Araldica racalmutese dopo i del
Carretto
Non è agevole far collimare quello che emerge dalla documentazione
Palagonia con quanto asserisce il Villabianca (che in ogni caso appare
minuziosamente informato).
L’arcigno marchese di Villabianca ha così infatti sunteggiato il
trambusto della successione della contea di Racalmuto dai del Carretto ai
Gaetani:
«estinti essi [del Carretto] in PALERMO colla morte dell'ultimo Principe GIUSEPPE del CARRETTO e LANZA,
passa[..] detta contea nelle mani della di lui vedova BRIGIDA SCHITTINI e GALLETTI, che jure crediti, delle sue doti
aggiudicossela investendosene a 10. Luglio 1716.
Se ne vede oggi investita sin dal
1747. del dì 16.Marzo la vivente Principessa di Palagonia GRAVINA Maria Gioachina GAETANI e BUGLIO, e C. di Ragalmuto, la di cui invest. per detto Stato cadde a 7.
Agosto 1735., e del titolo di essa a 12. Aprile 1736.»
Ma in altra parte della sua opera
, il
Villabianca è discorde con sé stesso:
Fu sua moglie[di Giuseppe del Carretto] BRIGIDA
SCHITTINI e GALLETTI figlia di Gio: Battista primo M. di S. ELIA, la quale per il credito della
sua dote avvalorato da una sentenza proferita dalla R. G. Corte nel 1711.
pigliò possesso di questo Stato, e insieme di questo Titolo a 10. luglio 1716.
Venendo essa a morte succedette in questi feudi sua sorella OLIVA SCHITTINI e GALLETTI maritata a
Giacomo P. Lanza, il di cui figlio
ANTONINO LANZA e SCHITTINI
se ne investì a 26. Agosto 1739. Questi vive attuale P. Ventimiglia, P. Lanza,
B. dello Stato di Calamigna, etc.. »
Ma abbiamo visto che il duca Gaetani era riuscito sin dal 1636 a divenire
conte di Racalmuto. Evidentemente il marchese di Villabianca non ne era ancora
a conoscenza quando scrisse sui Ventimiglia; lo era invece allorché pose mano
al volume sui del Carretto.
Più preciso ci pare il San Martino de Spucches - che pure fu un diligente
chiosatore del Villabianca - e noi ne riportiamo qui le pagine sui successori
dei del Carretto:
Brigida SCHITTINI GALLETTI,
prese investitura della Contea, Terra e Castello di Racalmuto, a 10 luglio
1716, per la morte di Girolamo del Carretto, suo suocero ed in forza di
rivendica delle sue doti riconosciuta con sentenza resa dal Tribunale della
Gran Corte (R. Cancell. IX Indiz. f.
98). Questa Dama morendo lasciò erede dei suoi beni Olivia, sua sorella, moglie
del P.pe Giacomo LANZA.
Lo Stato comprendente la Baronia,
Terra e Castello di Racalmuto, passò a Luigi
Gaetano, Duca di Valverde, che s'investì come aggiudicatario di essi beni. (R. Canc. X Ind., f. 75). A 12 aprile dell'anno 1736 s'investì
del titolo di conte Luigi Gaetano, duca di Val verde; egli successe come
nominatario di Paola MACALUSO; questa, a sua volta, l'aveva acquistato all'asta
pubblica da mani e potere di Brigida SCHITTINI e GALLETTI (R. Canc., XIV Ind.
f. 89).
Raffaela GAETANO BUGLIO, duchessa
di Valverde, come tutrice di Maria Gioacchina GAETANO e BUGLIO, s'investì del
titolo di Conte di Racalmuto, a 16 marzo 1747, per le causali come di contro
(Conserv. vol. 1177, Inve.re figlio 21)
Raffaela GAETANO e BUGLIO s'investì
della terra e castello di Racalmuto, a 16 marzo 1747, come tutrice di Maria
Gioacchina GAETANO E BUGLIO, Duchessa di Valverde e C.ssa di Racalmuto;
successe come donatrice di Aloisio GAETANO SALONIA, C.te di RACALMUTO, in forza
di atto in Not. Giuseppe Buttafuoco di Palermo li 17 marzo 1742; e ciò con
riserva di usufrutto a favore del donante, durante sua vita. Quale morte si
avverò in Palermo. il 30 ottobre 1743, come risulta da fede rilasciata dalla
Parrocchia di S. Nicolò la Kalsa (Conserv., vol. 1167 Investiture f. 19 retro).
E qui subentra in Racalmuto la potente famiglia dei Requisenz. Secondo il
San Martino de Spucches abbiamo: ……cfr.
consiglio d’egitto pp. 64 e segg.
Giuseppe Antonio REQUISENZ
di Napoli, P.pe di Pantelleria, s'investì, a 28 gennaio 1771, della Terra,
Castello e feudi di Racalmuto; successe in forze di sentenza pronunziata a suo
favore dal Tribunale del Concistoro e Giudici aggiunti, per voto segreto,
contro Maria Gioacchina GAETANO e BUGLIO, P.ssa di Palogonia, già c.ssa di
Racalmuto; quale sentenza porta la data 2 ottobre 1765 e fu pubblicata, in
esecuzione degli ordini del Re, da detto Tribunale li 20 giugno 1770 (Conserv.
Reg. Invest. 1172 [o 1772?], f. 143, retro).
[...] Detto P.pe Francesco a sua volta, fu figlio del P.pe Antonino
Requisenz e Morso e di Giuseppa del
CARRETTO. Questa Dama fu infine figlia del Conte di Racalmuto GIROLAMO di
cui è parola di sopra al n. 4. E' da questa discendenza che i signori REQUISENZ
reclamarono ed ottennero i beni tutti ereditari della famiglia del CARRETTO.
Giuseppe sposò BRANCIFORTE e BRANCIFORTE di Ercole, P.pe di Butera e della
P.ssa Caterina Branciforte Ventimiglia (ereditiera di Butera). (Dotali in Not.
Leonardo di Miceli da Palermo 8 febbraio 1744). [...]
Francesco REQUISENZ e BRANCIFORTE s'investì della contea e della terra di Racalmuto a 30 gennaio 1781;
successe iure proprio come figlio primogenito ed erede di Giuseppe Antonio
suddetto, morto intestato (Conserv. vol. 1175 f. 122). E' l'ultimo investito.
Sposò Marianna BONANNO BONOMI di Giuseppe, p.pe di Cattolica; matrimonio
celebrato in Palermo a 29 gennaro 1766.
Questo P.pe di Pantelleria e Conte
di Racalmuto, Francesco, ebbe tre maschi e cinque femmine.
a) GIUSEPPE ANTONIO primogenito, già conte di Buscemi, successo alla
morte del padre e morto senza figli in Palermo; la salma fu sepolta ai
Cappuccini;
b) MICHELE secondogenito che sposò, di anni 42, in Palermo, Stefania
GALLETTI, figlia di Nicolò GALLETTI LA GRUA, P.pe di Fiumesalato e di Eleonora
ONETO e GRAVINA (Sperlinga), già vedova di Luigi NASELLI ALLIATA, primogenito
di Baldassare, P.pe di Aragona. E ciò in Palermo nella parrocchia di S.
GIOVANNI dei TARTARI a 16 agosto 1814; morì senza figli in Palermo a 6 febbraio
1834.
c) EMANUELE terzogenito, che fu riconosciuto Cavaliere di Malta nel
1779 e fu Capitano nell'Esercito; successe a tutti i titoli di famiglia. Morì
in Palermo, a 25 marzo 1848, senza figli.
La primogenita delle femmine del
C.te Francesco si chiamò CATERINA. Ella
successe de iure in tutti i titoli paterni. Era nata il 5 febbraio 1770. Sposò
Antonio Giuseppe REGGIO, P.pe della Catena, già vedovo di Maria Teresa VANNI.
Questo secondo matrimonio si celebrò in Palermo nella parrocchia di S. Giacomo
la Marina a 22 marzo 1794. Fu il p.pe Tesoriere generale del regno; Superiore
della compagnia della Carità in Palermo; Gran Croce dell'ordine costantiniano.
Antonia REGGIO e REQUISENZ,
fu C.ssa di Racalmuto come figlia ed erede di Caterina, sua madre. Sposò questa
nel 1823 Leopoldo GRIFEO, figlio
ultimogenito di Benedetto Maria GRIFEO
del BOSCO, p.pe di Partanna e della
p.ssa Lucia MIGLIACCIO BORGIA, ereditiera Duchessa di Floridia. Era nato questi
a 17 agosto 1796; fu maggiordomo di Settimana e gentiluomo di Camera d'Entrata
nella corte di Napoli. Con sovrano decreto 11 ottobre 1823, il detto Leopoldo
fu insignito del titolo di conte. Morì il 1° agosto 1871. Da questo matrimonio
nacquero;
a) Benedetto GRIFEO REGGIO, primogenito;
b) il C.te Giuseppe GRIFEO REGGIO, morto celibe a Napoli;
c) la C.ssa Lucia GRIFEO REGGIO di cui parleremo in seguito, morta a Napoli a
27 gennaio 1890.
Benedetto GRIFEO REGGIO
fu, de jure, C.nte di Racalmuto alla morte di Antonia, sua madre; nacque nel
1824. Sposò Eleonora STATELLA e BERIO dei P.pi di Cassaro. Morì a Napoli
(Sezione di CHIAIA) li9 maggio 1884. Fu P.pe di Pantelleria, Conte di Buscemi,
ecc. ecc.
Leopoldo GRIFEO STATELLA
successe, de jure, nel titolo suddetto, per la morte di Benedetto, suo padre;
nacque li 3 giugno 1851; fu inoltre P.pe di Pantelleria, C.te di Buscemi. Sposò
Maria Francesca di LORENZO, da cui sono nate due figlie Eleonora primogenita e
Lucia secondogenita. Ebbe altresì questo conte una sorella chiamata Antonia
GRIFEO STATELLA che nacque li 3 luglio 1855; sposò li 4 febbraio 1886 il nobile
Alfonso TUFANELLI.
Francesco D'AYALA VALVA GRIFEO fu riconosciuto per rinnovazione con R. D. del 1900. Fu conte di
Racalmuto e nobile dei marchesi di Valva. Nacque primogenito a Napoli a 9
gennaio 1854, dalla Contessa Lucia
GRIFEO REGGIO (di cui sopra è parola al numero 15 lettera c) e da Matteo AYALA VALVA, figlio del marchese
Francesco Saverio. E' Cav. del Sacro Militare Ordine Gerosolomitano. Non ha
figli. Per i futuri chiamati vedi l'annesso albero genealogico. Matteo AYALA VALVA, nato in Taranto ai
30 Maggio 1818, dal marchese Francesco Saverio e dalla Marchesa Caterina dei
Duchi CAPECE PISCITELLI, prese la carriera militare e pervenne al grado di
colonnello di Cavalleria; sposò Lucia GRIFEO dei Principi di Partanna, morta ai
27 gennaio 1890. [...]
N.B. - Dati tratti da: La Storia dei Feudi e dei titoli nobiliari di Sicilia dell' Avv. Francesco SAN MARTINO de SPUCCHES - Vol.
VII - Palermo Suola Tip. "Boccone del Povero" 1929 - da quadro 783
"CONTE di RACALMUTO" pagg. 181-188.
* * *
Terraggio e
terraggiolo: atto finale
Presso la Matrice si conserva un Liber in quo adnotata reperiuntur nomina
plurimorum Sacerdotum. Al n.° 292 (col. 16) incontriamo questa dedica a D. Nicolò Figliola: «di Grotte, domiciliato in Racalmuto, eletto
nella causa del Terragiuolo, che gli antenati inutilmente tentarono nei
tribunali contro il Signor Conte.
«Nell’anno
1783 si cominciò la causa, e nel tempo dell’agitazione il predetto Figliola due
volte si trasferì in Napoli al R. Erario e riportò dal Sovrano, che il Conte
mostrasse il titolo dell’imposizione del terragiolo, che non poté provare, per
cui sotto li 30 luglio 1787, dopo quattro anni di causa dal Tribunale si era
designato il giorno di decisione, ma il Figliola nello stesso mese, se ne morì.
«Il
sudetto nel 1786 ottenne dal Re, che questa terra di Racalmuto si reluisse il
Mero e Misto Imperio, che di più di centinaia d’anni ne godeva il Conte. Morì
in corso di causa, con pianto e dolore universale, nell’infermeria dei RR.PP.
del Terz’Ordine di S. Francesco nel convento della Misericordia, in cui sta
sepolto il di lui cadavere, in Palermo. 14 luglio 1787 d’anni 38.»
Al n.° 297 (col.
17) tocca all’altro protagonista della vicenda: l’Arciprete D. Stefano Campanella, di cui si tesse questo encomio:
«Collegiale-Economo nel 1754-1755 in
Campofranco. Successore dell’Arciprete Antonio Scaglione, fatto il concorso
nella Corte Vescovile di Girgenti nel 1756 a 19 Febbraio sotto Mons. Lucchese Palli, approvato e raccomandato alla Santità
di Papa Benedetto XIV, da cui fu eletto Arciprete Parroco con bolla emanata da
Roma 16 giugno 1756 ed in Palermo esecutoriata 8 Agosto 1756 confirmata dal
Vescovo di Girgenti 14 Agosto e l’indomani, 15, prese possesso.
«Da principio curò il ristoramento delle
Fabbriche della Chiesa. Nel 1760 fece la presente ampia Sacristia, nel 1767
compì il cappellone grande. Nel 1776 si perfezionò con stucchi ed oro fino, si
fecero i due campanili ed arricchì la chiesa di arredi sacri nel 1783.
«Egli con altri primari del paese
incominciarono a proprie spese la causa per il Terragiolo nel Tribunale di
Palermo e dopo quattro anni di
strepitosa lite dal Tribunale rotondamente si determinò a 28 Settembre 1787.
“Jesus= Jus Terragii, et Terragiolii tam intra, quam extra territorium
declaratur non deberi.”
«Finalmente nel 1787 in Favara fu Visitatore
eletto dalla Corte Vescovile di Girgenti per quel Collegio di Maria. Morì
compianto da tutti il 26 Aprile 1789 d’anni 60, mesi otto, giorni 2 - e di
Arcipretura anni 32, mesi 8 giorni 7.
«Fu ancora Vicario di questo Monastero,
Delegato dalla Regia Monarchia etc.»
La vicenda del terraggio e del terraggiolo è stata oggetto di nostre apposite ricerche, che, solo di recente per il ritrovamento di importanti documenti da
parte del prof. Giuseppe Nalbone, abbiamo potuto approfondire: crediamo di
essere riusciti almeno in parte nell’opera di ripulitura di tante incrostazioni
ideologiche degli storici nostrani.
Di rilievo, alcune
carte della Real Segreteria del 1785 che palesano una settecentesca
controversia clerical-sociale nella nostra Racalmuto.
La politica
antibaronale del Caracciolo è fin troppo nota per sorprenderci dell’andamento
della controversia feudale di Racalmuto.
Non siamo
partigiani certamente del Principe di Lampedusa, né del sacerdote locale, don
Giuseppe Savatteri, che gli teneva bordone. Ma al di là dei meriti dei
sacerdoti Figliola e Campanella, prima rievocati, fu quella del 28 settembre
1787 una sentenza politica, giuridicamente azzardata, storicamente falsa.
Era di sicuro un
grande araldista il Requisenz per lasciarsi abbindolare dai legulei di
Racalmuto. Avrà esibito i bei diplomi del 500 e del 600, tutti a suo vantaggio,
ma contro il Caracciolo naufragò.
Al di là
dell’aspetto sociale, che ci vede
dall’altra parte della barricata, siamo portati, per amore della storia locale, a credere che
il burbanzoso principe di Pantelleria avesse ragione e l’illuminista Caracciolo
sbagliasse.
Resta ancora poco
chiaro come venissero corrisposti i pesi feudali ai del Carretto, se in natura
(come i termini “terraggio” e “terraggiolo” fanno pensare) o in contanti (come
tanti atti dell’epoca lasciano intendere) o in forma mista.
Abbiamo notato
sopra le varie controversie dei Gaetani sul terraggio e sul terraggiolo. I
tribunali gli avevano dato, tutto sommato, ragione, ma erano altri tempi. Ora,
alla fine del Settecento la musica è ben altra. Ne fa le spese il buon nome del
sac. Savatteri, vilipeso imperituramente da Sciascia.
Bello, elegante, colto,
raffinato, ricco, sprezzante - quanto casto non è dato sapere - questo prete
svetta sia nelle vicende della famiglia sia in quelle della locale storia.
Leonardo Sciascia, avvalendosi di dati di seconda mano, tenta di infilzarlo, ma
commette una delle sue solite manipolazioni storiche per prevenzioni
ideologiche. Il sac. Giuseppe Savatteri ha coraggio, cultura e intraprendenza
tali da osare un’impari contrapposizione con il suo potente (e dispotico)
vescovo agrigentino. Entra nell’intricata storia del beneficio del Crocifisso.
Quando, il Tinebra Martorana -
un famiglio della discutibile consorteria dei Tulumello - si accinge, nel 1897,
a scrivere la storia del paese, non gli sembra vero di dilatare il senso di un
documento giudiziario - che invece di venire custodito negli archivi del
Comune, sta fra le carte private del barone Tulumello - per dileggiare un
Savatteri, la famiglia ostile ai suoi protettori, che fra l’altro lo facevano
studiare da medico a spese dell’Amministrazione comunale.
Quello sui cui il Tinebra trama è il carteggio
del Caracciolo su cui abbiamo già detto. Ripetiamo quello che riguarda il
nostro sacerdote:
«17. La Gran Corte dia le pronte provvidenze
di giustizia, onde li cittadini non soffrano aggravij - A febbraio p.p. in die
16 - Li naturali della terra di Racalmuto, sentendosi molto gravati di questo
esattore ed amministratore Prete d. Giuseppe Savatteri nell’esigenza del
terragiolo dentro e fuori di questo stato, quanto nell’avere agumentato la
Baglìa a tutti li poveri giornalieri, formando una Cascia o Statica come anche
esatte a forza di prepotenze pignorando sin anco gli utensili delle loro moglie
e pratticando molte estorsioni.
«Pregano l’E.V. di ordinare il conveniente
per non vedersi pur troppo soverchiati.»
Al Tinebra Martorana mancano
competenza e penna per fronteggiare la complessa vicenda della lotta al
baronaggio siciliano da parte del discutibile Caracciolo (l’agiografica visione
dei laici del Settecento e del postumo Sciascia lascia oggi il tempo che
trova). Il Tinebra, dunque, compatta scarne e disparate “notizie storiche” in
un capitoletto sul Settecento e velenosamente rubrica (pag. 184): «1785 -
Soprusi praticati dal sac. Giuseppe Savatteri, arrendatore di Racalmuto, verso
i poverelli.» Non parve vero a Leonardo Sciascia di rigonfiare quell’appunto
per una delle sue solite tiritere anticlericali. Nessuna ricerca storica, da parte sua; nessun
approfondimento; nessuno spunto critico. Scrive dunque lo Sciascia :
«Ecco il rapporto di un altro
funzionario al Tribunale della Real Corte sui “soprusi praticati dal sacerdote
Giuseppe Savatteri, verso i poverelli”» e giù, senza analisi critica, il testo
di un’evidente lettera anonima, che crediamo essere dovuta alla penna del
malevolo arciprete Campanella, o peggio del sac. Busuito, contro cui il Savatteri
aveva affilato le armi per l’usurpazione del beneficio del Crocifisso.
Prosegue Sciascia: «Il bello è
che dopo questo rapporto il Tribunale della Real Corte ordinava al giudice
criminale di Regalpetra [alias Racalmuto] “di far restituire ai borgesi tutti
gli oggetti che il sacerdote Savatteri aveva ad essi pignorati”, forse i
lettori non lo crederanno ma la cosa è andata davvero così”.» Con buona pace di
Sciascia, a noi pare che le cose erano molto più complesse e coinvolgono la
politica dei re Borboni di Napoli, che è quanto dire.
D. Giuseppe Savatteri e Brutto
morì nella peste del 1802; il Liber annota: n.° 312, c. 19, D. Giuseppe
Savatteri e Brutto, 27 februarii 1802 d’anni 47. Il vescovo non lo aveva voluto
come beneficiale della Communia. Il Savatteri faceva però parte della
neo-confraternita della Mastranza. Non pare molto diligente nell’annotare le
messe che era tenuto a celebrare per i confrati defunti: subisce delle
sanzioni. Così risulta annotato in registri della confraternita.
Sciascia è benevolo verso i principi di Sant’Elia.
Leggiamolo assieme: «Con lui [Girolamo IV, ma rectius III] si estingueva la
famiglia, l’investitura passava ai marchesi di Sant’Elia, ancor oggi i borgesi
di Regalpetra pagano il censo agli eredi dei Sant’Elia: ma certo che fu grande
riforma quella che i Sant’Elia fecero centocinquanta anni addietro, divisero il
feudo in lotti, stabilirono un censo non gravoso, la piccola proprietà nacque,
litigiosa e feroce; una lite per confini o trazzere fa presto a passare dal
perito catastale a quello balistico, i borgesi hanno fame di terra come di
pane, ciascuno tenta di mangiare la terra del vicino ...»
A parte
la bellezza della trasfigurazione letteraria, si resta perplessi. Sotto il profilo
storico, non sappiamo dove abbia preso Sciascia quelle notizie sui Sant’Elia. A
noi risultano fatti, intenti e liti ben diversi da quelli sottesi nella pagina
sciasciana. Ad addentrarsi in tali meandri, il discorso porta lontano, ben
lontano dalla vicenda feudale racalmutese. Ed in questa sede c’interessa solo
il declino del baronaggio in Racalmuto. Riforma borbonica e rivoluzione
francese estinsero quell’istituto. I Sant’Elia ne furono, a loro modo, vittime.
Divennero semplici proprietari “allodiali” di terre già in enfiteusi perpetua,
sminuzzate tra tanti ex vassalli racalmutesi. Gliene venne il magro censo che
ancora all’epoca in cui Sciascia scriveva si pagava, svilito ormai per le tante
selvagge svalutazioni monetarie, non certo per bontà d’animo di quei signori.
Le loro memorie giacciono negli archivi dei tribunali e quando verranno
riesumate suoneranno condanna per quegli ultimi virgulti della decrepita
società feudale siciliana.
APPENDICE
PRIMA
FATTI
E MISFATTI, FACCENDE E VICENDE RACALMUTESI
Il 1622 fu anno
fatale per Racalmuto: sarà vero, non sarà vero, fatto sta che il pressoché
impubere Girolamo del Carretto vi rimise la pelle. Per malattia, come noi
pensiamo, per mano mano omicida di un servo, come tutto Racalmuto ha voglia di
credere, poco importa. La peste è alle porte: Marco Antonio Alaimo a Palermo si
diletta di letteratura latina e trasforma gli antichi saggi romani in maestri
incommensurabili di medicina. Beatrice del Carretto, giovane vedova e bella
ereditiera, forse tresca con il cognato arciprete, figlio illegittimo
dell’irrequieto Giovanni Del Carretto.
Il polo soffre e
tace: ma qualche tratto di penna cade nei registri della Curia Vescovile, a
discreta memoria futura. Cataldo Morreale è racalumtese ma chissà perché langue
nelle carceri (pare, personali) di tal Raffaele Gnandardone; e così Paolo La
Licata, figlio di Pietro. Il vescovo viene a saperlo; se ne intenerisce (forse
per denaro) e ne dispone “gli arresti domiciliari”. Ecco quel che oggi possiamo
leggere nei sotterranei della Curia Vescovile di Agrigento:
REGISTRI
1622 et 1623
f. 181
Eodem
( die 21 9bris VI ind. 1622)
Pro Cataldo Monreale Terrae Racalmuti ad
presens carcerato in domo Raffaelis Gnandardone, et Paolo la Licata Petri
terrae praedictae ad presens carcerato in Castro ..
ANNOTATO provvisus et mandatum ... quod isti
Cataldus Monreale et Paulus La Licata habeant facultatem et licentiam non
obstante clausola contenta in prox.a accedendi ad terram Racalmutiibique
commorandi per dies quatuor a crastina die numerandos trium et dumtaxat .. \
La giustizia
curiale agrigentina era, diciamolo pure,
compiacente con gli ottimati racalmutesi. E Laura Barba poteva allora
vantare accondiscendenze episcopali, atte ad avere il sopravvento su Martino
Curto, che non era poi l’ultimo venuto, anche se qualche vezzo usuraio dovette
averlo. Una Laura Barba ubbidiente al marito fino all’autodistruzione della
propria cospicua dote, non ci pare del tutto sincera. Non vuol essere spergiura
e con palese menzogna si prostra al Vescovo per intenerirlo e farsi assolvere
dai giuramenti (in campo economico) profusi in azzardate operazioni
finanziarie. Il Vescovo ha voglia di
crederle: noi, francamente, no. Al nostro paziente (eventuale) lettore lasciamo
il destro di credere a chi voglia.
Die 26 novembre 1622
(f. 188)
Nos
Dilecte nobis in Xristo Laurie relictae quondam Antonini Barba Terrae Racalmuti
agrigentinae doecesis salutem . Fuit nobis ex parte tua supplicatum .. ut nos
provisum sub forma sequente Videlicet.
... Laurea relicta dello quondam Antonino Barba della terra di Racalmuto
espone a V. S. Ill.ma che non potendo resistere essa esponente alla violenza et
timore di detto suo marito fu costretta in tempo di sua vita tantum per vim et
metus concussam quantum reverentia maritali obligarsi quantum debitoris di
detto suo marito con gravissima et enormissima lesione con prejudizio della sua
dote, sicome si obbligao contra sua voglia in solidum con dicto suo marito ...
di onze 1. 15 di rendita dovuti et da pagarsi ogni anno a Martino Curto. In virtù
di questa subjugatione fatti nelli atti di notaro Simuni Arnuni di Racalmuto
… et anco detto suo marito la fece
obligarsi ad una venditione di certi casalini venduti a D. Giuseppe Sanfilippo.
In virtù di questo fatto all'atti di notar Natali Castrogiovanni die 20
octobris XV Ind. 1616 et più la feci obligari sicome lo obligao in una
permutatione, et cambio di una vigna di detto suo marito con una vigna di
Angilo ...... per la quale permutatione essa esponenti si acollao pagare in
solidum con suo marito o. 1 ogni anno allo Convento di S. Maria di Gesù di
Racalmuto. In virtù di questo fatto nelli atti di notaro Simuni Arnuni di
Racalmuto et similmente la fece intervenire et obligare a certi terraggi dovuti
a Fabricio di Trapani. In virtù di questo fatto nelli atti di notarr Natali
Castro Gio: dicti et anco in uno altro
contratto debitore di onze 40 dovuti ad Angelo Duno (?) In virtù di ... li
quali obligationi benche de jure siano nulli et nullissimi tutta volta a maggior
cautela pretende detti atti far dichiarare invalidi et nulli et rescindere et obstandoli li giuramenti prestati et
contenuti in detti contratti li quali non devono esser vinculo di iniquita per
tanto non resultandoli tanto grave preiudicio
et interesse di sua dote della quale non può ne deve restare indotata de
iure. Supplica perciò V. S. Ill.ma resti servita ordinazione che sia absoluta
da tutti et singuli iuramenti in genere et in specie facultate et expresse
presbiti et presentem ab illo iuramento
petendo absolutionem et ea obtenta non
... ad effectum agendi et
concederli ditta absolutione . In forma ... Agrigenti die 8 novembre VI ind.
1622. Ex parte fuit provisus et .. quoad
absolvatur ab omnibus et singulis iuramentis in genere et specie presbiteris ad
effectum agendi tunc et dumtaxat ....
Non erano tempi
quelli in cui i Curto riuscivano ad intessere buoni rapporti con il vescovo di
Agrigento. Una condanna in contumacia se la becca Antonino Curto fu Bartolo. Il
vescovo dà incarico al locale Vicario per l’esecuzione dell’episcopale
afflizione.
(f. 191) die 29 novembris 1622
Contumacia Antonini Curto quondam Bartholi
terrae Racalmuti et tali fermiter huius
episcopi ... agrigentinae diocesis directa R.do Vicario d.ae Terrae
Di casa sul colle vescovile era ovviamente il chierico,
già ricco, famoso e felicemente sposato. Ha voglia di andare in giro in abito
clericale. Fa voti al vescovo ed il vescovo è ben felice di esaudire il mistico
desiderio del pittore racalmutese.
Die 29 dicembre 1622
(f. 213)
Nos dilecto in X.sto filio Cle: Petro
d'Asaro terrae Racalmuti. quia ex parte tua fuit nobis suplicatum ut tibi
observaternales (') litteras ... licentia abitum clericalem insumendi ac
gerendi expositis concedere digneremeur ideo fuit per nos ad relaciones .....
in dorso memorialis ebibis quod fiant ... in forma ut sequitur ..
Bonincontro ... filio Petro de asaro
d.ae terrae Racalmuti salutem ... ex
parte tua fuerit nobis .. expositum quod cum fueris
Il 5 febbraio
1621 s’erge già imponente l’attuale Matrice intitolata a Santa Maria dell’Annunziata:
certo non era ancora il tempio a tre navate che oggi contraddistingue Racalmuto
e quella strana svolta del corso principale che gli ottocenteschi massoni
racalmutesi hanno voluto dedicare all’eretico ed ostile Garibaldi. Ma non era
più l’ecclesiola degli anni ’40 del 500. Vi officiava anche don Santo d’Agrò, e
se pur accarezzava il sogno (lugubre) di farsi seppellire sotto il primo altare
della navata laterale, non si può dire che avesse tutti quegli alumbiamenti che
dopo gli appioppò, infondatamente, Leonardo Sciascia. Vicino c’era già un
altare che veniva servito dai confrati di S. Giuseppe. E sotto la detta data
del 5 febbraio 1621, quel sodalizio (confraternita senza dubbio della buona
morte) ottiene dal dottor don Gabriele Salerno (U.I.d. e vicario generale)
tanto di bolla episcopale che avrà reso felice il Governatore (della religiosa
confraternita, s’intende) Francesco lo Brutto ed i notabili (i confrati
“officiali”) Jacobo Grillo, Benedetto Troyano, Girlando Gueli e Vincenzo
Macaluso. «Cupientes – scandisce oltremodo solennemente, il Salerno –
vobis [concediamo] licentias et
facultates .. fundandi ac oratorium costruendi sub titulo S. Joseph, sacchos et
mantellos apportandi et deferendi in processionibus et exercitia spiritualia
exercendi in dicta ecclesia S. Mariae Annunciatae in cappella S. Joseph …» Saremmo stati veramente curiosi di vedere
questi nostri secenteschi antenati, tristi e compunti, nelle sacre processioni
e goderci lo spettacolo di codesti allucinati figuri nei loro lunghi “sacchi” e
con quelle azolate mantelline, mistificante sagra di un contristato rito
religioso con attori poco sinceri, reduci forse da orge vinaiole consumate
nelle tante “putie di vino” nei bassi del Castello o negli anfratti di Zia
Betta.
Chi davvero
fosse Pietro d’Asaro, se un pittore, o un appaltante o un banchiere camuffato
da chierico, non si sa. Se in un primo tempo, Sciascia lo voleva famiglio del
Sant’Ufficio, dopo lo scrittore si ricredette e lasciò padre Alessi
nell’imbarazzo della scelta, scrivendogli che degli antichi ricordi gli era
rimasto un segno tanto sbiadito da non ricordare, tutto sommato, più nulla.
Certo, Pietro d’Asaro un gruzzoletto se l’era fatto, ed anche se proveniente da
famiglia non poverissima (è dubbio se fosse di antica origine racalmutese) un
bel salto nella scala dei valori sociali il pittore, cieco di un occhio,
l’aveva bellamente compiuto. Ecco un suo “rilevo”:
389 - Rivelo che
il Cl. Don Pietro d'Asaro, clerico coniugato di questa terra di Racalmuto
presenta con giuramento nell'officio del signor D. Giacomo Agliata capitano
d'arme del Regno nella nuova numerazione delle anime, e facultà in virtù di
bando d'ordine di d. sig. cap.no d'arme in detta terra a 25 novembre Va ind.
1636 [cfr. Maria Pia Demma: Percorso biografico ed artistico, in Pietro d'Asaro
«il Monocolo di Racalmuto» - Racalmuto 1985, p. 23 e pag 30 - "Archivio di
Stato di Palermo - Tribunale del Real Patrimonio, Riveli del Comune di
Racalmuto, anno 1637, vol. 607, f. 389 r.]
Anime
m Cl. d.
Pietro d'Asaro c. di casa d'anni cinquantasette
o Vincenza
moglie
m. Michel
Angilo d'anni dodici
m.
Gio:battista d'anni quattordici
o. Rosalea
o. Dorothea
o. Ninfa figli
o. Gioanna
madre
m. e. Giuseppe
di Beneditto d'anni diecidotto discepolo
m. Angilo Lo
Sardo garzone d'anni dodici
o. Caterina e
o. Natala
zitelle
Beni
stabili
Una casa in
otto corpi solerati e terrani in questa terra, quartieri di S. Giuliano
confinante con la Casa di Pietro di Giuliana e via publica dove habita, quale
un anno per l'altro franca di conti si potria locare onze quattro che à 7 per
100 il capitale di cinquantasette e quattro........................ 57. 4
Una casa
terrana in un corpo di detta terra,
quartieri predetto,confinante con la casa di Pietro di Giuliana e via
pubblica, quale un anno per l'altro
franca di conti l'hà soluto e suole locare tarì quindici che à 7 per
cento. il capitale onze 7 e tarì
quattro............................................. 7. 4
Altra casa
terrana in tre corpi in detto quartieri confinante con la casa di Giovanni Lo
Sardo quale un anno per l'altro franca di conti l'ha soluto e suole locare onza
una e tarì 12 che à 7 per 100 il
capitale onze 21 e tarì 12 ..........................21.12
Una vigna di
cinque migliara nella contrada del Serrone territorio di questa predetta terra
confinante con la vigna di Giacomo Xibetta e vigna di Francesco di Laurenzo,
della quale un anno per l'altro ricava botti quattro di musto che ragionato ad
onze 2.18. la botte importa onze diece e tarì dodici delli quali deduttine onze
sette per tutti conti a ragione di onze 1.12. per migliaro restano onze tre e
tarì dodici che à 7 per cento. il capitale onze quarantotto e tarì sei
.....................................48.6
[390]
Terra
lavorativa salme due con migliara sei di pianta infruttifera dentro nella
contrata della Montagna territorio predetto confinante con la Chiusa di Stefano
d'Agrò, e chiusa di Giuseppe Casuccio quale ragionata ad onze 2.20. la salma
importa onze cinque e tarì diece che à 7 per 100 il capitale
settantasei e tarì
cinque..............................................76.5
e più terra
lavorativa salma una nella contrada di Garamoli territorio predetto confinante
con la terra di Salvatore d'Acquista e con la Chiusa di Giuseppe Ferraro, quale
ragionata come sopra importa onze due etarì venti che à sette per cento il
capitale onze trentotto e tarì due ........................38.2
Rendite
Dà Mario
Morreale di questa predetta terra onze tre e tarì quindici iure sub.nis s.a una
sua vigna e chiusa nella contrata di la fico territorio di detta terra che à 10
per 100 il capitale onze trentacinque
.........................................35.
Dalle
infradette persone di d.a terra onze due e tarì quindici sopra l'infrascritti
loro beni in detta terra e suo territorio iure subiug.nis cioè onze 1.2 da
Francesco la Matina sopra una sua vigna
e chiusa et tt. 28 da Maria Macaluso rel. del q.m Vincenzo sopra una sua chiusa
e tt. 15 dà Pietro Sferlazza Marramao, su una sua vigna che à 10 per 100 il capitale onze venticinque................................................25.
--------------
onze [/'] 308.3
====================
Beni
mobili
Prezzo di
detta pianta infuttifera importa onze trenta ...30
Una giumenta
di sella di pelo baio di prezzo onze 8 ...... 8
frumento
seminativo dentro la suddetta prima chiusa
tt.na
[tummina] dudici che ragionata ad onze 4.26 la
salma importa
onze tre e tarì venti........................3.20
--------
41.20
=========
Gravezze
stabili
Paga ogni anno
s.a tutti li suoi suddetti beni onze sei e tarì sei iure prop.tis all'Ill.mo
conte di detta terra che à 7 per cento il capitale onze ottantasette e tarì due
...................87.2
e più paga
sopra detti beni iure subiug.nis cioè onze 1.18 alla Cappella della SS.ma
Nunziata tt.24 alla Cappella del SS.mo Sacramento e tt. 18 alla Compagnia del
Suffraggio che a 10 per 100
[391]
il capitale
importa onze trenta.........................30.
-------
onze 117.2
===============
Gravezze
mobili
Deve onze
ducento a Leonora d'Asaro di detta terra re: dal q.m Bartholo d'Asaro per causa
et compenso delle sue doti assegnatele per testamento di d.o q.m Bartholo in
notaio Simone d'Arnone di detta terra di
onze....................................200
===============
Ristretto
Maschi
d'età 1
d'altri 4
femine 7
_____
anime 12
======
Giumente di S.
.....1
Beni stabili
.........308.03
Beni
mobili........... 41.20
----------- 349.23
gravezze
stabili......117.2.
gravezze
mobili.......200
----------- 317.2.
----------
liq. onze 32.21.
===========
(Trombino)
Terra
Racalmuti die 14 dicembris V ind. 1636
A) Le chiese di Racalmuto nella
ricognizione dei visitatori regi.
Mi diffondo sull’argomento perché indottovi da alcuni
documenti trovati presso l’Archivio Centrale dello Stato di Roma sui poteri
inquisitori della Monarchia della Sicilia sullo stato delle chiese. Basilare,
in ordine al diritto ecclesiastico di Sicilia, appare la visita di Mons. De
Ciocchis che si svolse tra il 4 maggio
1741 (data iniziale dell’incarico ricevuto da Carlo III a Portici) e il 27
giugno 1743. Il De Ciocchis fu un visitatore molto diligente, sino forse alla
pignoleria. Le risultanze di quella visita devono trovarsi a Palermo, ma non
posso escludere che in gran parte siano finite a Napoli, presso la corte
borbonica. Molti suoi provvedimenti saranno stati raccolti in processi lasciati
presso le varie curie vescovile. Mi pare che il prof. Manduca abbia trovato
qualcosa ad Agrigento, tra i documenti dell’Archivio Vescovile. Ma è certo che,
data l’importanza delle varie disposizioni del De Ciocchis - considerate valide
sino all’unità d’Italia -, si è proceduto nel 1836 alla pubblicazione in due
volumi del materiale di quel visitatore regio. Nel primo volume dedicato alla
Valle di Mazara, alle pagine pp. 235-372, si parla della diocesi di
Agrigento. Là, di certo, v’è molto
materiale sulle chiese di Racalmuto. Per le tue ricerche vi possono essere
spunti preziosi. L’opera s’intitola: DE CIOCCHIS, GIOVANNI ANGELO: SACRAE REGIAE VISITATIONIS PER SICILIAM ACTA DECRETAQUE OMNIA, Palermo 1836, Diari
Letterarii .
L’opera è praticamente introvabile fuori della Sicilia. Riscontro in una
pubblicazione specializzata “CLIO” che una copia trovasi presso la Biblioteca
Universitaria di Messina. Ma qualche copia deve pure essere disponibile in
Palermo. Guarda, dunque, un po' se puoi procurarti le fotocopie almeno delle
pagine che riguardano Racalmuto.
Per le vicende di Santa Rosalia, andrebbero consultate le visite dei
predecessori del De Ciocchis. Secondo quel che ne leggo in un importante libro
del 1846 (GALLO AVV. ANDREA CODICE
ECCLESIASTICO SICOLO - PALERMO DALLA STAMPERIA CARINI - 1846 VOL. 1 E 2 - )
essi sarebbero:
- Pietro Pujades
«Si elegge un visitatore di tutte le Chiese di Sicilia, al quale si
conferisce la potestà di far decreti relativi al culto divino.
L'imperatore Carlo V re di Sicilia - A Pietro Pujades Ab. del Monistero di Noara dell'Ordine di S.
Bernardo. Bruxelles 22 dicembre V Ind. 1516 apud Di Chiara de regio Sacram.
Visit. per Sicil. jure; Mantis. monument. num. III, pag. 5».
- D. Nicolò Daneo
«Si elegge altro Visitatore di tutte le chiese regie di Val di Mazara e
di Valdemone, con gli incarichi come sopra. M. Antonio Colonna Vicerè di
Sicilia.
Nel nome del re al rev. D. Nicolò
Daneo ab. di s. Maria di Terrana, Palermo 19 maggio VII ind. 1579 apud cit. Di
Chiara n. VI pag. 10 (pag. 135)
DIPLOMA CCXXI
... vi eligemo, deputamo, e nominamo visitatore, e commissario generale
delle Prelazie, Abbatie, Commende, Priorati, ed altri beneficii del jus
patronato regio, i quali siano fondati nelle Valli di Mazzara, e Demini, et
anche etc. .. e delli loro membri, pertinentie, grancie, acciocché abbiate a
provvedere ...
Datum Panormi die 19 Maii 7
ind. 1579»
- D. Lupo del Campo
«Si nomina un visitatore delle chiese di regio patronato, per la
reintegrazione dei beni usurpati ed alienati in danno di dette chiese, al quale
si conferiscono pieni poteri.
Filippo II re di Sicilia.
A Lupo del Campo. Madrid 24
febbraio 1588. apud. Cit. Di Chiara n. VII pag. 12.
DIPLOMA CCXXII
... tibi dicto Doctori D. Lupo del
Campo commictimus, praecipimus, et mandamus etc. ....
Datum Matriti die 24 mensis februarii anno a nativitate Domini 1588 - YO EL REY».
Ma stando agli studi di Virgilio Titone (Origini della Questione
Meridionale - Riveli e Platee del Regno di Sicilia - Milano 1961, pag. 56)
abbiamo un elenco completo di codesti Visitatori Regii (ad eccezione invero di
d. Lupo del Campo di cui sopra, anno 1588).
Il Titone a pag. 56 dice sul Puyades: «Le sacre visitazioni di cui
abbiamo memoria, hanno inizio quasi nello stesso tempo dei riveli. La prima
sembra essere stata quella di Pietro Puyades, abate di Nohara, negli anni 1511,
1514, 1516, e parecchie se ne ebbero nel corso di quel secolo.. Ma dal 1580 al
1743 se ne ricordano solo due, l’una fatta nel 1603, l’altra iniziata, ma non
compiuta, nel 1683.»
Il Titone ci indica anche dove si trovano gli atti a Palermo. Aggiungo, da parte mia, solo che ho riscontrato nella “GUIDA GENERALE
DEGLI ARCHIVI DI STATO ITALIANO” 1986 - N - R nella parte riguardante Palermo a
pag. 303 la seguente voce che ci conduce agli atti di quelle visite:
CONSERVATORIA di REGISTRO. Al suo interno, trovo: <VISITE
ECCLESIASTICHE>. Queste ultime contengono sicuramente i documenti del Vento
(1542, n. 1305-07); dell’Arnedo, anno 1552, nn.° 1308-10; del Manriquez, anno 1576, n.° 1314-17; dell’Afflitto,
anno 1579, nn.° 1310 e 1319; del Daneo, anno 1579, nn.° 2015-16; del Pozzo,
anno 1580, nn.° 1326-29; dello Iordio, anno 1603, nn.° 1330-34; di Fortezza e
Manriquez, anno 1683, nn.° 1337-39.
Il Titone non dà estremi d’archivio per il Puyades perché la sua visita è
antecedente alla raccolta di Palermo che come si è visto parte dal 1542.
Per il De Ciocchis, il Titone -
non so perché - si limita a citare soltanto il libro del 1836 (quello
per me introvabile qui a Roma).
b) la possibilità di reperire
alcuni documenti su Diego La Matina
La vicenda di fra Diego La Matina sta diventando una mia ossessione;
reputo la questione molto falsata da Leonardo Sciascia nel suo libro “Morte
dell’Inquisitore” per preconcetto anticlericalismo.
Sciascia scrive: «Volentieri ci daremmo al diavolo con una polisa, se in
cambio potessimo avere quel libro che fra Diego scrisse ”di sua mano con molti
spropositi ereticali, ma senza discorso e pieno di mille ignoranze...”». (pag.
219 dell’edizione Laterza 1982)
Quel libro - semmai fu scritto - difficilmente si troverà. Bruciato da
Caracciolo, forse, nel rogo del 27 giugno 1782 (
)
Forse qualche accenno alle eresie - se mai queste vi siano state - poteva
trovarsi in un manoscritto del Consultore del Santo Officio, il Matranga, tanto
citato e tanto bistrattato da Leonardo Sciascia. Consultando il Mongitore della
“Biblioteca Sicola”, la mia attenzione si è soffermata su questo passo: «Pre
parata reliquit haec opera, quae in Bibliotheca
S. Joseph Panormi servantur, nempè: «Fidei
Acropagum, in quo propositiones innumerae quas ferrea nostra aetas, aut
temerè vomit, aut callidè evulgandas protulit, subtilissime examinantur, et nota theologica incrementur;
plurimaeque reorum causae ad Tribunal S.
Inquisitionis spectantes referentur; Criminum qualitas, et circumstantiae
expendentur, deque iis judicium fertur». [vedi
Biblioteca op. cit. pag. 281 -
ove Girolamo Matranga viene segnato
come palermitano chierico regolare, nato nel 1605, che prese l’abito il
25.3.1620. Fu per 40 anni consultore del S. Ufficio, censore oculatissimo. Esaminatore
sinodale dell’arcivescovado di Palermo. Conosceva latino, greco ed ebraico.
Morì in Palermo il 28 agosto 1679 all’età di 73 anni.]
Mi ero chiesto se in quel FIDEI ACROPAGUM fossero riportate anche le tesi
che avrebbe sostenuto fra Diego La Matina
e quali contradeduzioni avesse addotto l’erudito Matranga. Sciascia, che
ha fatto (e per quel che mi risulta, ha fatto fare) indagini sul nostro frate
di Racalmuto, non accenna a questa opera
del Matranga. Resta da vedere che cosa intendeva il Mongitore riferendosi alla
“Biblioteca di San Giuseppe di Palermo” ed eventualmente dove sono andati a
finire i manoscritti che quest’ultima conteneva. In ogni caso bisognerebbe
vedere che fine ha fatto il manoscritto del Matranga citato dal Mongitore.
In un primo momento, ho ritenuto che il tutto fosse reperibile nella
Biblioteca di Palermo o nell’Archivio di Stato di Palermo. Per quest’ultimo, la
consultazione della relativa Guida mi porta ad escludere manoscritti
provenienti da quella Biblioteca di S. Giuseppe. Resta la Biblioteca del
Comune. Investigazioni fatte qui a Roma in proposito, purtroppo mi sono tornate
infruttuose.
Quanto a fra Diego La Matina, non è da escludere che nella sezione del
“Tribunale del S. Ufficio” dell’Archivio di Palermo (vedi Ricevitoria ed anche
Carceri 1604-1765, vol. 8 <pag. 315 della Guida generale citata>) possa
ritrovarsi qualche cosa. (La pubblicistica su questa sezione dell’Archivio è,
nelle mie conoscenze, limitata a Notizie Archivi di Stato NAS 1954 pp. 79-81 e
Rassegna Archivi di Stato RAS 1971 pp. 677/689).
Le date su cui concentrare l’attenzione potrebbero essere queste:
- 1644 fra Diego la Matina commette un reato che ricade sotto la
giustizia ordinaria, ma viene rimesso al Sant’Uffizio (Sciascia op. cit. pag.
195, ma dai Diari del D’Auria );
- 1645 “fra Diego è di nuovo davanti al sacro
tribunale” (sempre Sciascia, pag. 199);
- 1646 - ritorna per la terza volta sotto il giudizio del Santo Officio
che ne “volle punire l’ostinazione se non l’eresia” (Sciascia, pag. 200);
- 12 gennaio 1648 fra Diego «usci allo spettacolo la seconda volta
assoluto, e tornò in galera» (Auria, citato da Sciascia ibidem);
- 7 agosto 1649 «sedusse alcuni forzati di galera» (ibidem. pag. 201);
- 1650 «uscì per la terza volta allo spettacolo ... condannato e recluso
murato in perpetuo in una stanza»
(ibidem);
- 1656 «Dallo Steri fra Diego evase nel 1656: aprì con meraviglia di chi
vide il loco, ed il fatto udì, delle segrete Carceri fortissimo muro (Matranga)
e fuggì con il laccio della tortura, quale trovò in certo luogo (Auria)»
Sciascia, pag. 202);
4 aprile 1657 - «Si seppellì - annota Auria (Sciascia, pag. 176) - ...D.
Giovanni Lopez Cisneros, inquisitore [morto per le molte percosse dategli da]
fra Diego La Matina della terra di Ragalmuto, dell’ordine della Riforma di s.
Agostino, detti li padri della Madonna della Rocca..»;
- 2 marzo 1658 Matteo Perino annuncia per il 17 marzo 1658 lo Spettacolo
Generale di Fede, nel piano della Madre Chiesa (Sciascia, pag. 208);
- 17 marzo 1658 - Si abbandona «fra Diego al suo destino infernale ...
(bruciato vivo sopra un) mucchio di
legna, nel piano di S. Erasmo» (Sciascia, pag. 212).
c) la questione dei “maragmeri”.
Il Titone scrive (op. cit. pag. 58 nota 8): «Maramma val quanto fabbrica:
masse e maramme si chiamano quindi le amministrazioni delle rendite destinate
al mantenimento e restauri dei sacri edifizi». Il termine “maramma” è
dialettale, ma risale a data antica (lo ritrovo in un diploma del 15 luglio
1489). E’ termine giuridico, tant’è che trovo un intero titolo del Codice
Ecclesiastico Sicolo di Andrea Gallo (libro III, pag. 121 e segg.) dedicato
appunto alle maramme. Stando ad alcune disposizioni del De Ciocchis, emergono
la seguente terminologia e le seguenti locuzioni:
« XIV. Della riparazione delle
chiese, delle Maramme e degli spogli dei prelati.»; « introitus Maragmatis»;
«reditus Maragmatis administrantur
antiquitus per duos Maragmerios qui a rege tamquam Ecclesiae Patrono
eligebantur»; «.. hi duo Maragmerii non ecclesiastici a solo Senatu
[eletti]»; «Caeterum quod expensiones,
quietantiae, mandata syngraphe de recepto, ac omnes quicumque actus, ab utroque
simul Maragmerio fiant sub poena nullitatis»;
«capsa depositi Maragmatis, servetur in thesauro Ecclesiae»
Ferdinando II di
Castiglia Re di Sicilia e per lui Ferdinando di Acugna Vicerè di Sicilia
sancisce che «niuno officiale marammiere
che ha incarico della costruzione di una Chiesa, vi possa apporre, dipingere o
scolpire le sue armi gentilizie.» [ Palermo 15 luglio 1489. Prag, Regni
Siciliae Tom. II. tit. 42. pragm. Unica pag. 404].
Da quanto sopra mi pare che emerga che il “marammeri” o “marammiere”
(alla latina “maragmeri”) più che un tecnico simile al nostro “geometra” era un
amministratore (religioso, ma qualche volta laico) di istituzioni per la
costruzione o la conservazione di edifici sacri (Fabbrica, massa , maramma,
dice il Titone).
) PARTE
II. libro I - DELLA SICILIA NOBILE [VILLA BIANCA]
VENTIMIGLIA - TERRA
BARONALE, pag. 74 e segg.