i fosse acqua, i' l'annegherei;
s'i fosse Dio, mandereil' en profondo;
s'i fosse papa, allor serei giocondo,
ché tutti cristiani imbrigarei;
s'i fosse 'mperator, ben lo farei;
a tutti tagliarei lo capo a tondo.
S'i fosse morte, andarei a mi' padre;
s'i fosse vita, non starei con lui;
similemente faria da mi' madre.
Si fosse Cecco com'i' sono e fui,
torrei le donne giovani e leggiadre:
le zoppe e vecchie lasserei altrui.

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