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sabato 24 dicembre 2016

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Nella seconda metà dell'800 una cosca mafiosa operante a Favara, in provincia di Agrigento e nelle zone limitrofe si imponeva compiendo efferati delitti.
Fu solo nel 1883, grazie all'opera del funzionario di polizia Ermanno Sangiorgi, che vennero arrestate più di 200 persone nella zona di Favara e si scopri' che la cosca era una bera e proprio organizzazione criminale chiamata "fratellanza di Favara".
Uno dei capi della "Fratellanza" venne arrestato nell'atto di affiliare due "fratelli" incappucciati e gli fu trovata una copia dei regolamenti dell'associazione. Ne seguì il ritrovamento di decine di scheletri di vittime della "Fratellanza" nascosti in luoghi isolati come grotte, pozzi prosciugati, zolfare dismesse e altre confessioni di alcuni affiliati consentirono il recupero di ulteriori varianti al regolamento della setta, nonché al suo organigramma.
Uno o più capi-testa comandavano più capidecina, ognuno dei quali aveva sotto di sé non più di dieci affiliati; il rituale di iniziazione avveniva pungendo l'indice dei nuovi membri per poi tingere con il sangue un'immagine sacra, che veniva bruciata mentre l'iniziato recitava una formula di giuramento.

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Tale cerimonia di affiliazione era tipica delle cosche di Palermo, a cui numerosi membri della "Fratellanza" erano stati affiliati nel 1879, durante la prigionia con mafiosi palermitani nel carcere di Ustica.
"Il Secolo", giornale di Milano, il 30 aprile 1883 parlava "della più alta espressione di criminalità organizzata", riferendosi appunto alla Fratellanza. Nel 1885 gli affiliati finirono tutti sotto processo ad Agrigento, ma molti negarono le loro confessioni, sostenendo che avevano confessato sotto tortura, ma alla fine furono tutti condannati ed incarcerati.

Si scopri' che la setta si estendeva, oltre che a Favara, anche nei comuni vicini di Canicattì, Racalmuto, Grotte, Aragona e di cui si hanno notizie negli anni settanta ed ottanta dell’ottocento. Gli appartenenti alla setta avevano uno statuto, pagavano una tassa mensile di 50 centesimi e per entrare nella consorteria dovevano venire iniziati. Secondo un articolo d’epoca, Colacino soteneva che la “Fratellanza” era “la più alta espressione della mafia” ed era costituita da zolfatari, minatori, contadini, artigiani, mugnai, pastori, calzolai, gabelloti.
Agli arresti parteciparono 90 carabinieri, 40 guardie di P.S. a cavallo e una cinquantina di soldati di fanteria.
Anche in altre località ci furono catture non solo a Favara.
Le origini della Mafia ad Agrigento: La Fratellanza


“Sulla metà di questo mese (aprile) furono visti uscire da Girgenti alla spicciolata e con diversi intervalli di tempo circa 90 carabinieri, 40 guardie di P.S. a cavallo e una cinquantina di soldati di fanteria.

Tutti questi agenti della Forza pubblica si riunirono poi al punto denominato “Quatrivio”, distante due chilometri dalla città. Ivi ponevano le baionette in canna e prendevano la via che mena a Favara.

Verso mezzanotte una carrozza fermatasi fuori delle porte di Favara e ne scendeva il Procuratore del re.

Poco dopo dalla cennata forza pubblica venivano circondate diverse case di Favara ed erano tratti agli arresti, per mandato di cattura, ben quaranta individui, i quali erano subito condotti alla caserma dei Reali Carabinieri e dopo essere sottoposti ad interrogatorio venivano spediti in queste grandi prigioni.

Nella stessa notte in altri paesi di questa provincia erano eseguiti altri non pochi arresti per lo stesso oggetto.

Si vuole che il numero degli arresti arrivi a 150.

Costoro avevano sodalizio di mafia che, serbata la debita proporzione, potrebbe paragonarsi alla setta della “mano Nera” della Spagna: di fatti si vuole che abbiano per titolo:”la mano fraterna”.

Così la stampa nazionale ( questa nota è stata pubblicata il 30 aprile del 1883 sul quotidiano “Il secolo d’Italia” di Milano) presentava all’attenzione dell’opinione pubblica il blitz delle forze dell’ordine che sbaragliò una delle più potenti ed organizzate cosche mafiose siciliane: La Fratellanza di Favara. Che la società fosse ben ramificata si capì nei giorni seguenti. Per gli arresti di Favara furono utilizzati 90 carabinieri, 40 guardie di P.S. a cavallo e una cinquantina di soldati di fanteria
A Canicattì sei appartenenti alla Fratellanza vennero arrestati per l’omicidio del calzolaio Calogero Camilleri, che era scomparso da casa il giorno 11 febbraio 1883, rimase prigioniero nella casa di suo zio Alaimo Martello Rosario e pochi giorni dopo strangolato e sepolto in un castello abbandonato perché “l’infame” aveva parlato al delegato di polizia del suo paese dell’esistenza della Fratellanza (vedasi note conservate presso l’archivio di Stato di Agrigento, inventario 28, fascicolo 2). Il delitto era stato compiuto da Guarneri Agostino, Puzzangara Pietro, Montante Luigi, Di Franco Salvatore, Trupia Domenico. Tutti elementi ben noti alla giustizia. Il disgraziato calzolaio fu probabilmente il primo a mettere la polizia sulle tracce della Fratellanza, ma non fu l’unico. Un mese dopo, nel marzo del 1883, un ferroviere si presentò alla polizia per far sapere che da un muratore era stato invitato ad entrare in una società repubblicana segreta denominata La Fratellanza. Aveva appreso che la società aveva particolari segni di riconoscimento necessari per riconoscere gli altri fratelli ed evitare di essere attaccato da altri affiliati. Il ferroviere si rese presto conto dei propositi criminali della Fratellanza e spifferò tutto la delegato di P.S. Quest’ultima testimonianza fu utilissima per illuminare alcuni gravissimi fatti di sangue avvenuti a Favara all’inizio 1883 e che sono all’origine della Fratellanza.


Mi ritrovo non so  come tra le mie carte questa solare favola floreale; pagina altamente poetica, apologo di malinconico sognare. Non ne conosco l'autore. Un motivo di più per plaudire.



IL SOLE E LA MARGHERITINA

In un’ampia distesa di un prato fiorito e lussureggiante dei migliori fiori spontanei che potessero esistere sulla faccia della terra, si trovava, quasi nascosta dalla fitta vegetazione, invisibile tra cotanta varietà di colori, una piccolissima Margherita che, pur luccicando nel suo splendido giallo, era destinata a perire ben presto perché, nell’inutile tentativo di sopravvivenza, rimaneva comunque nascosta dall’unica sua sorgente di vita: il Sole! 
Era sottile e fragile, ma, stranamente,  la natura le aveva conferito dei colori spettacolari: il debole fusto di un verde lucido intenso, i petali, il capolino, in tutta la sua infiorescenza, di un giallo splendente! Il colore giallo fuoco le assegnava un aspetto fiero, coraggioso! Ma essa non poteva non accorgersi degli altri fiori che si ergevano orgogliosi verso il cielo, mentre lei, sconosciuta, gemeva nell’inutile corsa alla vita.
Tutti gli altri fiori e i fili d’erba le facevano ombra ed ella si disperava: - Se almeno il Sole potesse accorgersi di me!- 
Un giorno capitò che i raggi del Sole s‘intrufolarono tra i folti fili d’erba che la coprivano riuscendo a raggiungerla. Essa rimase scossa da quella luce e, intimidita da una così inconsueta intrusione, cercò di rannicchiarsi su se stessa. Il Sole, con la sua imponenza che gli era propria, per effetto della sua natura, attirò l’attenzione della Margheritina e le disse: - Sai… tu mi piaci -  La Margheritina, intimorita da quella voce potente e tanto sicura di sé, si scosse e:
- Dici a me?! - disse, tutta presa da un certo tremolío! – Sì… proprio a te… Tu mi piaci!!! 
- Io???!!! – rispose - Ma se sono cosí piccina!!! Quasi insignificante e… e… mi disperdo, anzi soccombo fra tante bellezze di questo campo! Guardati intorno: l’erba viperina dai fiori blu striati di rosa, la profumatissima viola mammola, la veronica dalle moltissime specie, la valeriana rossa, il tarassaco dalle virtù medicamentose, il ranuncolo semplice ed elegante che, come le rane, ama le zone umidicce, la primula odorosa, il ginestrino giallo con venature rosse, il garofano dei prati, il bianco bulbocastano, l’erica dalle infiorescenze bianche, le  margherite pratoline, la numerosa varietà di papaveri rossi, i fiordalisi, la gialla acetosella, la rossa valeriana, il giglio di San Giovanni, rosso e raro tanto da godere del divieto di essere reciso, il trifoglio rosso, le numerosissime varietà di campanelle… e…e…
- Basta cosí  - la interruppe il Sole -  E’ questo il problema: tu mi piaci prima di tutto per il tuo colore: GIALLO, come me! Vedi… in qualcosa siamo uguali! Mi piaci perché in tutto il resto siamo diversi: io forte, potente, immenso… tocco i margini della terra…sono indispensabile, ma potrei essere anche pericoloso! L’uomo mi ama e mi teme… Tu sei piccina, innocua, debole: basterebbe un semplice strappo per distruggerti, ma…ma…sei bellissima nella tua semplicità, nel tuo splendido colore, nella forma dei tuoi petali, sottili e dorati…somigliano ai miei raggi in miniatura, la parte tua centrale somiglia al mio nucleo! Hai visto? Cosí  diversi, cosí  simili!!!-
La Margheritina rimase incantata dalle parole di un tale corteggiatore! Non poteva credere a ciò che sentiva!
-Non è possibile - osò la Margheritina - Non è possibile che io possa piacere a te! Inoltre, non potrei staccarmi da terra e venire con te: fra un po’ appassirò!!! Né tu potrai staccarti dal cielo da dove sorgi e tramonti perennemente, ancora per molti secoli… nei tuoi doveri verso il mondo! 
-Vedi- la tranquillizzò il Sole - Io sono forte e posso tutto! E’ vero: ho dei doveri verso il mondo, ma ciò non m’impedisce di pensare anche a te! E’ vero anche che ci sono tante bellezze intorno, ma tu per me sei unica…rappresenti la parte semplice che a me manca; la calma contro la mia irruenza; la timidezza contro la mia sfrontatezza; la freschezza contro quella parte rovente di me…
-Oh!- intervenne la Margheritina- Non esagerare! Se è cosí  come dici, allora, sradicami e portami con te prima che io perisca e diventi cibo per la terra! Mi fonderò con te e tu sarai la mia linfa e la mia fonte di respiro. Non ti ruberò molto spazio e tu potrai pensare al mondo senza dimenticarti di me. Vivrò in te diventando parte di te. Dall’alto della tua posizione, nella zona periferica della Via Lattea, là dove tu… noi ci troviamo, vedrò miliardi e miliardi di stelle in movimento, vedrò la luce e il calore che sprigioni, vedrò la terra in tutta la sua forma, nonostante disti da te quasi 150 milioni di chilometri, mentre nel corso di 24 ore compie il suo giro di rotazione intorno al proprio asse. Potrò gustarmi per un intero anno la terra nel suo giro di rivoluzione mentre ti orbita intorno e tutti gli altri pianeti della nostra galassia che orbitano insieme alla terra e le migliaia di altri corpi: i satelliti, le asteroidi e le comete ecc. Osserverò la posizione della terra nelle sue inclinazioni e capirò finalmente il rincorrersi degli equinozi, dei solstizi e l’alternarsi delle stagioni. Guarderò l’uomo dall’alto protetta dalla tua potenza…Dall’alto potrò osservare le piante che, utilizzando il loro pigmento verde, attraverso un processo che gli uomini chiamano “fotosintesi clorofilliana” catturando l’energia dalla tua luce, utilizzano la linfa grezza che arriva dalle radici, assorbono dall’aria l’anidride carbonica, trasformano tutto in zuccheri per nutrirsi e crescere  rilasciando uno scarto necessario alla vita dell’uomo e degli animali: l’ossigeno. - 
Il Sole, forse per la prima volta in vita sua, si commosse da tanta dedizione. Capì che non avrebbe mai potuto rinunciare alla sua Margheritina. Avrebbe continuato a eseguire i doveri di sempre: sorgere a Est o quasi, tramontare a Ovest o quasi, ogni giorno illuminando i luoghi nei modi e nei tempi giusti. Avrebbe tenuto con sé la Margheritina, sempre, nel bene e nel male, affrontando i  cambiamenti climatici, il surriscaldamento o le glaciazioni; avrebbe fatto parte della sua vita sino alla fine di se stesso e del mondo.
-Avevo intuito che sai quasi tutto di me! Allora…ho deciso: ti porterò con me!- La
Margheritina, raggiante di felicità, si lasciò raccogliere da quel burbero, amorevole Sole.
Il Sole la sollevò, l’avvolse dentro un suo raggio e proseguì il suo cammino.
Noi dalla terra, se osserviamo i raggi del Sole, noteremo chiaramente che un suo raggio è più giallo di tutti gli altri!!!
Non posso fare a meno - per quanto so di essere fuori umana saggezza - di pensare che questo, questo nostro mondo, è il migliore dei mondi possibili ... magari finendo in braccio al risibile Pan Gloss volterriano.

venerdì 23 dicembre 2016




Da un medico clerical fascista fanatizzatosi renziano e c costituzional riformista  mi sono giunti improperi  e saraccate  a non finire come potete leggere qui sotto.  Lui i suoi accoliti mi avevano tediato con saccenteria apodittica  a proposito del temuto sperpero di pubblico denaro  intento a salvare il MPS. Un argomento tapino mi aveva stizzito: ora si gonfia il debito pubblico e e si scarica sul cittadino un osceno salvataggio.

Facile per me controdedurre:  se tanto avviene con emissioni di titoli del debito pubblico, l'operazione è pressoché gratis e non ricade sui cittadini. Bisogna vedere che la UE ce lo permette.  Un tempo i salvataggi bancari avvenivano con non le cosiddette misure di ristoro della Banca d'Italia e nessuno se ne accorgeva. Ora questo gridare avverso un ineludibile intervento pubblico imposto dall'art. 47 della Costituzione  cosa sarà mai? Perché tanto vociare?. Strepiti della volgare pubblica opinione. Mi sa che vox populi vox imbecillitatis. Mi sono preso persino dell'incolto latinista. Chissà poi perché?

Si sono offesi. L'imbecille se lo sono presi a titolo personale. Non era nel mio intento ma vista l'exusatio non petita, mi son detto: accusatio manifesta.

Invero parlavamo dei siciliani e degli agrigentini,  i compaesani di quei La Logia che con le grandi banche  - oggi tutte fallite - avevano tanto trescato. Addirittura la mia non comune competenza bancaria e le mie professionali conoscenze nel settore mi far ricordare la dissolvente vicenda dell'Interfinanza di Sindona-Joe  Macaluso, che operò anche a piazza Castello di Racalmuto.

Sardonicamente, come amo atteggiarmi, mi misi ad ostentar loro lo Sbarco in Sicilia di Geronzi nel suo latino confiteor al Mucchini oggi senatore PD in crisi.

Ma c'entrava con il MPS? Cribbio se c'entra!  Ci trasi, ci trasi, ma il discorso diverrebbe lungo ed accademico e sostanzialmente non mi va di projcere margaritas ante porcos.

Scatta l'ira dei miei competitori e mi danno del gran maleducato, cosa che mi è capitata varie volte dal corruccio di tal signorina CERNIGOI al cruccio di tal cattedratico catanese genitor di gentil cuore cavo.

Calogero Taverna     


Ora siete in contatto su Messenger.


lei è semplicemente un maleducato
ed è deludente che un vecchio non abbai capito dalla vita che il dialogo va fondato innanzitutto sul riseptto
sarà il quarto o il quinto che crede di insolentirmi così volgarmente. Diciamo che i miei genitori non c'entrano. Non amo gli imbecilli. E' una colpa? Non so olloquiare con gli imbecilli. Pitigrilli diceva: oh Signore fammi baciare un lebbroso, te ne bacio dieci ma non farmi stare più di cinque minuti con un imbecille: non ci riescio.
22 ottobre 9:03:32
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lei è semplicemente un maleducato
ed è deludente che un vecchio non abbai capito dalla vita che il dialogo va fondato innanzitutto sul riseptto
sarà il quarto o il quinto che crede di insolentirmi così volgarmente. Diciamo che i miei genitori non c'entrano. Non amo gli imbecilli. E' una colpa? Non so olloquiare con gli imbecilli. Pitigrilli diceva: oh Signore fammi baciare un lebbroso, te ne bacio dieci ma non farmi stare più di cinque minuti con un imbecille: non ci riescio.
non aggiungo altro. la sua risposta si commenta da sola
è gente come lei mossa da invidia generazionale ad aver rovinato a noi giovani il futuro, ipotecandolo
si vergogni
lei è esponente e valido rappresentante di una cultrua becera
superficiale
che si nutre di frasi fatte
incapace di esprimere giudizio critico
Fine della conversazione in chat
 

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non aggiungo altro. la sua risposta si commenta da sola
è gente come lei mossa da invidia generazionale ad aver rovinato a noi giovani il futuro, ipotecandolo
si vergogni
lei è esponente e valido rappresentante di una cultrua becera
superficiale
che si nutre di frasi fatte
incapace di esprimere giudizio critico
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Alla Festa di la B.M. di lu MUNTI pronunciammo il 5 luglio del 1993 - l'anno prossimo fa vent'anni e reiteriamo ora la richiesta per una rievocazione, sperando che il volpino ufficio comunale sta volta non si opponga - questa "dotta" prolusione a lu Chianu Castieddu in gloria del Mutuo Soccorso. Pierino Carbone, solerte come
sempre, aveva fatto venire un glorioso cantastorie di cui noi manco il cognome ricordiamo (a maggior disdoro nostro).
Omaggiavamo Carminu Gueli, presidente, e torniamo a farlo ancora qui. Grande e loquace Carminu!. Riddiliu per Alfonso Scimé lui e riddiliu ora io, per volere del baffuto Sardo.
Avevamo dato carte pregevoli: smentivano un burbanzosetto demente di culo che la faceva da despota. Lo invitavamo a espungere i muri d'ingresso del Mutuo da funeree, fallaci, lapidee incisioni. Vinse Lui e noi - il dottor Calogero Taverna e il defenestrato Carmelo Gueli - fummo esiliati. Quelle lapidee sconcezze stanno ancora là, riprotamente immarciscibili.


dott. Diego Scibetti-Troise; ma ci pensano addirittura i commissari a redarguirlo. E via l’obiettività di quell’organo inquirente. L’Italietta sabauda scendeva a valle per difendere, massonicamente, l’irrequieto giovanotto racalmutese di buona famiglia, don Gasparino Matrona.
Frattanto a Racalmuto abbiamo ben 61 ammoniti, un solo allievo alle scuole tecniche - che il provvido don Gasparino si affretta a chiudere per risparmiare e costruire la faraonica casa comunale - e solo 12 alunni alla scuole elementari, una popolazione scolastica inconsistente  in un comune che quasi fiorava i venti mila abitanti. E la tragica situazione del lavoro minorile nelle miniere, che metteva in apprensione i galantuomini racalmutesi solo per il fatto che qualche riflesso si aveva sulla pubblica sicurezza; per il resto c’era solo da storcere il muso per i troppi soldi guadagnati da quei traviati minori, e per il loro vezzo di spenderli  al gioco e con le donne. La cifra morale degli ottimati racalmutesi non è elevata. E don Gasparino non fa eccezione, anzi!
Di fronte a Sciascia scrittore, noi restiamo ammaliati; la sua prosa è musica, la sua visionarietà è sublime, il suo moralismo sconcertante, la sua ironia corrosiva, il suo periodare pieno d’inventiva inusitata ed avvolgente. Non era tenuto alla verità storica ed infatti non l’amò. A noi  - che molto più sommessamente - andiamo in cerca del vero storico del locale arrovellarsi umano, resta l’intralcio di un grande scrittore che ha voglia di stravolgere il banale avvenimento, il prosaico ruolo degli ottimati racalmutesi, l’affaccendarsi ingenuo, ma non perverso, di preti e frati del minuscolo proscenio nostrano. Nella prefazione al libro del Tinebra, Sciascia si lascia andare a tutta una serie di giudizi storici su figure ed avvenimenti della Racalmuto dell’Ottocento: ebbene quelle valutazioni ci paiono decisamente cervellotiche. Dice Sciascia: «La richiesta e la ricerca del libro [del Tinebra] divenne tanto intensa quanto vana. E non la spense la pubblicazione  .. della storia del paese di E.N. Messana, voluminosa, fitta di notizie.» [pag. 8]; ma dopo, alla fine [pag. 15], «limitato è il numero delle notizie che su Racalmuto si possono estrarre da libri e da manoscritti, moltissime e di sottili e lunghi tentacoli sono quelle che si possono estrarre dalla memoria. Dalla galassia della memoria.» Ci pare uno Sciascia o in vena di contraddizioni o di sardoniche, eppure sotterranee, stroncature degli insaccati cronachistici del Messana. In ogni caso della “galassia della memoria” sciasciana, da punto di vista storico, c’è molto da diffidare. I Matrona non possono davvero essere definiti: «una famiglia che per amministrare il comune disamministrava il proprio patrimonio o, più esattamente, andava travasando nel patrimonio pubblico.» Abbiamo visto invece come quei matrona tendessero a farsi assegnare medaglie d’oro ultracostose e come tendessero a dar dare soldi pubblici ai propri famigli
bagarioti, e come facessero finanziare strade comode che comodamente collegassero il paese ai loro poderi, alla Noce, a pro’ di loro e dei soliti “amici della Noce”, allora come adesso. Certo, se non si trattasse di Sciascia, sarebbe da sghignazzo un’elucubrazione così ingenua come la seguente: «Naturalmente, - vedi pag. 12 - i Matrona dei nemici: ma si scoprirono più tardi, aggregandosi alla famiglia Tulumello. Intanto, nel 1875-76, si limitavano a denuncie [sic] anonime: e la commissione d’inchiesta (si chiamava propriamente giunta), ne riceve tre: contro l’amministrazione comunale, contro il sindaco Gaspare Matrona. Ma si infrangevano contro l’evidenza di quel comune  amministrato con tanta dedizione, coraggio e generosità che il colonnello propone a modello non solo della Sicilia ma dell’Italia intera. E si capisce che nel giro di mezzo secolo i Matrona furono poveri, sicché fu facile ai loro avversari batterli: col conseguente effetto di un ritorno al malandrinaggio, della mafia, delle usurpazioni e prevaricazioni. [Corsivo ns.]» Spropositi del genere vanno solo negletti. A dire il vero i Tulumello non abbatterono don Gasparino Matrona. Questi cedé la sindacatura al suo correligionario don Gioacchino Savatteri, nel 1875 per le vicende che abbiamo adombrato. Don Gioacchino Savatteri dovette abbandonare la sindacatura per un sospetto peculato di L. 7.535. Le carte dell’archivio di stato di Agrigento del 1890 insolentiscono quella nefanda gestione: «Nel comune di Racalmuto - sbraitano - l’inchiesta a carico della precedente amministrazione non è ancora compiuta e già abbe a risultare un’appropriazione indebita di L. 7.535 a carico dell’ex sindaco Savatteri che fu denunziato all’autorità giudiziaria.» Sciascia aveva ataviche subalternità verso i Matrona. Confessa [pag. 13] «tutto sommato, devo ai Matrona questo mio rifugio in campagna: perché mio nonno loro fedelissimo elettore, volle anche lui, da capomastro di zolfara, avere un pezzetto di terra nella stessa contrada, edificandovi una casetta: ora è un secolo).» Noi non abbiamo di siffatte gratitudini: anzi ribolle la rivolta ancestrale dei miei poveri antenati zolfatai, sfruttati da tali arroganti “civili”, galantuomini, ottimati, signorotti o come diavolo si chiamano; sfruttati anche per «non sapere scrivere né sottoscrivere per non averlo mai appreso.» E gli zolfatai non sapevano leggere e scrivere perché facevano comodo da “carusi” andare nelle miniere dei Matrona (e di altri ottimati), come arrogantemente don Gasparino dichiara ai membri della Giunta. E si è visto come don Gasparino risparmiasse sull’istruzione dei figli del popolo, avendo più a cuore gli spettacoli lirici, propoziatrici di tresce con attrici, cantanti e ballerine. Eh! Sciascia, Sciascia! Lascia perdere i Matrona tutti presi a far [pag. 11] «scuole, uffici comunali, strade selciate, fognature, macello, fontanelle rionali, teatro.» Ed in men di cinque anni (la sindatura di don Gasparino dura secondo il Messana , appendice 29a, dal 1872 al 1876): non ci crede neppure il prof. Salvatore restivo che pu sappiamo quanto sia devoto alla memoria di Sciascia.
Giustamente annota, ad esempio, che il teatro di Racalmuto fu inaugurato il 9.11.1880, come dire quattro anni dopo la defenestrazione dei matrona per un duello mancato. L’avversato Messana comprova che nel 1874, in pieno regime di don Gasparino, 32 erano i racalmutesi “aderenti alla mafia” secondo la segnalazione del delagato di P.S. Annibale Macaluso (cfr. appendice XVII, pag. 493). Il sottotenente comandante la sezione dei carabinieri di Racalmuto, G. Bianchi, ha un concetto tutto personale, ottocentesco, della legge se scrive: «l’attuale sindaco di quel paese sig. Matrona Cav. Gaspare è l’unico cittadino capace di mantenere obbedienti alle Leggi dello Stato una massa di uomini oltremodo ignorante e proclivi a qualunque reato».  Oggi - molto più civilmente - quel sindaco finirebbe nelle grinfie dell’Antimafia, proprio quella che Sciascia non amò tanto. 


Archivio  Centrale di Stato  - Roma - "Commissione Parlamentare d'inchiesta - 1875-76"

«Vi è una lettera di Nalbone Francesco di Racalmuto - rimessa al Prefetto di Girgenti e quindi non figutante agli atti - contro il Sindaco di Racalmuto - cfr. Fascicolo 5 - sf. 3 lettera N - n. 1»

«Fascicolo 11 sott. 8 - 
[V. acclusa fotocopia]
[Cfr. Fascicolo 66 per la trascrizione del resoconto stenografico]




[Archivio Centrale dello Stato - Giunta per l'inchiesta sulle condizioni sociali ed economiche della Sicilia 1875, SCATOLA 7 FASCICOLO 5 - sf. 2 LETTERA  "A" n. 15]

da Racalmuto, 20 dicembre 1875 (anonimo)
«Illustrissimi Signori Onorevoli 
Componenti la Commissione 
d'inchiesta parlamentare 
Canicattì

«Illustrissimi Signori, 
«Racalmuto, che in questi ultimi tempi dà lo spettacolo di un anormale stato, stava ansante appettando una visita delle Signorie loro ill.mi per dare una forma  di esistenza che fosse conforme a giustizia, alla riparazione ed alla concordia secondo le promesse potenti inaugurate dal nostro Augusto Sovrano .
«E però l'allarme si rincrudelisce nel venire a conoscenza che le loro Signorie hanno preso altra rotta, lasciando Racalmuto. S'addolora dippiù sentendo che ga chiamato una Commissione scelta dal seno d'un partito che vuole a forza imporsi con violenze, con prepotenze e con illegalità e ch'è in urto alle ispirazioni pubbliche. L'ultima cronaca del paese è bastante delineata dalla stampa, che per ultimo risultato pose al silenzio i nemici pubblici.
«Dei reclami si sono presentati alle Autorità superiori della Provincia, senza risultati. Signori Onorevoli! Racalmuto per più versi non è paese che merita essere abbandonato! ...E' perciò pubblica anzia [sic] di far sentire i proprii lamenti alla Commissione d'inchiesta Dalle Signorie loro bene rappresentata; e si è sicuri che si convincerebbero che sotto la vernice di un lusinghiero quadro, esistono piaghe cancerrose per Racalmuto che solo la loro sennata Autorità potrebbe sanare.
«Si chiede quindi che fossero chiamati cittadini di qualunque gradazione; meno  fratelli Matrona, Cammillo Picataggi, Alfonso Farrauto, Giuseppe Grillo Cavallaro, Carlo Lupi, fratelli Salvatore e Michiele Mantia, Arciprete, Michiele Alaimo, Gioachino Savatteri, ed impiegati tutti comunali, i quali hanno saputo collidersi e colludersi in più o in meno; e formano i gaudenti dell'azienda Comunale.
«Con ogni sicurezza allora le SS.LL.II. si potrebbero fare giusta es adequata [sic] immagine delle condizioni attuali lacrimevoli del paese, per promuoversi gli opportuni e giusti provvedimenti.
«Si spera giustizia. 
«Racalmuto 20 Dicembre 1875»

Nella "Rubricella" contenuta nella Scatola 7[Renato GRISPO- L'Archivio della Giunta per l'inchiesta sulle condizioni sociali ed economiche della Sicilia - Inventario - Cappelli Editore 1969 porta [5] - L'archivio usa questo testo per inventario, ma la numerazione non corrisponde alle scatole] e che riguarda le "petizioni", alla lettera  N risulta la seguente annotazione che ci porta se non all'autore, almeno all'ispiratore delle precedenti lettere non firmate: 
«                                                                N.ro ordine
«Nalbone Francesco                       1             "al prefetto di Girgenti"

e nell' «Elenco dei Reclami e petizioni» [Stessa scatola 7, stesso fascicolo 5, ma sottofascicolo 3, elenco ben diverso dalla Rubrucella p.c.] vine meglio precisato come così di seguito:
 1  Nalbone Francesco di Racalmuto       «Reclamo contro il Sindaco di Racalmuto»


* * * * * *  
Archivio di Stato di Agrigento
Da Inventario n. 32

Conto di Racalmuto del 1878 presentato da Nalbone Luigi.

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 Fascicolo n. 403 (Inventario n. 32)
 - Conti Racalmuto 1869-1887
«Conto entrata ed uscita per l'esercizio 1886.
reso dal Tesoriere Comunale Nalbone Giuseppe.»

- Anno 1885

reso dal Tesoriere Comunale Nalbone Giuseppe.
















[Archivio Centrale dello Stato - Roma - Ministero Interno - Pubblica Sicurezza (P.S.) - Busta 80 sf. C 1]
Archivio Centrale dello Stato - Roma - Ministero Interno - Pubblica Sicurezza (P.S.)1925 - Busta 80 sf. C 1]
Espresso del 30 luglio 1925.
«il 15 andante circa 120 operai della miniera di zolfo Terrana di racalmuto e Grotte si astennero dal lavoro pretendendo l'aumento del salario in seguito dell'avvenuto aumento del prezzo dello zolfo. Alle ore 9,30 dello stesso giorno operai predetti recaronsi quello scalo ferroviario assistere passaggio On. Farinacci, che fermatosi pochi minuti promise suo intervento favore operai stessi. Però giorno 20 successivo tutti zolfatai bacino minerario Racalmuto e Grotte, segno solidarietà e per analogo scopo si astennero pure lavoro. Di seguito laboriose trattative .... fu raggiunto accordo sulla base  ... dell'aumento del 10 % sui salari attuali a decorrere dal 1° Agosto p.v. ..»
Testo accordo:
«L'anno 1925 addì 28 luglio nell'Ufficio di P.S. di racalmuto alle ore 12.
 «Sono presenti i sigg: Comm. Angelo Nalbone esercente miniera Cozzotondo, Cav. Rosario Falzone esercente miniera Giona G. e P. Galleria, Mattina Salvatore di Gaetano in rappresentanza degli esercenti della miniera Giona-Salinella N.°3-6; il cav. Baldassare Terrana esercente della miniera Dammuso, il Cav. Vassallo Ernesto esercente miniera Quattrofinaiti  Vassallo, il sig. Ricottone Giuseppe fu Giuseppe in rappresentanza  per la  sua parte della miniera Gubellina  ... e dall'altra parte il sig. Lo Sardo Giuseppe fu Nicolònella qualità di presidente del locale Sindacato Fascista Zolfatai, Piazza Salvatore di Salvatore nella qualità di Vice Presidente, il sig. La Mastra Giuseppe di Nicolò nella qualità di Segretario, i sigg. Guastella Vincenzo fu Antonino, Taibi Salvatore fu Giovanni, Mattina Giuseppe di Nicolò, Bartolotta Michelangelo fu Raffaele, Arturo Gioacchino fu Gioacchino nella qualità di consiglieri di detto Sindacato, i quali per non prolungare uno stato di cose nocivo ai reciproci interessi e anche alla Economia Nazionale sono di pieno accordo addivenenti mercè l'opera del locale funzionario di P.S. con l'ausilio dell'Avv. Burruano Salvatore membro del Direttorio Provinciale fascista alle seguenti convenzioni da avere vigore in tutte le forme di legge a datare dal 1° Agosto 1925.
«Gli esercenti tenuto conto presente l'ultimo listino del Consorzio zolfifero siciliano n. 118 ove è segnato un aumento del prezzo di vendita in ragione di L. 5 a quintale, concedono alle maestranze, che accettano, un aumento del 10% sul prezzo base pagato sin oggi.
«Tale aumento unito ai precedenti aumenti dell'8 e del 6 per centosommano un totale del 24% sul prezzo base.
«[.......]
«I rappresentanti delle maestranze si impegnano a fare riprendere il lavoro a cominciare da domani 29 andante.»


Archivio Centrale dello Stato - Roma - Ministero Interno - Pubblica Sicurezza (P.S.)1932 - Busta 41 sf. C 1]


30.6.1932
«29 corrente Racalmuto - Nalbone Luigi proprietario esercente miniera Cozzotondo - per nota crisi industria zolfifera - ha sospeso estrazione minerale lasciando disoccupati 74 operai Racalmuto - Comandante Tenenza Ten. Lo Monaco.»


* * * * * * *

Da una lista a stampa dell'Archivio di Stato di Agrigento
«Lista della sezione elettorale di Racalmuto.
«N.ro d'ordine  - Elettori Cognomi e nomi - PATERNITA' - data nascita - titolo o qualità che gli
lista   lista                                                                                                                        conferisce il diritto   
com  politica                                                                                                                  elettorale commer-
mer   comuna                                                                                                                le
ciia    le
le     
--------------
181     316       - Nalbone Giuseppe      di Luigi     - 28 marzo 1857 - negoziante di zolfo. 
182     317       - Nalbone Angelo          di Luigi      - 2 giugno 1863
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Lillo Taverna Vendette meneghine, invidie meneghine, dispetti meneghini. Alla fine la Cassazione casserà tutto. " L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva" art. 27 della resuscitata vecchia contadina COSTITUZIONE ITALIANA.
(Nessun oggetto)
gio 03/05/2012, 23.03
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Circolo del MUTUO SOCCORSO di Racalmuto

Perché richiamo questo link socialcuturale sulla FRATELLANZA di Favara? per dire quekcosa di non stantio sull'attuole Circolo del Mutuo Soccorso di Racalmuto.
Il simpatico Pippo con qualche venatura di atavica arroganza crede di suggellare la veridica vicenda storica di questo sodalizio - ove vi fu iscritto mio padre credo per oltre settant'anni - con una ventina di righe battute con una vecchia Olivetti 24; bisluccicano le macchioline di lettere ribattute a correzione su altre lettere. Come chiosa finale ecco apoditticamente la senile affermazione che quelle patetiche venti righe sarebero "la vera storia del 'MUTUO SOCCORSO' di Racalmuto."
Più sapido fulminntee subdolo era stato Sciascia che nelle sue PARROCCHIE vorrebbe il circolo di mio padre nient'altro che una bisca:"i ricchi si trovano nel 'circolo del mutuo soccorso', una società operaia che è venuta trasformandosi, ora ci sono commercianti e industriali del sale ....i galantuomin giocano poco ... Nell'altro circolo invece, nel gioco della zecchinetta che ora i galantuomini disdegnano, corrono milioni."
Note queste che m hanno sempre indispettito. In quest'altro circolo vi sto scritto da mezo secolo e giammai vi ho giocato. Ma il sodalizio ex operaio non bada al sottile e una foto gigante dello scrittore paesano vi domina accanto a San Giusppe con la sua eterna lampada elettrica accesa e l'immagine coreografica di Garibaldi che si crede davvero essere stato in quel tubolento scorcio del 6 Agosto 1873 presidente 'operaio' a Racalmuto.
Noi ne abbiamo scritto su questo nostriìo affezionato circolo che da un secolo non ha nulla di assistenziale e che ebbe a cambiare veste e strati sociali in questo dpoguerra dopo l'infelice costrizione fascista allorchè dovette passare per le forche claudine del dopolavoro in camicia nera.
Non vogliamo, però, qui gigionare oltre a notra gloria letteraria. Ci è capitato in questi giorni di incombenze rievocative del Mutuo Soccorso di reimbatterci con la folta prosa di Eugenio Napoleone Messana. Con nostro scorno ci siamo accorti - tardivamente - che Genio è davvro pregevole nel rievocarne la cronaca.
Ve l'ammassiamo in masterizzazione qui sotto esspimendo il nostro sorpreso plauso.
Il Circolo all'origine fu invero più un luogo di rissa tra i due ceppi egemoni di Racalmuto, nessuno pregevole, e mi riferisco ai Matrona contrapposti ai Tulumello. Ma come puntigliosaente andava annotando il Delegato di P.S. Macaluso faceva da sponda alla "maffia" di Grotte che molto aveva d simile con la FRATELLANZA di Favara. Sfruttamento invero usuraio dei dissennati che scialacquavano i pochi risparmi familiari alla ricerca del nuovo oro giallo, qugli scisti solfiferi sotterra che più o meno sparsi si rinvevano in tutta la plaga a tramontana del paese.
Di tanto mi riservo trattare in altre occasioni.
Calogero Taverna
Fratellanza di Favara
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La Fratellanza di Favara era una cosca mafiosa operante a Favara, in provincia di Agrigento, e nelle zone limitrofe, che si pensa abbia operato fino al 1883.
Indice
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•1 Storia
•2 L'attenzione della stampa
•3 Note
•4 Voci correlate
Storia[modifica | modifica wikitesto]
Nel 1883, grazie all'opera del funzionario di polizia Ermanno Sangiorgi, vennero arrestate più di 200 persone nella zona di Favara per alcuni efferati omicidi compiuti da una misteriosa "setta" chiamata la "Fratellanza". Uno dei capi della "Fratellanza" venne arrestato nell'atto di affiliare due "fratelli" incappucciati e gli fu trovata una copia dei regolamenti dell'associazione. Ne seguì il ritrovamento di decine di scheletri di vittime della "Fratellanza" nascosti in luoghi isolati come grotte, pozzi prosciugati, zolfare dismesse e altre confessioni di alcuni affiliati consentirono il recupero di ulteriori varianti al regolamento della setta, nonché al suo organigramma[1]: uno o più capi-testa comandavano più capidecina, ognuno dei quali aveva sotto di sé non più di dieci affiliati; il rituale di iniziazione avveniva pungendo l'indice dei nuovi membri per poi tingere con il sangue un'immagine sacra, che veniva bruciata mentre l'iniziato recitava una formula di giuramento[2]: tale cerimonia di affiliazione era tipica delle cosche di Palermo, a cui numerosi membri della "Fratellanza" erano stati affiliati nel 1879, durante la prigionia con mafiosi palermitani nel carcere di Ustica[3].
L'attenzione della stampa[modifica | modifica wikitesto]
"Il Secolo", giornale di Milano, il 30 aprile 1883 parlava "della più alta espressione di criminalità organizzata", riferendosi appunto alla Fratellanza. Nel 1885 gli affiliati finirono tutti sotto processo ad Agrigento, ma molti negarono le loro confessioni, sostenendo che avevano confessato sotto tortura, ma alla fine furono tutti condannati ed incarcerati