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sabato 27 giugno 2015
il suicidio del fratello di Sciascia e chi era Vinciguerra
Il prof. Curcuruto, di ritorno da Buffalo ove ebbe a emigrare qualche decennio fa, sta divulgando una sua pregevole opera di oltre seicento pagine sulle miniere di zolfo nelle terre dei Sicani.
L'argomento sfiora il campo di nostre ricerche microstoriche su Racalmuto.
Noi stiamo stancandoci in ricerche su Racalmuto non tanto per una controstoria locale (certo se si raccontano stupidaggini che le nostre carte dissolvono non ci facciamo pregare nello stroncarle) ma per dare le basi ad una fondata e seria storia di questo paese che si chiama Racalmuto e che appartiene solo ai racalmutesi che peraltro non vogliono neppure inciuciarsi con Grotte non per dileggio della loro cultura Tascia ma per difesa della propria unica e indivisibile realtà spirituale e civile.
Racalmuto e le vicende minerarie solfifere annoverano una pagina molto drammatica: il suicidio del fratello di Leonardo Sciascia.
Ci si dice:
caro amico...la
miniera dove si suicido' il fratello di Leonardo Sciascia...il perito minerario
Giuseppe...nel maggio del 1948...era la miniera Bambinello...Le motivazioni del
suicidio sono delicate... omissis ... il padre non poteva accettare questa
situazione.. se lo portava sempre con salche correzione di evidenti errori é...al
lavoro...Cosi' mi venne raccontato da vecchi minatori...al Circolo zolfatai di
Assoro...da me intervistati gia' diversi anni fa'...i quali ricordavano ancora
quel triste episodio e le sue possibili motivazioni....Ho trovato qualche
lettera negli archivi del Corpo delle Miniere...che fa' riferimento
all'episodio avvenuto nella miniera Bambinello...Comunque...se Lei ha copia del
mio libro... la prego di leggere la pagina 165... intitolata..."Leonardo
Sciascia e la miniera Grottacalda"....dove racconto qualche osservazione
sullo scrittore nisseno-racalmutese...La prego di leggere anche a pagina
268...una pagina intitolata..."Leonardo Sciascia e lo strusci dei
nisseni".....
[l’omissione l’ho
praticata non ritenendo fondata la eclatante notizia che mi veniva fornita … ho
apportato anche qualche correzione e limatura laddove mi sembrava trattasi di
sviste.]
Mi si scrive anche:
caro Lillo...leggo un interessante articolo
sull'Unita' del 1951......sulle lotte dei minatori di Gibellina... EBBENE...
SAPPI CHE LA FAMIGLIA VINCIGUERRA...SI E' FATTA STRADA CON I COMUNISTI...IN
TANTI SETTORI DELL'ECONOMIA SICILIANA... FIGLI NIPOTI...MARITI DELLE FIGLIE
TUTTI DIRETTORI DI MINIERE CON L'ENTE MINERARIO SICILIANO... TUTTI COMUNISTI
ARRAGGIATI...IO HO AVUTO QUALCHE PROBLEMA... CON QUESTI MISERABILI...QUANDO NEL
2OO1 SCRISSI IL LIBRO I SIGNORI DELLO ZOLFO.... COMUNQUE TU
LEGGI...LEGGI....LEGGI ...I SIGNORI DELLE MINIERE... SICILIA DI VOLTAFACCIA.
Mia contestazione
Sapevo e confermo l'ing. Vinciguerra uomo di destra e
nostalgico. Finanziò l'Uomo Qualunque e soprattutto il MSI. Presente con Angelo
Collura ad ogni comizio missino (celebri quelli di Russo Perez, interessanti
quelli dell'on. Marino di Aragona). Il Vinciguera con il suo inseparabile amico
Angelo Collura fece parte della lista parafascista del Cavallo Alato dell'avv.
Carmelo Burruano.
[Notizie confermatemi ieri da Calogero Messina ultranovantenne
ma lucido e brillante come sempre.]
venerdì 26 giugno 2015
Il prof. Curcuruto, di ritorno da Buffalo ove ebbe a emigrare qualche decennio fa, sta divulgando una sua pregevole opera di oltre seicento pagine sulle miniere di zolfo nelle terre dei Sicani.
Il prof. Curcuruto, di ritorno da Buffalo ove ebbe a emigrare qualche decennio fa, sta divulgando una sua pregevole opera di oltre seicento pagine sulle miniere di zolfo nelle terre dei Sicani.
Largomento sfiora il ca
i realtà spirituale e civile. certisivile millennaria nostri studi microstorici di Racalmuto- Noi stamo stancandoci in ricerche su Racalmuto non tanto per una controstoria locale (certo se si raccontanano stupidaggini che le nostre carte dissolvono non ci facciamo pregare nello stroncarle) ma per dare le basi per una fondata e seria storia si questo paese che si chiama Racalmuto e che appartiene solo ai racalmutesi che peraltro non vogliono neppure inciuciarsi con Guotte non per dileggio della loro cultura Tascia ma per difesa della proprias unica e indivimpo dndo una sua pregevole opera di oltre seicento pagine sulle miniere di zolfo nelle terre dei Sicani.
Largomento sfiora il ca
i realtà spirituale e civile. certisivile millennaria nostri studi microstorici di Racalmuto- Noi stamo stancandoci in ricerche su Racalmuto non tanto per una controstoria locale (certo se si raccontanano stupidaggini che le nostre carte dissolvono non ci facciamo pregare nello stroncarle) ma per dare le basi per una fondata e seria storia si questo paese che si chiama Racalmuto e che appartiene solo ai racalmutesi che peraltro non vogliono neppure inciuciarsi con Guotte non per dileggio della loro cultura Tascia ma per difesa della proprias unica e indivimpo dndo una sua pregevole opera di oltre seicento pagine sulle miniere di zolfo nelle terre dei Sicani.
Calogero Restivo, poeta racalmutese, racconta
Calogero Restivo, il poeta ora alle prese col racconto. Prosa trepida e contenuta, poetica insomma. Capacità affabulatrice impressionante, profili tracciati con abile ma efficacissima essenzialità. Ed ogni suo racconto è un piccolo singolare mondo che rivive, nella malinconia del suo autore. Partecipe ma computo, rispettosamente distaccato. Di tanto in tanto affiora l’ironia ma lieve, trepida umanissima. E dalla raffigurazione rappresa un guizzo e talora eccovi anche una sorta di espressionismo metafisico. Si può andare a bussare nel gran portone del paradiso per non venirvi ammessi e quindi ritornare nelle dimesse plaghe della terra delle miniere, del paese del sale. Simbolismo soffuso che dà senso a ciò che senso non ha, che crea il miracolo laddove non vi è nulla di sublime, di ultraterreno. A leggere questo racconto – mirabile – i nostri canoni interpretativi si sono dissolti. Non sappiamo trovare più una chiave ermeneutica, schiacciati dalla soavità di un racconto che mentre ci porta nel mondo della nostra vetusta fanciullezza ci disorienta con guizzi metafisici in un mondo arcano, a noi del tutto alieno.
Ci va pertanto di pubblicare in anticipo questo complesso affresco di Calogero Restivo. Un esempio di paratattico scrivere di intricate valenze immanenti e trascendenti, di realistici disegni e di pindarici voli nel mondo delle cose divine. Un passaggio repentino da rappresentazioni di umilissima follia ad un surreale finale: in esordio si arriva “ alla fine di questo giorno [con] la fatica che impediva di consumare la cena, [un] … giorno di non vita, finito” e sorprendentemente la dissolvenza finale: “c'era chi diceva che Fofò Incardona faceva l'eremita in un posto sconosciuto, chi diceva di averlo incontrato vestito con grande eleganza dato che si era messo a fare il santone di professione, che era diventato ricco assai, che abitava in un palazzo di cinquanta stanze, ma nessuno vide più Fofò Incardona in paese”.
Il sole nel cortile
di Calogero Restivo
“Fofò Incardona si alzò, come ogni mattina, al primo canto del gallo del vicinato. Uscì in cortile che era ancora buio. Dalle parti del castello si intravedevano fasci di luce nel cielo scuro come lampioni squassati dal vento della recente burrasca che invece di illuminare la strada, sparavano la luce verso l'alto, inutilmente. Riempì la bacinella di acqua gelida, se ne spruzzò un poco sul petto come aveva imparato a fare quando era stato a lavorare in Germania. Pronto per andare a lavorare, come ogni giorno, come sempre ,nella miniera di sale a cui era legato come da un cordone ombelicale. Anche di domenica, ci andava ,per arrotondare la paga e per vederla, quella cupola lucida sopra la testa e fredda come il ghiaccio.
Gli ricordava la chiesa della Madonna di Altomonte ma questa era più luminosa e misteriosa senza avere le luci della chiesa.
Uscì di nuovo fuori in cortile, raccolse qualche ramoscello delle piante in vaso che forse il gatto aveva rotto nella sua furia amorosa della notte. L'aveva sentito miagolare e litigare per mettersi d'accordo e nonostante il rumore di tegole smosse e di miagolii, che sembravano lamenti, alla fine si era addormentato. La stanchezza l'aveva avuta vinta sugli amori notturni del gatto. Bisognava rivedere e sistemare le tegole, si ripromise, perché altrimenti alle prime piogge l'acqua la si sarebbe dovuta raccogliere con secchi e bacinelle.
Il cielo si era schiarito. Era ora andare. Si avviò senza troppa fretta. C'era ancora tempo e comunque l'autobus qualche minuto oltre il tempo previsto aspettava, nel caso ci fossero ritardatari.
Niente di nuovo al lavoro, le solite cose: il capomastro che si lamentava della lentezza del lavoro, il padrone della miniera che avrebbe voluto che i camion volassero invece di camminare con quei motori che sa solo Dio come reggevano ancora ed i meccanici che dovevano fare miracoli per metterli in grado di camminare, trenini da smuovere e le pulegge che consentivano il carico dei camion di scarsa qualità che si rompevano appena i motori incominciavano ad andare al massimo. Anche questo giorno di lavoro era finito, anche alla fine di questo giorno la fatica che impediva di consumare la cena, anche questo giorno di non vita, finito.
Prima di addormentarsi, Fofò, ebbe un pensiero triste che lo costrinse a ritardare di chiudere gli occhi “che ci vado a raccontare ai morti, quando giunge l'ora, solo che ho scavato, raccolto e caricato sale? E nient'altro ?”
L'indomani era lunedì, incominciava un'altra settimana. Bisognava alzarsi, il gallo cantava sempre alla stessa ora, puntuale come se avesse una sveglia dentro la testa. Fofò, usci come al solito in cortile per lavarsi e si accorse allora che alcuni vasi dei fiori erano caduti,alcuni rotti e anche qualche tegola era per terra. “I gatti” pensò Fofò perché non aveva sentito il vento che durante la notte aveva soffiato così forte da scoperchiare i tetti delle case e sradicare gli alberi del viale che portava al Padreterno. Fu mentre si lavava che cadde la tegola che stava in bilico, forse l'aveva toccata il gatto ma cadde sulla testa di Fofò che stava per immergere la testa nella bacinella di acqua gelida come faceva ogni mattina.
L'autista dell'autobus che portava i lavoratori in miniera, quel giorno, partì in ritardo. Aveva suonato il clacson un paio di volte, aveva chiesto se qualcuno aveva notizie di Fofò ma nessuno sapeva, niente di niente. Il vicino di casa azzardò l'ipotesi che si fosse ubriacato e non riusciva ad alzarsi dal letto, ma l'ipotesi non reggeva. Era vero, Fofò qualche volta beveva qualche bicchiere in compagnia degli amici, ma nessuno l'aveva mai visto ubriaco.
“Purtroppo bon tiempu e malu tiempu non dura sempre un tiempu” le cose nella vita cambiano non sono sempre le stesse, sentenziò qualcuno e tutti tacquero come se fosse stata detta una grande verità che non ammetteva repliche né commenti. Per tutto il percorso non si sentì altro che il gracchiare del motore dell'autobus che nelle salite soffiava peggio di un asino carico di sale. Fofò viaggiava in un mare di luce. C'erano tante persone e nessuno sembrava facesse caso a lui. “Come mai così impegnati a discutere se sono in paradiso?” pensava “Se fossimo alla piazzetta nel periodo della trebbiatura, capirei. Bisogna parlare per mettersi d'accordo, trattare, stabilire. Vuoi vedere che anche qua vi sono miniere di sale e mi mandano là a lavorare? Non può essere”, pensava, Don Giuseppe , il parroco della chiesa della Madonna della Rocca, aveva parlato di grandi viali alberati, di angeli che suonano violini e la luce, sempre, come se fosse mezzo giorno anzi più forte. Anche il sagrestano, che era li vicino , assentiva. E allora.. “non può essere”. Si avvicinò ad uno di quei gruppi di persone e restò meravigliato a guardare: quella gente non stava discutendo, non parlava. Avevano lo sguardo rivolto verso l'alto ed il viso sereno , gli occhi lucidi, ridenti.
“Scusatemi” disse facendo il gesto di toccare uno di quelli con un dito, timidamente “scusatemi, io sono nuovo di questo posto. Sono un morto recente, Mi sapreste dire a chi rivolgermi per sapere che debbo fare e dove andare?” Dentro era perplesso, quando aveva fatto il gesto di toccare l'uomo che gli voltava le spalle era come se avesse immerso il dito nell'acqua.
“Vai sempre diritto, per questo viale” rispose gentilmente “quando arrivi davanti ad una città recintata con tanto di mura merlate e di torri, bussa. Chiedi a quello che viene ad aprirti che cosa devi fare. Ma c'è da aspettare. Che cosa credi che stiamo facendo, noi?”
“Grazie” disse e si avviò a passo lento, guardandosi intorno, lieto finalmente di camminare senza fretta, senza l'affanno del lavoro, camminare per svago, insomma. “Che fretta ho? E correre per andare dove, poi. È questo il punto d'arrivo, non c'è il cartello ma oltre non si va” si diceva Fofò più per convincersene che convinto.
Camminando arrivò davanti ad una città cintata da alte mura, le pietre perfette, squadrate a regola d'arte e lisce come se fossero di marmo e di colore giallo come d'oro. “Qui le cose le fanno per bene” pensò Fofò “non badano a spese”. In fondo al viale di alberi c'era un grande portone di bronzo e vi si diresse. Cercò un campanello o altro e visto che non c'era si decise a bussare, piano da principio, con le nocche, ma visto che nessuno veniva ad aprire, diede un paio di colpi a pugno chiuso. Piano piano il portone si apri, senza cigolare. “Si vede che è oleato bene” pensò “segno che qui le cose funzionano bene non come alla miniera che è un miracolo se la montagna non ti casca addosso”.
Apparve un vecchio tutto bianco, tunica, mantello e barba che gli copriva quasi la bocca.
Disse “Tu chi sei?”
“Fofò Incardona .. scusi.. voglio dire .. Incardona Francesco. È che mi conoscono tutti come Fofò” rispose.
Il vecchio si diresse al tavolo che si reggeva su tre piedi, si sedette e incominciò a sfogliare un libro enorme. “Hai detto Incardona Francesco ?” “Si” rispose con una certa apprensione, e non sapeva perché. Il vecchio continuò a cercare, ripassò rigo per rigo tutto l'elenco di nomi aiutandosi con un dito
“Tu non ci sei “ disse chiudendo il libro “ in quelli del mese in corso, non ci sei”.
“Ma come è possibile” disse Fofò un po' frastornato “se sono morto di recente. Ci vuole anche qua la raccomandazione?”.
“Tu non sei morto, tu non muori... Via che bussano alla porta” disse il vecchio. Si muoveva con la vitalità di un ragazzo. “Si vede che non ha mai lavorato in una miniera di sale” pensò Fofò. Voleva insistere, non sapeva cosa fare e il vecchio lo spingeva fuori, aveva altro da fare.
“ Ma allora che faccio?” incominciò Fofò ma il vecchio sempre più impaziente “che ma e ma non lo senti che bussano alla porta?”
In effetti bussavano alla porta, Fofò aprì gli occhi, cercò di capire, di rendersi conto.
“Come stanno, le cose?” disse tra se toccandosi il bozzo che aveva sulla testa. Gli faceva un male cane, ma bussavano alla porta e bisognava andare ad aprire. Si alzò a fatica, la testa continuava a fargli male e andò ad aprire la porta a stento perché anche la porta girava. Da fuori giungevano delle voci di donne “È in casa, sta venendo ad aprire” Finalmente riuscì a fermare la porta che si spostava come tirata di qua e di là dal una molla. Tirò il chiavistello e cadde a terra svenuto.
Quando aprì gli occhi era circondato da camici bianchi. “È amnesia conclamata ma sono certo che si risolverà fra qualche giorno”. I “camici” parlavano tra di loro come se lui non fosse lì presente.
“Di nuovo?” disse e richiuse gli occhi. I “camici” continuavano a parlare fra loro.
“È amnesia… di essere amnesia è amnesia ma non sono certo che si risolva così presto. Un mio vecchio professore diceva un po' scherzando e un poco seriamente che in questi casi un altro trauma, certamente più leggero, a volte risolve il caso”. diceva uno.
“Bisogna vedere quali altri danni non ancora accertati ha prodotto questo trauma” disse uno di quelli con tono stizzito, calcando la voce sul “questo” Fofò aprì gli occhi, capì che parlavano di lui.
“ Che è successo?” Chiese “Come sono arrivato fin qui?”
Il capo dei camici “Ha avuto un incidente” disse “Siamo in ospedale e ci stiamo occupando del suo caso”. Credevo di essere di nuovo in paradiso” disse Fofò.
“ Perché c'è già stato, in paradiso... prima intendo” disse uno di essi. I camici si guardavano e lo guardavano con un risolino sulle labbra. Fofò, si resero conto i medici, stava ormai bene, potevano dimetterlo ma c'era qualche cosa che non riuscivano a capire. Quell'accenno al paradiso li inquietava, ma più ancora quello che aveva confidato all'infermiera di notte “Sono stato in paradiso e m'hanno detto che non muoio”. “Ora?” chiese l'infermiera, ma Fofò non rispose, anzi chiuse gli occhi e finse di dormire.
Dopo qualche giorno Fofò fu dimesso dall'ospedale e se ne andò direttamente in campagna senza passare da casa per non dare spiegazioni anche perché non aveva spiegazioni da dare. Non lo capiva nemmeno lui, come poteva spiegarlo agli altri? Era stato semplicemente in paradiso e gli avevano detto che non moriva. Era tutto qua. “Chi lo sa perché hanno scelto proprio me?”
La decisione di recarsi in campagna, stare solo a riflettere senza l'incubo di dare risposte ai vicini e parenti che chiedevano perché, sempre perché. Gli volevano bene e volevano essere assicurati sul suo stato di salute. “Non siamo tutti cristiani?”
Un colpo di vento, una tegola che cade e la vita di un uomo viene stravolta” diceva la gente che la voce di questa andata e ritorno dal paradiso incominciava a circolare”.
“Poveraccio” pensavano le brave donne “e non ha nemmeno una famiglia sua”.
Voleva far crescere il gruzzolo prima di sposarsi, voleva essere certo di non ricadere nello stato di miseria che conosceva per averla vissuta e da cui si era tirato fuori onestamente con il suo lavoro. Non poteva e non voleva spiegare queste cose alla gente che gli diceva di rallentare, di riposarsi almeno la domenica per essere vigile sul lavoro. Un errore , anche minimo, si paga caro, sotto terra, a centinaia e centinaia di metri tra gallerie e passaggi che si allungavano ogni giorno di più come un serpente che striscia tra l'erba al sole. Finalmente la decisione di rientrare in paese. Quando la gente lo vide in piazza quasi quasi non lo riconosceva. Compare Gaspare, che era amico e compare, Fofò gli aveva battezzato il figlio, lo guardava come se fosse un forestiero e quando riconobbe che sotto la barba era Fofò stese le braccia per abbracciarlo ma si fermò subito che tra paesani questi abbracci non usano. Era veramente contento di vederlo e, a quanto sembrava, in buona salute. Alla piazzetta sembrava si fossero radunati tutti gli amici e conoscenti e tutti con le stesse domande e tutti con le stesse facce sorprese quando Fofò decise di spiegare come stavano le cose.
Ora non restava che stabilire che fa uno che non deve morire, a cui è stato detto a chiare lettere “Tu non muori”. La gente rideva sotto i baffi, faceva la faccia contrita, assentiva di apparente comprensione. Fofò se ne rendeva conto ma non poteva farci niente. Decise di andare in chiesa e parlare con don Giordano, il prete della parrocchia del Monte Carmelo a cui apparteneva.
Certamente lui in queste cose ci capiva di più e meglio di tanti altri. Il prete era in confessionale. C'erano alcuni ragazzi in fila che aspettavano il turno ed alcune vecchie che non avevano più l'età per peccare. Quando il prete vide Fofò si sporse dal confessionale e gli fece cenno di aspettare che si sbrigava subito. Aveva avuto sentore di quelle voci che parlavano delle andate in paradiso e ritorno e voleva vederci chiaro. “Si fa presto a creare problemi ed una volta uscite le pecore dall'ovile è difficile ripescarle e portarle dentro” pensava il prete che nella sua vita aveva sempre scansato i problemi”. In verità non aveva né “sciusciatu” né “chiavatu” come dicevano gli antichi in questi casi ma era vissuto tranquillo senza soffiare sulla brace e senza aggiungere legna al fuoco, aveva sempre evitato di prendere decisioni e parte e quando la conversazione si faceva pericolosa sempre lasciava la compagnia e faceva finta di recitare preghiere e giaculatorie per non dover dare spiegazioni. Così il suo allontanarsi non era assenso o dissenso di quello che si discuteva anche se la discussione concerneva la sua chiesa ed il modo in cui aveva speso i soldi che aveva ricevuto per fare delle riparazioni che non erano state fatte perché non necessarie.
Fece presto a sbrigare le persone in attesa e andò incontro a FoFò che se ne stava in fondo alla chiesa, appoggiato alla porta pronto a scappare se qualche cosa fosse andata male.
“Andiamo in sacrestia?” disse il prete avviandosi senza aspettare risposta. Fofò parlò del suo arrivo in paradiso, di quello che gli aveva detto il vecchio e poi parlò della curiosità della gente che non gli dava respiro. Pure del male di testa continuo e delle orecchie che gli ronzavano e sbattevano come se in testa ci avesse una bacinella piena a metà d'acqua che andava di qua e di là appena muoveva la testa ma più che altro parlò di questa cosa strana che gli era capitata, che era capitata proprio a lui. Il prete ascoltava e aspettava la fine del discorso ma davanti agli occhi aveva la faccia burbera del monsignore che si presentava alla porta della canonica appena correva voce della “ santificazione” di Fofò e l'accusava col dito che quasi toccava gli occhi di non aver saputo spegnere quelle fiamme sacrileghe. “Non lo sapeva forse che solo i santi sono immortali ma immortali nella memoria della gente e che essi stessi , i santi, si ingegnavano a fare qualche miracolo ogni tanto altrimenti la loro immortalità se ne andava a farsi benedire?” gli sembrava di sentirle le parole del vescovo e, guardando Fofò negli occhi, le due figure nella sua mente si confondevano
Perché, è meglio dirlo subito, la gente, e in special modo le donne tutte casa e chiesa che andavano alla prima messa mattutina appena suonava la campana, già parlavano di Fofò Santo. “Che uno che va in paradiso e torna indietro e gli dicono che non muore, santo lo deve essere per forza.” Addirittura qualcuno, non si sapeva chi, vox populi diceva che Fofò aveva già fatto dei miracoli. Non era miracolo il fatto che compare Gerlando era caduto da cavallo della mula, che la mula si era imbizzarrita e quando si avvicinò Fofò, “calmati non è successo niente” disse “e solo allora la mula si calmò e si lasciò accarezzare nel collo da Fofò come se fosse un agnellino e compare Gerlando, in perfetto stato, quasi ringiovanito, si alzò da terra agile come un ragazzino”. In miniera, il capo mastro e lo stesso padrone non avevano permesso che Fofò andasse a lavorare come prima, non volevano che andando a mettere le cariche, anche se piccole, potesse succedere qualche incidente e poi la gente si sarebbe riversata a chiedere, a scoprire e scoperchiare le pentole, che pentole tappate e con il coperchio sopra ce n'erano tante. “Si poteva essere perfetti, perfettamente in regola con il sale che scendeva e saliva di prezzo come un ascensore che ha rotto il sistema di controllo?”
I compagni si fermavano, volevano che raccontasse come erano andate le cose, il lavoro andava a rilento. Bisognava finirla ed era finita, infatti con una lettera di licenziamento che dietro a belle parole, che sanno trovare i datori di lavoro quando debbono mettere in mezzo alla strada un povero cristo, c'era il fatto che Fofò rimaneva senza lavoro e con il gruzzolo accumulato negli anni che si assottigliava ogni giorno di più.
La lettera arrivò con la prima distribuzione, quella della mattina. Quando don Giordano vide la busta e lo stemma del vescovado in alto a sinistra, capì di cosa si trattava senza bisogno di leggere. Si mise in tasca la busta chiusa e si diresse verso la chiesa del Calvario, ove per tanti anni aveva detto messa e dove conosceva bene tutte le “pecore”. Si inoltrò in uno di quei vicoli stretti e quasi senza uscita che sembravano tanti vecchi che si stringevano fra di loro per ripararsi dal freddo, e quando trovò la porta che cercava bussò con mano sicura. La donna che gli venne ad aprire, poco più alta di una nana, grassoccia e piuttosto bruttina gli rivolse uno sguardo indagatore lo guardò, il volto corrucciato.
“Che voleva? “ chiese. Teneva la mano destra appoggiata allo stipite e l'altra teneva la porta accostata come ad impedire all'estraneo di entrare in casa.
“ Cercavo a Filippo” disse il prete “ho bisogno di parlargli di una cosa... è piuttosto urgente” aggiunse. La donna lo informò che Filippo, suo marito era uscito per certe faccende e che sarebbe ritornato a casa nel primo pomeriggio.
“ Chi debbo dire…?”
“Gli dica che l'ha cercato don Giordano” e si toccò il petto come ad assicurarsi ed assicurare che lui fosse veramente quello che diceva. “L'aspetto in giornata per una cosa piuttosto urgente, in parrocchia”. Salutò la donna che appena lui ebbe girato l'angolo, chiuse la porta sbattendola così forte che suscitò un sorriso nel prete “Non le piacciono i preti” commentò con sé stesso.
Quando tutto era finito da un pezzo e di Fofò Incardona non si parlava più o se se ne parlava come di fatti che accadevano un tempo ed ora non più, che queste cose a volte accadono ma poi fortunatamente tutto si aggiusta e come in un mosaico tutte le poste vanno nel loro posto, giunse una telefonata , una di quelle mattine di sole che sembrano una tortura,infuocate di giorno e di notte e la mattina uno si alza dal letto, nervoso stanco per avere passato la notte in bianco “Sono Don Pasquale della Valle... della segreteria di Monsignore il Vescovo. Lei è don Giordano?” senza attendere riposta continuò “La volevo avvertire che giovedì otto, del mese corrente Monsignore sarà nella sua parrocchia per una visita pastorale. Ci si aspetta da lei un'accoglienza ed una organizzazione dell'evento degni del rango di Monsignore”.
“Farò del mio meglio, certo...” farfugliò, sentì un clic, segno che la conversazione era terminata e la comunicazione interrotta.
“Figlio mio” disse il Vescovo prima di entrare in chiesa e mentre don Giordano si genufletteva per baciargli l'anello e la mano “sono contento che le cose si siano risolte nella maniera migliore. Bisogna stare attenti che il diavolo è sempre pronto a fare la sua parte e si introduce appena vede una piega, una crepa... ma non parliamone più. Piuttosto sappia che non mi sono dimenticato di lei, di tutto il lavoro e la fatica che le costa badare, che dico badare, curare questa parrocchia come se fosse una pianta preziosa. Ho pensato di consentirle un periodo di riposo in una nuova parrocchia, piccola certo che le consenta un po' di riposo ma che sono certo lei saprà custodire, curare e far crescere secondo la volontà divina. Ma adesso non parliamo più di queste cose, entriamo in chiesa a compiere il sacrificio della santa messa, che è il nostro compito e nostro dovere a cui con umiltà ci accingiamo come figli devoti ed obbedienti della santa chiesa”.
Di tanto in tanto arrivavano voci in paese, le portavano i venditori ambulanti che facevano il mercatino settimanale nei diversi paesi. C'era chi diceva che Fofò Incardona faceva l'eremita in un posto sconosciuto, chi diceva di averlo incontrato vestito con grande eleganza dato che si era messo a fare il santone di professione, che era diventato ricco assai, che abitava in un palazzo di cinquanta stanze, ma nessuno vide più Fofò Incardona in paese.
trs98 persiste
RACALMUTO – Calogero Taverna:”Il diniego dell’ufficio tessere”
Postato in19 agosto 2014. Tags: Calogero Taverna, Racalmuto, ufficio tessere comune
Caro sindaco, stamani sono rimasto vittima di una arrogante inefficienza del tuo Ufficio TESSERE- Questo è posto al primo piano e cos si costringono i poveri vecchi come me o peggio gli handkappati a farsi tre rampe di scale. Alle 10,45 mi presento in quell’ufficio per avere rilasciata la carta di identità e così finalmente ottenere da Canicattì l’assegnazione del medico di cui all’attuale normativa di settore. Una signora di una gentilezza estrema svolge encomiabilmente il suo dovere di ufficio. Mi invia alle Poste per il pagamento di quanto dovuto. Mi assento per l’adempimento de quo. Ritorno e trovo una signora attempata e piuttosto robustella che prende ora lei la pratica in mano (prima non c’era. Dov’era? Assente? giustificata?) e mi soleva tutta una serie di obiezioni senza capo né coda. Risultato il rilascio della tessera già pronta non mi viene concesso. A me le parole non bastano. Dille che mi metta per iscritto le ragioni del diniego. Vi sono altri aspetti esasperanti. Non voglio qui renderli palesi. Al momento opportuno e ove occorra. La macchina amministrativa così non parte. Tu naturalmente non c’eri. Il segretario è araba felice. Ho visto solo agitarsi Guagliano. A che titolo? ma questo come vive? e con quali deleghe fa il supersindaco? Comunque l’ufficio tessere ha impiegati a singhiozzo e si permette dinieghi che già mi hanno procurato danni non indifferenti.
8 Responses to “RACALMUTO – Calogero Taverna:”Il diniego dell’ufficio tessere””
Niente più soldi della CMC al Racalmare
Qual è oggi il comune senso del pudore? Sta scoppiando il caso del premio letterario Racalmare di Grotte. Il terrore corre sul filo. Il sindaco Fantauzzo nega i soldi delle non più floride casse comunali a questo premio che l'anno scorso risultò alquanto "deviato". Alza alti lai persino l'Annunziata che credo sappia di Racalmare solo per quello che le suggerisce Savatteri di cui è stata commensale a Racalmuto. Insomma fregole da letterati e manie di giornalisti in cerca di rumores. Ma emerge che a dar soldi per premiare un ergastolano ostativo non pentito è la CMC, sì la rossa di Ravenna. Questo per me il vero scandalo.
Spero che la cooperativa delle autostrade siciliane dai ponti collabenti faccia pubblica confessione con il noto brocardo del perdono: non lo commetterò mai più. Niente più soldi a Racalmare.
A Racalmare niente più premi a ergastolani ostativi non pentiti.
Il problema è tutto qui: dopo la caduta di stile di gusto e persino etica del premio a Grassonelli, il Racalmare anche per rispetto a Sciascia necessita di una palingenesi letteraria organizzativa apicale. Necessita di una nuova cifra estetica e di una sua specifica dignità. La valentia indubitabile di personalità quali quella di Gaetano Savatteri non si discute. Ma qui vi è stata una topica inqualificabile che neppure l'Annunziata può ignorare. Chi sbaglia paga e dignitosamente si mette da parte senza strumentalizzare il pur dignitosissimo MALGRADO TUTTO: titoli quali quello di dare una notizia falsa e tendenziosa e strillare che a Grotte si sarebbe commesso un OMICIDIO sono intollerabili. Il Sindaco di Grotte per me ha soltanto preso un doveroso provvedimento: non dar soldi ad un premio per ergastolani ostativi non pentiti.
Omicidio a Grotte, ucciso il premio Sciascia-Racalmare. Chi è il colpevole?
di Gaetano Savatteri | 25 giugno 2015
CULTURA & POLITICA. Il sindaco Paolino Fantauzzo annuncia di non avere i soldi per organizzare il premio Sciascia. Ma quindici giorni fa ha liquidato 15 mila euro per il concerto di Pasqua di Fausto Leali. Gaetano Savatteri si dimette dalla presidenza. Ecco le sue ragioni
Il sindaco di Grotte Paolino Fantauzzo ha finalmente trovato il modo per ammazzare il premio Leonardo Sciascia-Racalmare. Ci tentava da tre anni, da quando, appena insediato, si presentò alla prima riunione della giuria di selezione dei libri finalisti dicendo che non aveva i soldi, e infatti arrivò al punto da non trovare nemmeno cento euro per rinnovare l’abbonamento internet del sito dedicato al premio che infatti non esiste più.
Nel 2013 e anche lo scorso anno, l’assessore alla Cultura Angelo Collura si diede da fare personalmente per recuperare qualche spicciolo dalle casse comunali e da alcuni sponsor. I costi vivi, infatti, si aggirano sui cinquemila euro, mentre i premi per gli scrittori finalisti sono interamente a carico del main sponsor Cmc di Ravenna.
Adesso Fantauzzo si nasconde dietro i bisogni delle famiglie dei precari e dice di non avere le risorse economiche per il premio. Non la pensava così venti giorni fa quando ha liquidato 15 mila euro per pagare il concerto di un cantante di grido come Fausto Leali che si è esibito a Pasqua: in quel caso i precari, l’Imu, la mensa scolastica e i conti in rosso del Comune potevano aspettare.
E’ evidente che la questione economica è solo un pretesto. D’altra parte, nel primo anno della sindacatura di Fantauzzo i soldi che non c’erano per il premio Sciascia-Racalmare (che è del Comune e gestito direttamente dagli uffici comunali) fu risolta brillantemente pochi giorni dopo al momento di erogare una somma per un’associazione culturale privata che da dodici anni gestisce un premio di poesia dialettale. Il premio Sciascia-Racalmare quindi era un premio di serie B rispetto alle altre iniziative culturali. Quella volta minacciai le dimissioni. Ne ricevetti in cambio assicurazioni che, alla luce dei fatti, erano solo parole.
Ora, un sindaco e un’amministrazione comunale possono decidere di promuovere o no una manifestazione culturale. Possono decidere o no di dare i soldi a un artista come Fausto Leali e dare zero euro al premio Sciascia-Racalmare o al premio Martoglio.
E’ questione di scelte, si sa: Fantauzzo ha scelto di uccidere il premio Sciascia dopo ventisei edizioni. Ma è un problema suo di cui, al massimo, dovrà rendere conto ai suoi concittadini e al mondo della cultura italiana. Forse dovrà spiegare perché decide di far morire un premio – senza nemmeno tentare di rivolgere un appello alla Regione, agli sponsor privati e ad altri soggetti – che non è privato e suo, ma che appartiene alla tradizione trentennale della migliore cultura italiana. Un premio che è stato presieduto da Leonardo Sciascia, Gesualdo Bufalino, Maria Andronico Sciascia, Vincenzo Consolo.
Un premio che, per limitarmi ai miei anni di presidenza, dal 2010 ha coinvolto centinaia di lettori e autori del calibro di Simonetta Agnello Hornby, Benedetta Tobagi, Roberto Andò, Fabio Stassi, Carmelo Sardo, Caterina Chinnici, Paolo Di Stefano, Bice Biagi, Leda Melluso, Giorgio Fontana, Francesco Pinto, Valerio Magrelli, Marcello Sorgi, Salvatore Falzone, Franco Di Mare. Un premio che ha saputo intercettare le tendenze, valorizzando scrittori che in seguito hanno ricevuto riconoscimenti come il Campiello.
Un premio che, proprio in questi giorni, campeggia nelle vetrine delle librerie francesi con il volume “Malerba” di Carmelo Sardo che porta in copertina la scritta “Prix Leonardo Sciascia 2014”. Nel momento in cui il premio ha avuto, anche grazie all’acceso dibattito che ha accompagnato la scorsa edizione, il massimo di notorietà, il sindaco Fantauzzo pensa bene di sopprimerlo (almeno per questa edizione). Può farlo e infatti lo sta facendo.
Mi auguro solo che per il resto della sua vita politica, il sindaco Fantauzzo si astenga dal pronunciare queste tre parole: libri, cultura, Leonardo Sciascia.
Mi dispiace per Grotte, l’unico Comune d’Italia che poteva vantarsi di avere un premio dedicato al grande scrittore siciliano. Mi dispiace per le ragazze e i ragazzi che in questi anni, con entusiasmo, hanno partecipato al premio. Mi dispiace per i lettori che mi fermavano per discutere di un libro, per criticare le scelte, per lodare un testo. Mi dispiace per gli autori e le case editrici che avevamo coinvolto per questa prossima edizione. La giuria di selezione aveva già cominciato a individuare i libri di autori come Gianrico Carofiglio, Vincenzo Pirrotta, Maurizio De Giovanni, Antonio Manzini e altri ancora. Dovrò scusarmi con tutti loro.
A me, da questo momento, infatti, tutto questo non riguarda più.
Mi dimetto dalla presidenza del premio, con un pensiero sincero di ringraziamento alla giuria di selezione, alla giuria dei lettori, agli sponsor e a tutti quelli che in questi anni, da quando fui chiamato nel 2010 dall’allora sindaco Paolo Pilato, ci hanno creduto con passione e mi hanno permesso di vivere un’esperienza straordinaria. Mi porto dietro questa bella avventura, cercando di dimenticare il sindaco che passerà alla storia per avere spento le luci sul premio dedicato a Leonardo Sciascia.
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Mio personale e irriverente commento:
mi confesso dinanzi a voi giudici onnipotenti, distrattivi un istante per uno sguardo a questa mia chiosa: a legger di siffatte dimissioni ho esalato un sospiro di gioia e di allegrezza pieno. Questo sgorbio di premio che decide insolentemente, contro la volontà dell'autorevole "tascio" grottese, di premiare un ostativo neppur pentito sia pur pro forma, è bene che venga eraso cancellato al limite modificato.
Tano dice che il libro dell'ostativo non pentito Grassonelli (e non certo di Sardo) campeggia nelle librerie francesi; posso assicurarlo che in quelle italiane manco per niente. Ho fatto indagini: il mio libraio non ne sapeva neppure l'esistenza. Non apparve in nessuna graduatoria di vendite. Da ex superispettore della Banca d'Italia avevo annusato un grosso affare economico: diritti d'autore da cifre a cinque zeri. Allora il Racalmare avrebbe potuto veleggiare speditamente con propri lauti fondi. Sogno svanito. Vedo che ora Tano si vergogna persino del vero autore del libro nel citare l'eclatante evento delle vetrine francesi stracolme del premio di Grotte. Non frequentiamo la Francia e quindi non sappiamo che dire; non nascondiamo comunque il nostro scettico moto di beffarda ironia.
Peraltro codesta rossa CMC invece di foraggiare piccole cosche dipinte di vezzi letterari farebbe bene a utilizzare i soldi (tanti) degli appalti autostradali per ponti un po' più durevoli e per opere rispettose sei siti archeologici dello Zaccanello di Racalmuto.
E la letteratura di Racalmare? Con tutto il rispetto per Tano vedo sciorinar nomi di nessun valore. Io non ne so niente di codesti codesti premiati, ma ammetto che la mia ignoranza è abissale. Il premio Racalmure poteva avere un bel ruolo nel patrocinare le brillanti composizioni anche letterarie indigene, ma esigenze personali dei satrapi del momento hanno negletto i valori tasci o paraccari per adulare congreghe estere sicuramente estranee alla cultura rossa che dovrebbe esser cara ai movimenti cooperativistici social proletari cui CMC di Ravenna dovrebbe restare avvinghiata.
Ma non avevano dato il premio ad un ergastolano ostativo non pentito. Capisco ... la notte della Civetta. Aggiungo, pur essendo un racalmutese del tutto ostativo alla cultura tascia, il premio è sorto a Racalmare. due intellettuali grottesi l'hanno concepito e lanciato. Sciascia anche qui si atteggiò alla casta puella e finse di cedere alla violenza di Agnello e del suo amico preside. Vis grata puellis. Credo che il prestigioso premio Racalmare noto in mezzo mondo quello letterario deve tornare al grottese Gaspare Agnello e se ha bisogno di soldi escluda la rossa (si fa per dire) CMC e sarò con lui per qualche operazione bancaria vicaria. Un bel premio Racalmare, arabo quindi meglio se sicano, senza talora marpioneschi apici racalmutesi e senza giornalisti televisivi giorgentani. Sgangaciata anche dalla notoria casta sparagnina dei sindaci di Grotte.
C’è effettivamente qualche barriera ancora da abbattere,cosa a cui l’amministrazione dovrà porre rimedio al più presto.
In paese è opinione diffusa che al sig. Taverna qualsiasi cosa dica o faccia non è il caso di replicare.
I Racalmutesi lo considerano come una sorta di mascotte dedita al pendolarismo tra Roma e Racalmuto che quando è in paese ha bisogno di richiamare l’attenzione per non scivolare nel dimenticatoio.
Io sono dell’avviso che tutti (anche il sig. Taverna) meritano considerazione e rispetto.
Ritengo un suo diritto la critica in direzione di possibili disservizi.
Ritengo altresì irrispettoso e un po “Burino” il linguaggio e l’inopportunità di certe esternazioni chiaramente diffamatorie.
Invito l’interessato a rileggere prima di pubblicare le sue note, onde evitare non già querele che sono convinto nessuno gli farà mai, ma più tosto che scivoli definitivamente in un sentimento di compatimento generalizzato, che è evidente significherebbe la “morte” civile per ogni essere umano.
Smania di protagonismo, posizione primaria, di spicco, smania di essere al centro dell’attenzione, di primeggiare offendendo una donna! Vada a farsi fottere
Sapiens, ut loquatur, multo prius consideret
Stultorum infinitus est numerus
Il fra diego da strapazzo spinge chissà chi a querelarmi. Non ricevo ancora alnuna querela, Mi aspetto allora quella sua. Così gli chiederò quante provvidenze comunitarie la mia aima ha potuto dispensargli a lui o alla sua azienda familiare. E credo che vorrò sapere come è finita la censura dell’albo pretorio del 5 maggio 2012.
(vedi il mio cedolino della pensione nel mio blog CONTRA OMNIA RACALMUTO)
Tutto il resto non mi appartiene e non mi interessa.
Meraviglia come una persona che proclama quarantenneli esperienze professionali e di vita possa scivolare in una supponenza al limite dell’idiozia.
Riguardo alla censura di cui parla lo informo che gli autori (segretario comunale e commissari non hanno dato corso essendosi resi conto dell’insensatezza della cosa)
Quanto alla querela che si aspetta da parte mia, le dico di stare sereno poichè questo tipo di azione va fatta per questioni serie di cui certamente non possono far parte i pettegolezzi.
Per quanto riguarda le provvidenze AIMA la invito volentieri, senza alcun pericolo di querela, a esternare tutte le cifre che conosce.
Le faccio presente che le leggi comunitarie prevedevano l’erogazioni di contributi a sostegno delle coltivazioni agricole, così come altre leggi prevedevano il pagamento del suo stipendio per le prestazioni di “superburocrate-superispettore” di organismi che dopo tanti anni si è scoperto avere frodato o consentito di frodare decine di miliardi di lire di fondi pubblici.
Chiudo dicendo che non provo rancore e astio nei suoi confronti.
La invito soltanto ad esere più cauto nelle sue esternazioni verificandone la veridicità.