Contra Omnia Racalmuto

...per mestiere spiego bene agli altri quello che per me non comprendo.

sabato 17 dicembre 2016



Mucchetti: "Renzi si dimetta anche da segretario Pd, avverto un clima da fine di regimetto"


Pubblicato: 17/12/2016 10:45 CET Aggiornato: 17/12/2016 10:50 CET

RENZI MUCCHETTI
Hp


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Senatore Mucchetti, domani l'assemblea nazionale del Pd, in un clima burrascoso: non solo la sconfitta referendaria, il cambio a Palazzo Chigi con un esecutivo che sembra la fotocopia del precedente e ora anche la bufera giudiziaria a Milano, proprio sul simbolo del renzismo: Beppe Sala, ex commissario Expo scelto da Matteo Renzi per Palazzo Marino. In questo clima, Renzi cosa dovrebbe fare domani?
Avverto un clima da fine regime, se vogliamo essere solenni. O da fine di regimetto, se vogliamo essere più aderenti alle cronache. Le leadership politiche d'opposizione esaltate oltre i propri meriti, convinte di essere a un passo dal potere senza aver fatto i conti con la propria incultura di governo. La leadership di maggioranza schiava delle ambizioni private di un uomo che ha perso la testa. Come se non bastasse, ecco a turbare l'opinione pubblica le inchieste di Milano, ma anche quelle di Roma. Il nuovo che avanza sembra uguale al vecchio. I sindaci, sui quali resisteva la fiducia, che diventano discutibili come i consiglieri regionali... Dell'inadeguatezza della Raggi è già stato detto tutto, anche da parte dei suoi correligionari pentastellati. Della reazione di Sala colpisce l'irrazionalità. Che senso ha sospendersi? Milano resta senza sindaco? E per quanto tempo? Se si sente estraneo alle accuse, Sala deve restare a palazzo Marino a testa alta. Se teme qualcosa, si deve dimettere. Ma qui emerge l'equivoco moralista del renzismo: forcaiolo con l'allora ministra Cancellieri e garantista con la ministra Boschi. E così l'impolitico Sala non sa più che cosa fare né a chi rispondere....
Ma Renzi?
Non mi stupirei se domani Renzi si presentasse dimissionario. Matteo, direbbe l'Antonio shakespeariano, è uomo d'onore. E così pure Maria Elena. Tutte persone d'onore...Avevano promesso che si sarebbero ritirate dalla politica se avessero perso il referendum. Lei non l'ha fatto. Anzi. Ma a una signora una debolezza va concessa... Ma a lui? Al capo pullman? Nella sua domenica nera, Renzi ha aggiunto di non essere attaccato alla poltrona come gli altri, e dunque ha annunciato il ritiro da palazzo Chigi. In verità, gli "altri" si erano dimessi davvero e senza farla tanto lunga: D'Alema, Veltroni, Bersani. Se domani lasciasse la segreteria del Pd, Renzi darebbe esecuzione - ancorché tardiva - a un impegno.
Tardiva?
Beh, tutti hanno visto che prima ha cercato di andare subito alle urne a leggi elettorali vigenti con il suo governo in carica per gli affari correnti. Poi, di fronte al richiamo alla responsabilità del Quirinale, ha cercato il reincarico, poi ha condotto consultazioni irrituali, ma ben pubblicizzate, di capi e capetti in parallelo a quelle ufficiali del presidente della Repubblica, quindi ha tentato di porre un limite temporale e politico al governo Gentiloni e ne ha certamente condizionato la composizione affinché fosse chiaro che comandava ancora lui, l'ex non ex del Nazareno. La promozione della Boschi a guardiana del premier e la posizione surreale di Lotti, sport e Cipe, parlano da se'. Sono uno schiaffo agli elettori. Eppure, Gentiloni qualcosa fa sperare.
Fa sperare che cosa?
Avrà notato che il premier non ha preso l'impegno di dimettersi dopo l'approvazione della legge elettorale, che ha delegato questa legge cruciale, come giusto, al Parlamento smentendo così le procedure del predecessore che la fece proporre dal governo e pretese per tre volte la fiducia del Parlamento. I governi, ha spiegato Gentiloni, durano finché hanno la fiducia delle Camere. Forse è pura tautologia costituzionale, forse no.
Toccherà dunque al Pd staccare la spina?
Questa sembra la regola evocata dal capo del governo. Ma come farà il Pd a staccare la spina a un governo che funzionasse o ad andare alle elezioni avendo promosso un governo che si rivelasse incapace ma che tutti attribuirebbero al suo leader? L'astuto Renzi mi pare finito in un cul de sac.
Cul de sac? Allora, Mettiamo che Renzi si dimetta, faccia decidere all'assemblea un congresso lampo, una sorta di nuove primarie per riconquistare la guida del Pd e ricevere la candidatura alla guida di un governo di legislatura...
Non sono iscritto al Pd, ma l'ho votato e seguo la disciplina del gruppo del Senato. Comunque, credo di ricordare che i congressi richiedano qualche mese per essere celebrati partendo dal basso... Trasformare le prossime assise, previste per la fine del 2017, in rapide elezioni primarie mi pare surreale, senza sapere quale legge elettorale avremo e ancor più se, seguendo la probabile sentenza della Corte, avremo un regime sostanzialmente proporzionale. Nelle coalizioni, che si renderebbero necessarie dopo il voto, non si impone il premier. Lo si negozia.
Veramente non mi pare che Renzi sia già pronto a sacrificare l’opzione maggioritaria. Per questo, più che al congresso del Pd, pensa a primarie di coalizione prima delle elezioni anticipate, da celebrarsi al massimo a giugno. Che ne pensa?
Lo stile è l'uomo. Renzi non è Cameron. D'altra parte, se torna a Rignano, Renzi che fa? Non ha un mestiere. Il rottamatore vive di politica da sempre. Dunque sogna la rivincita per se stesso. Ma così rischia di portare il Pd e il centrosinistra alla rovina, e con loro, temo, il Paese. Quanto all'impopolarità del governo, basterebbe sostituire i ministri più ferocemente renziani per rendere il dovuto omaggio al corpo elettorale. E lavorare. L'Italia ha bisogno di essere governata. Non di avere altri 6-7 mesi di campagna elettorale con il blocco di tutto com'è avvenuto già nel 2016.
Renzi è l'unico leader del centro sinistra?
Non credo sia questione di leader ma di classe dirigente. Se invece così fosse e se Renzi fosse davvero l'unico leader, il centro sinistra avrebbe già perso.
Perché ha perso? Solo cattiva comunicazione, come disse l’ex premier quando il governo fu inondato di critiche per la Buona Scuola?
La cattiva comunicazione e' la scusa degli sconfitti che non vogliono ammettere gli errori veri. Ma se ha invaso le TV, i giornali, le buche delle lettere e perfino il web con la propria presenza.... Che sia lui il messaggio "cattivo"? Il fatto è che Renzi ha fallito sia nel rapporto con la società civile sia nella politica politicante.
Allora cosa ha sbagliato Renzi?
Non puoi proporti come leader della sinistra e non avere mai un'idea diversa da quelle di Marchionne, della JP Morgan o di Google. Non che costoro abbiano sempre torto. Ma tu, chi sei se ti fai scavalcare perfino da una Theresa May nel rapporto con i lavoratori nelle aziende e nella politica fiscale verso i nuovi monopoli? Credi che le diseguaglianze generate dalla globalizzazione finanziaria si combattano con gli 80 euro? E quando affronti le grandi imprese o le banche, hai un'idea di Paese e sei capace di far di conto o ti fai portare a spasso dal Dimon di turno? Capisci che cosa bolle nel pentolone della Vigilanza unica o arrivi sempre tardi dicendo che corri? Diversamente da Ugo La Malfa, da Giovanni Malagodi, dai principali leader democristiani o dallo stesso Craxi, che erano parte dell'establishment e trattavano da pari a pari con i poteri economici, non sempre nemmeno loro ma spesso, Renzi è un parvenu che, invece di trarre vantaggio dall'assenza di legacy con il passato, ha manifestato un vero e proprio complesso di inferiorità verso i poteri forti quando questi poteri - beffa delle beffe - forti non erano già più. È stato sgarbato con il governatore della Banca d'Italia credendo di diventare autorevole, ma senza poi saper proporre un'idea sua. Dice di rinnovare e recupera la corte di Bisignani. E ora tace su Mediaset e Bollorè. Avendo già taciuto su Telecom Italia quando tentarono di prenderla gli spagnoli di Telefonica e poi quando l'ha presa davvero Vivendi. Però, addosso alla Camusso, avanti contro la Cgil, mi raccomando. Così siamo moderni e vinciamo il referendum con l'appoggio della Confindustria e del Sole 24 Ore, notorio esempio di gestione 2.0, ma che dico: 6.0, e certo con il valsente dei commensali che ti vengono a sentire chez Micheli pagando 30 mila euro a testa.
Beh forse non solo il Sole...
I giornali hanno capito con grande ritardo quanto poco Renzi sia adatto a governare un Paese grande come l'Italia. Un ritardo che illumina la debolezza di editori, direttori e di parte delle redazioni. Ma adesso il coro di critiche al governo Gentiloni targato Boschi suona come una campana a morto. Caro Renzi, quando perfino Paolo Mieli, che gli ex comunisti li ha in uggia più di te, ti consiglia una pausa, e' il momento di prendertela.
Lei ha votato la fiducia.
Con grande fatica. Sono stato tentato fino all'ultimo di non partecipare al voto. Ma il Quirinale chiedeva stabilità. E non si fa niente da soli. Si può tuttavia prendere posizione nel merito dell'azione di governo, avanzare nuove proposte per costruire soluzioni migliori. Credo vada sostenuta, per esempio, la riforma dei regolamenti parlamentari che, come ha ricordato il presidente del Senato, Piero Grasso, può raggiungere con legge ordinaria gli obiettivi di governabilità parlamentare e di coinvolgimento delle regioni, così male affrontati dalla riforma costituzionale. C'è un ddl Zanda-Finocchiaro da riprendere. E poi c'è un Jobs Act da rivedere. I voucher sono uno scandalo. Il decreto salva banche a tutela del risparmio. Le nomine al vertice delle aziende pubbliche che mi auguro obbediscano al merito e non all'appartenenza alle cordate di turno.... Se ne hanno voglia, Gentiloni e Padoan possono molto.
Ci crede?
Il cervello suggerisce pessimismo. Resta la volontà.
Perché è pessimista?
Perché il sistema dei partiti è spappolato, le culture politiche fin troppo indebolite. In particolare, la governance
del Pd, che resta l'architrave dell'attuale maggioranza parlamentare, si è rivelata assai carente. Nella Prima Repubblica, quando Andreotti si dimetteva, non andava a palazzo Chigi Cirino Pomicino. I partiti riunivano le direzioni (che erano una cosa seria..) e i gruppi parlamentari per decidere che cosa dire al presidente della Repubblica. Oggi decide tutto il capo con tre o quattro capi corrente, se va bene. I gruppi parlamentari e le direzioni sono chiamati a commentare i commenti dei giornali e le chiacchiere già fatte nei talk show. E' triste. Fossimo guidati da un Messi della politica, pace. Ma il "caro leader" ha toppato con la riforma costituzionale, ha imposto tre volte la fiducia su una legge elettorale che poi dice di voler cambiare e che la Corte boccerà, ha varato una riforma della P.A. non proprio costituzionale, una riforma delle banche popolari fermata dal Consiglio di Stato, della Buona Scuola tacere è bello, e ora il duro trema davanti ai referendum sul Jobs Act come confessa il ministro Poletti. Più in generale, questo Pd usa argomenti populisti sulla politica e sulla P.A. per non lasciarli al M5S e non si accorge che così smonta la sinistra senza mai raggiungere l'originale grillino. L'impegno che ho preso accettando la candidatura al Senato propostami dall'allora legale rappresentante del Pd, Pierluigi Bersani, si avvicina alla scadenza. Meno male, dico per me. Ma mi domando se davvero il Pd crede di portare il centro sinistra a vincere le elezioni in queste condizioni?

Renzi conta sul 40%...

Dio acceca chi vuol perdere.
Pubblicato da Lillo Taverna alle 23:44 Nessun commento:
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Un altro birillo se l'è svignta senza magari insolentirmi. Non so chi è. non so perché se n'è andato. E dire che oggi ho fatto ben altro che sbraitare qui in FB.
Ho ben tre fronti polemici: il sindaco del mio paese, i falsi sindaciti gialli delle pensionate indirette della Banca d'Italia e un'aspra contesa politica contro Renzi e dintorni.
Ho pubblicato due articoli vecchi e desueti sul MPS. Non ne condivido un'acca. Disinformazione, cattiveria ed imbecillità.
L'acquisizione di AntonVeneta io la so per quello che veramente è avvenuto. Si parte addirittura da Sindona. Stavano affibbiando alla Banca Privata Italiana quella carretta della Banca Nazionale dell'Agricoltura. Non potè completarsi per disavventure valutarie di cui al mio testo SOLDI TRUCCATI.
Vi operò il dott. Pontello una volpe raffinata ed astutissima. Pontello trasmigrò alla Antoniana. Fagocitò il suo benefattore Giancarlo Rossi. Fagoitò tutto sommato la concorrente banca popolare veneta. E ne venne fuori l'Antonveneta. Con Geronzi s'inghiottì la carretta di dell'Armenise. Geronzi ne dice male pensandone bene. I due comunque fecero una operazione di alta cosmesi di bilancio. Pontello acquistò la banca nazionale dell'Agricoltura fortemente decotta per un supervalore tale per cui Gerondi compì il miracolo dela moltiplicazione dei pani e dei pesci (bancari). Il bilancio di Capitalia sotto di mille miliardi di vecchie lire divenne economicamente proficuo con unutile di mille miliardi ragion per cui lo stesse Geronzi poté fare lo SBARCO IN SICILIA (v. il suo CONFITEOR).
Ma Pontello si ammalò di cancro, stette molto in America per tentrare di curarsi. morì prematuramente.
L'Antonvenetea scrcchiola. La massoneria olanderse e quell spagnola possono quindi fagocitarla.
Turìttò ciò avviene in regime di vecchia legge bancaria. Nel mondo delle banche non si muoveva senza che Banca d'Italia non volesse.
Ma ecco che in Banca d'Italia abbiamo un governatore di facciata, ma un despota per giunta filotoscano che chiamavamo Mammoletta, per sua medesima volontà. Parlo del potentissimo Carlo Azeglio Ciampi, oggi defunto
Tutte le alchime bancarie sopra segnalate dovevano passare per le forche claudine del vecchio (e nuovo) articolo 48 L.B.
La Consulenza Legale della Banca d'Italia discettava: contollo di legittimità o controllo di merito. S'inventò la terza categoria: mera segnalazione per un fornale adempimento. Ovvio, prima si concertava specie se scattavano operazoon di concabio tutto un reticolo di condizionamenti di Via Nazionale, ragion per cui decideva chi non appariva, chi appariva non decideva un bel nulla.
Quando Fazio governatore volle fare un po' di testa sua, fini in tribunale e si becco un brutta condanna definitiva in cassazione nonostasse il PG ne avessse chiesto il proscioglimento.
Ad Antonio Fazio resta a mio avviso la sola via disperata della revisione del processo. Avrebbe tante ragioni.
Chi odiava e osteggiava Antonio Fazio? ovvio, Caro Azeglio Ciampi.
Il MPS acquistando la ANTONVENETA acquista quella fonte inesauribile di liquidità che è la vecchia Banca Antoniana che ebbi la ventura di ispezionare molto tempo fa sia pure alle mie prime armi.
L'Antoniana era sostanzialmente (e lo è ancora) la tesoriera del SANTO, ra padre Pio e majukore.
Il valore patrimoniale dell'Antoveneta secondo me supera i venti miliardi di euro.
Il MPS patrimonialmente si era rafforzaro. ma la tesoreria be ebbe contralcolpi. Cosa comunque di poco conto.
Senonché i poteri forti entrarono in rotta di collisione. L'ispexìzione della Banca d'Italia non nota nulla di esizialmente censurabile. La povera Tarontola, voluta da Tremonti, Berlusconi e il cardinal Bertone, in via nazionale è solo una maschera di cera sia pure dalla chioma molto ordinata e appariscente.
Di quella ispezione ho varie volte fatto le bucce critiche.
Eppure dopo resipisenza la pavida vigilanza di Vissco fa scattare sanzioni invreconde.
Mi chiamavano avrei fatto controdeduzioni dissolventi. Intanto la Regione Toscana avrebbe bisogno della mia consulenza per il ecupero del suo patrimonio bancario: da MPS alla Etruria e alla stessa Cassa di Rsparmi di Livorno.
Palazzo Salimbeni, sede di Mps a Siena.
Si torna all'origine di tutti i mali: sull'acquisto di Antonveneta da parte di Monte dei Paschi di Siena non è stata ancora detta l'ultima parola.
Quell'operazione costata un'enormità, 17 miliardi di euro quando Mps aveva un capitale residuale di soli 4,8 miliardi, segna a detta di tutti l'inizio della crisi della banca più antica del mondo o, come hanno scritto i consiglieri piddini nella relazione conclusiva della Commissione di inchiesta regionale, «il passaggio determinante».
IL NODO SOFFERENZE. Chi conosce bene Mps si avventura a dire che le sofferenze in pancia alla banca sono collegate all'acquisizione dell'istituto veneto.
E su quell'acquisizione sono accese anche le lenti del tribunale di Roma. Il 13 ottobre si è tenuta l'udienza sul ricorso del piccolo azionista Paolo Emilio Falaschi che ha denunciato la falsità dell'autorizzazione rilasciata da Bankitalia e il gip Ezio Damezia si è riservato di decidere. Forse l'ultima occasione per fare luce sulla vicenda.
Il documento, firmato il 17 marzo 2008 dall'allora governatore Mario Draghi, recita testualmente: «L'acquisizione del complesso aziendale riferito ad Antonveneta comporterà un costo di 9 miliardi di euro».
LA DUE DILIGENCE NEGATA. In realtà, la cifra fu molto più alta perché Antonveneta era indebitata per 7,9 miliardi con Abn Amro come risulta già dal prospetto Consob relativo all'aumento di capitale di Mps del 28 aprile. E, probabilmente, anche per questo Banco Santander, che l'aveva appena acquisita per 6,6 miliardi dall'istituto olandese, era già pronto a disfarsene.
Era il novembre del 2007 quando venne sancito l'accordo e la banca iberica impedì a Mps di realizzare una due diligence, che avrebbe fatto chiarezza sui conti. Ma via Nazionale li conosceva.
Nella relazione della Commissione di inchiesta regionale si dice che tutti gli attori istituzionali avevano espresso giudizio positivo.
Eppure le cronache dell'epoca raccontano un'altra storia.
Il sì condizionato di Bankitalia all'operazione
Draghi 130626115016
Mario Draghi, ex direttore generale del Tesoro, ex governatore di Bankitalia e attuale numero uno della Banca centrale europea.
Il giorno dell'accordo il titolo di Mps fece un tonfo in Borsa del 10,5%: il mercato riteneva il prezzo troppo alto. Ed era solo quello ufficiale.
Chi espresse dubbi, come è riportato in quella relazione, furono i piccoli azionisti.
Sta di fatto che via Nazionale diede l'ok condizionandolo a una complessa operazione di ricapitalizzazioni e di emissioni di strumenti ibridi: «Il perfezionamento dell'operazione è subordinato – al fine di garantire il pieno rispetto nel continuo degli istituti di vigilanza prudenziale – alla preventiva realizzazione delle misure di rafforzamento patrimoniale programmate».
LA BATTAGLIA DEL SOCIO FALASCHI. Secondo Falaschi, quel documento sarebbe «falso» perché non esplicitava il costo reale che includeva il debito. E inoltre violerebbe il testo unico bancario, che prevede all'articolo 19 l'autorizzazione preventiva a operazioni di acquisizione «quando ricorrono condizioni atte a garantire una gestione sana e prudente della banca, valutando la qualità del potenziale acquirente e la solidità finanziaria del progetto di acquisizione».
Inoltre, secondo le norme, «l'autorizzazione può essere sospesa o revocata se vengono meno o si modificano i presupposti e le condizioni per il suo rilascio».
E invece via Nazionale la condizionò a un piano di ricapitalizzazione di soli 6 miliardi, anche conoscendo le condizioni a dir poco problematiche dell'istituto veneto.
LA RICHIESTA DI ARCHIVIAZIONE. La denuncia di Falaschi è già stata archiviata una prima volta nel 2015, dopo la richiesta del pm di Roma Giancarlo Cirielli, così come era stata archiviata la posizione di Bankitalia nell'inchiesta di Siena, ma l'avvocato tira dritto: «Se l'autorizzazione fosse ritenuta falsa, per estensione il contratto con Santander sarebbe nullo e potrebbe essere impugnato da chiunque ne abbia interesse, quindi anche dagli azionisti, riportando a casa i miliardi spesi per una banca che non valeva niente».
Insomma, dice, «io voglio salvare 25 mila posti di lavoro».
E a spingere la sua determinazione sono una serie di documenti che vale la pena mettere in fila.
La lettera riservata ad Antonveneta
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La sede di Antonveneta AbnAmro in una foto del 2006, prima della cessione della banca veneta a Mps.
Il via libera della vigilanza ha sollevato dubbi anche tra i relatori di maggioranza della Commissione regionale Toscana, che scrivono: «Draghi autorizza l’acquisizione di Antonveneta per 9 miliardi di euro senza tenere conto - comportamento inconsueto per il principale organo italiano di vigilanza degli istituti di credito - dei rischi di tenuta per il Monte dei Paschi». E ipotizzano che abbia pesato il contesto: una fase di aggregazioni bancarie sostenuta da Banca d'Italia e riportano anche la laconica risposta ottenuta dal nuovo governatore di Bankitalia, Ignazio Visco: «L'operazione fu autorizzata perché conforme ai criteri previsti dalla normativa».
VIA NAZIONALE SAPEVA. Nella richiesta di archiviazione del pm Cirielli, però, si spiega anche altro. E cioè che Bankitalia era «certamente a conoscenza» del finanziamento da oltre 7 miliardi ottenuto da Antonveneta. Anzi spiega che, secondo quanto dichiarato dall'ex capo della vigilanza Anna Maria Tarantola, l'elemento del debito «ha fatto parte della complessa istruttoria e valutazione, operata dalla Banca d'Italia, per procedere al rilascio della valutazione».
Di più, «ha costituito il fondamento del rilascio di una autorizzazione condizionata».
Che Bankitalia fosse a conoscenza di tutti i problemi dell'istituto veneto è scritto nero su bianco anche nella lettera inviata dalla vigilanza ad Antonveneta il 9 marzo 2007 in via riservata dopo un'ispezione avvenuta dal 6 luglio al 14 dicembre 2006 (consulta il documento).
NUBI SUL FUTURO. In quella missiva la vigilanza giudica sfavorevolmente tutti i profili dell'istituto di credito, tranne quelli «patrimoniali e di liquidità, anche per effetto del sostegno assicurato dalla capogruppo Abn Amro». Cioè dal famoso prestito.
Ma via Nazionale appunta problemi che possono ipoticare anche il futuro: «Rilevanti anomalie nei profili della rischiosità creditizia e della redditività», «prassi tariffarie particolarmente penalizzanti nei confronti dei clienti con conseguente erosione di quote di mercato».
I sistemi di controllo? Sono «insufficienti». La qualità del portafoglio? «Significativamente deteriorata». Il portafoglio prestiti rischioso. Il «comparto delle segnalazioni alla vigilanza» incompleto.
Il documento rivela anche sofferenze per 3,9 miliardi e partite anomale pari al 15,8% degli impieghi. E aggiunge che rilevazioni a campione hanno fatto emergere posizioni ascrivibili a un maggiore rischio.
Piano industriale inadeguato e stime ottimistiche
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La sede di Bankitalia, in via Nazionale a Roma.
Il piano industriale, quindi, risulta inadeguato. Le stime dei risultati ottimistiche. Gli utili frutto di operazioni straordinarie.
Bankitalia specificava che «la natura e la portata degli interventi da realizzare necessitano di un attento monitoraggio della fase attuativa da parte dei responsabili di codesta banca e della capogruppo Abn Amro».
Solo un anno più tardi autorizzava l'acquisizione a Mps.
L'esistenza di quella lettera fu rivelata nel 2013 dalla Reuters.
RAFFORZAMENTO PATRIMONIALE FALSO. Allora l'autorità di vigilanza spiegò all'agenzia di aver avvertito «formalmente la banca senese dei problemi di qualità del credito e della inefficiente struttura di governo della banca padovana in una lettera del marzo del 2008».
Raccomandò alla banca di attenersi al rafforzamento patrimoniale e chiese di modificare il contratto dello strumento finanziario Fresh, attraverso il quale Mps avrebbe dovuto riservare a JpMorgan un aumento di capitale da un miliardo, che come è noto fu in realtà una partita di giro.
Tutte le operazioni di ricapitalizzazione, a cui era condizionato l'acquisto di Antonveneta, risultarono falsate. E della loro inconsistenza, per cui oggi la stessa Montepaschi ha patteggiato e gli ex dirigenti sono rinviati a giudizio per ostacolo alla vigilanza, Bankitalia si era accorta già nel 2012, come risulta da una relazione su un'ispezione realizzata dal 27 settembre 2011 e il 9 marzo 2012 che scoprì i contratti derivati Alexandria e Santorini sottoscritti con Nomura e Deutsche Bank.
GLI EFFETTI DEL VIA LIBERA. Ma anche prescindendo dagli sviluppi successivi, la domanda resta: perché se Bankitalia conosceva la situazione di Antonveneta e le difficoltà di Mps nel portare a conclusione l'acquisto autorizzò un'operazione così rischiosa? E perché non revocarla nel momento in cui Mps si era trovata ufficialmente in casa un tale fardello di debiti da pagare?
Scrive il pm nella richiesta di archiviazione della causa di Falaschi: «In ogni caso, la mancanza di patrimonializzazione non poteva necessariamente ed univocamente comportare la revoca dell'autorizzazione perché avrebbe “provocato” conseguenze finanziarie imprevedibili sul mercato in danno ai risparmiatori, degli azionisti e del complesso del sistema bancario».
Ma Falaschi è convinto che gli effetti del via libera siano stati ben peggiori.
Difficile, oggi, dargli torto.
Pubblicato da Lillo Taverna alle 22:47 Nessun commento:
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Lillo Taverna
Lillo Taverna Ho riportato sopra lo sproloquio del FOFGLIO. Vi è tanto vero ma vi è tanta omertà giornalistica. Un gridar troppo per seppellire tanto. Io non sono colpevolista. Stimo Mannino da quando alla fine degli anni '50 bazzicava il "Santisimo" di Racalmuto ove addirittura un arcigno arciprete come il Casuccio ospitava gratis le ACLI. Oggi quella vecchia e gloriosa chesa, dissennatamente dissacrata, vien data in mierevole affitto. Ma non riesco a santificare don Calogero Mannino (un Lillo come l'altro Lillo Pumilia di Sciascca che fecero abnormi le Terme e san Caloiro). Sono stato al Ministero dll'Agricoltura in via Venti Settembre quando ancora si chiamava così. Ho potuto dare qualche assistenza tecnica ad un arcigno capo di gabinetto, quelo che poi fece esplodere lo scanfadalo comunitaroo delle quote latte, e quindi resto prpesso. Sono stato all'AIMA dopo il minstero agricolo di Mannino per non avere capito certa politica clintelare del Nostro. E insomma ricordiamo tutti che signficava acquisire una via preferenziale per un posticino qua o là. Pare che anche Sciasia ne abbia usufruiro.
Lillo Taverna certo ora Mannino è vituperevolmente in attesa di giudizio. Assolto qua da una certa signorina togata, impigliato là dai noti professionisti dell'antimafia. Non amo l'antimafia. Odio l'antimafia non certo perché ridimensionano un gran colletto bianco. Per costui lacrine e pianti, il grassone del Foglio fa sprecare parole retorica e politica. Giunto a questa età don Calogero di Sciascca può godersi anche l'aureola del martire per giustizia ritardata. Odio l'antimafia perché mi tiene ostativo in ferocissime carceri il mio figliolo selettivo Alfedo Sole, di recente titolato a pieni voti come Magister Philosophiae. Potrebbe andare al MIUS al posto della brutta e chiacchierta ministra gentiloniana. Alfredo Sole non ha peso politico, non ha difensori d'alto bordo, scrive su di liui il noto romanziere Gaetano Savatteri per inquinarne figura e stazza etica. In tre anni che seguo questo mio figliolo SELETTIO ho scoperto, anche se lui nega, che lui non ha ucciso mio zio Alfonso Burruano. A far fuori mio zio è stato uno strettissimo parente di Alfredo. E Alfredo appena diociottenne , imbevuto della fetida cultura della sua famiglia, si è autocalunniato allora e continua ad autocalunniarsi. E per questo si è beccato, iniquamente, un ergastolo con 41 bis divenuto perenne perchè un magistrato dell'antimafia di Palermo lo attesta pericolosamente ostativo, oggi tempo in cui tutta la grande famoglia mafiosa in cui è nato è stata ammazzata ferocemente. Tanu Savatteri direbbe dai culi vasci che pare siano stati più forti e proterìti degli antagonisti stiddrara di Gela, rectius Favara e Portoempedocle- E guarda caso proprrio il clan letterario di Savtateri ne ha preso uno di codesti stiddrara e ne ha fatto un mito letterario in nome dello Sciascia quello del Giorno della Civetta. Il mio figliolo selettivo si è poi buscato un secondo ergastolo ostativo per certa tregenda canicattinese ove forse s'impinguava un tal mangialasagne. Come potesse essere copevole il mio figliolo setelltivo manco ventenne che andava cacandosi sotto per le vendette canicattinesi contro chi aveva osato mpallinare il loro rappresntante racamutewse in quella villa vicino il bivio della cantina castrofilippese. Quanto al terzo ergastolo ostativo, il mio figliolo selettivo se l'è buscato perché in quel liquame culturale mafioso lui ha dovito guidare un'auto con cui portare davanti alla Matrice e poi far trasmigrare quei noti stiddrara che fecere minnitta dei culi chiatti che avevano fatto giusizia impropria di mio zio Alfonso Burruano. Con tre argstoli passat in giudicato mio figlio selettivo lustru d pradiso non ne vedrà mai. Tre grossi errori giudiziari lo condannano a morte, FINE PENA MAI. Non una volta sola si consuma la condanna a morte ma mille volte al giorno. Persino Camilleri protesto per un certo computer negato. Ma peggiorò la situazione di Afredo Sole. Calogero Mannino al conronto ha di che emettere vari soperiri di sollevo. Nessun pingue Ferrara spreca un foglio del suo FOGLIO per far luce su questo triplice ergastolano senza colpa. Calogero Taverna
Pubblicato da Lillo Taverna alle 18:12 Nessun commento:
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Propongo la lettura dell'articolo di Sottile sul "Foglio" per le riflessioni che vorranno fare.

Se i magistrati non sanno perdere Così muore il "giusto processo"
DAL FOGLIO: come leggere l'appello presentato dai pm della Trattativa contro l'assoluzione dell'ex ministro Calogero Mannino. Dal Foglio.
livesicilia.it




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Lillo Taverna
Lillo Taverna Dal Foglio

Se i magistrati non sanno perdere
Così muore il "giusto processo"
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di Giuseppe Sottile
Articolo letto 7.593 volte

E pensare che fino a qualche giorno fa erano tutti lì, a dibattere di diritti e Costituzione, a denunciare le arroganze e lo strapotere delle forze politiche, a contrastare il cinismo di chi voleva comunque modificare le regole del gioco. Erano tutti lì, dal procuratore generale Roberto Scarpinato all’ex procuratore aggiunto Antonio Ingroia fino a Nino Di Matteo, il pubblico ministero del processo sulla trattativa tra lo Stato e i sanguinari boss di Cosa nostra. Ma, conclusa l’esaltante fase referendaria, sono tutti tornati all’ordinaria amministrazione della giustizia.

E come primo atto ecco l’appello – firmato da Di Matteo e dagli altri tre pm del mastodontico processo – contro l’assoluzione di Calogero Mannino decisa nel novembre dell’anno scorso da Marina Petruzzella, giudice del rito abbreviato. Un appello legittimo, per carità, e certamente rispettoso della sacralità dei codici. Ma come convincere Mannino e i suoi più stretti familiari che, dietro questo appello, non c’è anche e soprattutto un potere giudiziario che non accetta la propria sconfitta? Come convincere gli amici e i nemici di Mannino che la Costituzione italiana parla di “giusto processo” da celebrare e concludere in tempi ragionevoli e non di un martirio senza speranza e di una gogna senza fine?

Sono ventidue anni che la magistratura perseguita l’ex ministro democristiano. Ad aprire le danze era stato il procuratore Gian Carlo Caselli che, nel febbraio del 1994, aveva spedito Mannino nel carcere di Rebibbia con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Mannino, dopo sedici anni e quattro processi, ne uscì indenne ma il rito palermitano, per sopravvivere anche a se stesso, subito dopo tirò fuori il romanzo della Trattativa – un romanzo di grandi sonorità mediatiche – e l’ex uomo politico si ritrovò nuovamente impigliato nella grande trappola giudiziaria. La procura, rappresentata in quel momento da un Antonio Ingroia già pronto per scendere sullo sfavillante terreno della politica, gli contestava di essere stato addirittura tra i registi e gli ispiratori della Trattativa: dopo le stragi mafiose del ’92, sosteneva il procuratore aggiunto, l’onorevole Mannino temeva di essere ucciso e per scongiurare tale grave pericolo si adoperò perché i più autorevoli rappresentanti delle istituzioni e delle forze dell’ordine stringessero un patto scellerato con Totò Riina, Bernardo Provenzano e tutti gli altri malacarne della filiera corleonese.

Un teorema e nulla più. Che il giudice Petruzzella ha fatto letteralmente a pezzi con una sentenza che oltre a stabilire la completa estraneità di Mannino ai fatti contestati, censura con una pesantezza inaudita atti e comportamenti dei pubblici ministeri durante la raccolta delle cosiddette prove. A cominciare dagli interrogatori di Giovanni Brusca, il carnefice della strage di Capaci oggi pentito, e di Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo al quale, nei mesi roventi delle mattanze, si sarebbero rivolti gli ufficiali dei carabinieri per tentare di capire come contrastare la furia assassina dei boss.

Le frasi scritte, nelle motivazioni, da Marina Petruzzella denunciano un metodo di indagine a dir poco discutibile. Le interpretazioni di Brusca, ad esempio, sarebbero state “suggerite dalle molteplici sollecitazioni, ricevute nel corso di interrogatori, a volte molto sofisticati, degli inquirenti e dalle contestazioni fattegli durante i suoi esami”. Nonostante “la confusione dei suoi ricordi e l’innegabile e ingiustificata progressione delle sue accuse” Brusca, che è un pentito per tutte le stagioni, “mostra di avere, sulle situazioni di cui riferisce, delle conoscenze frammentarie e limitate”. Eppure, sottolinea la dottoressa Petruzzella, il collaboratore ha finito per essere considerato da Ingroia “il depositario di verità non rivelate”.

Dal bluff Brusca al bluff Ciancimino. Il figlio di Don Vito, “accompagnato nel suo luminoso cammino dalla stampa e dal potente mezzo televisivo, stuzzicati con altrettanta astuzia”, ha popolato i suoi racconti di misteri e fantasmi. Tuttavia – e qui le parole della Petruzzella diventano pietre – “salta agli occhi la sua forte suggestionabilità, con la tendenza ad assecondare la direzione data all’esame dai pm, frammista a una propensione alla rappresentazione fantasiosa e spettacolare, e al contempo manipolatoria”.

Se non si corresse il rischio di precipitare in un’acida ironia, si potrebbe anche dire che la mastodontica inchiesta sulla Trattativa, dalla quale Ingroia ha tratto una tale popolarità da presentarsi sicuro e baldanzoso alle elezioni politiche del 2013, sia nata in realtà da una surrettizia e inconfessabile trattativa tra chi conduceva le indagini e due personaggi di certo poco raccomandabili: da un lato Brusca, il cui interesse è stato ed è sempre quello di mantenere il comodo status di pentito nonostante sia tornato più volte a mafiare; dall’altro lato Massimo Ciancimino, il cui interesse era ed è quello di salvare il malloppo lasciato in eredità dal padre e di salvare se stesso dal processo per calunnia che gli ha intentato Gianni Di Gennaro, l’ex capo della polizia che il figlio di Don Vito voleva mascariare contraffacendo con la fotocopiatrice un documento forse del padre.

Tutta roba da vedere e da verificare, comunque. L’unica certezza fino ad oggi è che contro l’assoluzione di Mannino c’è l’appello sottoscritto da Nino Di Matteo e dagli altri pm che, da tre anni e mezzo, seguono nell’aula bunker dell’Ucciardone il processo ai dieci imputati che, a differenza di Mannino, hanno scelto il rito ordinario e non quello abbreviato. Proprio perché resta ancora in piedi il filone principale – la sentenza, se tutto va bene, dovrebbe arrivare entro il dicembre del 2017 – la procura non aveva via di fuga: l’appello si doveva fare. E si farà.

Resta tuttavia aperto un problema: potranno essere inghiottite dal silenzio (dall’omertà, si stava per dire) le sconvolgenti annotazioni della Petruzzella su come sono state condotte le indagini sulla fantomatica Trattativa?
Mi piace · Rispondi · 52 min

Lillo Taverna
Lillo Taverna Ho riportato sopra lo sproloquio del FOFGLIO. Vi è tanto vero ma vi è tanta omertà giornalistica. Un gridar troppo per seppellire tanto. Io non sono colpevolista. Stimo Mannino da quando alla fine degli anni '50 bazzicava il "Santisimo" di Racalmuto ove addirittura un arcigno arciprete come il Casuccio ospitava gratis le ACLI. Oggi quella vecchia e gloriosa chesa, dissennatamente dissacrata, vien data in mierevole affitto. Ma non riesco a santificare don Calogero Mannino (un Lillo come l'altro Lillo Pumilia di Sciascca che fecero abnormi le Terme e san Caloiro). Sono stato al Ministero dll'Agricoltura in via Venti Settembre quando ancora si chiamava così. Ho potuto dare qualche assistenza tecnica ad un arcigno capo di gabinetto, quelo che poi fece esplodere lo scanfadalo comunitaroo delle quote latte, e quindi resto prpesso. Sono stato all'AIMA dopo il minstero agricolo di Mannino per non avere capito certa politica clintelare del Nostro. E insomma ricordiamo tutti che signficava acquisire una via preferenziale per un posticino qua o là. Pare che anche Sciasia ne abbia usufruiro.
Mi piace · Rispondi · 36 min

Lillo Taverna
Lillo Taverna certo ora Mannino è vituperevolmente in attesa di giudizio. Assolto qua da una certa signorina togata, impigliato là dai noti professionisti dell'antimafia. Non amo l'antimafia. Odio l'antimafia non certo perché ridimensionano un gran colletto bianco. Per costui lacrine e pianti, il grassone del Foglio fa sprecare parole retorica e politica. Giunto a questa età don Calogero di Sciascca può godersi anche l'aureola del martire per giustizia ritardata. Odio l'antimafia perché mi tiene ostativo in ferocissime carceri il mio figliolo selettivo Alfedo Sole, di recente titolato a pieni voti come Magister Philosophiae. Potrebbe andare al MIUS al posto della brutta e chiacchierta ministra gentiloniana. Alfredo Sole non ha peso politico, non ha difensori d'alto bordo, scrive su di liui il noto romanziere Gaetano Savatteri per inquinarne figura e stazza etica. In tre anni che seguo questo mio figliolo SELETTIO ho scoperto, anche se lui nega, che lui non ha ucciso mio zio Alfonso Burruano. A far fuori mio zio è stato uno strettissimo parente di Alfredo. E Alfredo appena diociottenne , imbevuto della fetida cultura della sua famiglia, si è autocalunniato allora e continua ad autocalunniarsi. E per questo si è beccato, iniquamente, un ergastolo con 41 bis divenuto perenne perchè un magistrato dell'antimafia di Palermo lo attesta pericolosamente ostativo, oggi tempo in cui tutta la grande famoglia mafiosa in cui è nato è stata ammazzata ferocemente. Tanu Savatteri direbbe dai culi vasci che pare siano stati più forti e proterìti degli antagonisti stiddrara di Gela, rectius Favara e Portoempedocle- E guarda caso proprrio il clan letterario di Savtateri ne ha preso uno di codesti stiddrara e ne ha fatto un mito letterario in nome dello Sciascia quello del Giorno della Civetta. Il mio figliolo selettivo si è poi buscato un secondo ergastolo ostativo per certa tregenda canicattinese ove forse s'impinguava un tal mangialasagne. Come potesse essere copevole il mio figliolo setelltivo manco ventenne che andava cacandosi sotto per le vendette canicattinesi contro chi aveva osato mpallinare il loro rappresntante racamutewse in quella villa vicino il bivio della cantina castrofilippese. Quanto al terzo ergastolo ostativo, il mio figliolo selettivo se l'è buscato perché in quel liquame culturale mafioso lui ha dovito guidare un'auto con cui portare davanti alla Matrice e poi far trasmigrare quei noti stiddrara che fecere minnitta dei culi chiatti che avevano fatto giusizia impropria di mio zio Alfonso Burruano. Con tre argstoli passat in giudicato mio figlio selettivo lustru d pradiso non ne vedrà mai. Tre grossi errori giudiziari lo condannano a morte, FINE PENA MAI. Non una volta sola si consuma la condanna a morte ma mille volte al giorno. Persino Camilleri protesto per un certo computer negato. Ma peggiorò la situazione di Afredo Sole. Calogero Mannino al conronto ha di che emettere vari soperiri di sollevo. Nessun pingue Ferrara spreca un foglio del suo FOGLIO per far luce su questo triplice ergastolano senza colpa. Calogero Taverna
Pubblicato da Lillo Taverna alle 17:01 Nessun commento:
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 e pensare che questo sindaco porta un nome illustre, imbrattato dai fautori del si sempre si fortissimamente si invischiati anche con la raggi sindaca per caso e per deficienti imbecilli
Pubblicato da Lillo Taverna alle 12:57 Nessun commento:
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Grandi questi racalmutesi, miei amabili compaesani: mentre le imbarazzate voci ufficiali locali del M5S tacciono, loro imbeccati da un Travaglio senza pudore si mettono a difendere l'indifendibile Raggi romana. E per giunta - loro che Roma si e no l'hanno vista in cartolina - ne stigmatizzano passato e futuro pur di esaltarne il triste presente. Non è che poi siano uomini di gran coraggio. Alle mie bordate contro il loro sindaco, contro il loro vivere talora manigoldo omettono ogni dire, peggio delle tre simmiette care al sindaco Messana. Certo: hanno palazzi collabenti al centro del paese da decenni minaccianti l'incolumità pubblica, hanno bar irregolari, arraffano prebende feataiole indecorose, metton sù no-profit molto profittevoli, fanno un paio di lavori in nero e poi affollano i ranghi delle ellesseu o dei cococo comunali. Io amo molto il mio paese per odiarlo. Ma la tentazione di questi tempi è sempre più ribollente nei miei precordi ideali. Calogero Taverna
Pubblicato da Lillo Taverna alle 12:44 Nessun commento:
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Divertente questo vostro voler coprire miserevoli evidenze con una foglia di fico. Ricordatevi: gli italiani non sono imbecilli. Noi a Roma stiamo finendo nella monnezza peggio che a Racalmuto e Grillo cade nelle buche che una inetta e figliolina di Previti in sei mesi ha proliferato.
Pubblicato da Lillo Taverna alle 11:35 Nessun commento:
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