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martedì 15 novembre 2016


Carissimo figlio selettivo Alfredo Sole, professore in filosofia greca, psicologo, sociologo, docente senza cattedra in Opera.  

Leggo solo ora la tua ultima lettera ottobrina. Esodo in Sicilia  e settimana febbrile mi hanno impedito di leggerti prima.  Alla tua lettera impudente e poco rispettosa del’autorità storica paterna rispondo apertamente da padre cinico ed indignato.

Premessa subito importante: né io né tampoco mia moglie (né racalmutese, né siciliana, né meridionale abbiamo nulla da “perdonarti”. Ai miei occhi non sei colpevole di nulla ed  è inutile tornar su questo tasto. Qualunque cosa sia successa tra te e il marito della prima cugina di mio padre Maria la Fanci mi resta estranea. Nessuno davvero ne sa nulla. Manco tu. Ti ribalto un vecchio detto inglese: la coscienza cattiva è figlia di pessima memoria.

 

Da storico, da superispettore, ma appassionato alle intricate storie oscure del mio paese  so che al limite (ma proprio al limite) il fatto non costituisce reato. Manca il dolo di specie.

 

Non ho letto le tue carte processuali. Mi ci diverterei da matto a sbriciolarle. E non per scriverne un romanzetto all’acqua di rose tipo I RAGAZZI DI REGALPETRA o LA CONGIURA DEI LOQUACI ma per farne scempio in un doveroso processo di revisione.

 

Tu mi vorresti far credere che eri un bimbo pio e devoto, religioso ed obbediente, remissivo. Sarà ma come eri a15 anni? Come eri a 18 anni. Come eri in quel tremendo biennio?  E chi ti ridusse in simile ribelle stato? O mi vorresti sostenere che eri rimasto sempre bimbo buono e caro? Non ti credo. E di chi la colpa? Da microstorico conosco la famiglia Sole sin dal secolo XV.  Lasciamo stare la filosofia, la psicologia, il determinismo sociologico. Tutti ti ti possono giudicare meno che te. Ma quello è un uomo morto gridi. E son d’accordo con te. Ma allora come fai a dirmi che tu ora filosofo e recluso ricordi bene quello che sei stato? I morti non ricordano. Ma io sono vivo e so che altra è la storia che tu racconti. Quando manco ti conoscevo, facendo svarioni anche di indole familiare, ho tentato un abbozzo nel mio mai sufficientemente apprezzato  RACALMUTO NEI MILLENNI (vedi pag. 198-199). Sono ancora fermo a quegli assiomi che sembrano tetragoni colpi di penna? No! Tanto è cambiato, molto si è rinnovato, tant’altro si è  oscurato.

 

Ove allora staziona la verità, quella non mnemonica sempre fallace? Non credo nella tradizione. Ognuno se la racconta a suo uso e beneficio. Ma in una revisione  processuale ci credo. Lo Stato la deve accordare. Il tuo caso pare che addirittura sia finito nelle parole accorate di Papa Francesco. Così almeno mi pare di capire da quello che scrive Gaspare Agnello. Ciao.  Calogero Taverna     

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