Nei
libri contabili, reperibili presso l’archivio di Stato di
Agrigento, v’è quasi un pianto per le continue erogazioni che il
convento è costretto a subire in favore di questo prete venuto dai
monti di Cammarata.
Varrebbe
la pena spulciare le varie note spese che appaiono nei libri
contabili dell’archivio di Stato di Agrigento, presentate dal
Traina al Convento per l’immediata liquidazione, pronto cassa; ma
non è questa la sede per siffatte ricerche di sapore
ragionieristico.
Il
giovane arciprete Tommaso Traina s’impania nella transazione con
gli eredi di don Santo d’Agrò: sobillatore ci appare l’esecutore
testamentario, don Dn. Franciscus Sferrazza, dichiaratosi Legatarius
dicti quondam Dn. Sancti de Agrò.
Che cosa abbia disposto in favore della Matrice don Santo d’Agrò,
non mi è ancora dato di sapere, non essendo stato rinvenuto il suo
testamento, nonostante le tante ricerche. Disposizioni in favore
della sua tumulazione nella chiesa madre - che in quel tempo risulta
allargata dagli altari centrali a quelli laterali, entrambi i primi a
sinistra ed a destra dell’attuale edificio - non dovevano mancare,
ma dovevano essere ambigue ed indecifrabili. Familiari diretti del
defunto, sacerdote, l’esecutore del testamento ed il giovane
arciprete addivengono ad una transazione, come da rogito notarile. Il
rogito cadde sotto l’attenzione di Tinebra Martorana, procuratogli
pare - guarda caso - da tal signor Salvatore Sferlazza. Come da quel
magari incerto latino notarile, il Tinebra abbia potuto raffazzonare
quel po’ po’ di fandonie che leggiamo a pag. 143 delle sue
Memorie
è arcano che non manca di sorprenderci. A dire il vero
l’alumbriamento
più che nel casto sacerdote Santo d’Agrò sembra doversi cogliere
nei nostrani scrittori, passati e presenti.
Tralasciamo
qui di scrivere su Pietro d’Asaro, su Marco Antonio Alaimo - che
pure qualche attinenza, non foss’altro d’indole temporale, con il
Traina ce l’hanno - perché divagheremmo troppo, esulando appieno
dai limiti del presente lavoro, volto alla ricostruzione della storia
dei del Carretto di Racalmuto. Non mancherà tempo per restituire a
Pietro d’Asaro quello che è di Pietro d’Asaro e togliere a Marco
Antonio Alaimo quello che una secolare letteratura agiografica ha su
di lui profuso in superfetazioni.
Il
30 agosto L’arciprete Traina muore a soli 35 anni. Gli atti della
Matrice segnano:
30/8/1648
Traijna Thomaso, arciprete, sepolto in Matrice, gratis;
ed
il cappellano detentore dei libri annota:
Il
d.re D. Thomaso Traijna Sacerdote et Arciprete di. questa Terra di
Racalmuto d’età' d'anni 35 et mese cinque si morse et fu sepellito
in questa Matrice chiesa di detta terra. Gratis
Ove
giaccia in Matrice, si è persa la memoria.
Il
4 ottobre 1651, il vescovo Traina, dopo tante peripezie, fra le quali
una fuga notte tempo a Naro, cessa di vivere. Nella macabra cappella
funeraria della Cattedrale fece incidere, in orripilanti caratteri
bronzei, peracri
ecclesiasticae libertatis studio administravit. Chiamò
libertà della chiesa il suo pervicace attaccamento alle cose di
questo mondo, come la giurisdizione sui racalmutesi. Anche da morto
non si smentì. Denis Mack Smith, un
protestante, non si esime, a distanza di secoli, dal punzecchiarlo
nella sua Storia della Sicilia.
L’interregno
di Maria Branciforti
Eseguita
la pena capitale, i beni feudali di Giovani V del Carretto furono
prontamente requisiti. La Corte però non li trattiene: li concede
alla vedova donna Maria Branciforti, quale tutrice di don Girolamo
III del Carretto e Branciforti. Con un privilegio di Filippo IV,
rilasciato nel Cenobio di San Lorenzo il 28 ottobre del 1654 e reso
esecutivo in Palermo il 13 novembre 1655, Racalmuto torna in potere
dei del Carretto.
Il
privilegio di Filippo IV non evita di fare riferimento alla tragica
ma anche ingloriosa fine di Giovanni V del Carretto, ma alla fine
risulta più munifico di quel che ci si aspettasse. Al figlio di
Giovanni V del Carretto andrebbe anche il feudo di Gibillini, ma noi
crediamo che si sia trattato di un errore dei curiali di Palermo.
Donna
Maria Branciforti - evidentemente giovanissima - resta nel 1650
vedova ma con buone rendite specie per i beni paterni. Ma ci pare in
mano di usurai. La sua situazione economica è riepilogata in questo
documento che si conserva alla Gancia di Palermo:
(Anno
1651 vol. 609 - Archivio di Stato Palermo - Gancia - P.R.P.)
Donna
Maria del Carretto e Branciforte, contessa di Racalmuto, cittadina
oriunda della città di Palermo, relitta del Conte, figli don
Girolamo di anni 3 e Anna Beatrice. Rendite: don Nicolau Placido
Branciforte, principe di Leonforte, once 300 ogni anno sopra detto
stato di Branciforte che à raggione del 5% il capitale spetta onze
6000;
inoltre
rende ogni anno donna Margherita d'Austria onze 382 e tt. 5 per il
principato di Butera quale che tiene il capitale di onze 5277 per un
totale di 11277 onze, 13 deve a d. Michele Abbarca della città di
Palermo onze 2600 per tanto che ci ha dato; deve a donna Maria
Morreale e del Carretto onze 500 per tanto prestatoci.
Giovanni
V del Carretto lascia dunque due figli: Girolamo di anni 2 e Beatrice
di cui ignoriamo l’età.
GIROLAMO
III DEL CARRETTO
Girolamo
III del Carretto può dirsi l’ultimo feudatario di Racalmuto della
famiglia carrettesca. Ebbe un figlio: Giuseppe; gli donò la contea
mentre era ancora in vita, sicuramente per ragioni fiscali; ma
Giuseppe era malaticcio; premorì al padre ed Girolamo III ritornò
la contea di Racalmuto; Girolamo morì senza altri figli maschi; la
contea finì in mano alla moglie del defunto figlio Giuseppe; era
costei Brigida Schittini e Galletti che non seppe mantenere il feudo
racalmutese, finito - previa un’interposizione fittizia di una tal
Macaluso - in mano dei Gaetani.
Girolamo
III del Carretto nasce - crediamo a Palermo - attorno 1648. Con la
morte del padre, la vita a Palermo dovette essere ardua. Così la
vedova con i due figlioletti ritorna a Racalmuto, mentre nella
capitale si infittiscono gli approcci per il recupero dei beni
feudali requisiti dalla corte spagnola.
Nel
1660, secondo una numerazione delle anime che si custodisce in
Matrice, i del Carretto costituiscono il 1625° “fuoco” di
Racalmuto con questa composizione:
1625 LA
CARRETTA Xxa ECCELLENTISSIMO
SIG. DON GERONIMO C.TO ECC.MA SIGNORA DONNA MARIA C.TA ILLUSTRISSIMA
DONNA BEATRICI CARRETTO C.TA
Girolamo
del Carretto è appena dodicenne; frequenta qualche scuola da qualche
prete locale; subisce l’autorità della madre che appare molto
volitiva.
S’iniziano
i lavori della Matrice e donna Maria Branciforti è munifica nelle
elemosine.
La
contessa, in effetti, versa a spizzichi e bocconi la sua “elemosina”
di cento onze in ben 19 rate di disparato importo (da pochi tarì a
30 onze) lungo un arco di tempo che parte dal 15 dicembre 1654 per
concludersi il 10 marzo 1660.
Sembra
che dopo il 1660 la famiglia del Carretto si sia trasferita ad
Agrigento. Girolamo III del Carretto ha voglia (o necessità)
d’intrupparsi nell’esercito spagnolo per andare a fronteggiare
gli invasori francesi nei pressi di Messina nel 1674. Aveva 26 anni.
Non militò a lungo. Tornò a casa, si era sposato con una Lanza.
Decide di abitare nel suo castello di Racalmuto.
Il
San Martino-De Spucches è piuttosto esauriente nel fornirne il
profilo araldico:
«Girolamo
del CARRETTO BRANCIFORTE,
figlio del precedente [Giovanni V], per grazia speciale di Filippo IV
ebbe restituiti i beni paterni e con nuova concessione, data nel
cenobio di S. Lorenzo, a 28 ottobre 1654, fu nominato Conte di
Racalmuto; il Privilegio fu esecutoriato nel Regno, nell'anno IX
Indiz. 1655, e propriamente il 13 novembre. In base al suddetto
privilegio egli s'investì a 14 agosto (R.
Canc.
IX Indiz. f. 73). Si reinvestì, a 16 settembre 1666, per il
passaggio della Corona (R. Cancell. V Indiz. f. 180). Sposò, in
prime nozze, Melchiorra
LANZA MONCADA di LORENZO,
Conte di Sommatino, e di Aloisia
MONCADA; sposò
in seconde nozze, Costanza
AMATO ed ALLIATA
di Antonio, P.pe di Galati, e di Francesca
ALLIATA LANZA (Villafranca).
Fu maestro di campo dell'esercito destinato a sedare la rivoluzione
di Messina (1674); Vicario Generale Viceregio a Noto, Girgenti,
Licata, Caltagirone; Pretore di Palermo nel 1682; Gentiluomo di
Camera del Re Carlo II a 10 agosto 1688.»
Dal
1682, dunque, risulta residente a Palermo; il richiamo della capitale
era stato anche per lui irresistibile.
Ha
voglia a Racalmuto di mettere mano a riforme: affida il vecchio
ospedale di San Sebastiano ai Fatebenefratelli. Da allora si chiamerà
di San Giovanni di Dio.
E’
leggibile una copia del privilegio di erezione di quella pia
fondazione. Sono ricavabili questi estremi:
"COPIA
Della fondazione di questo nostro Convento..." "ANNO 1693"
Nell'anno 1693 l'Ill.mo Sig.r d. GEROLAMO
DEL CARRETTO E BRANCIFORTE
Conte di Racalmuto e P.pe di VENTIMIGLIA
accumulatavi la Pietà, e Carità dell'Ill.ma
D: MELCHIORA DEL CARRETTO E LANZA sua
moglie". ...." Ill.mo d: GIUSEPPE DEL CARRETTO
BRANCIFORTE, e LANZA
suo figlio. -Bolle Pontificie date in Roma il .. 13|2|1693 .. in
Palermo l'8\4\1693 ed in Girgenti il 20\8\1693".
Il
16 giugno 1670 Girolamo è residente a Racalmuto. Le muore una
figlioletta che viene così registrata nei libri della Matrice:
Domina
Joanna, Ignatia, Antonina Elisabetta filia Ill.mi et Ecc.mi D.ni
Hijeronimi Carretti et Branciforti comitis Racalmuti et principis
XXmiliarum, et ill.me et ecc.me D.ne Melchiorre eius uxor; duorum
annorum et mensium quatuor circiter, in domo palatii h. t. R.ti
animam Deo redidit, cujusque corpus sepultum est eodem die in
ecc.sia S.te Marie de Monte Carmeli in communione S. Matris Ecc,sie
presente clero, congregationibus confraternitatibusque et Senato.
GRATIS
Sappiamo
che donna Melchiorra Lanza morì a Racalmuto il 10 aprile 1701 e vi
fu sepolta come attestano i soliti libri della matrice:
906 10.4.1701 D.
MELCHIORRA LANZA DEL CARRETTO UXOR HIERONIMI PRINCIP.A COMITISSA
RACALMUTI di anni 70
sepolta a S.MARIA DE IESU IN VENERABILI CAP. SS. ROSARII. Assistita
da D. FABRIZIO SIGNORINO ARCIPRETE. Morì in sua propria domo.
Girolamo
III del Carretto sarebbe dunque rimasto vedovo a soli 53 anni. Tra
lui e la prima moglie vi sarebbero stati diciassette anni di
differenza. Questo, stando ai dati che riportiamo. Confessiamo, però,
di nutrire noi stessi forti dubbi: forse gli anni della contessa
defunta vanno rettificati in soli 50.
Girolamo
III del Carretto acquisisce contorni di litigiosità con i dati che
emergono dal Fondo Palagonia. Un atto soprattutto.
Il
conte ha modo di dire di sé:
Ex
ditto d. Joanne natus est illustris don Hieronymus de Carretto et
Branciforte, cuius nomine et pro parte, illustris donna Maria de
Carretto et Branciforte cepit investituram de ditta terra, statu et
comitatu Racalmuti, pro ut per dittam investituram de ditta terra,
statu et comitatu Racalmuti pro ut per dittam investituram sub die
decimo quarto Augusti nonae indittionis 1656 per attum apparet et die
sua melius etc.
Il
feudo di Racalmuto a fine del ’600
Ed
ecco come ci descrive il suo feudo, il nostro Racalmuto:
Item
ponit et probare intendit non se tamen obstringens etc. qualmente il
fegho nominato di Racalmuto sito e posto in questo Regno di Sicilia
nel Val di Mazzara consistente in salme setticentocinque tummina
quindeci, mondelli tre e quarti dui cioè in salme seicento
cinquantadue, tummina undeci e mondelli uno di terre lavorative e
salme cinquanta trè, tummina dui e mondelli dui di terre rampanti,
valloni, trazzeri ed altri inclusi in dette salme cinquanta tre,
tummina dui e mondelli dui, salme undeci di terra nel circuito, delle
quali e sita e posta la terra [134] che tiene il nome da detto fegho
è posto in menzo delli feghi nominati:
delli
Gibillini e feghi
delli
Cometi;
e
fegho delli Bigini;
del
fegho di Zalora;
del
fegho di Scintilìa;
del
stato e ducato delli Grotti;
del
fegho e principato di Campofranco;
e
fegho della Ciumicìa
e
altri confini ...
Non
v’era dunque dubbio che le terre usurpate dai sacerdoti racalmutesi
erano integralmente sotto la giurisdizione del conte.
Item
ponit et probare intendit non se tamen obstringens etc. qualmente le
contrate nominate di Bovo seu Montagna, Pinnavaira, della Rina seu
Scavo Morto, della Difisa, Jacuzzo, Zimmulù, Caliato, Serrone,
Pietravella, Saracino seu Molino dell’Arco, Menziarati e Culmitelli
sono delli membri e pertinenze del fegho e stato di Racalmuto ed
intra li limini e confini di detto fegho di Racalmuto come sopra
stimato e confinato conforme fù ed è la verità, notorio e fama
publica et nihilominus dicant testes quicquid sciunt, sentiunt,
viderunt vel audiverunt etiam extra capitulum ad intensionem
producentis et - - -
Non
sappiamo come sia andato a finire quel processo. Sorto alla fine del
Seicento, con tutta probabilità non era concluso alla morte del
litigioso conte. Il quale pare ebbe molto a litigare anche con il
figlio che pure aveva dotato della contea ancor prima della sua
stessa propria morte.
Girolamo
III del Carretto non era comunque un mangiapreti: sotto di lui
l’arciprete Lo Brutto - e con il suo esplicito e imperioso avallo -
aveva potuto costituire la “comunia” di Racalmuto con ben dodici
mansionari, adorni di fregi appariscenti.
Religione,
clero ed altri aspetti nella Racalmuto post Giovanni V del Carretto.
Al
Traina, frattanto, era subentrato nell’arcipretura don Pompilio
Sammaritano, un semplice dottore in teologia.
Porta
con sé un parente sacerdote, don Pietro. Lo nomina subito suo
cappellano ed il racalmutese p. Antonino Morreale viene giubilato e
deve emigrare. Lo segue uno stretto parente, forse un fratello, un
tal Francesco Samaritano sposato con Gerlanda e con una figlia, come
ci tramanda il primo censimento di Racalmuto conservato in Matrice.
Già nel 1649, il nuovo arciprete risulta dai registri della Matrice
già in opera. Nel 1660 è felicemente insediato in paese, ove ha
messo su casa servito da “un famulo” di nome Giuseppe ed una
fantesca chiamata Lizzitella. (il solito censimento è impertinente).
Durante la sua arcipretura piombarono a Racalmuto la moglie ed i
figli dell’infelice Giovanni V del Carretto.
La
contessa ha i suoi guai: deve risolvere i problemi del riottenimento
dei beni feudali che sono stati requisiti dal re per l’alto
tradimento del marito. Vi riuscirà. I fondi Palagonia contengono,
come si è detto, gli atti di questa avvincente vertenza feudale. Il
dottore in teologia è prodigo di consigli e sa essere di supporto
morale.
Frattanto
giunge ad Agrigento il nuovo vescovo Ferdinandus Sanchez de Cuellar.
Il 28 novembre 1654 visita Racalmuto e subito mette in mora
l’arciprete per il latitare dei lavori della fabbrica della chiesa
della Matrice. Il giorno dopo si apre la contabilità dei lavori
edili, il cui pregevole rollo si conserva in Matrice:
LIBRO
D'INTROITO ED ESITO di denari per conto della fabrica della Matrice
Chiesa di Racalmuto incominciando dalli 29 di novembre 8a Ind. 1654,
reca in esordio per la penna di don Lucio Sferrazza. Il depositario
è il dott. don Salvatore Petruzzella, futuro arciprete. I primi
soldi, cioè le prime 12 onze, sono dal vescovo. Ma è un modo di
dire: si tratta delle feroci molte comminate dal vescovo in corso di
visita. E pensare che sotto il vescovo Traina le autorità diocesane
avevano latitato. A noi fa un certo senso leggere:
Dall'Ill.mo
et rev.mo Monsignor frà Ferdinando Sancèz de Cuellar Vescovo di
Girgenti hò ricevuto per mano di D. Alonso de Merlo suo mastro
notaro onze dudici quali d.o Ill.mo Signore ha dato d'elemosina alla
fabrica di d.a matrice chiesa dalle .. pene esatte in discorso di
visita in Racalmuto d. ........ onze -/ 12.
La
pia contessa, vedova sconsolata, è la più munifica nel contribuire
alle spese per la costruzione della Matrice: oltre 100 onze. Ma essa
è la nuova contessa di Racalmuto, a titolo personale: il figlio
Girolamo III riacquisterà la contea il 28 ottobre 1654, ma ne avrà
il diploma solo il 5 novembre 1655, previo pagamento di 200 onze e 29
tarì.
La
posa in opera delle colonne della Matrice - quelle di cui si parlava
nella transazione con gli eredi di don Santo Agrò del 1642 - avverrà
nel marzo del 1655. L’iter dei lavori è seguito passo passo e
studenti di architettura potrebbero utilizzare i rolli della
“Fabrica” per avvincenti tesi sulle chiese del Seicento
siciliano, quelle minori dell’entroterra contadino, come Racalmuto.
Il
Samaritamo muore il 6 gennaio 1664 a 66 anni. Gli atti della Matrice
riportano:
1664
SAMMARITANO Pompilio ARCHIPRESBITER 66 huius matricis Ecclesie
Viene
sepolto in Matrice, presente clero. Aveva avuto l’estrema unzione
da P. Antonio ord. S. Marie Carmeli.
Gli
succede don Salvatore Petruzzella, finalmente un racalmutese; ma vive
poco: muore il 29 maggio 1666. Non ha il tempo per lasciare tracce
durevoli del suo apostolato.
E’
ora la volta dell’altro arciprete racalmutese: il dott. sac.
Vincenzo Lo Brutto e costui di tempo ce ne ha per lasciare un segno
profondo, al di là della lapide funerea che ancora è visibile nella
cappella centrale della navata laterale di sinistra (per chi entra)
della Matrice. Vanta un elmo chiomato, come se fosse stato un nobile
milite: debolezza del nipote che quella tomba volle.
Il
vescovo agrigentino Sanchez - si pensi quale ofelimità potesse
legare uno spagnolo all’amaro vivere contadino di Racalmuto - regge
la diocesi dal 26 maggio 1653 sino alla sua morte (+ 4 gennaio 1657).
Subentra Franciscus Gisulpfus (Gisulfo) - dal 30 settembre 1658 sino
alla morte (17 dicembre 1664); e poi Ignatius Amico ( 15 dicembre
1666 - + 15 dicembre 1668); Franciscus Ioseph Crespos de Escobar (e
ci risiamo con gli spagnoli) - 2 maggio 1672, + 17 maggio 1674.
Finalmente un buon vescovo per una cattedra durata vent’anni:
Franciscus Maria Rini (Rhini) - 10 ottobre 1676, + 14 agosto 1696.
Chiude il secolo un vescovo nefasto: 26 agosto 1697 - + 27 agosto
1715 (fuori Agrigento, essendone stato espulso dalle autorità civili
per il suo atteggiamento provocatorio scaturente dalla nota questione
liparitana). Su tale controversia ebbe a scrivere Sciascia. Il valore
storico di quel pezzo teatrale fu denegato da Santi Correnti:
comunque, oltre al valore - indubbio - sotto il profilo letterario,
il testo sciasciano ci immerge nel clima politico e sociale, ma anche
religioso e morale di quel tempo. Fu davvero una iattura il vezzo di
preti e religiosi ruffianeggianti con Roma che negavano il sacramento
della confessione ai moribondi, sol perché operava un interdetto
dovuto all’incauto comportamento di alcuni catapani
che avevano tentato di applicare l’imposta di consumo ad un
munnieddu
di ceci o di fagioli - non si è capito bene - del vescovo di Lipari
(nominato, pare, al solo scopo di provocare un incidente per
consentire al Papa di rimangiarsi la medievale concessione della
Legazia Apostolica).
Se,
un moribondo - ossessionato dalla sola paura dell’inferno per i
suoi tremendi peccati - in stato di semplice attrizione,
dunque, avesse chiesto un confessore e non l’avesse avuto per
l’interdetto dei fagioli, era destinato alla dannazione eterna?
Certa intelligenza della curia agrigentina forse è in grado di dare
una risposta. Ci serve per giudicare i tanti, troppi, nostri antenati
che tra il 1713 ed il 29 settembre 1728 morirono in tale ambasce a
Racalmuto (cfr. registro dei morti della Matrice).
Annotava
il canonico Mongitore - tanto sgradito a Sciascia - «a 13 agosto
1713. Il vescovo di Girgenti D. Francesco Ramirez, d’ordine del
pontefice, dichiarò scomunicati alcuni regi ministri, che concorsero
al sequestro delli beni del vescovo di Catania.» E soggiungeva: «a
13 settembre. Partì da Palermo D. Isidoro Navarro, canonico della
cattedrale, delegato della Monarchia, per levar l’interdetto dalla
città e diocesi di Girgenti. Entrò egli non da ecclesiastico, ma da
capitano; e armata mano levò il vicario generale il padre Pietro
Attardo, come pure altro vicario Giuseppe Maria Rini, che mandò
altrove carcerati. Mandò lettera circolare per la diocesi, che
s’aprissero le chiese e non s’ubbidisse a detti vicarii.» Le
carte della Matrice ci svelano che il clero racalmutese rimase ligio
ai dettami del vescovo Ramirez e snobbò il canonico-capitano di
Palermo. Più abile l’arciprete del tempo - Fabrizio Signorino -
che in cambio di una bolla della crociata (anche con effetto
retroattivo) poteva consentire cristiana sepoltura in chiesa: per i
non abbienti, pazienza, l’ultima dimora era quella all’aperto
a li fossi. Solo
che quelli erano tempi davvero calamitosi e tantissimi nostri
antenati morirono con la paura dell’al di là per un interdetto che
non capivano ( e di cui non avevano responsabilità alcuna) ed una
sepoltura dissacrata dal vento, dal sole e dai cani randagi.
Quelli
che venivano sepolti in chiesa “gratis pro Deo” godevano di
particolari privilegi: ma gli altri - la gran parte come si è visto
- finivano sepolti all’aperto, anche se ‘prope ecclesiam’
(vicino, ma non dentro); per di più i loro parenti erano talmente
poveri da non potere dare l’elemosina o il c.d. diritto di stola
all’immalinconito cappellano che accompagnava il feretro in quel
derelitto cimitero incustodito. “gratis, pro Deo”, la formula
latina, che era comunque un parlare e scrivere poco ... latino
(nell’accezione sciasciana).
L’arciprete
Lo Brutto fu in eccellenti rapporto col vescovo Rini: si fece elevare
a chiese “sacramentali” S.Anna, S. Michele Arcangelo, il Monte.
E’ consultabile la bolla di elevazione della chiesa di S. Anna in
chiesa “sacramentale”. Del tutto analoghe sono le altre, come
quella: Datis
Agrigenti die 17 Junii 1686 - fr. Franciscus Maria Episcopus
Agrigentinus - Can Lumia Ass. - Vincentius Calafato M.r notarius.
Del
pari fece autorizzare l’istituzione della speciale congregazione
dei Filippini a Racalmuto, di cui parla il padre Morreale, ed al
presente oggetto di studio da parte del prof. Giuseppe Nalbone.
Costituisce la Comunia e ne fa nominare i mansionari.
Contro
la devastante peste del 1671 nulla poté fare il povero arciprete
racalmutese della fine del Seicento, se non annotare in bella
calligrafia la iattura capitata tra capo e collo; e fu iattura per
tanti versi: da quello economico a quello sociale; da quello
dell’umano vivere a quello del decomporsi morale e spirituale; per
il clero con tanti fedeli in meno e quindi tante primizie
assottigliate, per l’arciprete stesso, il cui gregge veniva
drasticamente ridimensionato; per l’Universitas che non sapeva dove
andare a racimolare le onze occorrenti, essendosi assottigliata la
tassa del macinato per morte di un quarto della popolazione in un
anno; per i suoi giurati che rispondevano dei tributi alla Spagna con
la clausola “solve et repete”; per il neo conte Girolamo III del
Carretto, salassato dal re per il tradimento del padre Giovanni V del
Carretto, dalla mala gestione dei suoi antenati che non pagando i
debiti di “paragio” erano finiti sotto la mannaia delle condanne
giudiziarie al pagamento degli arretrati e della capitalizzazione
degli interessi di mora relativi; ed in più una sortita beffarda
dell’uterina virago donna Aldonza del Carretto e delle sue
similissime sorelle, aveva finito con il dare in pasto allo spietato
convento di S. Rosalia di Palermo gran parte del patrimonio dei conti
di Racalmuto (come abbiamo già raccontato).
Girolamo
III del Carretto, esasperato, si rivalse sui ricchi preti di
Racalmuto - su quelli poveri, che erano tanti, nulla poteva: a sua
chiamata finiscono sotto il torchio della giustizia palermitana.
Girolamo
III del Carretto sembrò benevolo verso la locale Chiesa quando fece
venire i padri Benefratelli perché accudissero presso S. Giovanni di
Dio ai malati di Racalmuto e li dotò: ma a ben guardare si limitò
ad assegnare loro le vecchie rendite del vetusto ospedale
racalmutese, la cui memoria si perdeva nella notte dei tempi. Forse
non si astenne dall’incamerare alcuni lasciti che a suo avviso
erano di dubbia origine.
Girolamo
III aveva contratto matrimonio con una Lanza di Mussomeli, di cui
parla il Sorge nel suo studio su quella cittadina. Era una Lanza
decrepita per anni che riesce a partorire il figlio maschio Giuseppe,
quello che premuore al padre, ed una figlia femmina i cui discendenti
dopo un secolo consentono ai Requisenz di impossessarsi dell’ormai
esausta contea di Racalmuto.
Quanto
fosse addolorato l’ancor possente marito non sappiamo: di certo,
passò subito a nuove nozze. Per il momento non sappiamo fare altro
che dare la parola al Villabianca per la prosecuzione della storia di
Girolamo e Giuseppe del Carretto:
GIROLAMO
del CARRETTO e BRANCIFORTE,
investito a 15. Agosto 1656, Fu questi Maestro del Campo nella guerra
di Messina e sostenendo tale carica prese il Casal di Soccorso,
avendo difeso coraggiosamente SAMMICI da' Colli di Valdina, ed impedì
lo sbarco de' Franzesi presso Melazzo (c) [AURIA
Cron.
f. 211], onde poi insieme fu eletto Vicario Generale nella Città di
Noto, di Girgenti, Licata e Caltagirone. Fu Pretore di Palermo nel
1682, Diputato di questo Regno, e gentiluomo di camera del Ser.mo Rè
Carlo II. pubblicato a 10. Agosto 1688 (e) [AURIA
Cron.
f. 211]. Sposo nelle prime sue nozze MELCHIORRA
LANZA e MONCADA figlia
di LORENZO C. di Sommatino, e poscia ebbe in moglie COSTANZA di AMATO
ed AGLIATA, figlia di ANTONIO P. di GALATI. Dal primo suo letto
coniugale venne alla luce GIUSEPPE
del CARRETTO e LANZA.»
L’arciprete
Lo Brutto morì il cinque febbraio del 1696. Risale al 20 settembre
1699 una relatio
ad limina
del Vescovo di Agrigento (e cioè una delle relazioni triennali che i
vescovi erano tenuti a fare alla Sede Apostolica dopo il Concilio di
Trento sullo stato della propria diocesi). Là troviamo un ampio
ragguaglio sulla vita religiosa di Racalmuto e val la pena di
richiamarla consentendoci un quadro di raffronto con quanto emerso
dalla documentazione degli archivi statali.
''RECALMUTUM
- Cittadina (oppidum) di cinquemila abitanti sotto la cura di un
arciprete, la cui elezione ed istituzione sono da tanto tempo di
diritto comune. Costui ha per il proprio sostentamento quasi duecento
scudi. Nella chiesa maggiore si recitano quotidianamente le 'hore
canonice' da parte di sacerdoti vestiti con paramenti canonicali
(Almutiis insigniti). Vi sono cinque conventi di religiosi:
-
dei Carmelitani, con tre sacerdoti e due laici;
-
dei Minori Conventuali, con tre sacerdoti e un laico;
-
dei Minori di Regolare Osservanza, con 4 sacerdoti e 3 laici;
-
dei Riformati di S. Agostino con tre sacerdoti e due laici;
-
una casa addetta ad ospedale in cui stanno i frati di S. Giovanni di
Dio, al momento un sacerdote e due laici.
Reputo
qui di rappresentare che questi religiosi, dopo avere accettato di
accudire all'ospedale, non hanno giammai pensato di rinunciare
all'istituto ospedaliero, e ne hanno percepito il reddito
dell'ospedale. Ed essendo esenti dalla giurisdizione del vescovo
ordinario, non vi sono forze per costringerli a rinunciare ai
proventi o a lasciare i locali del convento.
Sorge
un monastero di monache sotto la regola del terzo ordine di San
Francesco ove servono il Signore otto professe corali; due novizie e
5 converse.
Oltre
alla chiesa maggiore ed a quelle conventuali prima segnalate, vi sono
quindici chiese, con quarantasette sacerdoti e trentasei laici.''
Sul
vescovo Ramirez non è poca la letteratura - e noi ne abbiamo fatto
sopra vari riferimenti. Ma qualunque sia il giudizio su questo
presule, una sua pagina è profonda ed illuminante. Vi si scorgono le
scaturigini della mafia.
GIUSEPPE
I DEL CARRETTO
Continuiamo
Con il Villabianca: « Videsi questo nell'onorato impiego di Capitano
di Palermo nel 1698, e premorendo al padre senza figli fece
estinguere nella sua persona la Famiglia illustrissima del CARRETTO
de' Signori di SAVONA, che prendendo origine Reale, stimavasi una
delle più cospicue Prosapie di questo Regno (f) [Caso
di Sciacca
del SAVASTA
cap. 15. f. 43]. Fu sua moglie BRIGIDA
SCHITTINI e GALLETTI figlia
di Gio: Battista primo M. di S.
ELIA, la
quale per il credito della sua dote avvalorato da una sentenza
proferita dalla R. G. Corte nel 1711. pigliò possesso di questo
Stato, e insieme di questo Titolo a 10. luglio 1716. Venendo essa a
morte succedette in questi feudi sua sorella OLIVA
SCHITTINI e GALLETTI
maritata a Giacomo P. Lanza, il di cui figlio
ANTONINO
LANZA e SCHITTINI
se ne investì a 26. Agosto 1739. Questi vive attuale P. Ventimiglia,
P. Lanza, B. dello Stato di Calamigna, etc.»
Don
Giuseppe del Carretto riceve l’investitura di Racalmuto il 21 marzo
del 1687 « ob
donationem inrevocabiliter inter vivos sibi factam per illustrem d.
Hieronymum del Carretto eius patrem vigore donationis per acta
notarii predicti de Cafora et Tagliaferro die 17 maij X ind. 1687
sicuti depositione dicti ill.is d. Hieronymi constat per investituram
per eum captam olim die 16 septembris V ind. 1666.»
E’
costretto a ripetere il rito per la morte di Carlo II il 20 gennaio
1702. Altre spese. Altri dissi con il padre che risulta ancora vivo.
Nella documentazione palermitana abbiamo:
«Si
può passare l'investitura per la presente possessione tantum ob
mortem Caroli Secundi regis Domini nostri in Palermo a 20 gennaro
1702 - Don Giuseppe Bruno.»
Giuseppe
del Carretto nel 1702 è plurititolato;
questa
la sfilza dei suoi feudi e titoli:
Die
decimo nono Januarii X ind. 1702
illustris
d. Joseph del Carretto possessor ac dominus comitatus Racalmuti
ducatus Bideni Marchionatus Sanctae Eliae et baroniae terrae Ferulae.
Il
padre don Girolamo III risulta ancora vivo a quella data del gennaio
1702. Se è vero che il figlio gli premorì, tale morte avvenne tra
questa data e qualche tempo prima del 1711, quando ad avviso del
Villabianca fu pronunciata la sentenza di assegnazione della contea
di Racalmuto alla vedova di Giuseppe I del Carretto, BRIGIDA
SCHITTINI e GALLETTI figlia di Gio: Battista primo M. di S. ELIA.
Girolamo
III del Carretto cessava di vivere il 9 marzo 1710. In un documento
del fondo Palagonia riguardante don Luigi Gaetano si parla infatti
«de
morte sequuta dicti ill.s D. Hieronymi per fidem mortis Parochialis
Ecclesiae Sancti Nicolaj de Calsa h. u. sub die nono martij 1710
sicuti de possessione dicti quondam ill.s d. Hieronymi constat per
investituram per eum captam olim die 16 septembris 5 ind. 1666.»
I
nobili del Carretto cessano quindi di essere i feudatari di Racalmuto
il 9 marzo del 1710. Con tale data si chiude anche la nostra
ricostruzione della vicenda feudale carrettesca in quel di Racalmuto.
Quel che avviene dopo - e dura un secolo - è storia del baronaggio
locale con gli Schettini, i Gaetano (la parentesi Macaluso non
rileva) ed i Requisenz protagonisti. I nobili del Carretto
racalmutesi - quanto al ramo maschile - si sono piuttosto
malinconicamente estinti, prima dei grandi sconvolgimenti storici del
1713 allorché vi fu il breve avvento in Sicilia dei Sabaudi.
APPENDICI
Il
Falconcini è proprio un fanatico del Nord, venuto a Racalmuto ‘a
miracol mostrare’ della prepotenza piemontese: attorno all’autunno
del 1862 sua altezza prefettizia non può tollerare che nel piccolo
paese dell’Est agrigentino due famiglie continuino a fare
sceneggiate da Capuleti e Montecchi. Contatta il sindaco di
Agrigento, Giuseppe Mirabile; lo sa amico dei Matrona e dei Farrauto;
gli fa sapere che se costoro non mettono la testa a posto, lui
all’isola li manda; ne i poteri; ne ha la voglia - forse più verso
i Farrauto che verso gli ora prediletti Matrona. Il Nostro grafomane
lo dovette essere: prende carta e penna e così indirizza una missiva
al disorientato sinfaco agrigentino: « Al signor avvocato Mirabile
sindaco della città di Girgenti ... Il paese di Racalmuto ... è
diviso in due partiti ... l’uno capitanato dai signori Matrona, ed
assume l’apparenza di liberali; l’altro è qui dato [da chi?
Dall’avv. Picone?,
n.d.r]
dai signori Ferrauto e Mantione e fa sembianza di rimpiangere il
dominio dei borbonici. [...] Io son risoluto far cessare il più
presto e per sempre le gare delle famiglie Matrona e Ferrauto. [...]
Ella signor sindaco tiene rapporti di amicizia con i membri delle due
famiglie Matrona e Ferrauto. [Dato che è bene] non mantengano
esagerate passioni politiche, [è bene si sappia che] potranno
facilmente essere forzati a vivere lontani dal paese.
«In
pari tempo provo il bisogno di notiziare V.S. Ill.ma che l’arresto
avvenuto del sacerdote Mantione, e ciò che ad esso terrà dietro, fu
cagionato solo da speciali motivi d’ordine pubblico e di superiore
gravità, e non derivò per nulla dalla sua inimicizia personale coi
Matrona [...] Girgenti 3 ottobre 1862. Il prefetto Falconcini.»
La
nota ci svela il connubio tra i Farrauto ed i Mantione: i Mantione
erano pur sempre gli eredi di quel bizzarro - ed impropriamente
osannato - canonico Mantione. Ancora nell’Ottocento erano potenti e
(se crediamo al Falconcini) prepotenti. Certo non era cosa da poco
carcerare un sacerdote solo per la prevenzione di un prefetto
nordista, all’improvviso convertitosi alla causa dei Matrona.
Excusatio
non petita,
ci pare quella giustificazione della carcerazione del sac. Mantione
solo “per speciali motivi d’ordine pubblico e di superiore
gravità”; noi siamo certi che alla base c’era solo la vendetta
dei Matrona, il loro odio verso chi ritenevano reo di insolente
“inimicizia personale”. Alla faccia del perseguitato
Falconcini, qui fanatico estimatore dei Matrona così come il suo
postumo - oltre un secolo dopo - Sciascia.
Il
sac. Mantione, così anonimamente infangato dal nordico prefetto,
resta d’incerta individuazione - salvi gli apporti di ulteriori
ricerche d’archivio - essendo due i sacerdori con quel cognome
operanti in quel tempo a Racalmuto: Annibale e Giuseppe. Nei nostri
archivi informatici ritroviamo:
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DIACONI
E CHIERICI
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1
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1851
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ANNIBALE
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MANTIONE
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13
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1851
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GIUSEPPE
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MANTIONE
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A.26
PALERMO CAPP. OSPEDALE
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ANNO
1873
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17
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1873
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GIUSEPPE
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MANTIONE
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A.49
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19
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1873
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ANNIBALE
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MANTIONE
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A.45
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ANNO
1878
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3
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1878
|
GIUSEPPE
|
MANTIONE
|
|
Nel
“liber
in quo adnotantur ... nomina sacerdotum
“ della Matrice sono così contrassegnati:
n.°
420: D. Annibale Mantione, Mansionario, obiit 27 Maji 1882;
n.°
429: D. Giuseppe Mantione, obiit 4 Aug. 1888.
Si
è certi che entrambi i preti Mantione si godevano ora i frutti della
parsimonia del loro zio canonico. Contro costui noi non siamo nuovi
nello scriverne contro corrente. Citiamo questo passo.
Il
can Mantione, però, una imperdonabile colpa ce l’ha: per mera
grettezza economica ha lasciato che una gloriosissima testimonianza
religiosa di Racalmuto andasse irrimediabilmente perduta. Santa
Rosalia di Racalmuto non sarà stata la «prima chiesa in honor di
lei nel mezo della terra, che hoggi è servita dai Confrati del
Santissimo Sacramento (cfr. Cascini op. cit. pag. 15)», ma aveva un
rilievo ed una sacralità superiori allo stesso interesse locale e
se veramente il Mantione era uomo di cultura non doveva permettere
quello scempio. Era da quattro anni arciprete di Racalmuto, con
prebende, quindi, cospicue. I mezzi occorrenti per sistemare un tetto
o rafforzare un muro erano accessibilissimi. Ai miei occhi, il
comportamento di quell’Arciprete appare incomprensibile. Un pozzo
di scienza, viene ritenuto. Ma la dimostrata insensibilità culturale
(se non religiosa) verso la chiesetta di S. Rosalia o Rosaliella gli
riverbera una poco esaltante ombra.
A
voler sintetizzare, abbiamo dunque un’antichissima chiesetta che
risale, a seconda delle varie versioni delle fonti, al 1200
(Vetrano, Acquisto) o al 1208 (Salerno) o al 1320-30 (Cascini,
Asparacio, Morreale) o al 1400 (Pirri). Forse realisticamente quella
chiesa non esisteva prima del 1540 (epoca delle visite pastorali
agrigentine).
Nel
1628, ad opera della Confraternita delle Anime del Purgatorio viene
riadatta, o edificata (o riedificata) la novella chiesa di S. Rosalia
che resiste sino al 3 giugno 1793 quando viene ceduta al sac.
Salvadore Grillo essendo stata barattata dal can. Mantione per un
altare con statua alla Matrice.
Ma
già nel 1758 quella chiesetta era in cattivo stato. Il vero culto
della Santa si era trasferito alla Matrice come attesta l’arc.
Algozzini nella visita pastorale del 1732. Vi si riferisce il § IX
ove è inclusa nell’elenco “delle processioni” quella di “S.
ROSALIA”.
Ritorniamo
alla già citata pagina del Messana su Scipione Savatteri. Il Messana
trasse lo spunto da un episodio del 1625 per la sua epopea familiare.
L’episodio è narrato dal Cascini, un padre gesuita del ‘600
incaricato dal cardinale Giannettino Doria per un’inchiesta sulla
santa, incarico che si risolse in un libro non spregevole ai fini
delle ricostruzioni storiche dell’epoca. Il gesuita narra che:
"Ne
si mostrò poco divota verso S. Rosalia la terra di Rahalmuto, la
quale come si è detto nel primo libro, fin dal suo principio, nacque
sotto la protettione di questa Santa e vi dedicò la sua prima
chiesa, havendola hora rifatta di nuovo; è incredibile la divotione,
con che viene visitata a piè scalzo ogni sera non da pochi, ma d'una
moltitudine grande. Però con molto maggior mostra di pietà, e
humiltà ciò fecero il giorno quando accompagnarono la sua Santa
reliquia, che fù l'ultimo di Agosto 1625, erano andati a portarla da
Palermo, ben 80. a cavallo, e quella mattina, che fù Domenica, si
cantò prima [pag.
375] la
Messa nella Chiesa dei Padri Minori Osservanti colla solennità
solita; e si liberò una spiritata; dopo il Vespro pur solenne si
fece la processione, nella quale, benché vi fosse molta pompa
d'apparato con tre archi trionfali, di luminarie per tre giorni, di
concerto di Musiche, e salve di schioppi, nondimeno superava ogni
cosa la devotione, che s'udia delle voci, e sospiri, e pianti, e si
vedea della moltitudine tutta a piè scalzo.
Accettò
la Santa la pietà loro, e gli mostrò a chiari segni, che la sua
protettione l'havea liberati dalla pestilenza; imperoché havendo la
terra delle Grotte presso à due miglia molto mal menata da quel
morbo, colla quale così infetta per un buon pezzo, prima che fosse
dichiarata, vi fù pratica stretta, per essere in buona parte parenti
fra loro e haver molta communicatione, non si attaccò però male
veruno; anzi entrandoci dentro appestati diversi, si di questa terra,
come d'altre, i medesimi che la portavano poi in altri luoghi, quivi
non vi lasciarono vestigio alcuno.»
Ed
ecco, di rincalzo il nostro Eugenio Napoleone Messana, rifare quella
storia, ampliarla, manipolarla, modificarla ed elevare il peana ai
suoi parenti Savatteri:
«Giovanni
IV del Carretto, marito di donna Beatrice Ventimiglia, figlia unica
del principe di Castelbuono, quando ascese alla contea [di Racalmuto]
aveva tre figli, Girolamo Aldonza e Porzia. Girolamo per la legge del
maggiorasco vigente era destinato alla successione della contea.
«Le
figlie erano entrambi ospiti della zia Marzia del Carretto, figlia di
Giovanni III, abbatessa di Santa Caterina in Palermo fino al 1598,
data della sua morte e vi sarebbero forse rimaste se non fossero
state riportate in paese nel 1600, per volontà del padre, allarmato
dell'insurrezione contro il nuovo pretore. In quell'occasione
Giovanni IV promise le figlie in moglie a quei cavalieri che gliele
avessero ricondotte al castello sane e salve.
«La
sorte arrise al milite Scipione Savatteri che sposò Maria ed ebbe in
dote il feudo di Gibillini. Questo matrimonio diede inizio alla
famiglia dei Savatteri di Racalmuto, che risulta essere la più
nobile di tutte le altre.
«I
Savatteri infatti discendono da Pable Zavatier, nobile francese al
seguito del conte Ruggero [...]
«Non
si hanno notizie dei motivi per cui Aldonza non contrasse mai nozze,
si sa soltanto che lei nel 1605 a proprie spese fece costruire
l'Abbazia di Santa Chiara ...».
Stando
al Villabianca (Sicilia
Nobile),
l’abbadessa si chiamava Maria e non Marzia.
Ma,
per completezza, occorrerebbe addentrarsi nelle vicende del casato
dei Del Carretto e per far ciò necessiterebbe un libro intero - che
forse apprirà a suo tempo e luogo. Abbiamo già scritto sulle tante
figlie di Girolamo I Del Carretto - il figlio Giovanni, figlie
legittime non ne ebbe - soprattutto sulla celebre virago donna
Aldonza, quella che dotò il convento di Santa Chiara: queste le
altre sorelle: donna Diana, donna Ippolita, donna Giovanna, donna
Eumilia e donna Margherita del Carretto. Le del Carretto -
antecedenti e successive - non potevano essere assegnate in isposa a
Scipione Savatteri, per evidenti ragioni .... di età. Quanto alle
altre sbavature sui del Carretto del Messana, è meglio qui
sorvolare.
Scipione
Savatteri primo (ve ne sarà un altro a fine secolo XVII) è di per
sé una figura di spicco: non abbisogna di sicuro di falsi orpelli
nobiliari per imporsi all’attenzione degli storici.
I
Savatteri a metà del secolo XVII.
Il
ricco archivio della Matrice di Racalmuto ci ha conservato due
“numerazioni delle anime” - cioè a dire due censimenti religiosi
- che sono databili, rispettivamente, intorno al 1660 ed al 1666. La
compagine racalmutese risulta a quell’epoca arricchita di vari
nuclei familiari dei Savatteri. Ci risultano sei nuclei per il 1660 e
sette per il 1666. Nuovi nati e nuovi matrimoni spiegano le
variazioni dei nuclei familiari. Presso Filippo Savatteri, alloggiava
nel 1660 Maria la Bosca. Un personaggio - Isabella la Bosca - che è
venuto alla ribalta di recente in studi sulle “magare” inquisite
dal Sant’Ufficio. Parente o mera omonimia?
Il
padre Girolamo M. Morreale vorrebbe un Gaetano Savatteri donante nel
1627 per devozione verso Maria SS. Del Monte; pensiamo che il dotto
gesuita sia incorso in un duplice errore: quello di considerare
donazione un mero obbligo di soggiogazione e quello di leggere in
Gaetano un nome diverso, forse Giacomo. A quell’epoca non risultano
Savatteri con il nome di Gaetano (ben diversamente da ciò che
avverrà nel XIX e XX secolo).