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sabato 2 gennaio 2016
Martedì 9:31
La Nuova Alabarda 20 giugno • . APPUNTI SU ETTORE MESSANA.
Ho ricevuto negli ultimi tempi alcuni messaggi da tale Lillo Taverna, che mi
"accusa" di "essere l'autrice di foglietti infamanti il dottore
Ettore Messana", del quale Taverna starebbe ricostruendo una biografia. In
effetti ho avuto modo di scrivere alcune note su questa persona, denunciata
come criminale di guerra alle Nazioni unite, basandomi su documenti ufficiali
dei quali ho indicato anche la collocazione archivistica. Pertanto ritengo
opportuno rinfrescare la memoria su questa persona. Com’è noto, il 6/4/41
l’Italia fascista invase la Jugoslavia, in perfetto accordo con l’esercito di
Hitler, creando la “Provincia italiana di Lubiana” e mettendo ai posti di
comando dei propri funzionari. Così, a dirigere la questura di Lubiana fu posto
il commissario Ettore Messana, che resse l’incarico fino a giugno 1942, e
successivamente fu a Trieste fino a giugno 1943. Il nome di Messana risulta
nell’elenco dei criminali di guerra denunciati dalla Jugoslavia alla
Commissione delle Nazioni Unite per i crimini di guerra (United Nations War
Crimes Commission). Il rapporto di denuncia, redatto in lingua inglese ed
inviato dalla Commissione statale jugoslava in data 14/7/45 (Copia del rapporto
originale in lingua inglese si trova nell’Archivio di Stato di Lubiana, AS 1551
Zbirka Kopij, škatla 98, pp. 1502-1505), lo accusa (sulla base di
documentazione che era stata trovata in possesso della Divisione “Isonzo”
dell’Esercito italiano di occupazione) di crimini vari: “assassinio e massacri;
terrorismo sistematico; torture ai civili; violenza carnale; deportazioni di
civili; detenzione di civili in condizioni disumane; tentativo di
denazionalizzare gli abitanti dei territori occupati; violazione degli articoli
4, 5, 45 e 46 della Convenzione dell’Aja del 1907 e dell’articolo 13 del Codice
militare jugoslavo del 1944”. Nello specifico viene addebitata a Messana (in
concorso con il commissario di PS Pellegrino e col giudice del Tribunale
militare di Lubiana dottor Macis) la costruzione di false prove che servirono a
condannare diversi imputati (tra i quali Anton Tomsič alla pena capitale,
eseguita in data 21/5/42) per dei reati che non avevano commesso. La
responsabilità di Messana e Pellegrino in questo fatto è confermata da
documenti dell’archivio della questura di Lubiana (oggi conservati presso
l’Archivio di Stato di Lubiana, AS 1796, III, 6, 11), che fanno riferimento ad
una “operazione di polizia politica” condotte dal vicequestore Mario Ferrante e
dal vicecommissario Antonio Pellegrino sotto la direzione personale di Messana,
contro una “cellula sovversiva di Lubiana” della quale facevano parte, oltre al
Tomsič prima citato, anche Michele Marinko (condannato a 30 anni di
reclusione), Vida Bernot (a 25 anni), Giuseppina Maček (a 18 anni) ed altri tre
che furono condannati a pene minori. Messana e gli altri furono anche accusati
di avere creato false prove nel corso di una indagine da loro condotta, in
conseguenza della quale 16 persone innocenti furono fucilate dopo la condanna
comminata dal giudice Macis. Si tratta dell’indagine per l’attentato al ponte
ferroviario di Prešerje del 15/12/41, per la quale indagine, come risulta da
altri documenti della questura di Lubiana dell’epoca, Messana, il suo vice
Ferrante, l’ufficiale dei Carabinieri Raffaele Lombardi ed altri agenti e
militi furono proposti per onorificenze e premi in denaro per la buona riuscita
delle indagini relative: Messana ricevette come riconoscimento per il suo
operato la “commenda dell’Ordine di S. Maurizio e Lazzaro”. Il 21/9/45 l’Alto
Commissario Aggiunto per l’Epurazione di Roma inviò una nota al Prefetto di
Trieste nella quale era segnalato il nome di Ettore Messana. Il Prefetto
richiese un’indagine alla Polizia Civile del GMA (ricordiamo che all’epoca Trieste
era amministrata da un Governo Militare Alleato e la polizia era organizzata
sul modello anglosassone), il cui risultato è contenuto in una relazione datata
6/10/45 e firmata dall’ispettore Feliciano Ricciardelli della Divisione
Criminale Investigativa, dalla quale citiamo alcuni passaggi. “Il Messana era
preceduto da pessima fama per le sue malefatte quale Questore di Lubiana. Si
vociferava infatti che in quella città aveva infierito contro i perseguitati
politici permettendo di usare dei mezzi brutali e inumani nei confronti di essi
per indurli a fare delle rivelazioni (…) vi era anche (la voce, n.d.a.) che
ordinava arresti di persone facoltose contro cui venivano mossi addebiti
infondati al solo scopo di conseguire profitti personali. Difatti si diceva che
tali detenuti venivano poi avvicinati in carcere da un poliziotto sloveno,
compare del Messana, che prometteva loro la liberazione mediante il pagamento
di ingenti importi di denaro. Inoltre gli si faceva carico che a Lubiana si era
dedicato al commercio in pellami da cui aveva ricavato lauti profitti. Durante
la sua permanenza a Trieste, ove rimase fino al giugno 1943, per la creazione
in questa città del famigerato e tristemente noto Ispettorato Speciale di
polizia diretto dal comm. Giuseppe Gueli, amico del Messana, costui non riuscì
ad effettuare operazioni di polizia politica degne di particolare rilievo. Ma
anche qui, così come a Lubiana, egli si volle distinguere per la mancanza
assoluta di ogni senso di umanità e di giustizia, che dimostrò chiaramente
nella trattazione di pratiche relative a perseguitati politici (…)”. Questa
relazione è conservata in Archivio di Stato di Trieste, fondo Prefettura
gabinetto, b. 18. L’Ispettore Ricciardelli aveva già svolto servizio in polizia
sotto il passato regime fascista ed era stato internato in Germania sotto
l’accusato di favoreggiamento nei confronti di ebrei che sarebbero stati da lui
aiutati a scappare. A fronte di tutto ciò ci si aspetterebbe che Messana sia
stato, se non condannato per quanto commesso sotto il fascismo, quantomeno
“epurato” dalla Pubblica Sicurezza. Invece lo ritroviamo nell’immediato
dopoguerra nella natia Sicilia, a dirigere, alle dipendenze dell’ex funzionario
dell’OVRA a Zagabria, Ciro Verdiani, un “Ispettorato generale di PS per la
Sicilia”, un “organo creato per la repressione della delinquenza associata, e
specificamente per la repressione del banditismo che faceva capo a Giuliano (il
“bandito” Salvatore Giuliano, n.d.a.)” (questa definizione è tratta dalla
sentenza di Viterbo, emessa il 3 maggio 1952 dalla Corte d’assise di Viterbo,
presieduta dal magistrato Gracco D’Agostino, in merito alla strage di Portella
della Ginestra del 1/5/47). Per sapere come i due alti funzionari di PS
svolsero il compito loro affidatogli, leggiamo alcuni stralci dalla sentenza
emessa in merito alla strage di Portella della Ginestra, dove gli uomini di
Giuliano spararono sulla folla che si era radunata per festeggiare il Primo
maggio, uccidendo undici persone tra cui donne e bambini e ferendone molte
altre. “L’Ispettore Verdiani non esitò ad avere rapporti con il capo della
mafia di Monreale, Ignazio Miceli, ed anche con lo stesso Giuliano, con cui si
incontrò nella casetta campestre di un sospetto appartenente alla mafia,
Giuseppe Marotta in territorio di Castelvetrano ed alla presenza di Gaspare
Pisciotta, nonché dei mafiosi Miceli, zio e nipote, quest’ultimo cognato
dell’imputato Remo Corrao, e dal mafioso Albano. E quel convegno si concluse
con la raccomandazione fatta al capo della banda ed al luogotenente di essere
dei bravi e buoni figlioli, perché egli si sarebbe adoperato presso il
Procuratore Generale di Palermo, che era Pili Emanuele, onde Maria Lombardo
madre del capo bandito, fosse ammessa alla libertà provvisoria. E l’attività
dell’ispettore Verdiani non cessò più; poiché qualche giorno prima che Giuliano
fosse soppresso, attraverso il mafioso Marotta pervenne o doveva a Giuliano
pervenire una lettera con cui lo si metteva in guardia, facendogli intendere
che Gaspare Pisciotta era entrato nell’orbita del Colonnello Luca (si tratta
dell’ex generale dei Carabinieri Ugo Luca, che tra il 1949 e il 1950 coordinò
l’uccisione di Giuliano in Sicilia”, già “uomo di fiducia personale di
Mussolini”, come scrive Giuseppe Casarrubea in “Storia segreta della Sicilia”,
Bompiani 2005) ed operava con costui contro Giuliano”. Quanto a Messana
leggiamo che “l’Ispettore Generale di PS Messana negò ed insistette nel negare
di avere avuto confidente il Ferreri (Salvatore Ferreri, detto “fra Diavolo”,
sarebbe stato infiltrato nella “banda” di Giuliano per farlo catturare; Ferreri
sembra essere stato tra gli organizzatori degli attacchi contro i sindacalisti
a Partinico del 1947; fu ucciso dai Carabinieri pochi giorni dopo il massacro
di Portella della Ginestra), ma la negativa da lui opposta deve cadere di
fronte all’affermazione del capitano dei Carabinieri Giallombardo, il quale
ripetette (sic) in dibattimento che Ferreri fu ferito dai carabinieri presso
Alcamo, ove avvenne il conflitto in cui restarono uccise quattro persone; e,
ferito, il Ferreri stesso chiese di essere portato a Palermo, spiegando che era
un agente segreto al servizio dell’Ispettorato e che doveva subito parlare col
Messana”; Salvatore Ferreri era “conosciuto anche come Totò il palermitano, ma
definito come pericoloso pregiudicato, appartenente alla banda Giuliano, già
condannato in contumacia alla pena dell’ergastolo per omicidio consumato allo
scopo di rapinare una vettura automobile”. Verdiani morì a Roma nel 1952, e il
suo “decesso fece in modo che il suo ruolo in quegli anni piano piano si
dissolvesse sotto i riflettori”. Per approfondire la questione dei rapporti tra
la “banda” Giuliano, l’Ispettorato generale di Messana e Verdiani ed i servizi
segreti statunitensi ed italiani, nonché sul riciclaggio da parte di questi di
personale che aveva operato con la Decima Mas di Borghese, vi rimandiamo al
citato studio di Casarrubea, “Storia segreta della Sicilia”. Mi piaceMi piace •
• Condividi . Commenti più in vista Piace a Maria Pia Calapà e altri 8. .. 2
condivisioni . Lillo Taverna Scrivi un commento... . . Lillo Taverna E’ la
seconda volta che mi capita nella mia ormai purtroppo lunga vita. La prima
volta avvenne nel lontano ultimo quarto degli anni Settanta. Tra il luglio e il
settembre del 1974 fui inviato dalla Banca d’Italia a giubilare la Bana Privata
Finanziaria che tutti ancora si ostinano a chiamare la banca di Sindona. Falso.
La Privata, contro tutti e contro tutto, invocando le dieci righe l’art. 64
della vecchia legge bancaria, riuscii a giubilarla. Nonostante Andreotti
Macchiarella il Banco di Roma tutta la finanza meneghina e mettiamoci per
contorno l’arcivescovo Marcinkus, l’orso americano del mio Soldi Truccati. Ma
Sindona era ancora in auge nonostante profugo negli USA di Cosa Nostra. Scrisse
e tutta la stampa pubblicò: “pare che un certo Calogero Taverna le abbia
chiarito le cose”. Si rivolgeva allo scattoso Guido Carli. Il Baffi mi
sbeffeggiò in un convivio aziendale quale un quivis de polulo . Ora è la
Cernigoi che fa il bis. Le avevo scritto: 6 giugno 18.17.40 Lei dovrebbe essere
l'autrice di foglietti infamanti il dottore Ettore Messana già ispettore
generale di pubblica sicurezza. In contatto con la nipote di tanto grande
personaggio della storia di Italia ho fatto e continuo a fare ricerche che la
smentiscono in pieno Non so se reputa di procedere ad una sorta di resipiscenza
operosa. Sappia che la signora Giovanna Messana non è persona da oppiare. Certo
non ha avuto tempo per inseguire e perseguire codesti sedicenti storici fabbricanti
di calunnie nei confronti del suo grande avo. Ma ora ha deciso. Le avevo
scritto molto riservatamente e a ben vedere in termini molto educati, ad onta
del mio caratteraccio. Ma la Cernigoi sfacciatamente, in pubblico, dopo 14
giorni così osa irridermi (e contraddirmi): La Nuova Alabarda 20 giugno APPUNTI
SU ETTORE MESSANA. Ho ricevuto negli ultimi tempi alcuni messaggi da tale Lillo
Taverna, che mi "accusa" di "essere l'autrice di foglietti
infamanti il dottore Ettore Messana", del quale Taverna starebbe
ricostruendo una biografia. In effetti ho avuto modo di scrivere alcune note su
questa persona, denunciata come criminale di guerra alle Nazioni unite,
basandomi su documenti ufficiali dei quali ho indicato anche la collocazione
archivistica. Pertanto ritengo opportuno rinfrescare la memoria su questa
persona. Etc. etc. Che ne penserebbe la Cernigoi di un preteso storico che un
domani prendesse l’insolente e infondato articolo di Melchiorre Gerbino e lo
adducesse come prova indubitabile della denigrabilità della Nostra, procurando
anche danni d’immagine sulla sua famiglia? Non crederete che l’abbia lasciata
in pace. L’ho costretta a offendermi e stizzita a chiudermi persino i canali di
FB. Diversamente da lei si è invece comportato quel gran signore e profondo
studioso del prof. Casarrubea. Come credo avete potuto legge qui da me.
Calogero Taverna Mi piace • Rispondi • 7 min .. VOGLIAMO RADIOANCHIO E LA RAI
SENZA BERLUSCHINI non fatevi intimorire Mi piace • Rispondi • 1 • 21 giugno
alle ore 20.52 .. La Nuova Alabarda certo che no! Mi piace • 22 giugno alle ore
8.34 ..
Mercoledì 14:27
CIAO CARISSIMO ,SONO RIENTRATA QUESTA MATTINA ,STO LEGGENDO
QUANTO HAI SCRITTO SE NON DISTURBO TI CHIAMO DOPO COLAZIONE
Sono stato in biblioteca a cercare dati su tuo nonno. Sono
rientrato per il pranzo ed ora sono libero. Ben tornata
ti ho chioamato sul cell ora riprovo
bene
Giovedì 15:19
MI SCRIVONO e reitero anonimamente qui quanto sotto, a
dimostrazione di quale calunniosa campagna di stampa e cinematografica è stato
vittima il gr.uff. comm. Dell’ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, l’Ispettore
Generale di PS, dottore Ettore Messana da Racalmuto. Non credo che dopo la gran
mole di documenti e ricerche che con qualche merito credo di avere acquisito e
pubblicato possano più avere diritto di asilo tante calunniose insinuazioni.
Credo che il prof. Casarrubea me ne abbia dato atto. Non così la Cernigoi, una
testarda goriziana, che persiste nelle sue denigrazioni dell’intemerato
Messana. Credo che abbia voglia di subire querele penali e soprattutto
citazioni civili per risarcimento anni. Quanto al Lucarelli non abbiamo avuto
modo, né io né la famiglia di contattarlo. Si vedrà. • * * * CREDO CHE QUESTE
NOTIZIE L'AVRAI GIA’ LETTE La Resistenza antifascista in Slovenia e l'ispettore
Messana casarrubea.wordpress.com Accursio Miraglia Ettore Messana, il braccio
destro di Scelba ha un ruolo nella strage di Portella della Ginestra ma anche
nell'insabbiamento delle indagini per la morte del sindacalista di Sciacca
Accursio Miraglia. Questi fatti sono stati oggetto di Blu notte di Lucarelli,
per esempio http://www.youtube.com/watch?v=ipJgrLQLRDQ
al minuto 9. Stranamente sono espressi meglio nella voce di wikipedia in
inglese che in quella italiana. "He
also claimed that police inspector Ettore Messana - supposed to coordinate the
prosecution of the bandits - had been in league with Giuliano and denounced
Scelba for allowing Messana to remain in office". [Le valutazioni
sono di parte e senza fonte.] Ma te prego! IL VIDEO è STAO STATO ELIMINATO
BUONA GIORNATA.
www.youtube.com
Venerdì 18:23
IL QUESTORE MESSANA E I FATTI DI RIESI Il crucifige di
Ettore Mesana si consuma il 15 luglio del 1947. Il gran sacerdote che ne vuole
la fine è l’on. Li Causi: tre i capi d’accusa (politica). Desumiamoli dallo
stesso Li Causi, da un suo arrabbiatissimo discorso all’Assemblea Costituente,
pronunciato nella Seduta del 15 luglio del1947. Per il sanguigno grande
esponente del comunismo siciliano del dopoguerra, Messana andava giubilato: A)
Perché c’era da domandarsi: «Scelba come può ignorare che Messana ha iniziato
la sua carriera facendo massacrare dei contadini siciliani? Il 9 ottobre del
1919, infatti, cadevano a Riesi più di sessanta contadini, di cui tredici
morti: trucidati a freddo, sulla piazza, dove si svolgeva un comizio. I vecchi
di quest'Aula ricorderanno come in quell'occasione il Ministero Nitti ordinò
un'inchiesta mandando sul posto il generale dei carabinieri Densa, mentre la
Magistratura iniziò un'inchiesta giudiziaria soprattutto per accertare le cause
della morte misteriosa di un tenente di fanteria, che si rifiutò di eseguire
l'ordine di far fuoco del Messana, che ne disapprovò apertamente la condotta, e
che il giorno dopo fu assassinato …» B) « Messana è nell'elenco dei criminali
di guerra di una nazione vicina; questo può far piacere ad una parte della
Camera, la quale pensa: "Va bene, è un massacratore; però, di
stranieri!"…» C) «Si ha, [ …] , questa precisa situazione, che il
banditismo politico in Sicilia è diretto proprio dall'ispettore Messana: e
l'ispettore di pubblica sicurezza, il quale dovrebbe avere per compito quello
di sconfiggere il banditismo -- il suo compito veramente sarebbe quello di
ssconfiggere il banditismo comune e non già quello politico -- l'Ispettore di
pubblica sicurezza, dicevo, diventa invece addirittura il dirigente del
banditismo politico.» Ecco qui i tre capi di accusa: Riesi del 1919; Lubiana
del 1941 (maggio)-giugno 1942; banditismo siciliano dal maggio 1945 al giugno
del 1947. Sono mesi che scartabelliamo faldoni, giornali, documenti vari, pubblicazioni
vecchie. Ebbene: non ci possono essere dubbi. Nessuno può dimostrare che
davvero in quel terribile 9 ottobre del 1919 ci fosse addirittura un giovane
agente di polizia che prese la “mitraglia” in mano nel campanile della chiesa
prospiciente piazza Garibaldi e falcidiò sei, si disse in un primo momento,
contadini rivoltosi; poi si disse dieci, poi invece si salì a quindici (qui
sopra) e, di recente, dovendo sperperare soldi comunitari, sempre a Riesi,
addirittura 20. Ci dispiace per Li Causi: non si può condannare alla damnatio
memoriae un glorioso ispettore generale di Stato sulla base di quello che
avrebbero dovuto ricordare a distanza di quasi trent’anni ‘vecchi padri
costituenti’. Vi poté pur essere stata una inchiesta del generale dei carabinieri
Densa ma questa ammesso che si sia mai conclusa nessun addebito poté formulare
e formulò contro il giovane trentunenne cmmissario Messana, che, anzi, a
fascismo consolidato e con Calogero Vizzini confinato, spiccò salti da gigante
nei gradi della polizia e proprio perché senza macchia alcuna, lui figlio di un
modesto e dissennato redditiere racalmutese, sperperatore del proprio
patrimonio, lo sfaccendato Clemente Messama, diviene – giovanissimo - questore
ed ebbe affidate questure strategiche del Nord. Ad onore e vanto della sua
patria natia, Racalmuto. Analogo discorso per quell’inchiesta giudiziaria: noi
abbiamo reperito una relazione del Prefetto di Caltanissetta del successivo
natale. Altri sono i colpevoli, i fatti avvennero in termini ben diversi dal facile
populismo cui si abbandona, comprensibilmente , il Li Causi. MESSANA, il grande
assente. NON COLPEVOLE. Nel 1934 dopo 15 anni – troppi o pochi a seconda delle
tesi che si vogliono formulare – un quasi pastore valdese scrive una storia di
Riesi. Quei truculenti fatti vengono rievocati. Sì, è vero: nella memoria della
gente è scolpito che una mitraglia militare sparò e uccise tanta gente. Enfasi
della memoria tanta. Si parla di un “commissario di Pubblica Sicurezza”, si
dice che insieme ad altri due un ufficiale dell’esetrcito ed un semplice
soldato, in tre, tutti insieme eccoli a premere il grilletto del mitra.
Fantasia. Improbabile. Ma a tutto concedere: il nome del Messana non c’è.
Davvero Li Causi nella foga ciceroniana finisce con l’inventare e quindi
diffamare e direi calunniare. Erano tempi incandescenti. Portella della
Ginestra fu più di una sventura nazionale e - se le carte della N.A.R.A. già
consultate dal prof. Casarrubea verranno tutte alla luce -sarà da parlare di
crimine americano. Finalmente. Altro che insana criminalità di un ex giovane
commissario di polizia in vena di scimmiottamenti dell’esecrando generale
Bava-Beccaris fatto dal Re senatore del Regno. Ma noi abbiamo cercato notizie
vere, coeve, indubitabili. Abbiamo consultato i microfilm del giornale L’Ora di
Palermo e il Giornale di Sicilia dell’epoca. Messana non ci sta. I fatti son
diversi da come amò trasfigurarli il Li Causi per sue polemiche politiche di
stampo rosso scarlatto. Da vecchio comunista, per il quale la verità storica va
piegata alla grande lotta di classe. Noi siamo per la lotta di classe ma di
quelli che reputano che la VERITA’ E’ SEMPRE RIVOLUZIONARIA. [segue]
Venerdì 20:02
per le notizie sul'onoreficenza di Maurizio e Lazzaro ho
trovato molto sulsitoOrdini dinasticicasa Savoia.it
Sabato 0:20
Mi riferivo a questa foto(se la vedi qui).
Domenica 0:08
Ma passiamo ora al giornale principe di Sicilia. Nella
stessa notte in cui avvennero i fatti delittuosi il cronista nisseno ecco come
compendia l’impressionante tumulto di Riesi. Subito dopo invierà un altro
messaggio un po’più esaustivo. GIORNALE di SICILIA: 9/10 Ottobre 1919 (foglio
interno) I gravi fatti di Riesi Conflitto fra dimostranti e forza pubblica.
Sette morti e numerosi feriti Caltanissetta: 8, notte. «Pervengono da Riesi
notizie incerte e contraddittorie riguardanti fatti colà avvenuti e che
sarebbero di una gravità eccezionale. Pare che le locali agitazioni d’indole
più politica che economica siano degenerate in veri e propri tumulti e che
sarebbero anche avvenuti conflitti in cui i dimostranti ne avrebbero avuto la
peggio. Da persona scappata dal luogo riesco a sapere che stamane quasi
improvvisamene parecchi nuclei di zolfatari e contadini si siano ribellati alla
forza che tentarono di disarmare, ma i carabinieri e i pochissimi soldati
quando la loro pazienza fu al minimo fecero fuoco in piazza Garibaldi di pieno
giorno e che vi sia o una mezza dozzina di morti e parecchi feriti. La notizia
divulgatasi in un baleno ha destato enorme impressione e tosto con una vettura
automobile sono partiti per Riesi il Procuratore del Re, il Giudice Istruttore
capo cav. Terenzio il maggiore dei carabinieri comandante la nostra divisione
cav. Tartari . Sono altresì partiti per ordine del Prefetto comm. Guadagnini e
del questore cav. Presti ragguardevoli rinforzi con il commissario cav. Caruso
capo di Gabinetto del Prefetto. Appena potrò avere precisi particolari mi
affretterò a comunicarveli. » ^ ^ ^ Abbiamo visto come è sintetico il cronista,
ma abbiamo dovuto notare l’esaustività e la precisione del periferico
giornalista del Giornale di Sicilia. La dinamica dei fatti viene così
rappresentata. Agitazioni più politiche che economiche – siamo già in pieno
clima elettorale e il trapasso dalla prima grande guerra al quasi immediato
avvento del Fascismo fu torbido specie per il ribollire dei delusi Reduci; fu
trapasso che spiega furori popolari e mene partitiche. Tanti dimostranti,
apparentemente zolfatari e contadini, ma anche mestatori, teste calde che
ancora vestivano la divisa militare si agitano scompostamente ed entrano “in
conflitto” con le forze dell’ordine. Il corrispondente ci dice che si tratta di
“carabinieri” (ai quali un giovane commissario è arduo pendare che possa dare
ordini; e aquell’epoca il Messana era solo questo) e “pochissimi soldati” non
certamente comandabili da un civile (e un commissario qiesto è; un civile che
può concertare ma non dare ordini a dei militari). Per me si deve escludere
anche qui un qualche atto inconsulto del Mesana. La furia di un popolo in
rivolta desta paura. Vi sono facinorosi che si “ribelano alla Forca” e cerano
persino di “disarmarla”. Crepita, sì crepita, è ipotizzabile, la mitraglia
dell’esercito: una strage. Ma il Messana, non citato che presumo persino
assente, a tutto concedere non aveva né l‘autorità né l’autorevolezza in quei
concitati momenti di mettere da parte il giovane ufficiale, che sappiamo
aliunde essere di Villarosa e chiamarsi Michele Di Caro, e addirittura -
nolente l’ufficiale dell’esercito - sparare lui e fare lui una carneficina di
un popolo di lavoratori. Eppure questa forsennata ipotesi è stata avanzata e
addotta persino come verità indiscutibile. Trattasi di infamia, di postuma
denigrazione (ci riferiamo all’intervento presso la Costituente dell’impetuoso
Li Causi). Ecco una frottola che non ha riscontro documentale e storico di
sorta e che una diecina di anni fa, magari per esigenze cinematografiche,
divenire indiscussa ricostruzione per raffigurare un Messana Stragista di
Stato. Non si infama così un integerrimo Gran-Commis di Stato. Il Messana non
fu, non poteva essere, si guardò bene dall’essere il COLPEVOLE artefice di
quella infame strage. I denigratori dovrebbero fare resipiscenza, almeno a
mezzo stampa. E corregere i loro calunniosi e infondati assunti. LE CRONACHE
DEL GIORNALE “L’ORA” SUI FATTI DI RIESI DELL’OTTOBRE DEL 1919. Data la mia
deformazione professionale, mi sono accostato al caso Messana come se dovessi
esperire in tre-quattro mesi un’ispezione bancaria approfondita ed essenziale
per farne rapporto al signor Governatore, come fui uso in vent’anni di
sudditanza ispettiva presso l’0rgano di Vigilanza della Banca d’Italia. Così
parto dall’esordio, come dire dai verbali del Consiglio di amministrazione,
acquisendo i bilanci annuali del passato. Per il gr. uff. comm. Ordine dei SS.
Maurizio e Lazzaro dottore Ettore Messana cerco di trovare le propaggini da cui
è partito il Li Causi trent’anni dopo per crucifiggerlo come sanguinario
stragista di Stato nella pur sepolta memoria dei fatti di Riesi risalenti
all’ottobre del 1919. Tutti parlano del 10 dell’11 Ottobre e il validissimo
professore Casarrubea, forse vittima di un lapsus, sale addirittura al novembre
del 1919. Accedo alla Biblioteca Nazionale di Roma a Castro Pretorio e mi
ingolfo nella consultazione di illeggibili bobine dei microfilm dei due
giornali importanti siciliani dell’epoca: l’Ora e il giornale di Sicilia. Con
strumenti che dovrebbero essere modernissimi e che intanto occorre far
funzionare manualmente metto alla fine le mani sulle cronache di quell’esecrato
eccidio. Mi accorgo che tra l’Ora e il Giornale di Sicilia non vi sono
differenze sostanziali nei riferimenti degli episodi che fecero onestamente
molta sensazione. Iniziamo dall’ORA che invero ho consultato dopo. Sapendo quello
che aveva pubblicato il Giornale di Sicilia mi limito a questi brevi appunti:
«L’ORA – 9 ottobre 1919. “Grave conflitto a Riesi – 7 morti e venti feriti.
[….] Dopo l’arresto del noto agitatore socialista Barberi Giuseppe --- L’esigua
forza impotente a fronteggiare la grandissima moltitudine…”» Quindi trascrivo:
«L’ORA di Palermo – prima pagina del 12 ottobre 1919. - A Riesi torna la calma,
Caltanissetta 10 notte. - - All’alba di stamani truppe con agenti al comando
del Commissario di P.S. Cav. Caruso e del maggiore dei carabinieri Tartari sono
entrati a Riesi senza incontrare resistenza alcuna. - Nel conflitto 10
dimostranti rimasero uccisi e circa 50 feriti . - Della truppa è stato ucciso
anche il sottotenente del 76° Fanteria DI CARO MICHELE di Villarosa e due
soldati sono stati feriti. - Aperta una inchiesta dal Procuratore del Re e il
Giudice Istruttore. - Venne trattenuto soltanto l’avvocato Carmelo Calì di
Mazzarino.» Come primo assaggio non c’è molto quanto a contorno. Certo 10
lavoratori uccisi e 50 feriti nel mondo del lavoro gridano vendetta al cospetto
di Dio. Ma come e perché doveva essere artefice malefico il Messana resta un
mistero. Quello che in queste mie ricerche mi colpisce e mi addolora di più è
il fatto che in tante postume celebrazioni, rievocazioni, truculenti filmati e
paludati testi di storia siciliana, non ho ancora trovato una nota di
commemorazione e di omaggio a questo figlio di Villarosa, il sottotenente del
76° Fanteria il giovane MICHELE DI CARO a cui la vita cui fu troncata
crudelmente. Con un colpo di pistola, quindi intenzionalmente. Caduto davvero
nel compimento del suo dovere che era quello di mantenere l’ordine pubblico –
chiunque governasse, in quel tempo NITTI. Non so se gli fu conferita una
qualche medaglia, non so se Villarosa ha reputato di onorarlo e ricordarlo come
eroe. La cinica cronaca di quell’epoca non ritiene poi di fare i nomi di quei
modesti militi che furono feriti. In modo grave? Guarirono? Nessuno ha fatto
ricerche. Erano semplici militari. Possibilmente parenti di quei rivoltosi,
zolfatai e contadini che trucidavano e venivano trucidati. Fratelli che
uccidevano, ferivano fratelli Noi diremmo “compagni”. Fiumi di inchiostro sono
stati versati per queste vicende. Ma nessuna attenzione, nessun riguardo per
questi soldati che per un magro soldo mettevano a repentaglio la loro vita. Non
si ha tempo per loro: a distanza prima d mezzo secolo e dopo quasi un secolo si
sprecano soldi, si sperperano fondi pubblici, si fanno trasmissioni televisive,
si scrivono testi di presunta storia solo per esecrare, condannare,
crucifiggere il meritevole, il servitore della Patria, l’eroe dell’ordine
pubblico Ettore Messana. E ironia della sorte, né nei resoconti dell’Ora di
Palermo, né in quelli del Giornale di Sicilia, né nelle carte che si
custodiscono nell’ACS di Roma relativamente alle faccende del Ministero degli
Interni di quel periodo, né in successive storie paesane, né in sentenze
passate in giudicato troveremo mai il rispettabile nome di Ettore Messana, in
damnatio memoriae sol perchè il Li Causi lo ebbe in odio, ingiuriandolo quale
capo banda POLITICO (attenzione solo POLITICO) dei tempi tristi del banditismo
siciliano capeggiato dal celeberrimo Giuliano da Montelepre. Ma passiamo ora al
giornale principe di Sicilia. Nella stessa notte in cui avvennero i fatti
delittuosi il cronista nisseno ecco come compendia l’impressionante tumulto di
Riesi. Subito dopo invierà un altro messaggio un po’più esaustivo. GIORNALE di
SICILIA: 9/10 Ottobre 1919 (foglio interno) I gravi fatti di Riesi Conflitto
fra dimostranti e forza pubblica. Sette morti e numerosi feriti Caltanissetta:
8, notte. «Pervengono da Riesi notizie incerte e contraddittorie riguardanti
fatti colà avvenuti e che sarebbero di una gravità eccezionale. Pare che le locali
agitazioni d’indole più politica che economica siano degenerate in veri e
propri tumulti e che sarebbero anche avvenuti conflitti in cui i dimostranti ne
avrebbero avuto la peggio. Da persona scappata dal luogo riesco a sapere che
stamane quasi improvvisamene parecchi nuclei di zolfatari e contadini si siano
ribellati alla forza che tentarono di disarmare, ma i carabinieri e i
pochissimi soldati quando la loro pazienza fu al minimo fecero fuoco in piazza
Garibaldi di pieno giorno e che vi sia o una mezza dozzina di morti e parecchi
feriti. La notizia divulgatasi in un baleno ha destato enorme impressione e
tosto con una vettura automobile sono partiti per Riesi il Procuratore del Re,
il Giudice Istruttore capo cav. Terenzio il maggiore dei carabinieri comandante
la nostra divisione cav. Tartari . Sono altresì partiti per ordine del Prefetto
comm. Guadagnini e del questore cav. Presti ragguardevoli rinforzi con il
commissario cav. Caruso capo di Gabinetto del Prefetto. Appena potrò avere
precisi particolari mi affretterò a comunicarveli. » ^ ^ ^ Abbiamo visto come è
sintetico il cronista, ma abbiamo dovuto notare l’esaustività e la precisione
del periferico giornalista del Giornale di Sicilia. La dinamica dei fatti viene
così rappresentata. Agitazioni più politiche che economiche – siamo già in
pieno clima elettorale e il trapasso dalla prima grande guerra al quasi
immediato avvento del Fascismo fu torbido specie per il ribollire dei delusi
Reduci; fu trapasso che spiega furori popolari e mene partitiche. Tanti
dimostranti, apparentemente zolfatari e contadini, ma anche mestatori, teste
calde che ancora vestivano la divisa militare si agitano scompostamente ed
entrano “in conflitto” con le forze dell’ordine. Il corrispondente ci dice che
si tratta di “carabinieri” (ai quali un giovane commissario è arduo pendare che
possa dare ordini; e aquell’epoca il Messana era solo questo) e “pochissimi
soldati” non certamente comandabili da un civile (e un commissario qiesto è; un
civile che può concertare ma non dare ordini a dei militari). Per me si deve
escludere anche qui un qualche atto inconsulto del Mesana. La furia di un
popolo in rivolta desta paura. Vi sono facinorosi che si “ribelano alla Forca”
e cerano persino di “disarmarla”. Crepita, sì crepita, è ipotizzabile, la
mitraglia dell’esercito: una strage. Ma il Messana, non citato che presumo
persino assente, a tutto concedere non aveva né l‘autorità né l’autorevolezza
in quei concitati momenti di mettere da parte il giovane ufficiale, che
sappiamo aliunde essere di Villarosa e chiamarsi Michele Di Caro, e addirittura
- nolente l’ufficiale dell’esercito - sparare lui e fare lui una carneficina di
un popolo di lavoratori. Eppure questa forsennata ipotesi è stata avanzata e
addotta persino come verità indiscutibile. Trattasi di infamia, di postuma
denigrazione (ci riferiamo all’intervento presso la Costituente dell’impetuoso
Li Causi). Ecco una frottola che non ha riscontro documentale e storico di
sorta e che una diecina di anni fa, magari per esigenze cinematografiche,
divenire indiscussa ricostruzione per raffigurare un Messana Stragista di
Stato. Non si infama così un integerrimo Gran-Commis di Stato. Il Messana non
fu, non poteva essere, si guardò bene dall’essere il COLPEVOLE artefice di
quella infame strage. I denigratori dovrebbero fare resipiscenza, almeno a
mezzo stampa. E corregere i loro calunniosi e infondati assunti. LE CRONACHE
DEL GIORNALE “L’ORA” SUI FATTI DI RIESI DELL’OTTOBRE DEL 1919. Data la mia
deformazione professionale, mi sono accostato al caso Messana come se dovessi
esperire in tre-quattro mesi un’ispezione bancaria approfondita ed essenziale
per farne rapporto al signor Governatore, come fui uso in vent’anni di
sudditanza ispettiva presso l’0rgano di Vigilanza della Banca d’Italia. Così parto
dall’esordio, come dire dai verbali del Consiglio di amministrazione,
acquisendo i bilanci annuali del passato. Per il gr. uff. comm. Ordine dei SS.
Maurizio e Lazzaro dottore Ettore Messana cerco di trovare le propaggini da cui
è partito il Li Causi trent’anni dopo per crucifiggerlo come sanguinario
stragista di Stato nella pur sepolta memoria dei fatti di Riesi risalenti
all’ottobre del 1919. Tutti parlano del 10 dell’11 Ottobre e il validissimo
professore Casarrubea, forse vittima di un lapsus, sale addirittura al novembre
del 1919. Accedo alla Biblioteca Nazionale di Roma a Castro Pretorio e mi
ingolfo nella consultazione di illeggibili bobine dei microfilm dei due
giornali importanti siciliani dell’epoca: l’Ora e il giornale di Sicilia. Con
strumenti che dovrebbero essere modernissimi e che intanto occorre far
funzionare manualmente metto alla fine le mani sulle cronache di quell’esecrato
eccidio. Mi accorgo che tra l’Ora e il Giornale di Sicilia non vi sono
differenze sostanziali nei riferimenti degli episodi che fecero onestamente
molta sensazione. Iniziamo dall’ORA che invero ho consultato dopo. Sapendo
quello che aveva pubblicato il Giornale di Sicilia mi limito a questi brevi
appunti: «L’ORA – 9 ottobre 1919. “Grave conflitto a Riesi – 7 morti e venti
feriti. [….] Dopo l’arresto del noto agitatore socialista Barberi Giuseppe ---
L’esigua forza impotente a fronteggiare la grandissima moltitudine…”» Quindi
trascrivo: «L’ORA di Palermo – prima pagina del 12 ottobre 1919. - A Riesi
torna la calma, Caltanissetta 10 notte. - - All’alba di stamani truppe con
agenti al comando del Commissario di P.S. Cav. Caruso e del maggiore dei
carabinieri Tartari sono entrati a Riesi senza incontrare resistenza alcuna. -
Nel conflitto 10 dimostranti rimasero uccisi e circa 50 feriti . - Della truppa
è stato ucciso anche il sottotenente del 76° Fanteria DI CARO MICHELE di
Villarosa e due soldati sono stati feriti. - Aperta una inchiesta dal
Procuratore del Re e il Giudice Istruttore. - Venne trattenuto soltanto
l’avvocato Carmelo Calì di Mazzarino.» Come primo assaggio non c’è molto quanto
a contorno. Certo 10 lavoratori uccisi e 50 feriti nel mondo del lavoro gridano
vendetta al cospetto di Dio. Ma come e perché doveva essere artefice malefico
il Messana resta un mistero. Quello che in queste mie ricerche mi colpisce e mi
addolora di più è il fatto che in tante postume celebrazioni, rievocazioni,
truculenti filmati e paludati testi di storia siciliana, non ho ancora trovato
una nota di commemorazione e di omaggio a questo figlio di Villarosa, il
sottotenente del 76° Fanteria il giovane MICHELE DI CARO a cui la vita cui fu
troncata crudelmente. Con un colpo di pistola, quindi intenzionalmente. Caduto
davvero nel compimento del suo dovere che era quello di mantenere l’ordine pubblico
– chiunque governasse, in quel tempo NITTI. Non so se gli fu conferita una
qualche medaglia, non so se Villarosa ha reputato di onorarlo e ricordarlo come
eroe. La cinica cronaca di quell’epoca non ritiene poi di fare i nomi di quei
modesti militi che furono feriti. In modo grave? Guarirono? Nessuno ha fatto
ricerche. Erano semplici militari. Possibilmente parenti di quei rivoltosi,
zolfatai e contadini che trucidavano e venivano trucidati. Fratelli che
uccidevano, ferivano fratelli Noi diremmo “compagni”. Fiumi di inchiostro sono
stati versati per queste vicende. Ma nessuna attenzione, nessun riguardo per
questi soldati che per un magro soldo mettevano a repentaglio la loro vita. Non
si ha tempo per loro: a distanza prima d mezzo secolo e dopo quasi un secolo si
sprecano soldi, si sperperano fondi pubblici, si fanno trasmissioni televisive,
si scrivono testi di presunta storia solo per esecrare, condannare,
crucifiggere il meritevole, il servitore della Patria, l’eroe dell’ordine
pubblico Ettore Messana. E ironia della sorte, né nei resoconti dell’Ora di
Palermo, né in quelli del Giornale di Sicilia, né nelle carte che si
custodiscono nell’ACS di Roma relativamente alle faccende del Ministero degli
Interni di quel periodo, né in successive storie paesane, né in sentenze
passate in giudicato troveremo mai il rispettabile nome di Ettore Messana, in
damnatio memoriae sol perchè il Li Causi lo ebbe in odio, ingiuriandolo quale
capo banda POLITICO (attenzione solo POLITICO) dei tempi tristi del banditismo
siciliano capeggiato dal celeberrimo Giuliano da Montelepre.
6 ore fa
Non trascorrono molte ore e il cronista nisseno cerca di
completare i riferimenti al Giornale di Sicilia sui fatti di Riesi occorsi alle
ore 11 del giorno precedente: è il 9 ottobre del 1919. Faticando molto, siamo
riusciti a trascrivere il fotogramma del microfilm del giornale siciliano.
Vorremmo che foste voi, senza intermediazione alcuna, a trarre il succo da una
siffatta concisa ma lucida corrispondenza. Noi ci siamo molto soffermati sul
particolare che artefici del bene e del male di quel giorno furono i
Carabinieri, coadiuvati da un nucleo sparuto di inesperti soldati. Emerge
charissimamente che ad iniziare a sparare contro la folla furono loro: i
carabinieri. Stranissimo, in cronache successive, in rievocazioni paesane, nel
veemente attacco del Li Causi, nelle celebrazioni di Riesi dei primi anni 2000,
negli studi seri del Casarrubea, in quelli pasticciati della Cernigoi, nelle
esaltazioni cinematografiche, nelle lugubri messe in scena del Lucarelli
televisivo, in tante corrispondenze di aspiranti giornalisti, questo
particolare viene del tutto pretermesso. Nessuno infatti può pensare che un
giovane commissario si possa permettere di dare ordini alla benemerita arma di
aprire il fuoco contro una inerme folla sia pure tumultuante. Non è elemento
questo da rendere inaccettabile che ad essere responsabile di quell'esecrabile
eccidio fosse il giovanissimo ed imberbe commissario Ettore Messana? Come dire
Ettore Messana non c'entrò. Solenne infamia quella di volerlo a tutti i costi
calunniarlo. Non è giunto il momento di fare ammenda di tutta la diffamazione a
mezzo stampa, blog, cinematografo e lugubri aggettivazioni del Lucarelli (sarà
un caso, quella trasmissione del 2005 non ci sta più in You Tube o aggeggi
analoghi)? La famiglia Messana ha subìto, sta ancora subendo, danni, disagi,
colpevolizzazioni, denigrazioni per una così concertata e martellata
diffamazione. Nessuno deve pagare? manco il periferico e pur edotto dei fatti,
il giornaletto racalmutese di Sciascia MALGRADO TUTTO? Per aggiunta e suggello,
ecco che veniamo a sapere che le mitragliatrici vengono dopo, ad eccidio
consumato: nessun ordine poté dare al sottotenentino Di Caro il nostro gr. uff.
comm. dell'ordine dei santi Maurizio e Lazzaro, ispettore generale di P.S.,
dottore Ettore Messana. Carta canta!!! ------------- Caltanissetta 9, giorno
"I fatti i Riesi per quanto su essi siano sulle prime notizie alquanto
esagerate pure rivestono una gravità non comune. Ve ne mando i particolari nel
modo più succinto. Riesi è stato sempre uno dei centri di questa provincia che
ha dato non poche volte da dire alle autorità politiche e di pubblica sicurezza
dando sovente campo a noi cronisti di intrattenerci delle condizioni poco
tranquille della pubblica sicurezza: difatti reati audacemente rari nella
storia criminale sono colà avvenuti e non è la prima volta che dimostrazioni ed
agitazioni sono degenerate in conflitto. Le agitazioni minerarie poi hanno
sempre trovato modo di allignare e di prosperare anche perché la politica di
Riesi deve far capolino in tutto. Tra i maggiorenti anche il disaccordo è
regnato sovrano per quanto il deputato del collegio, on. Pasqualino, abbia
sempre messo in opera tutti i mezzi perché il pubblico interesse negli uomini
pubblici fosse sempre l’ideale da raggiungere. Parecchi anni fa tal Giuseppe
Butera, una specie di mattoide, messosi a capo di alquanti incoscienti provocò
dei moti gravissimi e si arrivò persino alla proclamazione della repubblica
Riesina! Poi venne la guerra e gli odii restarono sopiti mentre Riesi dava un
contingente altissimo alla diserzione dando i Tofalo, i Carlino e compagnia
bella; bisogna però riconoscere che la maggioranza di quella cittadina è
composta di gente per bene, ma intanto basta qualche centinaio di illusi e di
sconsigliati perché un intero centro resti in convulsione. Da qualche settimana
a Riesi dunque spirava vento di fronda, e ciò nonostante per volere di chi sta
in alto tutta la forza disponibile della Provincia di Caltanissetta e el
capoluogo era stata distaccata a Roma – a quanto se ne dice – perché l’ordine
pubblico della capitale così esigeva. Di modo che i tumulti di ieri hanno
trovata la cittadina sguarnita di forza in modo quasi assoluto giacché la forza
non si improvvisa specie quando niente affatto tranquilla era la situazione a
Caltanissetta, a Terranova, a Castrogiovanni e in molti altri paesi dove
l’agitazione agraria è assai intensa e gravida di pericoli. Anzi su proposta
del Prefetto pochi giorni fa il Ministero ha mandato qui il comm. Lonardone
ispettore generale del Ministero della Agricoltura per la composizione delle
vertenze agrarie in Provincia. Intanto così l’on. Pasqualino come l’on.
Colaianni e l’on. Lo Piano non avevano taciuto assieme al Prefetto la situazione
della Provincia, che ha finalmente bisogno dopo tanti anni di incuria e di
indifferenza ogni provvida cura giacché le nostre popolazioni sono assetate di
giustizia e di equità. Fatto sta che nelle scorse settimane la situazione a
Riesi parve – lo era effettivamente – peggiorata, avvennero degli incidenti
gravi la cui trasmissione non ci fu permessa e si procedette all’arresto del
Giuseppe Butera e di altri capoccia del socialismo cosi detto ufficiale. Come
vi dissi, la politica ha fatto il resto di tal che si è andata rapidamente in
questi ultimi giorni creata a Riesi una posizione veramente eccezionale e da
destare l’allarme nella cittadinanza e da preoccupare le autorità. L’on.
Pasqualino proprio oggi doveva recarsi a Riesi dove egli è tanto benvoluto e
stimato, appunto per mettere in opera il suo ascendente presso quella
popolazione onde indurla alla quiete ed alla tranquillità. Ma aveva preferito
fare prima una corsa a Castrogiovanni per abbracciarsi con l’on. Colaianni che
intanto non lascia mezzi intentati per comporre le vertenze di indole economica
nei paesi del suo collegio. Dimenticavo dirvi che a Riesi da tempo per
dimissioni di parecchi dei suoi membri quel Consiglio Comunale è stato sciolto
e l‘amministrazione della cosa pubblica è deposta nelle mani di un R.
Commissario, il cav. Scicolone, coadiuvato dal signor Grasso. Si è cercato di
togliere ogni pretesto a quelle masse illuse e fuorviate e financo
l’approvvigionamento del grano è proceduto in modo assolutamente eccezionale,
un vero e proprio trattamento di favore. Ma il pretesto è stato trovato lo
stesso e ieri di giorno verso le 11 si iniziarono le prime dimostrazioni che
assunsero ben presto il carattere di una violenta ribellione. La pazienza dei
pochi carabinieri fu messa a dura prova; qualche soldato fu sputato e preso a
sassate e quando fu tentato di disarmarli e quando di certo avrebbero avuto la
peggio fecero fuoco e caddero mezza dozzina e forse più di morti. Grida e
lamenti dimostrarono che c’erano anche dei feriti e non pochi. La esasperazione
della folla inviperita e delle donne raggiunse presto il colmo e la forza
impotente dovette ritirarsi lasciando la cittadinanza in balia dei rivoltosi.
Sono partiti da qui camions con mitragliatrici e forza in gran numero e si
conta di sapere la vera ragione o meglio la causa occasionale della rivolta
sanguinosa. Domani e forse oggi stesso l’on. Pasqualino sarà sul posto per
spiegare tutta la sua opera autorevole per il ritorno alla tranquillità.
Intanto l’autorità giudiziaria ha aperto una inchiesta per accertare le singole
responsabilità; parecchi arresti sono stati già operati e pare che moltissimi
altri ne seguiranno. Appena noti i nomi dei morti e dei feriti ve ne informerò
e vi invierò altri particolari. 0ve sarà il caso. Si sa che i rivoltosi furono
poche centinaia di contadini che sono rimasti padroni della città; tutte le
comunicazioni, anche quelle telegrafiche, sono interrotte; da Palermo sono
stati inviati considerevoli rinforzi La impressione per i fatti avvenuti è
delle più dolorose e si spera che l’ordine e la calma possano presto tornare.
"
4 ore fa
Ci stiamo sforzando di rinvenire la vera verità storica dei
fatti di Riesi del 1919. Abbiamo pubblicato giornali e cronache dell'epoca.
Questa qui non è una intollerabile mistoficzione? https://www.youtube.com/watch?v=PECKVrYtgTk
www.youtube.com
CREDIAMO DI AVERE DEL TUTTO SMANTELLATO LA TESI CHE VORREBBE
IL QUESTORE MESSANA COLPEVOLE COME QUI SI DICE. RESTA SOLO LA CALUNNIA,
L'INFAMIA. SE IN BUONA FEDE CI SI CORREGGA ANCHE SE CI SI CHIAMA ANPI
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‘Strage di Riesi’ . 92° anniversario assassinio Giovanni Orcel 13 ottobre 2012
. L ’ANPI domenica 14 ottobre 2012 alle ore 9, ricorda Giovanni Orcel nel 92°
anniversario del suo assassinio avvenuto il 14 ottobre 1920 in Corso Vittorio Emanuele
all’altezza della Biblioteca centrale dove con la Cgil, e il Centro Impastato
deporremo una corona sotto la lapide che lo ricorda. Giovanni Orcel è una delle
figure più significative del movimento operaio palermitano, segretario generale
della FIOM dal marzo del 1919 operava per unire lotte urbane e lotte delle
campagne sulla scia di Nicola Barbato e anche del fratello Ernesto Orcel
fondatore del Fascio dei Lavoratori di Cefalù, ed in stretto collegamento con
Nicolò Alongi, il dirigente contadino assassinato dalla mafia nel febbraio del
1920. Orcel viene assassinato ad un anno dalla strage di Riesi del 1919 dove
vengono assassinati 15 contadini compreso un tenente di fanteria che si era
opposto all’ordine fascista di sparare sui contadini che manifestavano per la
riforma agraria. Ad ordinare il fuoco in solidale intesa con la mafia è stato
un fascista della prima ora, Ettore Messana di Racalmuto, ufficiale di P.S.,
poi membro dell’OVRA, il servizio segreto, efferato criminale di guerra
questore a Lubiana negli anni 40 ed infine lo ritroveremo inspiegabilmente
….Ispettore generale di polizia in Sicilia negli anni 1945! Entrambi i delitti,
inequivocabilmente di matrice fascista e mafiosa, sono rimasti impuniti. Su
Giovanni Orcel leggi Giuseppe Carlo Marino, 1976 nel libro “Partiti e lotta di
classe in Sicilia da Orlando a Mussolini” (Bari, De Donato, 1976); poi nel
saggio di Giuseppe Carlo Marino “Vita e martirio di Nicola Alongi, contadino
socialista” e in numerosi altri scritti. Il libro di Giovanni Abbagnato,
Giovanni Orcel. Vita e morte per mafia di un sindacalista siciliano. 1887-1920,
ricostruisce l’attività di Orcel e le lotte di quegli anni. Il logo del
referendum per l’art. 18 ci ricorda che Orcel, Alongi e la lunga scia di sangue
di sindacalisti e cittadini uccisi, lottarono per la difesa della dignità umana
e la dignità del lavoro, che oggi i governi della destra politica, in assenza
di opposizione vera, stanno di fatto abolendo. Nessun commento » Postato in
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Lavoratori Siciliani, segnalazioni iniziative Tags: ANPI Palermo Centro
Impastato CGIL Ernesto Orcel Ettore Messana Fascio dei Lavoratori siciliani di
Cefalù FIOM Giovanni Abbagnato Giovanni Orcel Nicola Barbato Nicolò Alongi
Strage di Riesi . . Sito Anpi Nazionale Cerca: agosto: 2014 L M M G V S D « lug
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ANPInews ARCI Biografie dei deportati internati Militari Italiani CGIL firma
contro l'attacco all'impianto antifascista della Costituzione "art.
21" Firma contro l'attacco all'impianto antifascista della Costituzione
"petizione Cgil" memorie di Spagna Sito ANPI Nazionale
47 minuti fa
Registro ora questo filmato per timore che si proceda alla
cancellazione dato quello che ho ormai acquisito a dimostrazione
dell'incontrovertibile verità che sono solo calunniose le accuse nei confronti
dell'incolpevole questore Messana. A suo tempo deluciderò questo assunto e una
tesi oggi inespressa sulla base di documenti dell'archivio di stato e della
nuova documentazione che sta venendo fuori dagli archivi americani (N.A.R:A). A
suo tempo saremo ben più precisi. https://www.youtube.com/watch?v=lAmx2ns17ww
www.youtube.com
...per
mestiere spiego bene agli altri quello che per me non comprendo.
sabato 7 giugno 2014
Questo è il discorso di Li Causi che per
incidens accusa il Messana. Procederemo a soppesarlo e arriveremo a conclusioni
ora meno passionali e meno politicizzati. Emergerà senza ombra di dubbio che i
successivi calunniatori del grande questore o ispettore generale do PS
grand. uff. Dottore Ettore Messana, che pensano di trarre da questo intervento
parlamentare la fonte e la base per le loro diffamazioni calunniatrici, se
persone oneste e mentalmente corrette dovranno fare resipiscenza e procedere
a ravvedimenti operosi specie nei confronti della Famiglia Messana che di
recente ha subito danni materiali, morali e persino fisici a causa
di codeste allegre calunnie e di questo fare apparire come cose certe e
storicamente provate quelle che erano invece denigratori giudizi di valore.
Sicilia 1 maggio 1947
La strage di Portella delle Ginestre
La vecchia credeva che fossero mortaretti e cominciò a battere le mani festosa. Rideva. Per una frazione di secondo continuò a ridere, allegra, dentro di sé, ma il suo sorriso si era già rattrappito in un ghigno di terrore. Un mulo cadde con il ventre all'aria. A una bambina, all’improvviso, la piccola mascella si arrossò di sangue. La polvere si levava a spruzzi come se il vento avesse preso a danzare. C'era gente che cadeva, in silenzio, e non si alzava più. Altri scappavano urlando, come impazziti. E scappavano, in preda al terrore, i cavalli, travolgendo uomini, donne, bambini. Poi si udì qualcosa che fischiava contro i massi. Qualcosa che strideva e fischiava. E ancora quel rumore di mortaretti. Un bambino cadde colpito alla spalla. Una donna, con il petto squarciato, era finita esanime sulla carcassa della sua cavalla sventrata. Il corpo di un uomo, dalla testa maciullata cadde al suolo con il rumore di un sacco pieno di stracci. E poi quell'odore di polvere da sparo.
La carneficina durò un paio di minuti. Alla fine la mitragliatrice tacque e un silenzio carico di paura piombò sulla piccola vallata. Era il 1° maggio 1947 e a Portella della Ginestra si era appena compiuta la prima strage dell’Italia repubblicana: 11 morti, due bambini e nove adulti. 27 i feriti. Tutti poveri contadini siciliani. Che a sparare dalle alture, sulla folla radunata a celebrare la festa del lavoro, erano stati gli uomini del bandito Salvatore Giuliano, gli italiani lo scopriranno solo quattro mesi dopo, nell’autunno del 1947. Ma mai riusciranno a sapere chi armò la mano di quei briganti, comodi residui della storia, incarnazione di un fenomeno del passato, che ancora sopravviveva nella Sicilia dei compromessi e degli intrighi.
Ma chi era Salvatore Giuliano? Perché massacrò 11 innocenti? Chi trasformò una banda di predoni in un’armata irredentista e separatista? Chi decise di utilizzare politicamente un bandito per spegnere le tensioni sociali della Sicilia del dopoguerra? E quale patto segreto lo Stato strinse con la mafia che lo eliminò dalla scena?
Sicilia 1 maggio 1947
La strage di Portella delle Ginestre
La vecchia credeva che fossero mortaretti e cominciò a battere le mani festosa. Rideva. Per una frazione di secondo continuò a ridere, allegra, dentro di sé, ma il suo sorriso si era già rattrappito in un ghigno di terrore. Un mulo cadde con il ventre all'aria. A una bambina, all’improvviso, la piccola mascella si arrossò di sangue. La polvere si levava a spruzzi come se il vento avesse preso a danzare. C'era gente che cadeva, in silenzio, e non si alzava più. Altri scappavano urlando, come impazziti. E scappavano, in preda al terrore, i cavalli, travolgendo uomini, donne, bambini. Poi si udì qualcosa che fischiava contro i massi. Qualcosa che strideva e fischiava. E ancora quel rumore di mortaretti. Un bambino cadde colpito alla spalla. Una donna, con il petto squarciato, era finita esanime sulla carcassa della sua cavalla sventrata. Il corpo di un uomo, dalla testa maciullata cadde al suolo con il rumore di un sacco pieno di stracci. E poi quell'odore di polvere da sparo.
La carneficina durò un paio di minuti. Alla fine la mitragliatrice tacque e un silenzio carico di paura piombò sulla piccola vallata. Era il 1° maggio 1947 e a Portella della Ginestra si era appena compiuta la prima strage dell’Italia repubblicana: 11 morti, due bambini e nove adulti. 27 i feriti. Tutti poveri contadini siciliani. Che a sparare dalle alture, sulla folla radunata a celebrare la festa del lavoro, erano stati gli uomini del bandito Salvatore Giuliano, gli italiani lo scopriranno solo quattro mesi dopo, nell’autunno del 1947. Ma mai riusciranno a sapere chi armò la mano di quei briganti, comodi residui della storia, incarnazione di un fenomeno del passato, che ancora sopravviveva nella Sicilia dei compromessi e degli intrighi.
Ma chi era Salvatore Giuliano? Perché massacrò 11 innocenti? Chi trasformò una banda di predoni in un’armata irredentista e separatista? Chi decise di utilizzare politicamente un bandito per spegnere le tensioni sociali della Sicilia del dopoguerra? E quale patto segreto lo Stato strinse con la mafia che lo eliminò dalla scena?
Assemblea Costituente. Seduta del 15 luglio 1947
Intervento di Girolamo Li Causi
LI CAUSI. Onorevoli colleghi, non è la prima volta che ci occupiano della Sicilia e credo che non sarà nemmeno l'ultima…
UBERTI. Speriamo che sia l'ultima!
PRESIDENTE. Onorevole Uberti, la prego di non cominciare ad interrompere.
MANCINI. È intolleranza!
LI CAUSI. … ed è un bene; perché il processo dichiarificazione che è in corso, determinato appunto dall'azione delle masse, deve essere condotto fino in fondo, ed è necessario che tutto il paese segua, aiuti, intervenga in questo processo di chiarificazione nella nostra Isola. Se è vero che in Sicilia recentemente, fatto credo unico finora nella storia, è intervenuto in visita ufficiale l'ambasciatore degli Stati Uniti, che ha preso contatto col Governo regionale, ha concesso interviste, fatto delle dichiarazioni, esortato il popolo siciliano a guardarsi dal rinunciare alla libertà individuale; se è vero che l'Isola, ha una particolare importanza strategica, ci rendiamo conto come sia indispensabile che tutto il Paese, posto continuamente in sussulto da campagne di stampa sugli avvenimenti siciliani, in base a notizie deformate, esagerate o minimizzate secondo il punto di vista degli interessi, abbia la conoscenza esatta di quella situazione, chiarisca le responsabilità e soprattutto si renda conto di una situazione che nella sua sostanza è semplicissima, ma che è infinitamente complessa, complicata com'è per collusioni e legami intimi che sussistono, sulla base della struttura sociale della Sicilia, tra vita politica, mafia e banditismo.
Ecco perché, dicevo, non ci deve dispiacere se serenamente noi portiamo il problema della Sicilia dinnanzi all'Assemblea: gli ultimi avvenimenti dolorosissimi, i fatti di Pian della Ginestra e le aggressioni del 22 giugno, hanno commosso l'opinione pubblica mondiale; necessario è perciò che si sappia quali sono le origini di sì efferati delitti, di queste manifestazioni esplosive di un male che non può essere che profondo e non può essere addebitato alla malvagità del singolo, anche se questa malvagità concorre poi nella efferatezza del delitto. Ogni tanto l'opinione pubblica nazionale ed internazionale è turbata o commossa per una di queste esplosioni. Poi, come se tutto finisse, nessuno si preoccupa di andare alle radici del male. Certo, se noi cominciamo con l'affermare che i delitti che avvengono in Sicilia non differiscono da quelli del resto d'Italia, cioè affoghiamo in un unico grigiore di avvenimenti, rinunciamo a priori ad approfondire le origini del male. Ma certi esponenti politici, certa stampa si compiacciono di questo grigiore schermendosi con l'affetto verso la propria regione, con la carità di patria e simili luoghi comuni, cadendo in perfetta contraddizione con i giudizi di altri uomini responsabili, che per essere a capo delle forze di polizia, come chi comanda i carabinieri dell'Isola, esprimono giudizi ben altrimenti concreti e differenziati. Ho qui sotto'occhio un rapporto riservato del Comando della terza Divisione carabinieri del 9 ottobre… Voci dal centro. Ma è riservato!…
LI CAUSI. Sì, ma che c'è di male? Me ne servo lo stesso. E leggo: "Si legge spesso sulla stampa, e lo afferma specialmente quella separatista, che la situazione creata dalla delinquenza in Sicilia non è peggiore di quella esistente in Emilia o in qualche altra regione e si cita, ad esempio, anche il recente movimento dei partigiani, al cui confronto le ribellioni separatiste sarebbero pallida cosa. Tutto ciò non è vero, perché la situazione della pubblica sicurezza dell'Isola è realmente grave, come non lo è mai stata e come non lo è in nessuna regione del Continente, anche per l'abbondanza delle armi automatiche e da guerra di cui dispone ora la delinquenza e di cui usa ed abusa contro le vittime dei suoi disegni e contro la polizia. Basti citare che molti proprietari sono stati costretti a non recarsi più nelle campagne per tema di sequestro o di peggiori conseguenze; che in alcuni Comuni si registrano diecine e diecine di omicidi, qualche esecuzione di massa, numerose sparizioni di persone di cui non si ha più notizia; che i proprietari, oltre alle tasse dovute allo Stato, per salvaguardar le case, le piantagioni, le coltivazioni, pagano "il pizzo" per un cospicuo ammontare alla mafia locale o a qualche gruppo di delinquenti; che la tenebrosa associazione della mafia con minacce e violenze ha molto contribuito alla mancata riuscita dei granai del popolo".
Questo si dice in una relazione del Comando dei carabinieri, ricca di rilievi e considerazioni, dove è spiegato perché ancora non si riesce a far chiaro in questa folta ed intricata matassa e dove si smentisce in pieno la posizione che, a proposito dei recenti luttuosi avvenimenti siciliani, ha assunto il Goverlo col dire: "Mah! La delinquenza in Sicilia non differisce da quella delle altre regioni".
Il 26 giugno di quest'anno, alle porte di Alcamo, avvenne un conflitto fra una banda armata ed un gruppo di carabinieri comandati da un capitano. Ebbene, tutta la stampa, unanime, rileva che nei confronti del capobanda, badate bene, del capo-banda, certo Ferreri -- che per alcuni mesi da quanto risulta dai rapporti ufficiali dell'Ispettore di pubblica sicurezza della Sicilia -- è stato a capo delle bande dell'E.V.I.S., ed è qui descritto col nome di Salvatore d'Alcamo, cioè non è stato identificato, si elencano niente di meno che i seguenti delitti: "Era evaso da un penitenziario dell'Alta Italia e dal 1944 era stato il più influente luogotenente di Giuliano. Aveva preso parte alle aggressioni delle caserme dei carabinieri di Grisi, Bellolampo, Borgetto, Montelepre, Pioppo e Piano dell'Occhio. Aveva un odio particolare per i carabinieri ed aveva partecipato a numerosissimi conflitti, tra cui l'aggressione ad un autocarro, che incendiò e distrusse, ferendo il capitano dell'Arma Rocco Tinnirello. Aveva ucciso il carabiniere Vincenzo Meserendino; aveva tentato di uccidere l'ufficiale Mario Vistrianni, incendiando e distruggendo una camionetta di polizia; aveva ucciso i carabinieri Filippo Marino e Antonio Smeraldo nell'abitato di Montelepre; aveva aggredito, ancora in contrada San Cataldo di Terrasini, autocarri di soldati e carabinieri, uccidendo quattro soldati e ferendo due militi; aveva aggredito la camionetta dell'Ispettorato generale di pubblica sicurezza ferendo il vicebrigadiere Tuzzeo; era colpevole degli omicidi del carabiniere Giovanni Adarni, del carabiniere Sassano e del tentato omicidio dei carabinieri Vella e Gentile; era altresì colpevole dell'aggressione alla macchina del capitano dei carabinieri Pagano di Monreale; aveva organizzato una serie di conflitti con i militi di Montelepre, culminati con il ferimento di alcuni militari e l'uccisione del tenente Felice Testa; aveva pure organizzato l'omicidio del maresciallo dei carabinieri Filippo Scimone ed il tentato omicidio del brigadiere Arcadipane sullo stradale di Sancipirrello, nonché attacchi ad autocarri carichi di soldati e carabinieri con l'uccisione del caporal maggiore Lombardo e del soldato Cinquemani. "Il Ferreri era anche specialista in sequesti di persona, dei quali i più importanti sono quelli di: Virga, Apostolo, Di Lorenzo, Agnello, Ugdulena, Vanella, Collicchia, Arcuri, ecc., ecc. ".
Questa la serie di orrenti misfatti di cui si era reso colpevole il Ferreri. Ebbene, non appena la banda è sterminata e dei cinque componenti rimase vivo solo il Ferreri, la prima cosa che egli dice è: "Salvatemi la vita, perché sono il confidente dell'Ispettore di pubblica sicurezza dottor Messana". Avviene che nel momento in cui l'ufficiale dei carabinieri vuole accertare questo, il bandito gli afferra l'arma e tenta di strappargliela: l'altro si difende e lo fredda. Nella perquisizione presso il padre del Ferreri viene trovato un permesso di armi rilasciato da poco tempo dalla questura di Trapani. Le autorità si informano: com'è possibile che un affiliato alla banda Giuliano abbia un permesso d'armi regolare? Risulterebbe che c'è stato l'intervento dell'Ispettore di pubblica sicurezza per farglielo rilasciare. Che cosa ci conferma nella convinzione della esistenza di questo intervento? Ce lo indica un fatto molto grave. Malgrado ci sia stato il referto di tutto ciò che era stato trovato addosso ai cadaveri, l'Ispettore di pubblica sicurezza manda un suo dipendente a sottrarre il permesso d'armi, e se lo porta a Palermo. Una indagine più profonda potrebbe accertare che anche addosso al principale "Fra Diavolo", cioè a Ferreri (l'Ispettorato di pubblica sicurezza lo definiva addirittura un Giuliano e mezzo) sarebbe stato trovato un documento di identità a nome, niente di meno, di un milite dell'Arma dei carabinieri. C'è di più. Ad Alcamo ci sono testimoni i quali hanno visto, un'ora o due ore prima che il conflitto avvenisse, l'automobile dell'Ispettore di pubblica sicurezza Messana, che accompagnava un altro ufficiale dello stesso ispettorato di pubblica sicurezza, e appreso che il Messana avrebbe avuto un incontro con la banda Ferreri.
Tutto ciò, si sa, circola, è stato riportato dai giornali, e non solo dai giornali comunisti. I giornali comunisti hanno riportato queste voci soltanto dopo che altri giornali dell'Isola avevano pubblicato questi "si dice". Ora, voi certamente vi rendete conto che di fronte a questi fatti l'impressione dell'opinione pubblica siciliana è enorme, e la confusione anche, perché non si capisce più niente. Come è possibile che l'Ispettore di pubblica sicurezza abbia per suo confidente un bandito di questa specie? Noi tutti sappiamo che la polizia ha bisogno di confidenti. Ci sono confidenti e confidenti; ma come si spiega il caso in questione?
La mattina del 22 giugno (la sera, poi, si hanno le aggressioni alle sedi del Partito comunista di Monreale, ecc.) avvenne un colpo di scena sui giornali: si faceva conoscere che gli autori della strage di Pian della Ginestra non erano quelli che erano stati indiziati dal pastore X o dal pastore Y, ma il bandito Giuliano in persona; che l'Ispettore di pubblica sicurezza era in intimi contatti con il luogotenente di Giuliano. Quindi l'autore della strage di Pian della Ginestra sarebbe il bandito Giuliano. Poi, al Giuliano si fa fare un programma (tenete presente che Giuliano ha fatto appena la quinta elementare) che è stato pubblicato ed in cui egli appare come il difensore della moralità, della proprietà, e di tutto quello che c'è di santo nella vita della Sicilia, contro il bolscevismo. È la prima volta che Giuliano, nella sua carriera di bandito, prende apertamente posizione per difendere la Sicilia dal bolscevismo.
Ma c'è di più. Nella zona dove egli è nato e nella zona dove ha trovato maggiori consensi, nel senso che ha arruolato dei banditi durante il periodo più acuto della lotta sociale, cioè il periodo della lotta per l'assegnazione delle terre incolte, Giuliano non ha mai operato contro i proprietari a favore dei contadini o contro i contadini a favore dei proprietari, ma si è mantenuto neutrale. Improvvisamente Giuliano diventa l'esecutore materiale della strage di Pian delle Ginestre, tesi questa carissima all'Ispettore Messana, se è vero che, in mia presenza, il primo maggio alle ore 16, in Prefettura (quando per la prima volta trovammo riuniti il Prefetto, l'Ispettore Messana, il Comandante dei carabinieri, il Segretario generale dell'Alto Commissariato, l'Ispettore generale presso l'Alto Commissariato ed altri ufficiali) è il solo Messana ad avanzare l'ipotesi che a Pian delle Ginestre ci fosse la mano di Giuliano. Ed è lo stesso Messana, attraverso i suoi carabinieri che, quando i pastori di San Giuseppe Jato riconoscono alcuni, che hanno preso parte alla strage di Pian delle Ginestre - e che ancora sono dentro - manda un brigadiere a chiamare la madre di uno di costoro perché confessi che a suo figlio o a lei stessa sono stati dati dei soldi dai comunisti, e in tal modo venga incolpato il tale dei tali, che non c'entra affatto nella strage di Pian delle Ginestre.
C'è di più: in quei giorni, sia l'Ispettore di pubblica sicurezza, sia il Comando dei carabinieri, sia la Questura di Palermo rendono noto (anche attraverso circolare) che Giuliano sta preparando delle aggressioni contro le sedi e gli uomini dei partiti di sinistra. Si soggiunge poi a voce: "Badate che la nostra vita è in pericolo". Ci accorgiamo di trovarci di fronte a tutta un'azione, la quale vorrebbe localizzare l'esplosione e la responsabilità dei misfatti avvenuti in Sicilia, attorno a questo mito evanescente, a questo personaggio che si chiama Giuliano, per dire: "Tutto il resto non c'entra. Che c'entra la mafia? Tutti galantuomini! Che cosa c'entrano i partiti politici? È impensabile che ci possano essere degli uomini nei vari partiti politici che possano essere individuati come responsabili di sì orrendi misfatti". Si cerca di creare intorno a noi una psicosi di paura, aggiungendo che la polizia ci proteggerà, e che sarà fatta tutta un'azione in comune perché Giuliano sia preso. Ma, scusate, perché Giuliano finora non è stato preso?
In un rapporto del Comando dei carabinieri si dice, fra l'altro: "Giuliano ha preso contatto con l'aristocrazia e gli uomini politici, si è dato a dettar legge e a scrivere lettere minacciose, ecc.". Il rapporto continua: "È stato in questi ultimi tempi accertato - siamo alla fine del 1946 - che il bandito Giuliano, certamente a seguito dell'azione intensa svolta sulle montagne dalle squadriglie, si è trasferito con i suoi uomini a Palermo e nei comuni limitrofi, protetto da qualche elemento della mafia, appoggiato di certo da qualche famiglia molto in vista. Non si creda, pertanto, di poter catturare Giuliano con le armi in mano, anche per la vicinanza di quasi tutti gli altri banditi i quali, specie se giovani e arditi, ben provvisti di denaro -- Giuliano dai soli sequestri ha ricavato più di cento milioni -- sono stati notati alla spicciolata qui in Palermo".
Ebbene, queste cose sono state dette a quest'ultima operazione, con i duemila uomini, fra soldati e carabinieri, che sono stati mandati a Montelepre, conferma la giustezza del giudizio espresso dal generale dei carabinieri. Si vuol creare cioè tutta una coreografia allo scopo deliberato di stornare, come dicevo, l'attenzione del pubblico da quella che è la vera situazione e da quello che veramente ci vorrebbe per stroncare questa situazione, per recidere appunto i legami fra questo banditismo, fra una parte della mafia, e quelle famiglie in vista, quelle famiglie aristocratiche che fanno parte di quei partiti ben individuati nelle relazioni ufficiali.
Si ha, in altre parole, questa precisa situazione, che il banditismo politico in Sicilia è diretto proprio dall'ispettore Messana: e l'ispettore di pubblica sicurezza, il quale dovrebbe avere per compito quello di sconfiggere il banditismo -- il suo compito veramente sarebbe quello di socnfiggere il banditismo comune e non già quello politico -- l'Ispettore di pubblica sicurezza, dicevo, diventa invece addirittura il dirigente del banditismo politico.
Ma c'è di più: il Messana non avrebbe dovuto intervenire nella ricerca di esponenti politici indiziati e invece egli è andato sempre in cerca di questi elementi. Quando, nel settembre dello scorso anno, furono uccisi, a bombe a mano, alcuni contadini riuniti nella sede della cooperativa ad Alia per discutere sul problema della divisione delle terre, non si sa perché è intervenuto l'ispettorato di pubblica sicurezza, dopo che la Questura di Palermo aveva operato dei fermi di indiziati, e i fermati vengono rilasciati. Alla vigilia del 2 giugno avviene a Trabia un tipico delitto di mafia; la camionetta dove si suppone che siano i responsabili viene fermata a Misilmeri, alle porte di Palermo: ebbene, nonostante che su quella camionetta si trovassero armi, secondo una prima versione della polizia, i fermati vengono dopo un giorno rilasciati.
Questa impressione non è dunque cervellotica, ma ha un fondamento molto serio e l'onorevole ministro dell'interno lo sa perché sono stato io personalmente ad accompagnare da lui un altro collega che gli ha detto: "Ma come fai a fidarti di Messana, tu che dici di essere un repubblicano sincero? Messana, infatti, non solo ha svolto opera per il trionfo della monarchia prima del 2 giugno, ma ha continuato a complottare contro la Repubblica dopo il 2 giugno, designato come era Ministro degli interni di un restaurando Regno di Sicilia, se Umberto fosse sbarcato a Taormina o in non so quale altro punto della costa siciliana; e bada che io sono un testimone auricolare, uno che ha partecipato a queste trattative, respingendole".
Intervento di Girolamo Li Causi
LI CAUSI. Onorevoli colleghi, non è la prima volta che ci occupiano della Sicilia e credo che non sarà nemmeno l'ultima…
UBERTI. Speriamo che sia l'ultima!
PRESIDENTE. Onorevole Uberti, la prego di non cominciare ad interrompere.
MANCINI. È intolleranza!
LI CAUSI. … ed è un bene; perché il processo dichiarificazione che è in corso, determinato appunto dall'azione delle masse, deve essere condotto fino in fondo, ed è necessario che tutto il paese segua, aiuti, intervenga in questo processo di chiarificazione nella nostra Isola. Se è vero che in Sicilia recentemente, fatto credo unico finora nella storia, è intervenuto in visita ufficiale l'ambasciatore degli Stati Uniti, che ha preso contatto col Governo regionale, ha concesso interviste, fatto delle dichiarazioni, esortato il popolo siciliano a guardarsi dal rinunciare alla libertà individuale; se è vero che l'Isola, ha una particolare importanza strategica, ci rendiamo conto come sia indispensabile che tutto il Paese, posto continuamente in sussulto da campagne di stampa sugli avvenimenti siciliani, in base a notizie deformate, esagerate o minimizzate secondo il punto di vista degli interessi, abbia la conoscenza esatta di quella situazione, chiarisca le responsabilità e soprattutto si renda conto di una situazione che nella sua sostanza è semplicissima, ma che è infinitamente complessa, complicata com'è per collusioni e legami intimi che sussistono, sulla base della struttura sociale della Sicilia, tra vita politica, mafia e banditismo.
Ecco perché, dicevo, non ci deve dispiacere se serenamente noi portiamo il problema della Sicilia dinnanzi all'Assemblea: gli ultimi avvenimenti dolorosissimi, i fatti di Pian della Ginestra e le aggressioni del 22 giugno, hanno commosso l'opinione pubblica mondiale; necessario è perciò che si sappia quali sono le origini di sì efferati delitti, di queste manifestazioni esplosive di un male che non può essere che profondo e non può essere addebitato alla malvagità del singolo, anche se questa malvagità concorre poi nella efferatezza del delitto. Ogni tanto l'opinione pubblica nazionale ed internazionale è turbata o commossa per una di queste esplosioni. Poi, come se tutto finisse, nessuno si preoccupa di andare alle radici del male. Certo, se noi cominciamo con l'affermare che i delitti che avvengono in Sicilia non differiscono da quelli del resto d'Italia, cioè affoghiamo in un unico grigiore di avvenimenti, rinunciamo a priori ad approfondire le origini del male. Ma certi esponenti politici, certa stampa si compiacciono di questo grigiore schermendosi con l'affetto verso la propria regione, con la carità di patria e simili luoghi comuni, cadendo in perfetta contraddizione con i giudizi di altri uomini responsabili, che per essere a capo delle forze di polizia, come chi comanda i carabinieri dell'Isola, esprimono giudizi ben altrimenti concreti e differenziati. Ho qui sotto'occhio un rapporto riservato del Comando della terza Divisione carabinieri del 9 ottobre… Voci dal centro. Ma è riservato!…
LI CAUSI. Sì, ma che c'è di male? Me ne servo lo stesso. E leggo: "Si legge spesso sulla stampa, e lo afferma specialmente quella separatista, che la situazione creata dalla delinquenza in Sicilia non è peggiore di quella esistente in Emilia o in qualche altra regione e si cita, ad esempio, anche il recente movimento dei partigiani, al cui confronto le ribellioni separatiste sarebbero pallida cosa. Tutto ciò non è vero, perché la situazione della pubblica sicurezza dell'Isola è realmente grave, come non lo è mai stata e come non lo è in nessuna regione del Continente, anche per l'abbondanza delle armi automatiche e da guerra di cui dispone ora la delinquenza e di cui usa ed abusa contro le vittime dei suoi disegni e contro la polizia. Basti citare che molti proprietari sono stati costretti a non recarsi più nelle campagne per tema di sequestro o di peggiori conseguenze; che in alcuni Comuni si registrano diecine e diecine di omicidi, qualche esecuzione di massa, numerose sparizioni di persone di cui non si ha più notizia; che i proprietari, oltre alle tasse dovute allo Stato, per salvaguardar le case, le piantagioni, le coltivazioni, pagano "il pizzo" per un cospicuo ammontare alla mafia locale o a qualche gruppo di delinquenti; che la tenebrosa associazione della mafia con minacce e violenze ha molto contribuito alla mancata riuscita dei granai del popolo".
Questo si dice in una relazione del Comando dei carabinieri, ricca di rilievi e considerazioni, dove è spiegato perché ancora non si riesce a far chiaro in questa folta ed intricata matassa e dove si smentisce in pieno la posizione che, a proposito dei recenti luttuosi avvenimenti siciliani, ha assunto il Goverlo col dire: "Mah! La delinquenza in Sicilia non differisce da quella delle altre regioni".
Il 26 giugno di quest'anno, alle porte di Alcamo, avvenne un conflitto fra una banda armata ed un gruppo di carabinieri comandati da un capitano. Ebbene, tutta la stampa, unanime, rileva che nei confronti del capobanda, badate bene, del capo-banda, certo Ferreri -- che per alcuni mesi da quanto risulta dai rapporti ufficiali dell'Ispettore di pubblica sicurezza della Sicilia -- è stato a capo delle bande dell'E.V.I.S., ed è qui descritto col nome di Salvatore d'Alcamo, cioè non è stato identificato, si elencano niente di meno che i seguenti delitti: "Era evaso da un penitenziario dell'Alta Italia e dal 1944 era stato il più influente luogotenente di Giuliano. Aveva preso parte alle aggressioni delle caserme dei carabinieri di Grisi, Bellolampo, Borgetto, Montelepre, Pioppo e Piano dell'Occhio. Aveva un odio particolare per i carabinieri ed aveva partecipato a numerosissimi conflitti, tra cui l'aggressione ad un autocarro, che incendiò e distrusse, ferendo il capitano dell'Arma Rocco Tinnirello. Aveva ucciso il carabiniere Vincenzo Meserendino; aveva tentato di uccidere l'ufficiale Mario Vistrianni, incendiando e distruggendo una camionetta di polizia; aveva ucciso i carabinieri Filippo Marino e Antonio Smeraldo nell'abitato di Montelepre; aveva aggredito, ancora in contrada San Cataldo di Terrasini, autocarri di soldati e carabinieri, uccidendo quattro soldati e ferendo due militi; aveva aggredito la camionetta dell'Ispettorato generale di pubblica sicurezza ferendo il vicebrigadiere Tuzzeo; era colpevole degli omicidi del carabiniere Giovanni Adarni, del carabiniere Sassano e del tentato omicidio dei carabinieri Vella e Gentile; era altresì colpevole dell'aggressione alla macchina del capitano dei carabinieri Pagano di Monreale; aveva organizzato una serie di conflitti con i militi di Montelepre, culminati con il ferimento di alcuni militari e l'uccisione del tenente Felice Testa; aveva pure organizzato l'omicidio del maresciallo dei carabinieri Filippo Scimone ed il tentato omicidio del brigadiere Arcadipane sullo stradale di Sancipirrello, nonché attacchi ad autocarri carichi di soldati e carabinieri con l'uccisione del caporal maggiore Lombardo e del soldato Cinquemani. "Il Ferreri era anche specialista in sequesti di persona, dei quali i più importanti sono quelli di: Virga, Apostolo, Di Lorenzo, Agnello, Ugdulena, Vanella, Collicchia, Arcuri, ecc., ecc. ".
Questa la serie di orrenti misfatti di cui si era reso colpevole il Ferreri. Ebbene, non appena la banda è sterminata e dei cinque componenti rimase vivo solo il Ferreri, la prima cosa che egli dice è: "Salvatemi la vita, perché sono il confidente dell'Ispettore di pubblica sicurezza dottor Messana". Avviene che nel momento in cui l'ufficiale dei carabinieri vuole accertare questo, il bandito gli afferra l'arma e tenta di strappargliela: l'altro si difende e lo fredda. Nella perquisizione presso il padre del Ferreri viene trovato un permesso di armi rilasciato da poco tempo dalla questura di Trapani. Le autorità si informano: com'è possibile che un affiliato alla banda Giuliano abbia un permesso d'armi regolare? Risulterebbe che c'è stato l'intervento dell'Ispettore di pubblica sicurezza per farglielo rilasciare. Che cosa ci conferma nella convinzione della esistenza di questo intervento? Ce lo indica un fatto molto grave. Malgrado ci sia stato il referto di tutto ciò che era stato trovato addosso ai cadaveri, l'Ispettore di pubblica sicurezza manda un suo dipendente a sottrarre il permesso d'armi, e se lo porta a Palermo. Una indagine più profonda potrebbe accertare che anche addosso al principale "Fra Diavolo", cioè a Ferreri (l'Ispettorato di pubblica sicurezza lo definiva addirittura un Giuliano e mezzo) sarebbe stato trovato un documento di identità a nome, niente di meno, di un milite dell'Arma dei carabinieri. C'è di più. Ad Alcamo ci sono testimoni i quali hanno visto, un'ora o due ore prima che il conflitto avvenisse, l'automobile dell'Ispettore di pubblica sicurezza Messana, che accompagnava un altro ufficiale dello stesso ispettorato di pubblica sicurezza, e appreso che il Messana avrebbe avuto un incontro con la banda Ferreri.
Tutto ciò, si sa, circola, è stato riportato dai giornali, e non solo dai giornali comunisti. I giornali comunisti hanno riportato queste voci soltanto dopo che altri giornali dell'Isola avevano pubblicato questi "si dice". Ora, voi certamente vi rendete conto che di fronte a questi fatti l'impressione dell'opinione pubblica siciliana è enorme, e la confusione anche, perché non si capisce più niente. Come è possibile che l'Ispettore di pubblica sicurezza abbia per suo confidente un bandito di questa specie? Noi tutti sappiamo che la polizia ha bisogno di confidenti. Ci sono confidenti e confidenti; ma come si spiega il caso in questione?
La mattina del 22 giugno (la sera, poi, si hanno le aggressioni alle sedi del Partito comunista di Monreale, ecc.) avvenne un colpo di scena sui giornali: si faceva conoscere che gli autori della strage di Pian della Ginestra non erano quelli che erano stati indiziati dal pastore X o dal pastore Y, ma il bandito Giuliano in persona; che l'Ispettore di pubblica sicurezza era in intimi contatti con il luogotenente di Giuliano. Quindi l'autore della strage di Pian della Ginestra sarebbe il bandito Giuliano. Poi, al Giuliano si fa fare un programma (tenete presente che Giuliano ha fatto appena la quinta elementare) che è stato pubblicato ed in cui egli appare come il difensore della moralità, della proprietà, e di tutto quello che c'è di santo nella vita della Sicilia, contro il bolscevismo. È la prima volta che Giuliano, nella sua carriera di bandito, prende apertamente posizione per difendere la Sicilia dal bolscevismo.
Ma c'è di più. Nella zona dove egli è nato e nella zona dove ha trovato maggiori consensi, nel senso che ha arruolato dei banditi durante il periodo più acuto della lotta sociale, cioè il periodo della lotta per l'assegnazione delle terre incolte, Giuliano non ha mai operato contro i proprietari a favore dei contadini o contro i contadini a favore dei proprietari, ma si è mantenuto neutrale. Improvvisamente Giuliano diventa l'esecutore materiale della strage di Pian delle Ginestre, tesi questa carissima all'Ispettore Messana, se è vero che, in mia presenza, il primo maggio alle ore 16, in Prefettura (quando per la prima volta trovammo riuniti il Prefetto, l'Ispettore Messana, il Comandante dei carabinieri, il Segretario generale dell'Alto Commissariato, l'Ispettore generale presso l'Alto Commissariato ed altri ufficiali) è il solo Messana ad avanzare l'ipotesi che a Pian delle Ginestre ci fosse la mano di Giuliano. Ed è lo stesso Messana, attraverso i suoi carabinieri che, quando i pastori di San Giuseppe Jato riconoscono alcuni, che hanno preso parte alla strage di Pian delle Ginestre - e che ancora sono dentro - manda un brigadiere a chiamare la madre di uno di costoro perché confessi che a suo figlio o a lei stessa sono stati dati dei soldi dai comunisti, e in tal modo venga incolpato il tale dei tali, che non c'entra affatto nella strage di Pian delle Ginestre.
C'è di più: in quei giorni, sia l'Ispettore di pubblica sicurezza, sia il Comando dei carabinieri, sia la Questura di Palermo rendono noto (anche attraverso circolare) che Giuliano sta preparando delle aggressioni contro le sedi e gli uomini dei partiti di sinistra. Si soggiunge poi a voce: "Badate che la nostra vita è in pericolo". Ci accorgiamo di trovarci di fronte a tutta un'azione, la quale vorrebbe localizzare l'esplosione e la responsabilità dei misfatti avvenuti in Sicilia, attorno a questo mito evanescente, a questo personaggio che si chiama Giuliano, per dire: "Tutto il resto non c'entra. Che c'entra la mafia? Tutti galantuomini! Che cosa c'entrano i partiti politici? È impensabile che ci possano essere degli uomini nei vari partiti politici che possano essere individuati come responsabili di sì orrendi misfatti". Si cerca di creare intorno a noi una psicosi di paura, aggiungendo che la polizia ci proteggerà, e che sarà fatta tutta un'azione in comune perché Giuliano sia preso. Ma, scusate, perché Giuliano finora non è stato preso?
In un rapporto del Comando dei carabinieri si dice, fra l'altro: "Giuliano ha preso contatto con l'aristocrazia e gli uomini politici, si è dato a dettar legge e a scrivere lettere minacciose, ecc.". Il rapporto continua: "È stato in questi ultimi tempi accertato - siamo alla fine del 1946 - che il bandito Giuliano, certamente a seguito dell'azione intensa svolta sulle montagne dalle squadriglie, si è trasferito con i suoi uomini a Palermo e nei comuni limitrofi, protetto da qualche elemento della mafia, appoggiato di certo da qualche famiglia molto in vista. Non si creda, pertanto, di poter catturare Giuliano con le armi in mano, anche per la vicinanza di quasi tutti gli altri banditi i quali, specie se giovani e arditi, ben provvisti di denaro -- Giuliano dai soli sequestri ha ricavato più di cento milioni -- sono stati notati alla spicciolata qui in Palermo".
Ebbene, queste cose sono state dette a quest'ultima operazione, con i duemila uomini, fra soldati e carabinieri, che sono stati mandati a Montelepre, conferma la giustezza del giudizio espresso dal generale dei carabinieri. Si vuol creare cioè tutta una coreografia allo scopo deliberato di stornare, come dicevo, l'attenzione del pubblico da quella che è la vera situazione e da quello che veramente ci vorrebbe per stroncare questa situazione, per recidere appunto i legami fra questo banditismo, fra una parte della mafia, e quelle famiglie in vista, quelle famiglie aristocratiche che fanno parte di quei partiti ben individuati nelle relazioni ufficiali.
Si ha, in altre parole, questa precisa situazione, che il banditismo politico in Sicilia è diretto proprio dall'ispettore Messana: e l'ispettore di pubblica sicurezza, il quale dovrebbe avere per compito quello di sconfiggere il banditismo -- il suo compito veramente sarebbe quello di socnfiggere il banditismo comune e non già quello politico -- l'Ispettore di pubblica sicurezza, dicevo, diventa invece addirittura il dirigente del banditismo politico.
Ma c'è di più: il Messana non avrebbe dovuto intervenire nella ricerca di esponenti politici indiziati e invece egli è andato sempre in cerca di questi elementi. Quando, nel settembre dello scorso anno, furono uccisi, a bombe a mano, alcuni contadini riuniti nella sede della cooperativa ad Alia per discutere sul problema della divisione delle terre, non si sa perché è intervenuto l'ispettorato di pubblica sicurezza, dopo che la Questura di Palermo aveva operato dei fermi di indiziati, e i fermati vengono rilasciati. Alla vigilia del 2 giugno avviene a Trabia un tipico delitto di mafia; la camionetta dove si suppone che siano i responsabili viene fermata a Misilmeri, alle porte di Palermo: ebbene, nonostante che su quella camionetta si trovassero armi, secondo una prima versione della polizia, i fermati vengono dopo un giorno rilasciati.
Questa impressione non è dunque cervellotica, ma ha un fondamento molto serio e l'onorevole ministro dell'interno lo sa perché sono stato io personalmente ad accompagnare da lui un altro collega che gli ha detto: "Ma come fai a fidarti di Messana, tu che dici di essere un repubblicano sincero? Messana, infatti, non solo ha svolto opera per il trionfo della monarchia prima del 2 giugno, ma ha continuato a complottare contro la Repubblica dopo il 2 giugno, designato come era Ministro degli interni di un restaurando Regno di Sicilia, se Umberto fosse sbarcato a Taormina o in non so quale altro punto della costa siciliana; e bada che io sono un testimone auricolare, uno che ha partecipato a queste trattative, respingendole".
Ma è possibile che il Ministro Scelba si possa fidare di un uomo di cui si presume che conosca anche il passato? Lasciamo stare che Messana è nell'elenco dei criminali di guerra di una nazione vicina; questo può far piacere ad una parte della Camera, la quale pensa: "Va bene, è un massacratore; però, di stranieri!", ma Scelba come può ignorare che Messana ha iniziato la sua carriera facendo massacrare dei contadini siciliani? Il 9 ottobre del 1919, infatti, cadevano a Riesi più di sessanta contadini, di cui tredici morti: trucidati a freddo, sulla piazza, dove si svolgeva un comizio. I vecchi di quest'Aula ricorderanno come in quell'occasione il Ministero Nitti ordinò un'inchiesta mandando sul posto il generale dei carabinieri Densa, mentre la Magistratura iniziò un'inchiesta giudiziaria soprattutto per accertare le cause della morte misteriosa di un tenente di fanteria, che si rifiutò di eseguire l'ordine di far fuoco del Messana, che ne disapprovò apertamente la condotta, e che il giorno dopo fu assassinato.
Questi i precedenti del commendator Messana, noti al ministro dell'Interno. Ci troviamo, come vedete, di fronte ad un uomo che per istinto è contro il popolo, e trova, nei legami con i nemici del popolo, il modo di esercitare la professione di massacratore di contadini. Oggi, sfacciatamente, questo non può farlo, per quanto nel clima creatosi in Sicilia è possibile -- in Sicilia, terra dei "Vespri" -- che i poliziotti di Scelba, ministro siciliano, aggrediscano un pacifico corteo di donne che dimostrano contro il carovita.
Oggi è possibile in Sicilia questo, perché agli interni c'è un ministro siciliano, così come nel 1894 a soffocare nel sangue il movimento dei fasci dei lavoratori fu un altro ministro siciliano, Francesco Crispi. Si è tentato, come nei primi decenni del secolo, di stroncare il movimento contadino, assassinando capilega e segretari di Camere del lavoro; a quest'azione di intimidazione il popolo siciliano risponde con la superba affermazione democratica del 20 aprile; allora l'agraria, la mafia ricorre al terrore di massa e si hanno Pian della Ginestra e le stragi del 22 giugno. Ma l'Ispettore Messana, che ha il compito di proteggere agrari e mafiosi, che è uomo che obbedisce a pressioni di parte, ordisce intrighi politici, suggerisce a Scelba la parola d'ordine che il Ministro fa subito sua: le stragi siciliane sono opera di banditi comuni, e Messana diviene il perno di una situazione infernale: Messana si allea ai banditi di strada. Il popolo siciliano, il popolo italiano tutto, hanno diritto di chiedersi come sia possibile il perdurare di un tale stato di cose.
All'annunzio dell'orrendo crimine di Pian della Ginestra, subito, d'impulso le più alte autorità preposte all'ordine pubblico in Sicilia hanno detto: "Questo è un tipico delitto di mafia; bisogna iniziare un'azione a fondo contro questi assassini"; ma è intervenuto il Ministro Scelba prima alla Costituente, poi in Sicilia; ma credete che sia andato laggiù per disporre l'azione di ricerca e pronta punizione dei veri responsabili? No; è andato solamente per salvare la mafia, per dire: "Niente; questo è banditismo comune; basta con gli arresti di mafiosi e mandanti indiziati". E degli ufficiali dei carabinieri sono venuti da me, piangendo, a dirmi: "Vedete, questi sono i telegrammi di contr'ordine che sospendono le operazioni di polizia che avevamo iniziato".
Ora, il diritto di sospettare che una collusione esista fra banditismo, certi partiti politici e, fino a prova contraria, governo è legittimo e allarma la popolazione siciliana, allarma e commuove giustamente tutto il Paese; è quindi assolutamente necessario uscire da questa situazione e oggi esistono condizioni favorevoli per farlo; c'è il movimento delle masse lavoratrici in Sicilia capace di aiutare questo processo di risanamento nel campo sociale; ci sono i partiti democratici che debbono costringere tutte le forze politiche della Sicilia ad assumere la propria responsabilità, a liberarsi dai legami con la mafia, con questa cancrena, con questo banditismo politico-sociale che continua a vivere di ricatti, di prepotenze, di estorsioni, di omicidi. Oggi esistono queste condizioni: sfruttiamole, poggiamo sul movimento delle masse, poggiamo sui partiti veramente democratici, e su questa azione inseriamo l'azione di polizia che sarebbe confortata da tutta quanta l'opinione pubblica.
L'eccidio di Portella non è il primo nella Sicilia dell'immediato dopoguerra, ma appare diverso da ogni altro: per l'elevato numero di morti e feriti, la singolarità del bersaglio, le curiose rispondenze con la politica che sta prevalendo nel governo del paese. Quanto basta, in definitiva, per legittimare il sospetto che dietro quel delitto si celino organi di Stato.
In effetti, dopo un breve indugio sui possibili esecutori e i mandanti dell'eccidio, in alcuni organi di stampa si punta dritto alla politica, corroborati da un certo sentire comune, che via via si rende manifesto, a partire dall'isola. Alberto Jacoviello è sicuro nel titolare un reportage da Montelepre per il "Nuovo Corriere" di Firenze, Giuliano sa tutto e per questo verrà ucciso, riassumendo le proprie convinzioni in questo passaggio: "Giuliano conosce esecutori e mandanti. E qui il gioco diventa grosso. Giuliano comincia a sapere troppe cose. Se lo prendono, parla. Messana, l'ispettore di polizia, non lo prenderà. Oppure lo prenderà in certe condizioni. Morto e con i suoi documenti distrutti, se ne ha".
Il subbuglio suscitato da Portella è comunque discreto e, per certi versi, interiore. Manca quella subitanea e gridata marea di sdegno che è seguita al delitto Matteotti nel 1924, e che ha messo alle strette, sia pure per un solo attimo, lo stesso governo Mussolini. Nondimeno, il risentimento partito da quel pianoro siciliano è destinato a durare, per il succedersi puntuale d'altri delitti, e i riflessi che ne verranno negli ambiti della comunicazione e del costume politico. E fra coloro che, già a caldo degli eventi, si fanno portavoce di quello sdegno spicca il comunista Girolamo Li Causi, uomo di carattere, recante alle spalle oltre quindici anni di carcere fascista.
Il discorso che il dirigente della sinistra pronuncia, in un clima di tumulti, alla Costituente nella seduta del 2 maggio 1947, giorno successivo a Portella, costituisce un po' il lancio ufficiale della sfida. Bersaglio del dirigente comunista non sono soltanto gli ambienti monarchici e mafiosi dell'isola, che in quei primi frangenti indica quali diretti responsabili del massacro, bensì anche "alti funzionari addetti alla polizia", alludendo anzitutto all'ispettore di PS Ettore Messana. Li Causi censura inoltre lo stesso ministro dell'Interno, che s'è affrettato a negare, con equivoca certezza, ogni politicità all'eccidio.
Tale esordio risente, ovviamente, della concitazione di quei giorni; nondimeno è indicativo d'un percorso plausibile, che viene meglio esplicitato in occasioni successive. Alla seduta della Costituente del 15 luglio, infatti, comunisti e socialisti già espulsi dal governo, il leader siciliano si esprime con veemenza su possibili correità governative, mentre definisce gli equivoci di Messana, del resto tristemente noto nell'isola perché responsabile della strage di Riesi nel 1919, con trecidi contadini uccisi, massacratore in Grecia negli anni della guerra, implicato infine nella strana morte di un carabiniere.
In quella seduta, Girolamo Li Causi si assume il compito di illustrare l'interpellanza presentata assieme con Giuseppe Montalbano, Riccardo Lombardi, Virgilio Nasi, Umberto Fiore e Luigi Sansone al presidente del Consiglio e dai ministri dell'Interno e di Grazia e Giustizia sulla gravità della situazione in Sicilia.