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domenica 27 maggio 2018

Rivolta della brigata Catanzaro - la testimonianza di D� Annunzio

La testimonianza del vate, contenuta in forma di appunti nei suoi Taccuini e sviluppata in una sorte di canto il 27 settembre 1922, costituisce ancora oggi una pagina toccante, e fotografa lo straniamento che s�impossessava dei soldati quando l�insostenibile durezza del conflitto li portava a rompere i tradizionali legami della subordinazione gerarchica e di classe, e lo strazio dà l�immagine dei corpi che lasciava dietro di sé il plotone di esecuzione: 

La fucilazione.
Il cimitero coi sette cipressi.
Il muro grigio con i ciottoli visibili nella calcina
Il campo di granturco.
Fra le piante i berretti, i caschi, le cervella su cui ronzano le mosche.
L�afa.
Il canto delle allodole.
I cadaveri allineati, bocconi
insanguinati
Le orecchie pallide
Le mani concave
Grigi
I chiodi delle scarpe
le fasce
Le frasche che coprono i cranii sfracellati.
Il vento che passa.
Il suono delle zappe e delle vanghe che scavano la fossa profonda
Le voci dei becchini
La mota nelle scarpe
Ricordarsi della cantilena mortuaria
prima della scarica
Tra il muro del cimitero e la cappella grigia
Le ortiche contro il muro tragico
 

Nello scritto successivo il poeta considerò i ribelli come una sorta di eroi traviati, cui volle comunque rendere onore, ricordandoli accanto ai molti compagni caduti durante il conflitto: 

Dissanguata dai troppi combattimenti, consunta in troppe trincee, stremata di forze, non restaurata dal troppo breve riposo, costretta a ritornare nella linea del fuoco, già sovversa dai sobillatori […] l�eroica Brigata �Catanzaro�una notte, a Santa Maria la Longa, presso il mio campo d�aviazione, si ammutinò […].
La sedizione fu doma con le bocche delle armi corazzate […].
Una parola spaventevole correva coi mulinelli di polvere, arrossava la carrareccia, per la via battuta: �La decimazione! La decimazione!�L�imminenza del castigo incrudeliva l�arsura […].
Di schiena al muro grigio furono messi i fanti condannati alla fucilazione, tratti a sorte nel mucchio dei sediziosi.
Ce n�erano della Campania e della Puglia, di Calabria e di Sicilia […].
I fucilieri del drappello allineati attendevano il comando, tenendo gli occhi bassi, fissando i piedi degli infelici, fissando le grosse scarpe deformi che s�appigliavano al terreno come radici maestre […].
I morituri mi guardavano.
I loro sguardi smarriti non più erravano ma si fermavano su me che dovevo esser pallido come se la vita mi avesse abbandonato prima di abbandonarli […].
Siete innocenti? Siete traditi dalla sorte della decimazione? Sì, vedo.
La figura eroica del vostro reggimento è riscolpita nella vostra angoscia muta, nell�osso delle vostre facce che hanno il colore del vostro grano […].
Siete contadini.
Vi conosco dalle mani.
Vi conosco al modo di tenere i piedi in terra.
Non voglio sapere se siete innocenti, se siete colpevoli.
So che foste prodi, che foste costanti […].
I fanti avevano discostato dal muro le schiene.
Tenevano tuttora i piedi piantati nella zolla ma le ginocchia flesse come sul punto di entrare nelle impronte delle calcagna.
E, con una passione che curvava anche me verso terra, vidi le loro labbra muoversi, vidi nelle loro labbra smorte formarsi la preghiera
 

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