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domenica 17 dicembre 2023

Storia religiosa di Racalmuto

Cari lettori, al link di seguito potete visualizzare il mio scritto "Storia religiosa di Racalmuto": https://drive.google.com/file/d/18rexKjSZ3zHzkT6RXCllDVKztT1NfMoo/view?usp=drive_link

domenica 26 novembre 2023

Alla Chiesa del Carmelo di Racalmuto, entrando subito a destra, vi è un sarcofago mirabilmente descritto da Leonardo Sciascia come incipit del suo capolavoro LE PARROCCHIE DI REGALPETRA. Dentro vi era un cartiglio, un tempo in carta pecora, e dopo trascritto in un foglione di quattro facciate in carta velina; o meglio in 'carta frolla' secondo Tinebra Martorana, lo storico locale che ebbe a visitare il sarcofago il 5 luglio 1895. Riguarda la sepoltura del Conte di Racalmuto Girolamo Secondo Del Carretto. Girolamo II del Carretto giunse a Racalmuto nel 1608 ad appena nove anni. Era nato a Palermo nel 1599. Era figlio di Giovanni IV del Carretto, personaggio alquanto facinoroso e trucidato nel 1608 con due schioppettate nel quartiere del Ferraro in Paalermo. Il cartiglio, sia quello in carta pecora sia quello in carta frolla, è andato smarrito. Se ne è parlato scritto e travisato da vari autori, dal Caruselli nel 1848 allo stesso Tinebrea Martorana in un testo pubblicato nei primo anni del '900, alo stesso Sciascia e vi innestano le loro romanzesche superfetazioni il medico Silvano Messsna e il nipote di Sciascia Vito Catalano- Noi abbiamo avuto la fortuna di avere le foto del cartiglio in carta frolla che nel 1956 aveva scattato il nostro amico Giuseppe T;roisi. Le aveva scattate per fornirle allo scrittore Sciascia che voleva servirsene per corredare di foto locali il suo notissimo "La Morte dell'Inquisitore" edito da Laterza di Bari. Pubblichiamo qui le testimonianze fotografiche di quello storico cartiglio, e ne faremo una rilettura critica.

venerdì 10 novembre 2023

Calogero Taverna * * * “STORIA RELIGIOSA DI RACALMUTO” Studi e ricerche * * *

domenica 13 agosto 2023

Giardinaggio - giardinogiardinaggio.it giardinaggio.it Forum tu sei in :giardinaggio.it » giardino » Piante da Giardino » Acanto Acanto In questa pagina parleremo di : Acanto Pianta molto apprezzata per l'alto valore ornamentale, viene coltivata per le grandi foglie decorative e per la meravigliosa infiorescenza a spiga. L'acanto è presente in molti giardini sia come pianta isolata sia in gruppi, insieme ad altre piante dal fogliame flessuoso, oppure a piante da fiori. Si impone per la sua bellezza maestosa, per il suo vigore e per la grande infiorescenza a spiga che svetta e risalta sulle altre piante, ad esempio nelle bordure, su tappeti erbosi o nei giardini rocciosi. È possibile inoltre coltivarlo sotto piante molto grandi, in posti in cui poche altre piante crescerebbero, ad esempio sotto un pino, una quercia, oppure vicino a una pianta di alloro o di rosmarino. L'acanto è una pianta originaria delle regioni mediterranee, che cresce fino ad altitudini di 300 m, anche spontaneamente. Predilige i luoghi in cui il terreno conserva sempre una certa umidità (vicino ai corsi d'acqua o ai margini dei boschi). Acanto Caratteristiche generali dell'acanto L'acanto è una pianta estremamente vigorosa con foglie di un bel colore verde lucido, dentellate, con un lungo stelo, che possono raggiungere anche un metro di lunghezza e quasi altrettanto di larghezza. Le foglie formano un folto cespuglio su cui svettano le belle infiorescenze a spiga che superano le foglie di oltre un metro: la pianta può perciò raggiungere anche i 2 metri di altezza. La fioritura avviene nel periodo estivo, e i fiori, molto numerosi, hanno colori che vanno dal bianco al rosa, al malva, con bordi porpora. Le lunghe infiorescenze sono utilizzate sia fresche sia essiccate per bouquet di fiori o decorazioni floreali. Se intendete recidere le infiorescenze, attenzione a non rovinare gli steli: munitevi di forbici ben affilate evitando di strappare o sfilacciare i tessuti della pianta. Se preferite usare i fiori essiccati, potete anche lasciarli essiccare sulla pianta. Appartiene alla famiglia delle acanthacee, che comprende una trentina di specie diverse; tra le più diffuse vi sono l'acanto a foglie molli e l'acanto spinoso. Acanto in breve Famiglia Acanthaceae Genere Acanthus Tipo di pianta Da fiori, decorativa, e fiori da reciso Origine Bacino del Mediterraneo e Asia minore Vegetazione Vivace Fogliame Persistente nelle regioni meridionali, semipersistente nelle altre Portamento Cespitoso Uso Pianta isolata o in gruppi Altezza a maturità Da 0,30 m a 2 m con le infiorescenze Velocità di crescita Lenta Malattie e parassiti Oidio, lumache e limacce Temperatura Non sopporta periodi di freddo prolungati o le gelate Acanthus mollis Acanthus mollisL'Acanthus è una pianta erbacea perenne amata fin dall'antichità, Plinio il Vecchio nei suoi trattati di botanica, nel 50 D.C., suggeriva le eleganti e superbe piante d’acanto per ornare le prode dei ... Varietà di Acanto Varietà di AcantoAcanto a foglie molli (acanthus mollis) Pianta che raggiunge anche i 2 m di altezza, ha grandi foglie lobate di un verde splendente che raggiungono anche 1 m di lunghezza. Le foglie sono persistenti nelle regioni con clima mite, invece cadono nelle zone con un clima più freddo. Porta grandi grappoli di fiori bianchi con screziature porpora che sbocciano tra giugno ed agosto. Preferisce un suolo ricco e ben drenato. Acanto spinoso (acanthus spinosus) La pianta ha un'altezza compresa tra 0, 60 m e 1,5 m. Con grandi foglie incise fino alla nervatura centrale, e dalla punta spinosa. Molto utilizzato insieme ad altre piante. Le infiorescenze a spiga sono grandi, e i fiori bianchi, malva e rosa, sbocciano tra maggio e agosto. Sopporta anche temperature molto basse, al di sotto dello zero. Cresce in tutti i tipi di suolo, ma è consigliabile piantarla in un terreno ricco e drenato. Come coltivare l'acanto La coltivazione risulta molto facile, poiché è una pianta poco esigente che resiste anche in luoghi particolarmente soleggiati e asciutti. Preferisce i terreni drenati in cui forma dei vasti cespugli nel corso degli anni, poiché è una pianta a crescita lenta. Per far sì che le foglie rimangano belle più a lungo si consiglia di innaffiare la pianta più frequentemente nel periodo estivo, mentre nel periodo invernale la frequenza e la quantità di acqua devono essere ridotte. In inverno, l'acanto può sopportare anche il freddo, purché non duri troppo a lungo. Nelle regioni con un clima più rigido, perderà le foglie, che rispunteranno in primavera. In queste regioni, si consiglia di proteggere le radici dalle gelate, coprendole con una pacciamatura di foglie secche o paglia. La coltivazione dell'acanto Coltivazione Facile Manutenzione Limitata Esposizione Sole o mezz'ombra nelle regioni meridionali Terreno Drenato, ricco di humus Pulizia/potatura Vivace Necessità idrica Scarsa Umidità suolo Leggera Concimazione Periodo primavera-estate una volta al mese Moltiplicazione Semina, talea, divisione dei cespi Come e quando piantare l'acanto acanto e foglieSi consiglia di piantare l'acanto in primavera, tra aprile e maggio, quando non vi è più il rischio di gelate. State attenti a non danneggiare le radici poiché l'acanto reagisce male a eventuali danni. Preparare il terriccio mettendo del compost e della sabbia, soprattutto se il terreno è piuttosto pesante. Prendete con delicatezza le piantine dai vasi facendo attenzione a non danneggiarle in alcun modo poiché l'acanto è una pianta che sopporta male il trapianto o il rinvaso. Scavate nel terreno una buca leggermente più grande della piantina e ponetevi la piantina. Innaffiala fino al momento in cui saranno evidenti i primi segni dell'attecchimento. Ponete le piantine a distanza di almeno 80 cm-1 m l'una dall'altra in modo che vi sia abbastanza spazio tra l'una e l'altra; infatti le robuste radici della pianta hanno bisogno di molto spazio per crescere. Mentre, in seguito, sarà sufficiente innaffiare la pianta solo in periodi particolarmente siccitosi. Il calendario dell'acanto Semina Aprile, maggio Messa a dimora Aprile, maggio Fioritura Giugno, luglio, agosto Come coltivare l'acanto fiori di acantoLa coltivazione risulta molto facile, poiché è una pianta poco esigente che resiste anche in luoghi particolarmente soleggiati e asciutti. Preferisce i terreni drenati in cui forma dei vasti cespugli nel corso degli anni, poiché è una pianta a crescita lenta. Per far sì che le foglie rimangano belle più a lungo si consiglia di innaffiare la pianta più frequentemente nel periodo estivo, mentre nel periodo invernale la frequenza e la quantità di acqua devono essere ridotte. In inverno, l'acanto può sopportare anche il freddo, purché non duri troppo a lungo. Nelle regioni con un clima più rigido, perderà le foglie, che rispunteranno in primavera. In queste regioni, si consiglia di proteggere le radici dalle gelate, coprendole con una pacciamatura di foglie secche o paglia. Esposizione acanto L'acanto preferisce l'esposizione al sole, ma nelle regioni con clima caldo e secco è preferibile posizionarla a mezz'ombra, ad esempio vicino a un grande albero Fate attenzione a non piantarlo in un luogo troppo ventilato. Temperatura fiore acantoL'acanto è una pianta che sopporta i periodi di caldo o siccità, ma è molto sensibile al freddo, e soprattutto alle gelate. Perciò, se viene coltivata in vaso, in inverno è consigliabile spostarla in un luogo protetto da vento e gelate. Se invece viene tenuta in giardino, occorre proteggere le radici con una pacciamatura. Nelle zone più fredde, la pianta di acanto in inverno perde le foglie. Terriccio e Concimazione Acanto L'acanto si adatta a qualunque tipo di suolo purché sia ben drenato; ma preferisce suoli leggermente calcarei, che in estate restano freschi. Se il terreno è pesante, è consigliabile aggiungere della sabbia, per evitare il ristagno di acqua. Inoltre, si può arricchire il suolo con sostanze organiche, ad esempio letame o compost. Concimazione Se il terreno è povero di sostanza organica, nel periodo primaverile si consiglia di aggiungere del compost o del letame. Inoltre, nel periodo della ripresa vegetativa (primavera ed estate), una volta al mese diluire del concime liquido nell'acqua dell'innaffiatura. Potatura Acanto acanto fioritoLa pianta di acanto non esige la potatura. È sufficiente eliminare le foglie quando ingialliscono e le infiorescenze dopo la fioritura. Nel periodo invernale, si consiglia di lasciare le foglie appassite sul terreno in modo che proteggano le radici dal freddo. Propagare l'acanto La propagazione dell'acanto può essere effettuata tramite semina, talea o divisione dei cespi. Per semina La semina avviene in genere spontaneamente, quando dalle infiorescenze a spiga cadono i semi sul terreno dando vita a nuovi germogli. Se non si verifica spontaneamente, potete spargere i semi in piena terra nel mese di aprile, se abitate in una regione calda, altrimenti attendete il mese di maggio. Per vedere i primi fiori, dovrete aspettare 3 anni. Per talea Nel periodo primaverile, prelevare delle talee lunghe 10 cm circa. Tagliate il ramo in senso obliquo con un attrezzo ben affilato per evitare che si rovini. Lasciate le foglie poste più in alto e piantate in un piccolo vaso in un terriccio composto da torba e sabbia. Infilate le talee e premete il terriccio intorno alle talee. Per divisione dei cespi La moltiplicazione tramite la divisione dei cespi si effettua in autunno o in inverno, ma non è una procedura molto consigliata, poiché l'acanto è una pianta molto sensibile e potrebbe rovinarsi. Parassiti e malattie L'acanto è una pianta piuttosto resistente alle malattie. È possibile, tuttavia, che a causa di un'umidità eccessiva le foglie vengano danneggiate dall'oidio, un fungo che determina la comparsa di una patina biancastra sulle foglie. Se avvertite la presenza dell'oidio, staccate le foglie e curate la pianta con zolfo o altri anticrittogamici. Un altro possibile problema è rappresentato da limacce e lumache che possono rovinare le foglie. Eliminate le parti della pianta danneggiate e rimuovete gli animali. Consigli acanthusSe intendete recuperare i semi dai fiori dell'acanto, fatelo in autunno, prima che le capsule contenenti i semi si schiudano. Per conservare i semi, lasciate solo un'infiorescenza in modo che la pianta non consumi troppe energie per la maturazione dei semi delle diverse infiorescenze. Se intendete utilizzare le infiorescenze nei bouquet di fiori secchi, lasciatele essiccare e raccoglietele a fine giornata, quando la pianta è asciutta. Tagliate le infiorescenze a una lunghezza diversa in modo che nel bouquet non si danneggino. Per portare a termine l'essiccazione, appendetele, ma rovesciandole, in una stanza buia, asciutta e aerata. Copritele con un foglio di giornale in modo che non prendano polvere durante la fase dell'essiccazione. Curiosità Le foglie di acanto sono un motivo ornamentale diffusissimo che è presente come elemento decorativo in fregi, quadri, decorazioni pittoriche e in vari mobili. Ma l'immagine alla quale è legata la foglia di acanto e la più nota è quella dei capitelli corinzi, in cui appaiono le belle foglie dai margini frastagliati e ricadenti in basso all'esterno. Mimosa - Acacia dealbata Mimosa - Acacia dealbata Corbezzolo - Arbutus Corbezzolo - Arbutus Photinia x fraseri Photinia x fraseri Buddleia Buddleia Pagine più visitate di questa settimana Top 10 piante da ombragiardino ombraLe zone in ombra del nostro giardino possono, ad un primo impatto, incutere timore: molti pensano che siano destinate a riman ... LantanaLantana Il genere Lantana conta alcune specie di piante perenni ed arbusti, appartenenti alla famiglia delle verbenacee; sono origina ... Ibisco coltivazione - HibiscusIbiscoArbusto a foglie caduche, originario dell’Asia, molto diffuso in coltivazione come pianta ornamentale, nei giardini e come ar ... AzaleaAzaleaL'azalea non costituisce un genere a sé ma rientra nel genere dei rhododendron. Tale genere si divide in due gruppi: i rodode ... Sempreverdi da giardinoMirto variegatoMolto adatte in ogni stagione a decorare i giardini, permettono di mantenere uno spazio verde e rigoglioso esattamente come i ... Barbecue BARBECUE Il barbecue è un accessorio per il giardino molto comune in America che ha preso con gli anni sempre... Casette Giardino CASETTE GIARDINO Utilissime per chi deve gestire grandi superfici come per chi vuole mantenere l'ordine nel proprio g... ©2023 - giardinaggio.it - p.iva 03338800984

sabato 12 agosto 2023

Mia dilettissima signora professoressa, mi sono permsso di pubblicare un omaggio che le ho reso nel 2015, L'ho correato di foto floreali in cui modsta e riservata vi è anche una sua non attuale foto. Forse mi perdonerà questo arbitrio. Mi pare innocente non manovrabili da chi non so perché si intriìomette nei nostri rapporti puri candidi innocenti eterei impalpabili espressioni di nostre sinergie cukturali botanici scientifici storici , umanissimi unsomma. Oltre questo fra noi non c'è nulla, o meglio non c'+ nulla in lei, io purtroppo sono disceso dal mio olimpo zaratustriano per innamorarmi di lei in modo smodato stravolgente, impetuoso, aspro , geloso ossessissivo non potendo essere possessivo. Ne soffro e lei lo sa, Ma mi pre una vicenda sciopenureana, il nulla che xche dà ttilità all'esisrente, il niente che determina l'esistente. Certo entrambi siamo spiriti eletti, non banali non convenzionali superuomini che trascendono il bene eil male. Igoriamo l'amore dozzinale volgare mellifluo floreale. Io ne soffro tanto ma non riesvco a prescinderne. Lei, non so ma mi creda banalmente le dico il mio cuore è tutto suo inscindibilmente e già idiotmente mi sono spuntate le lagrime agli occhi. Il supruomo che denudatosi diviene meschinello piagnone innamorato. 09:14

domenica 6 agosto 2023

CIRCOLO UNIONE Questo mio aureo libretto della veridica storia del vetusto CIRCOLO UNIONE dI RACALMUTO non ha avuto fortuna: negletto, angariato, deturpato, macchiato dai residui eterni dirigenti e dal giovane geniale e quindi disinvolto Totò Picone, è finito nel letamaio del nulla archivistico. Ovvio, la cosa mi rode. Oltretutto il Circolo finiva giù morto e sepolto vent'anni fa quando giunse dall'allora Banco di Sicilia l'ordine di sfratto: Non se ne fece nulla perché scrissi al mio amico ed ex collega di Banca d'Italia Alfio Noto, presidente del BDS a desistere e Alfio diede disposizioni per soprassedere. Dopo con Cicciu Marchisi e Liddru Savatteri mi recai a Palermo e ricattando costrinsi i novelli padroni dello stabile sede del circolo ad essere comprensivi e generosi- E lo furono sino a darlo in comodato gratuito. Ma ora lo stabile per la politica imposta dalla BI è finito in una holding olandese. I giovinastri della Bocconi in servizio presso l'UNICREDIT faranno la radiogrfia del conto economico della holding e scopriranno la falla decennale di inadempienze nella resa reddituale. Vi sarà un recupero credito di oltre un letamaio di euro che colpirà il Presidente pro tempore. Io saprei ovviarvi e prevenire ma non godo di fiducia alcuna in quello che pure è il mio semisecolare sodalizio. Così vanno le cose a Racalmuto. Lillo Taverna ha condiviso un ricordo. 11 h · Contenuto condiviso con: I tuoi amici 8 anni fa Visualizza i tuoi ricordi Lillo Taverna 6 Agosto 2015 · Contenuto condiviso con: Tutti Oggi a Baccarecce nella Villa Benedetti si è costituita un'associazione rigorosamente non profit la A.R.B (Associazione per il Risorgimento di Baccarecce). Erano presenti i signori. Benedetti Carlo, Benedetti Maria e Taverna Calogero nonché Antonino Di Livio; Giovanni Battistini; Antonio Carli; Giacomo Zannelli; Livio di Stefano - Ampia la discussione e notevoli i progetti. Intanto all'Unanimità è stato eletto presidente Carlo Benedetti, Economo Antonino Di Livio; Segretario… Altro... Lillo Taverna 19 h · Contenuto condiviso con: I tuoi amici Ecco uno spuntino della prosa della Pennacchioni ante Covis. Come scrive ora la Pennacchioni? mi pare divrso, contrito, rammaricto, frustrato. ironico persino autoironico (cosa rara in un femin che si prende sempre sul sserio a nche quando dice il contrario)- Il becco dii un gallo omogmìneizzato che mira il naso della ancor sedidcente post menopausata ho dell'onirivìco del satico del rimembrare il membro perduto. Non so, vorrei sentirla, vorrei che in una mia terrazza d… Altro... Lillo Taverna 19 h · Contenuto condiviso con: I tuoi amici Ecco uno spuntino della prosa della Pennacchioni ante Covis. Come scrive ora la Pennacchioni? mi pare divrso, contrito, rammaricto, frustrato. ironico persino autoironico (cosa rara in un femin che si prende sempre sul sserio a nche quando dice il contrario)- Il becco dii un gallo omogmìneizzato che mira il naso della ancor sedidcente post menopausata ho dell'onirivìco del satico del rimembrare il membro perduto. Non so, vorrei sentirla, vorrei che in una mia terrazza d… Altro...

sabato 29 luglio 2023

Lillo Taverna 1 g · Contenuto condiviso con: I tuoi amici LO ZUBBIO DEL CASTELLUCCIO di fronte alla GROTTA DELLA SCHETTA Lo zubbio. Cosa è mai lo zubbio. A Racalmuto ha un significato ben preciso. Un fenomeno carsico. Una colta gessosa ipogea che corrosa per lo scolo delle acque piovane , crolla e determina un fossato in superficie. Io conosco almeno cinque tipi di zubbi: quello di S. Anna, diciamo di cinquecento metri quadri; quello molto ricco di affioramenti archeologici della essiccata fontana di Girlata difronte a… Altro... Maria Pia Calapà Tra le forme carsiche superficiali le più note sono le doline. Si tratta di depressioni circolari (talora ellittiche o irregolari) chiuse, di diametro e profondità compresi tra pochi metri a qualche centinaio di metri, in cui l'acqua che qui confluisce… Altro... Ordunque, un tale necroforo, un uomo inetto un becchino insomma, tronfio per essere il protettore-protesso dell'ex carabiniere in tonaca, mi ha di recente minacciato insultato denigrato e per concludere con la parola schifo. Insomma si è messo come un personaggio di Pirandello davanti ad un lungo specchio e gli ha gridato: Schifoso ,puntandogli il dito. Lo specchio subito di rimbalzo gli grida schifoso. Giù 'l mare èuà essere un catino se non ne scorgi i limiti- I limiti del desso sono ovviamente quelli del cesso. Dovendomi distruggere grida stracciandosi le vesti, direi le mutande: ha gridato - avrei gridato - le ossa di Santa Rosalia nell'ostensorio argenteo, quello che l'ex carabiniere ostenta il 4 settembre . quelle ossa ha gridato sono di cane. Ha scoperto l'america. Siccome è incolto e becchino non ha letto Denis Mach Smith, lo storico inglese tanto caro a Leonardo Sciascia (ma a dire il vero odiato dal ministro Santi Correnti) ci dice che i medici sono molto scettici - per non dire sicuri - che il cadavere della Santuzza rinvenuto da SSOLTI CXìCCITORI è SOLO LA CARCASSA DI UN CANE. SE TANTO MI DA' TANTO, FUGURATI COSA HANNO FATTO IL CARDINALE DORIA E I FRANCESCANI SUOI ACCOLITI QUANDO HANNO INVENTATO LA FABBRICA DI FRUSTRA DI S. ROSALIA. PER QUANTO BLASFEMI ERANO SI SONO RIGUARDATI BENE NEL 1626 DALLO SQUARTARE QUELL'INNESTRICABILE carcassa; hanno preso tutti cani randagi di Palermo li hanno squartati e ne hanno fatte bustine in quantità da distribuire ai petenti che venivano da ogni parte di Sicilia. Naturalmente in primo luogo la busyina di cane fu data agli ottanta cavalieri)assai è zi Tanu) mandati da Racalmulto dalla santa per me bagascia per i novelli romanzieri Beatrice Ventimiglia vedova Girolamo del Carretto. Non ci credete? Vogliamo farli esaminare quegli ossicini della teca argentea che l'ex carabiniere ostenta ogni 4 settimane?. Il vescono non lo permette. Chissà poi perchè- Frattanto hanno RUBATO la pergamena del cardinale Dorbia smerciati dai padri francescani. Questo a loro dire. Resterebbe quell' altro illegibile documento in bell'onciale che sancisce la genuità delle ossa di cane di Santa Rosalia. Avevo tentato di fare un riscontro d'invenrari al prete grasso. Ma quello aveva da confessare in sagrestia e figurati se mi dava ascolto. Maria Pia Calapà 3 h · Lillo Taverna 3 h · Contenuto condiviso con: I tuoi amici Orrdunque, un tle ncrofoto, un uomo in neto un becchino insomma, tronfio per essere il protettore-protesso ell'ex crabiniere in tonaca mi h di recente minacciato insultato d enigrato per concludere con la parola schifo. Insomma s è messo come un personggio di Piarandello Laudisi davantyo ad un lungo spevvhio e gli ha gridato: Schifoso puntantogli il ditro. Lo specchio subito di rimbanzo gòi grida schifoso. Giù 'l mare èuà essere un catino se non nescorgi i limiti- I limiti… Altro... Lillo Taverna Ah, dimenticvo. Il desso crede di fregarmi e mi denuncia ad FB dichiarando magari che incito all'odio percç scrivo culo e non di dietro. Allora Pumìniscano Dnte c he non si PERITA di crevere e col suo cul facea tronberrìtta. Ma anche poetav ib questi termini: Taide la puttan che si accoscia. I maestri comencinci l'hanno scolpita in vassorilievo in quel di Modena accanto alal Ghirlandina e ìhanno datta realisticamente prima che rrivasse il superreaòismo del pastorello acalmutese. Davvero apre le cosce de mostra la figa. FB fa la faccia feroce. Ci avevo creduto e mi ero incazato. Poi scopro che è tutto un trucco informatico. Il desso segbaòa, mecacnicamente FB applica enormi sanzioni ma fa unaoscura comuniczione. Il colpito non se ne accorge e sembra dhe le sanzioni siano state applicate. Falso, non avvieneniente. Il colpito se ne accorge, arriva alla fine dei sussiegosi ammpnimnyo ed ha la scelta. accetta o no. Io non accetto e allorami dicono che tutti possiamo sbafliare pertano le sanzioni noin vengono applicate. Il desso è gabbato, io divertitò l'exe carabiniete fustigarto. Ma Rispondi 3 h Lillo Taverna 4 h · Contenuto condiviso con: I tuoi amici Lillo Taverna 7 h · Contenuto condiviso con: I tuoi amici La BIZANTINA Fontana del VOZZARO sta qui in questo foglio catastale n. 27 in C. FALCO, poco distante dal Castelluccio, il rettangolo in risalto nella carta del PR di Racalmuto- Canagliescamente è stata aggirata e liberata dal vincolo archeologico di primo grado stando al rilievo del maggio 1980. Lo svincolo perdura nel nuovo PR racalmutese, se ben guardiamo la minuscola particll n.. 54 pve appunto insiste la beddra FUNTANA DI LU VOZZARU. Da notare la furbata dei cartografi di allora che incontrandosi con l'affioramenteìo archeologico bizantino , ritraggono il loro pennino in uno sfacciato ingiustificabile rientro a spigolo per ritornare ritto e longilineo tra la colpita particella n. 9 e la condonata particella n. 92. Giustificazioni per le inclusioni nei vincoli archeologici e per le esclusioni non ve n'erano né ve ne potevano essere. E tanto in modo più eclatante nella redazione del novello PR risalente ad appena un anno o due anni fa. Teoria di Karl Sckimt: uno sguardo ai proprietari; se si tratta di hostis gli si dia addosso; se amicus allora lo si svincoli spudoratamente. E dire che il satrapo politico, democristiano casucciano, non c'era più, deceduto a dire il vero con poco rimpianto. Ma ovvio gli infiltrati nel Comune dal detto Satrapo ci sono e comandano ancora. Il regime democristo è imperituro. Vengono adesso a volermi dare lezioni di diritto privato e di legislazione comunale. Obietto: se nel proprio territorio affiorano reperti archeologici immobili, si possono tenere ma salvaguardandoli e rendendoli godibili, e soprattutto usufruibili dagli studiosi. Cattolicamente, la proprietà privata oggi deve avere una funzione sociale. Forse il novello prevosto reduce dalle subordinazioni della Benemerita, questo non lo sa; ma Sindaco assessori, VIGILI URBANI questo dovrebbero saperlo e VIGILARE. la bella fontana del Vozzaro viene segnata. studiata, fotografata e pubblicata dai vari medici senza frontiere quali il dottor Giovanni Salvo, dal sottoscritto, specie nel proprio blog CONTRA OMNIa RACALMUTO visirato in tutto il mondo da quasi novecento mila studiosi o uomini di cultura, ed è tempo ben fotografata da SALI D'ARGENTO di non so chi.
ARCIPRETI, SACERDOTI, RELIGIOSI E LAICI IN OLTRE DUE SECOLI DI STORIA RACALMUTESE - 1500-1731 Dopo la venuta della Madonna del Monte Ad Ercole succede nella baronia il figlio Giovanni (il secondo di una serie che arriva a quota cinque). Reperibile a Palermo negli atti del Protonotaro del Regno di Sicilia, un diploma che lo riguarda e che risale al 28 gennaio, VII^ Ind., 1519. In quel torno di tempo capitò ai Del Carretto un intreccio di fatti criminosi che un loro pronipote, Vincenzo Di Giovanni, ebbe poi voglia di raccontare in un suo volume dal titolo Palermo Restaurato, buttato giù subito dopo la celebre peste del 1624. L’intreccio di omicidi e vendette fra nobili passò alla storia come il caso di Racalmuto, quasi celebre come quello di Sciacca. Un Del Carretto, Paolo, aveva avuto un contrasto con la famiglia Barresi di Castronovo ed al colmo della sua ira ebbe a schiaffeggiare un membro di quella nobile casa. Apriti cielo! Quando codesto Paolo Del Carretto con 25 cavalli andò a visitare don Ercole Del Carretto, signore di Racalmuto, spie avvertirono i Barresi che si mossero verso la piana di San Pietro per tendere un agguato. Ne scaturì una rissa con morti dell’una e dell’altra parte. Paolo del Carretto, il più animoso di tutti, brandiva a destra e a manca il suo pugnale per uccidere senza pietà. Ma una saetta nemica gli si conficcò in fronte e cadde a terra morto stecchito. I Barresi poterono lavare l’onta subita ma dovettero riparare all’estero, a combattere con il maresciallo di Francia Lautrec, temendo la ritorsione della più potente famiglia dei Del Carretto. Passato un certo tempo, si reputarono al sicuro e tornarono in Sicilia. Morto, frattanto, Ercole Del Carretto, toccava al figlio primogenito Giovanni l’incombenza della vendetta di famiglia. Giovanni I, neo barone di Racalmuto, non se la sente di affrontare di persona i Barresi. E’ in rapporti di grande amicizia con Enrico Giacchetto di Naro, manigoldo sopraffino, e gli dà l’incarico di punire per suo conto l’oltraggio subìto. Enrico promette e nella città di Termine stermina la famiglia Barresi, che aveva frattanto abbandonato Castronovo. Le teste mozzate furono portate a D. Giovanni II a certificazione della consumata vendetta. Il Del Carretto ebbe quindi fastidi dalla giustizia di allora ma col tempo, per dirla con il cronista, “riuscì con vittoria, grandissimo onore e reputazione.” [4] Codesto Paolo del Carretto affiora negli archivi della Curia Vescovile Agrigentina. E’ chierico, ossia un ordine minore del tempo che consente il matrimonio ed una normale attività laica. Non certo quella criminale. E’ vessatorio verso Racalmuto, tanto che pacifici cittadini - e persino un prete - gli fanno causa, nonostante i vincoli feudali che si erano già affermati. [5] Il Sacerdote che contrasta con il chierico del Carretto è don Francesco La Licata, su cui abbiamo i dati forniti dal documento datato 17 maggio 1512 - XV^ Ind., riguardante la consegna di cedole della Curia Vescovile ai sindaci di Racalmuto Vito de Grachio, Francesco de Bona, Jacobo de Mulé, Philippo Fanara, Salvatore Casuchia, Grabiele La Licata, Orlando de Messana, presbitero Franesco La Licata et Stephano de Santa Lucia, a seguito di istanze avanzate alla Gran Regia Curia. L'incarico promanava dal Vicario Generale Luca Amantea ed è rivolto al Vicario di Racalmuto. Il barone Giovanni II Del Carretto, avrà avuto la meglio sulla giustizia terrena, ma nel suo Castello sopra la Fontana la sua coscienza gli rimorse sino alla morte. Cercò di tacitarla facendo sorgere chiese e conventi (San Giuliano, San Francesco, Santa Maria di Juso, il Carmelo). Ebbe ad essere munifico con i preti. Dispose per un avello dovizioso a San Francesco. Fece sorgere confraternite al Monte, a San Giuliano, nella chiesa arcipretile di S. Antonio, a Santa Maria di Jesu. I carmelitani di padre Fanara gli furono devotissimi. I minori conventuali della custodia agrigentina ebbero beni ed onori e poterono officiare nella sontuosa chiesa di S. Francesco. Proprio qui il barone avrebbe voluto la sua tomba riparatrice. [6] Ma la quiete dell’anima, in vita, Giovanni Del Carretto III non pare l’abbia mai raggiunta. Abbiamo motivo di ritenere che il figlio Girolamo I - primo conte di Racalmuto - ebbe poi voglia di titoli nobiliari altisonanti, che molto denaro gli costò, troppo anche per le sue cospicue disponibilità. Quella cappella, a nostro avviso, non la costruì mai: non emerge dalla documentazione d’archivio, che pure è cospicua in ordine alla chiesa di San Francesco. Per sottrarsi agli obblighi testamentari, che investendo cose di chiesa potevano far scattare temibilissime scomuniche, fu tanto abile da fare incarcerare dal compiacente Santo Ufficio il notaio redigente il testamento. Quel notaio si chiamava - guarda caso - Jacobo Damiano, sì, proprio quello a cui sia Sciascia sia E.N. Messana dedicano la loro anticlericale attenzione. Il testamento che gronda spirito cristiano, bontà, benevolenza verso i poveri, rispetto per il clero, devozione, e simili nobiltà d’animo, noi l’abbiamo già pubblicato: la sua consultazione illumina sulla storia (veridica e non fantasiosa) della prima metà del Cinquecento racalmutese. Vi traspare il livello religioso della locale comunità ecclesiale, il culto della Madonna e dei Santi, l’empito morale, la voglia di nuove chiese in cui pregare (ed ove venire sepolti). Nella prima metà del cinquecento sorgono le prime grandi confraternite racalmutesi. Queste non sono da confondere con le aggregazioni delle maestranze, come si è soliti pensare in forza delle reminiscenze scolastiche. Le confraternite racalmutesi trascendono il dato sociale: vi si associano, tutti insieme ed alla pari, nobili e plebei, mastri e contadini, preti e laici. Hanno essenzialmente la funzione di assicurare la “buona morte” - che equivale ad una sepoltura dignitosa e cristiana nelle chiese che i sodalizi riescono a fabbricare con i mezzi propri e con l’apporto economico determinante del barone locale. Le confraternite amministrano anche i lasciti - cospicui - che taluni arricchiti, morti senza prole o che intendono punire la poco affidabile vedova, stabiliscono per testamento al fine di dotare un’orfana - purché appartenente al loro ceppo familiare e sempreché sia povera (relativamente). Le organizzazioni - decisamente laicali, anche se assistite da un cappellano - disponevano di fondi pecuniari da far fruttare. Finivano con lo svolgere attività intermediatrice, si configuravano in modo assimilabile alle moderne banche. Investivano soprattutto in case che affittavano e per contrassegno vi stampavano una figura richiamava, di norma, la denominazione della confraternita, derivata dalla chiesa in cui avevano sede sociale. Stando alla visita del 1540-4 del vescovo Tagliavia, si possono ricordare queste istituzioni: • Luminaria del Santissimo Corpo di Cristo, istituita nella chiesa maggiore di S. Antonio (che però essendo pressoché distrutta - almeno nel 1540 - non era praticabile ed al suo posto operava provvisoriamente l’ “Ecclesiola” dell’Annunciazione della Gloriosa Vergine Maria): ne era Governatore mastro Antonino La Licata, che introitava la detta luminaria sopra alcune case di Racalmuto, e cioè su 17 corpi di fabbricati, che si solevano locare per circa otto once, con affitti peraltro crescenti. In più il Governatore raccoglieva le elemosine giornaliere e curava i legati. • Confraternita della Nunziata: ne erano i rettori: 1. Montana mastro Paolo; 2. Cacciatore mastro Paolo; 3. Santa Lucia Cesare; 4. Vaccari Giovanni. Aveva dodici once di reddito sopra diverse case di proprietà, locate per dodici once. * Confraternita di Santa Maria del Monte: ne erano rettori: 1. Cacciatore mastro Pietro; 2. Vaccari Pietro; 3. de Agrò Mirardo; 4. Fanara Adario. Aveva quattro once e venti tarì di reddito sopra diversi possedimenti terrieri. • Confraternita di Santa Maria di Gesù: ne erano rettori: 1. de Agrò Natale; 2. Vurchillino (Borsellino) Antonino; 3. Murriali Giuliano; 4. de Alaimo Michele. Aveva dodici carpi di case in Racalmuto, locate per dieci once all’anno. • Confraternita di S. Giuliano: ne erano rettori: 1. Curto Angelo; 2. Lauricella Andrea; 3. Curto Stefano; 4. Picuni Antonino. Aveva una certa rendita in denaro. Ai rettori fu imposto di esibire il legittimo inventario, sotto pena d’interdetto. Le confraternite racalmutesi appaiono come peculiari organizzazioni economiche, con un patrimonio immobiliare abitativo estesissimo, quasi monopolistico; fungono da banche con prestiti a tassi contenuti, quelli ammessi dalla chiesa; amministrano i fondi di dotazione per il matrimonio di orfane povere; e principalmente lucrano con le incombenze della sepoltura dei morti nelle chiese di loro proprietà. Emergono, comunque, due singolari e sorprendenti caratteristiche: la prima è una spiccata laicità, quasi si temesse una indesiderata sopraffazione ecclesiastica. Si badi bene, il sacerdote è bene accetto, ma esso deve limitarsi alla parte spirituale; è il cappellano che dice messa - a pagamento - ed accudisce agli atti di pietà quotidiana. La gestione economica e societaria è però di esclusivo appannaggio dei laici: il governatore, i rettori e figure simili. L’altra caratteristica è un interclassismo del tutto inusitato per i tempi. I cosiddetti “magnifici”, o i “mastri” o i semplici ‘villani’ convivono in un solo sodalizio senza preminenze e senza subordinazioni d’indole classista. C’è chi fa derivare da tali aspetti una forma di vita religiosa racalmutese, senza dubbio sincera e sentita, ma con venature anticlericali. E’ tipicamente racalmutese il motto: “monaci e parrini, vidici la missa e stoccaci li rini”. Atavica dunque a Racalmuto la separazione tra il mondo di Dio, della religione, della chiesa e quello del consorzio civile specie sotto il profilo economico e sociale. Al contempo, il classismo - o come vorrebbe Gramsci la coscienza di classe - non ha molto senso nella ‘dimora vitale’ racalmutese e da sempre. Solo nell’Ottocento gli arricchiti dello zolfo pretesero una loro egemonia accompagnata a prestigio sociale; si ritennero “galantuomini” e si associarono in loro esclusivi circoli. Nel Novecento tale discriminatoria suddivisione sopravvisse, con i tratti - spesso buffi, e talora beffardi - che Sciascia seppe mirabilmente rappresentare nelle Parrocchie di Regalpetra. Ma tra i vari Circoli Unione o della Concordia e le antiche confraternite cinquecentesche non v’è analogia alcuna. Le confraternite - che sappiamo essere diffuse in tutta la Sicilia - non vantano ancora una sufficiente pubblicistica, diversamente da quello che avviene, ad esempio, in Francia. Ci pare che solo il padre Sindoni di Caltanissetta se ne sia occupato. Alla Matrice sono conservati Rolli ed altri documenti di minuziosa ricognizione della lunga vita di siffatte confraternite. Nessuno, sinora, li ha studiati. Qualche spurio accenno si trova nel libro di padre Morreale sulla Madonna del Monte. [7] Pur nel massimo rispetto per quel grande gesuita, ci pare però che l’approccio è fuorviante ed il peculiare fenomeno racalmutese delle confraternite sfuggì all’intelligenza del colto studioso. * * * Nel 1576 Racalmuto assurge a conte a e vi si insedia il barone Girolamo Del Carretto, nel frattempo trasferitosi a Palermo [8]. Con riferimento a codesto Del Carretto, assurto dopo tredici anni di baronato racalmutese, al prestigioso titolo di conte - ma lui brigò per il marchesato - Sciascia vibra nelle sue Parrocchie di Regalpetra (pag. 17), le seguenti scudisciate: «Ammazzato, da due sicari del barone di Sommatino, morì anche il padre di Girolamo, uomo anch’esso vendicativo ed avido. Il primo Girolamo [appunto quello di cui parliamo] fu invece, ad opinione del Di Giovanni, uomo di grandi meriti. Per lui Filippo II datava dall’Escuriale di San Lorenzo, il 27 giugno del 1576, un privilegio che elevava Ragalpetra a contea. Ma sui meriti di Girolamo primo non sappiamo molto: fu pretore di Palermo, e non credo dovuta a “bizzarra opinione seu presunzione”, come afferma il Paruta, la sollevazione dei palermitani contro la sua autorità. Né mi pare sia da ascrivere a sua gloria il fatto che per suo ordine, il giorno sedici del mese di marzo dell’anno milleseicento, trentasette facchini abbiano subita la pena della frusta: notizia che senza commento offre il già ricordato erudito racalmutese [cioè il Tinebra Martorana, n.d.r.]» Per amore di verità, Girolamo, primo conte di Racalmuto non poté avere dato l’ordine delle frustate ai trenta facchini per il semplice fatto che era morto da sedici anni, essendo deceduto nel 1583[9]. Viveva a Palermo nel 1600 Giovani IV del Carretto, figlio di Girolamo I. Il pasticcio di ritenere pretore di Palermo, nel 1600, Girolamo I del Carretto che era morto da sedici anni, lo confezionò il Villabianca, che a dire il vero, appena se ne accorse cercò di rimangiarselo. Ma lo fece in modo così maldestro che ancora nel 1924 il San Martino de Spucches continua nell’errore villabianchiano. Poco male se il Tinebra Martorana non se ne accorse. Forse Sciascia, poteva essere più avveduto: per lui - ed è ovvio - la vicenda dei Del Carretto aveva senso solo se suggeriva metafore letterarie. Un passo della Morte dell’Inquisitore ci pare invece perspicace ai fini dell’inquadramento storico di questa congiuntura racalmutese (pag. 183): «.. dai documenti del Garufi sappiamo che a Racalmuto c’erano, nel 1575, otto familiari e un commissario del Sant’Uffizio; e due anni dopo dieci familiari, un commissario e un mastro notaro: su una popolazione di circa cinquemila (il Maggiore-Perni dà 5.279 abitanti nel 1570, 3.825 nel 1583: per quanto queste cifre siano da accettare con cautela, si può senz’altro ritenere attendibile la flessione [10] ). Vale a dire che il solo Sant’Uffizio aveva una forza quale oggi, con una popolazione doppia, non tengono i carabinieri. Se poi aggiungiamo gli sbirri della corte laicale e quelli della corte vicariale, e le spie, ad immaginare la vita di questo nostro povero paese alla fine del secolo XVI lo sgomento ci prende. Ma di racalmutesi caduti nelle grinfie del Sant’Uffizio, prima di fra Diego, ne troviamo uno solo: il notaro Jacobo Damiano, imputato di opinioni luterane ma riconciliato nell’Atto di Fede che si celebrò in Palermo il 13 di aprile del 1563. Riconciliato : cioè, per manifesto e pubblico pentimento, assolto; ma non senza pena ...». Per quello che si è visto nel corso di questo lavoro, di sacerdoti racalmutesi addetti al Sant’Uffizio, ne abbiamo trovati parecchi, ma solo a partire dai primi anni del ’Seicento sino ad arrivare all’ultimo che è stato don Francesco Busuito, morto il 29 gennaio 1802 all’età di 74 anni. Durante il baronato e la contea di Girolamo I Del Carretto, fu intensa la vita civica a Racalmuto. Era da tempo che i vassalli si erano ribellati alle imposizioni feudali, specie quelle del cosiddetto terraggio e terraggiolo. Da ambo le parti erano state sostenute ingenti spese. Un accordo fu trovato il 15 gennaio 1580 (9^ ind.). E prima, nell’ anno 1577, al suono della campane i racalmutesi si erano congregati nella chiesa dell’Annunziata per cercare un alleggerimento di imposta da parte viceregia, dati i calamitosi tempi seguiti alla peste di alcuni anni prima. Si era avuto il necessario avallo di Girolamo Del Carretto. Girolamo I Del Carretto non solo, dunque, non fece frustare nel 1600 i facchini di Palermo (diciamo, per precedente morte), ma appare piuttosto benigno verso i suoi vassalli di Racalmuto. Gli subentrava, alla morte, il figlio primogenito Giovanni IV Del Carretto. Questi fu irrequieto e non si astenne persino dall’omicidio. E’ lui il mandante dell’attentato al Cannita, su cui si dilungano gli storici locali. E’ lui che finisce nel carcere di Castellammare di Palermo, ove era detenuto anche il poeta Antonio Veneziano (perirà questi; si salverà Giovanni del Carretto e Sciascia causticamente punzecchia). E’ lui che ha una caterva di sorelle cui garantire il “paragio” (fra le altre la celebre donna Aldonsa del Carretto, la fondatrice del convento di Santa Chiara a Racalmuto); un figlio spurio di nome Vincenzo diventerà arciprete di Racalmuto nel 1608; l’altra figlia illegittima si sposerà con Girolamo Russo, divenuto governatore del Castello racalmutese. E contro di questi si catapulterà, con la sua pingue mole, il vescovo agrigentino, approdato dalla Spagna, Horozco Covarruvias. Giovanni IV Del Carretto male visse e peggio morì: trucidato in un attentato a Palermo, lasciò come erede l’infelice Girolamo II Del Carretto, occisus a servo diceva una pergamena custodita entro il sarcofago del Carmine, e suo nipote Giovanni V Del Carretto fu giustiziato a Palermo nel 1650. (Tra quest’ultimo Giovanni e Girolamo II, storici poco accorti hanno intrufolato un altro Giovanni o un altro Girolamo che è solo frutto di confusione e di scarsa avvedutezza nella ricerca storica; anche Sciascia vi casca, ma - ripetesi - lo scrittore non si ritenne mai un erudito di storia locale). L’aneddotica è ricca e non è questa la sede per ripercorrerla. [11] Nel Cinquecento la storia religiosa racalmutese ha punte di rilievo: inizia nel 1554 un’attività archivistica che risulta oggi un patrimonio unico e mirabile per chi voglia investigare sullo sviluppo demografico del paese. Sono cappellani e preti, eruditi e diligenti che in registri annotano i fatti della vita locale. Una cultura che ravviva la terra misera e tragica del grano e del vino. Sono governatori e rettori delle confraternite che trascrivono nei loro rolli atti e testamenti, disposizioni varie e consegnano alla memoria futura i momenti operosi dei nostri antenati di quel tempo. Racalmuto conta all’inizio del secolo appena 1670 abitanti ed a chiusura siamo attorno a 4448. Dal 1554, l’evolversi cittadino è segnato passo passo dai tanti deprecati preti: un merito tanto grande quanto misconosciuto. Noi abbiamo spigolato per ricordare di costoro tutto quanto ci è stato possibile sapere. L’efferata esecuzione antisemita che abbiamo sopra rievocata avvenne nel 1474, quando vescovo di Agrigento era Iohannes de Cardellis seu Cortellis, un benedettino che era stato abbate del Monastero di S. Felice in Bruxelles e che nel 1479 si trasferirà a Patti. Quale peso abbia avuto nel reggere la diocesi, non è dato di sapere. In precedenza, aveva governato la chiesa agrigentina il Beato Matteo de Gimmara, noto per il suo furore nel volere convertire gioco forza gli ebrei agrigentini. Su quell’onda lunga, poté maturare il misfatto contro il povero Sadia di Palermo. Gli ebrei saranno cacciati dall’agrigentino in coincidenza con la scoperta dell’America, nel 1492. La Racalmuto del 1500 era stata dunque ‘epurata’ dei pochi ebrei ivi stanziatisi, forse con una conversione imposta. Ercole Del Carretto vuol apparire devoto alla Madonna; non avrà voluto grane con gli ecclesiastici ed i suoi vassalli di colpo saranno divenuti ferventi credenti, del tutto ignari di che cosa significasse la circoncisione. Neppure si dovevano rinvenire i celebri marrani: tutti credenti, tutti ariani, tutti cristiani di antica data. Nelle grinfie del Sant’Uffizio, il primo racalmutese - che poi era agrigentino - è stato alla fine del secolo il notaio Jacobo Damiano, come afferma Sciascia, per di più sospetto di essere un luterano. Sangue puro, anche lui, dunque. Nel 1537 diviene vescovo di Agrigento il nobile Pietro de Tagliavia de Aragona. Apparteneva alla potentissima famiglia dei Tagliavia signori di Castelvetrano. Passerà a reggere la prestigiosissima chiesa metropolitana di Palermo. Giulio III lo eleverà alla porpora cardinalizia. Il Prelato, nel 1540, manda i suoi visitatori episcopali a Racalmuto e costoro diligentemente ma in modo angusto e burocratico redigono alcune paginette di relazione. E’ la prima descrizione dello stato delle chiese, o meglio è un elenco delle dotazioni, dei “jocalia” posseduti. Tre anni dopo, il 9 giugno del 1543, il vescovo Tagliavia si reca in pompa magna in questa nostra terra. Sarà stato senza dubbio ospite nel Castello del nobile Giovanni II Del Carretto. Della Visita si fa un processo verbale, ma molto stringato; comunque ne scaturisce un quadro generale del clero e delle confraternite di Racalmuto, basilare per una ricostruzione storica di quel tempo. Quante chiese fossero aperte a Racalmuto a metà del Cinquecento, come erano dotate, quali sacerdoti avessero ruoli egemoni ed uffici di risalto, quali le rendite, chi aveva le primizie e chi le decime, ecco un contesto che scaturisce dal latino incerto di quel pur notevole documento. In precedenza nel 1520, quando vescovo di Agrigento era Iulianus Cibo, era scoppiata la grana della successione dell’arciprete Giacomo de Salvo. Questi, morto anni prima, aveva lasciato dei beni. Chi subentrava ne reclamava il possesso. Le postulazioni di prelati e di legati palesano il modo scopertamente simoniaco con il quale l’arcipretura di Racalmuto transitava da un beneficiario all’altro. E la corte papale trovava tempo ed interesse ad assegnare quel lontanissimo e sparuto beneficio a protetti, o raccomandati o forse semplicemente acquirenti del giro dell’ entourage papalino. Il mercimonio si ripete nel 1561 con la nomina ad arciprete di Racalmuto del sacerdote don Gerlando d’Averna, che, se bene interpretiamo i dati d’archivio della Matrice, era un agrigentino. Prima non abbiamo mancato di riportare ed illustrare i documenti, sinora inediti, che ci rendono edotti di questi spunti di vita ecclesiastica racalmutese. Una caterva di preti con quel cognome piombano da noi, trovando mansioni remunerative. Anche parenti laici seguono il classico ‘zio prete’ e mettono su famiglia; nel tempo il cognome diviene più prosaicamente Taverna. Tra il D’Averna ed il Taverna, i registri della Matrice oscillano per un paio di secoli almeno. Al D’Averna subentra, nell’arcipretura, il sac. Michele Romano, che muore il 28 luglio 1597. In vita appare un arciprete diligente ed assiduo. Propendiamo per la sua origine racalmutese. Lascia comunque un cospicuo “spoglio”. Il solito vescovo Horozco ne esige la consegna. Ma, più potente ed ammanigliato, sarà il conte Giovanni IV Del Carretto ad avere la meglio nella vertenza giudiziaria, potendo questi vantare i suoi diritti feudali. Si rifece il vescovo nominando arciprete di Racalmuto don Alessandro Capoccio - un napoletano girovago che aveva favorevolmente testimoniato in Spagna nel processo concistoriale per la concessione della mitra vescovile. Divenuto il Capoccio segretario del neo vescovo agrigentino, deve trattare con la curia romana per uscire dalle pastoie delle “relationes ad limina” che il Concilio di Trento imponeva agli ordinari con cadenza triennale. Nelle carte dell’archivio segreto del Vaticano, lo rinveniamo varie volte, presente a Roma. Non ha quindi tempo di recarsi a Racalmuto, neppure per prendere possesso del beneficio. Vi manda suoi delegati, dei canonici che appaiono in uno scandaloso processo per sodomia in cui sono coinvolti ecclesiastici di Cammarata. Mons. De Gregorio, e dopo di lui lo storico Manduca, tendono ad esaltare quest’ordinario spagnolo. Chissà perché i colti sacerdoti, quando fanno storia, credono che debbano fare apologetica. Chiosare le mende di un vescovo indegno che fece arrabbiare il papa (una annotazione pontificia autografa degli archivi vaticani lo attesta inequivocabilmente) non è poi atto riprovevole, se a compierlo è magari un ecclesiastico. Tra le carte segrete romane, un cappuccino, uomo del celebre vescovo Didacus de Avedo (Haëdo) - il vescovo del Sant’Uffizio, ordinario prima di Agrigento e poi di Palermo, scarnifica il pingue presule spagnolo con staffilate feroci. Un libello mandato al papa lo vorrebbe: Scandaloso et scommunicato; Disobediente et lascivo; Scandaloso; (coinvolto in un ) Homicidio; Disobediente della Sede Apostolica; Concurso à laici; Contra il Motu proprio di Sisto; Usurpatore; Subornatore; Scommunicato; Cupido; (affetto da) Pazzia; Sordido; Cupido - Archimista. E per ognuno di questi epiteti, giù una sfilza di fatti, apprezzamenti, insinuazioni, miserie umane. Non fu certo un caso che lo spagnolo Horozco Covarruvias, imposto dal re Filippo II di Spagna, riuscì a lasciare il vescovado agrigentino per pressioni e raccomandazioni regali e dovette accontentarsi della più angusta diocesi di Cadice, a metà rendita. Ebbe la beffa di vedersi bruciato un libro, intitolato De Rebus suis, per ordine del Papa, che lo aveva messo all’indice in quanto era un libercolo calunnioso verso la potente famiglia dei Del Porto, ed altri notabili agrigentini. Il Pirri tramanda che il vescovo Didacus de Haedo suum trasmisit vicarium Franciscum Byssum Agrigentum; qui convocato in aede Cathedrali populo die festo coram ipso Episcopo libros flammis vorandis tradidit. Il Pirri si era prima lasciato andare ad apprezzamenti lusinghieri sul Covarruvias, dichiarandolo uomo di grande erudizione. Invero, il presule spagnolo si faceva tradurre in latino da Sebastiano Bagolino i suoi claudicanti versi. In compenso beneficiò il fratello del poeta siciliano, che era sacerdote, con i beni di S. Agata di Racalmuto. E così i pii legati dei fedeli del nostro paese servirono per pagare gli uzzoli letterari di uno scervellato, che indegnamente occupava la cattedra di S. Gerlando. * * * Il Capoccio fu arciprete di Racalmuto per lo spazio di un mattino: inviati i suoi messi don Vito Bellosguardo e don Antonino d’Amato il 16 luglio del 1598, ben prima del marzo del 1600 deve far fagotto. Gli subentra don Andria Argumento, che prende possesso “di la maiori ecclesia di Racalmuto” appunto il 7 marzo XIII ind. 1600. Il Capoccio era oriundo napoletano. Come mai, dunque, riesce ad accaparrarsi le pingui “primizie” gravanti sui martoriati contadini racalmutesi? Ci viene in soccorso l’archivio segreto vaticano. Abbiamo curiosato nel processo concistoriale per l’elevazione a vescovo di Agrigento del mezzo ebreo Horozco. Il Capoccio vi appare come un perdigiorno, un avventuriero finito chissà perché in quel di Spagna. Si dà da fare e fornisce la sua testimonianza nel canonico processo che si instaura per la elevazione alla dignità episcopale del toletano. Aveva, questi, una macchia - per l’epoca - da tenere nascosta: pena l’indegnità e la non eleggibilità. Non aveva proprio la cosiddetta limpeza de sangre: la madre Maria Valero de Covarruvias era di origine giudea. Il prescelto aveva conseguito appena gli ordini minori il 30 aprile 1573 ed eccolo subito canonico priore della cattedrale di Segovia, senza essere ancora sacerdote (l’ordine maggiore lo conseguirà il 12 maggio 1573). Regge il vescovado di Segovia durante la sede vacante e diviene quindi arcidiacono di Cuéllar. I suoi meriti sono solo quelli della sua famiglia che annovera importanti canonisti e umanisti come Diego e Antonino Covarruvias o come Sebastiano che fu cappellano del Sant’Uffizio. Un siffatto giovanotto è destinato ad una folgorante carriera: il re di Spagna Filippo II lo impone a Clemente VIII che non può fare a meno di elevarlo a vescovo titolare della prestigiosa cattedra di S. Gerlando. Da un borgognone ad un toletano! Ma la forma è forma: s’imbastisce il rituale processo in Spagna. Tra i testi, riesce a intrufolarsi il napoletano Capoccio il cui unico titolo è quello della pretesa conoscenza delle cose della Cattedrale di Agrigento presso la quale aveva anni prima brigato. La deposizione del Capoccio è vaga, imprecisa, reticente, incompetente; eppure è sufficiente per fugare gli ostacoli del vigente diritto canonico. Giunto in pompa magna ad Agrigento, il giovanotto toletano, pingue oltre ogni dire, basito, che sa parlare solo in spagnolo e non comprende né latino, né la lingua italiana, né, tampoco, il vernacolo siciliano, viene raggiunto dal compiacente spergiuro d’origine napoletana. I Napolitani, i cui meriti tutti riconoscono ma i cui difetti non possono ignorarsi, sono come sono: non sarà parso vero al partenopeo Capoccio di ricattare il neo-vescovo per quella testimonianza spagnola, secretata nei suoi particolari, ma ben presente nella memoria dell’Horozco: una resipiscenza, un pentimento del teste spergiuro ed ecco la revoca! Capoccio viene subito tacitato con la nomina a segretario; gli vengono affidate locupletanti missioni nell’ostile corte papale. Non basta: i benefici arcipretali racalmutesi sono suoi. E’ lo stesso Horozco che nelle sue relationes ad limina a ragguagliarci della molteplicità e cospicuità di tali gravami ecclesiastici sulla disastrata Racalmuto.

venerdì 28 luglio 2023

LE PERSONALITA’ DI SPICCO DEL SETTECENTO RACALMUTESE Diciamolo subito: il secolo dei lumi è poco illuminato per intelligenze locali che in qualche modo possano rasentare il genio: le parole del Guicciardini care a Sciascia sulla “ricolta” di ingegni negli stessi anni suonano ora del tutto vane. Né grandi medici, né veri pittori, e neppure – ci dispiace per Sciascia – rimarchevoli eretici. Solo il bestemmiare del popolino che è poi atto di fede intensa. Per contro abbiamo un prete in fama di santità: ma era tanto sessuofobo e sgrana tanti rosari che non pensiamo ci si possa troppo gloriarne. Il collegio di Maria era un reclusorio per ragazze, figlie di sventurate, che vi venivano coatte perché possibili «occasioni di peccato». Per vaccinare contro il vaiolo, non c’erano medici adatti. Si mandò a Palermo un “cerusico”, un barbiere, per imparare una tecnica un tantinello meno rudimentale. E m° Giuseppe Romano fu forse meglio dei medici, ma sempre barbiere era. Siamo alla fine del secolo – 16 giugno 1795, dicono le cronache. I preti lasciavano i loro beni – come nel Seicento del resto – alle chiese forse terrorizzati per l’incombente accesso agli inferi, per pratiche usurarie. Ma le volevano ampie e nude come il loro vacuo esistere. Il sacerdote Pietro Signorino, dopo avere smunto il suo asse ereditario con tanti legati, «instituisce, fa crea e nomina in sua Erede universale la venerabile chiesa di S. Maria del Monte». Correva l’anno del Signore 1737 (die decima nona Septembris, prima indictio, millesimo septingentesimo trigesimo septimo.) Si doveva vendere tutto – “formenti, orzi, ligumi, superlettili ed arnesi di casa – ed il ricavato, con il denaro dell’asse, andava speso «nella fabrica della detta ven. Chiesa di S. Maria del Monte.» Ed il pio e talare testatore soggiunge: «li frutti annuatim si percepiranno dalli suoi terreni stabili ed effetti ereditarii, come delle terre, vigne, case, rendite ed altri proventi si ritroveranno doppo la di lui morte si dovessero pure erogare dall’infrascritti suoi fidecommissarii nella fabrica di detta Chiesa di S. Maria del Monte, e questo fintanto che sarrà la medesima chiesa perfezionata tutta solamente di rustico». Il prete non aveva molta fiducia nelle gerarchie ecclesiastiche, e – non nuovo a tali tipi di astiosa riserva – vuole che non vi siano intrusioni della «S. Sede, ovvero della Generale Curia Vescovile di Girginti né d’altra persona.» Da escludere anche «l’Officiali della Compagnia della detta Ven. Chiesa di S. Maria del Monte». Il Signorino ha fiducia solo nel «rev.do sac. D. Baldassare Biondi del quondam don Francesco, del rev.do sac. D. Melchiore Grillo e del rev. D. Elia Lauricella», sempreché agiscano «coniunctim». Ancor oggi non si sa se il Santuario sia rifacimento o ampliamento o – molto più probabilmente – una nuova costruzione che venne addossata alla vecchia chiesa, divenuta sacrestia. Il padre Morreale è molto meticoloso ed ovviamente agiografico. Propende, alla luce del testo delle disposizioni testamentarie, per una «nuova chiesa» la cui prima pietra sarebbe stata posta il 14 agosto 1736 e solo attorno al 1746 l’antica chiesa sarebbe venuta «a trovarsi dentro la nuova.» Molto disinvoltamente Internet ci propina questa imprecisa versione, peraltro ingenerosa verso il pio testatore Signorino. Per quell’informatico, la chiesa del Monte: «Sorge sul poggio più alto dell'antico borgo medievale. La chiesa fu costruita nel 1738. Già nel 500 esisteva la chiesetta di S. Lucia. All'interno è ubicata la leggendaria statua in marmo bianco di Maria Vergine di fattura gaginesca. Maria SS. del Monte è la compatrona e regina di Racalmuto ed ogni anno, nella seconda settimana di Luglio, si celebra la festa in suo onore. Durante i tre giorni della festa viene rievocata la vinuta di la madonna con recite, cortei con cavalieri in abiti del 500 e prumisioni che consistono nell'offerta del grano alla Madonna da portare a piedi o su cavalli che, spronati dalla folla, devono salire lungo la scalinata che porta al santuario. Altro momento esaltante della festa è la pigliata di lu ciliu (una sorta di cero alto alcuni metri) che consiste nella conquista della bannera da parte di giovani borgesi scapoli. La lotta per conquistare la bandiera è talvolta violenta, con pugni e calci da parte degli avversari. Tutto si quieta quando uno dei borgesi afferra il drappo.» Sciascia, che ebbe ad infilzare proprio il mansueto padre Morreale, forse perché gesuita, a proposito della ricerca storica sulla venuta della statua della Madonna del Monte, ora finge di non dargli peso per codeste ricerche testamentarie del sacerdote Pietro Signorino. Al giovane Tinebra Martorana aveva accordato il peso della sua autorevolezza e in un caso analogo, quello del testamento del sacerdote Santo d’Agrò, non si era lasciato sfuggire il destro per sardoniche bardote sul prete in “alumbramiento”. Altrettanto poteva fare anche in questa circostanza della Chiesa del Monte, ma se ne è astenuto. E dire che piccante poteva risultare la ricerca del gesuita p. Morreale sulle propensioni a beneficiare una pinzochera da parte del pio testatore. Pudicamente il gesuita annota: «nel testamento – il padre Signorino – determinò alcuni legati a favore della Perpetua». Invero, la preoccupazione a beneficiare Caterina d’Alberto è pressante. «Item il sudetto testatore hà legato – si legge nel corpo delle disposizioni testamentarie – e per ragione di legato lega à Caterina d’Alberto sua serva una casa, prezzo e capitale di onze 10 circa, quale vuole che se li dovesse comprare dalli ssopradetti suoi fidecommissarii» e nel codicillo, in termini ancora più chiari anche se in latino, «item dictus codicillator ligavit et ligat sorori Mariae de Alberto bizocchae Ordinis Sancti Dominici in saeculo vocata Catarina eius famulae ultra illas uncias decem in dicto eius testamento legatas tre infrascripta domus de membris et pertinentiis eius tenimenti domorum » e passando al volgare «nempe la prima entrata, la camera ed il catoio sotto detta camera della parte di occidente, seu della parte di San Gregorio» e tornando al latino «de quibus quidem tribus corporibus domorum ipsa soror Maria, habet et habere debet solum usum exercitium». Non solo, ma «dumtaxat – cioè vita natural durante – [le si devono] tumuli otto di frumento, un letto fornito, due tacche di tela sottile, il mondello, due sedie di corina, la criva, la sbriga e maiella, ed alcuni arnesi di cocina.» Almeno, quello svolazzo del codicillo, una funzione la esplica: dà materia per un eventuale museo etnografico.

giovedì 27 luglio 2023

RACALMUTO, toponimo arabo, diremmo , certamente, un profluvio di note storiche ve lo scandisce sino alla monotonia. Ed anche Sciascia cita e conferma. Racalmuto, paese arabo? E qui casca l'asino. Noi saremmo portati a dire: no! Tra Naro e Sutera, di sicuro Arabi, storicamente non si appura alcunché Illuminato Peri ci ammonisce. "Per i geografi egli anni dell'emirato, musulmani di religione e arabi di lingua, la Sicilia era provincia della periferia islamica. Su di essa riportarono abitualmente notizie schematiche e stereotipe, talora attinte dalla descrizione dell'antichità e con indulgenza ai tratti di colore. .... Le residenze all'interno dell'isola erano piuttosto ridotte nel numero , e comunque non davano luogo ad abitati nelle dimensioni di migliaia di persone." In tale contesto non vi è posto per una Racalmuto densamente abitata. Le ricerche archeologiche nulla di certo, nulla di sero ci hanno tramandato. Nè castello e né castelluccio mi pare di potere affermare. Moschea? nessuna. Ceramica, tanti ne parlano ma deserto negli affioramenti modernamente inverati. Quel che di arabo abbiamo, è da traslare nel dominio normanno, diecine di anni dopo. UNA MIA VECCHIA NOTA STORICA: Contra Omnia Racalmuto ...per mestiere spiego bene agli altri quello che per me non comprendo. lunedì 23 dicembre 2013 Il nome di Racalmuto oltre le cervellotiche etimologie: Racalmuto = Rahl al Mudd = Casalis Modi='sosta, casale IL NOME DI RACALMUTO Non è, però, dubbio che per quanto buia sia la pagina araba racalmutese, arabo è il suo toponimo. Già nel XVI secolo il colto Fazello attestava l’origine saracena di Racalmuto. «Castello saraceno - lo definiva - dove è una Rocca edificata da Federico Chiaramonte». Più in là non andava. Tra il 1757 e il 1760, il monaco benedettino Vito Maria Amico nel suo “Lexicon topographicum siculum” rivestiva purtroppo di significato funereo la etimologia di Racalmuto da cui ricavava la definizione di paese “diruto, morto” . L’avv. Giuseppe Picone, agrigentino ma del ceppo dei Picone del nostro paese, si avventurava nell’insidie dell’arabo e faceva derivare il toponimo da due termini arabi: Rahal (‘Villaggio’ e sin qui correttamente) e Maut (‘della Morte’ e qua invece alquanto arbitrariamente). Il nostro Tinebra Martorana, con fervore giovanile, vi correva dietro. Leonardo Sciascia, ovviamente poco incline alle pignolerie etimologiche, vi dava plurimo ed autorevole avallo. Diviene difficile per chicchessia procedere ora alle debite rettifiche. Vi tentò, ma flebilmente, il compaesano gesuita padre Antonio Parisi: «... emerge la probabilità, se non la certezza - scrive il dotto gesuita - che fosse stato un Hamud [...] a dare il nome all’abitato. Rahal, pronunziato Rakal [ ...]; Hamud, pronunziato Kamud o Kamut [...] dava Rakal-kamut; ed a togliere la cacofonia si soppresse il secondo “ka” e rimase “Rakal-mut” = Ralmanuto!». Di certo, con la sua autorità, ci aveva pensato il Garufi a stroncare ogni attribuzione di significato, tendente ad indicare Racalmuto come “Paese dei Morti”. In un suo studio del 1947 ([1]) annotava: «soggiungo che l'unica e più antica notizia di Racalmuto, che ci permetta d'indagarne l'origine al di fuori delle cervellotiche etimologie di R a h a l m u t, casale della morte, si ha nella pergamena greca originale conservata tut­tavia nel Tabulario di S. Margherita di Polizzi, la quale contiene l'atto di compra-vendita, dell'a. m. 6687, e. v. 1178, feb. ind. XII, di un fondo sito in Rachal Chammout. Sin dalle sue origini il casale fu denominato da Chammout, nome codesto di persona che per due volte ricorre fra i g a i t i testimoni saraceni nel diploma originale, greco-arabo, di Re Ruggiero dell'a.m. 6641, e.v. 1133 feb. ind. XIa ». Va detto che la lezione del Garufi, purtroppo, non è stata recepita dai moderni storici alla Henri Bresc. Ispirato forse da quest’ultimo, un grandissimo arabista contemporaneo si è data la briga di riesaminare l’etimologia del toponimo. Non accetta la versione tradizionale. Ed ci dà una nuovissima lettura, secondo la quale è da parlare di un ‘Paese del moggio’. ([2]) Testualmente afferma che Racalmuto: «deriva dall'arabo Rahl al Mudd = uguale Casalis Modi (Cusa 24, 25 e 221) 'sosta, casale' del Mudd luoghi di interesse>RacalmutoAl momento stai visualizzando RacalmutoRacalmuto (Racalmutu in siciliano) è un comune italiano di 8.338 abitanti della provincia di Agrigento in Sicilia.Ha dato i natali al pittore Pietro D’Asaro, a Eugenio Napoleone Messana, ai tenori lirici Luigi Infantino e Salvatore Puma, nonché allo scrittore Leonardo Sciascia che ne diede una rappresentazione letteraria nella Regalpetra della sua opera d’esordio.StoriaEtà medievale:Gli Arabi si stabilirono qui con piccoli nuclei di coloni, dediti all’agricoltura. Sorgeva, infatti, su una vallata fertile e irrigata da acqua abbondante.Probabilmente il piccolo villaggio era difeso da un Castello. Il geografo al-Idrisi ne situa, infatti, proprio uno dove sorgeva Racalmuto.Nel 1038, il Castello fu espugnato dai Bizantini e, nel 1087, dai Normanni. Dopo la dominazione normanna, la terra di Racalmuto venne concessa alla famiglia Barresi che eresse, nel 1229, l’importante fortezza del “Castelluccio”, per meglio difendere il paese probabilmente su un preesistente fortilizio di epoca araba.Dopo la guerra del Vespro, gli Aragonesi spogliarono i Barresi dei loro domini che vennero concessi, qualche anno dopo, alla famiglia Chiaramonte.A seguito del matrimonio di Costanza Chiaramonte con il marchese Antonio Del Carretto, nel 1307 Racalmuto passò a questa famiglia.Una grave pestilenza, nel 1355, decimò la popolazione, ma la città risorse, nel 1400, grazie ai provvedimenti di Matteo Del Carretto.Età modernaIl Castello venne restaurato e tornò ad essere abitato.Nel 1503, un avvenimento religioso scosse la vita del paese: la venuta della Madonna del Monte. Una tradizione mariana che rimarrà nel cuore dei fedeli.Sino al 1576, Racalmuto fu dominio baronale, ma, dall’anno successivo, divenne Contea e alla fine del XVI secolo, contava oltre 4.000 abitanti.Si arricchisce di conventi, monasteri, chiese, collegi, ed ha anche un ospedale.Il maggior tempio viene dedicato all’Annunziata. Nel 1600, fiorisce l’opera dell’artista racalmutese Pietro D’Asaro (il monocolo racalmutese).Nel 1700, la decadenza di Racalmuto fu molto evidente e dovuta a soprusi e tasse esose. Passò alla nobile famiglia Gaetani (1739), e un secolo dopo, a quella dei Requesens.Età contemporaneaNel secolo scorso divenne un importante centro minerario ed ebbe un certo incremento anche l’industria del sale. Oggi è cresciuta l’attività agricola e decaduta in parte quella mineraria.Origine del nomeIl nome del paese deriva probabilmente dall’arabo Rahal Maut può essere tradotto “Villaggio morto“, perché quando gli arabi vi giunsero, trovarono la popolazione quasi sterminata dalla peste.Monumenti e luoghi d’interesse:http://www.comune.racalmuto.ag.it/.../Condividi... un commentoDevi connetterti per pubblicare un commento.Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. 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E smurcà lu vientu Ieri all'improvviso verso le ore 14 si caravnta contro persane ed alberi a Villa Merycal un vento impetuso sibilante vociante ce nklla mia infanzi vremmo chatu lu zzi Murieffru. Una espressione mi vmne pontnea: E SMURCA LU VIENTU. Smurcà smurcari, è termine che no si trva in alcun vocbolario siciliano e forse non esiste nepure nei vicini pesi di minotìr vecchiai riptto a Racalmto. Donde vie, quae etimologi no sisa. crtamnte no apprtiene l latino al greco al bizantino all'arabo, al notmnn all'aragonese, al francese, allo spagnolo, all'inglese, a l borbinico, al savoirdo, all'itlico dantesco. Certo non sono un glottolico e va a fine che venga smntito dagli scienziati linguistici, Se avverrò ne sarò ben iieto. E frattanto? Sono propenso a pensare che sia una scheggia un frustro della più antivìca civilyà autoctona racalmutese, la SICANA quela preente nel teroririo che rosale a cinque mila anni da oggi. E qusto termin si accoppia ad adltri termini specie nlla toponomastica che mi paiono più anichi delel lingue che sono conosciyte. Termini come Gargilta, zccanieddru, pidi di zichi, vozzu sciunnari, naca e annacarii, strummulu, minchi china, cacciuttieddru, pirripitacchiu, mariarruni friscaliettu, puntuni, piritera, etc. a me fanno pensare ai residui di quella lingua non sciitta che da Fra Diego a San Brlomeo, a Pietra long (castrofilippo, a Canicattt', a Montedoro e a Milena (in particolare) si parlava attor a cinque mila anni anni f d gi. La madre nostra lingua chr Tucidide disse SICANA; Calogero Taverna

mercoledì 19 luglio 2023

ARS Cicoli 4 luglio 2016 · UN MESE FA CIRCA LANCIAVO QUESTA IDEA CHE POTEVA ESSERE L'INIZIO DI UNA SVOLTA PER LA DIGNITOSA E REMUNRATA OCCUPAZIONE GIOVANILE. NOVITA' NELLA TRADIZIONE. CULTURA PERSINO NELLA SCIASCIANA "PAMPILONIA" DELLA FESTA DEL MONTE. INTELLIGENTI RICHIAMI TURISTICI. REPUCERO DELLA NOSTRA GRANDE CIVILTA' ANCESTRALE. NIENTE NIENTE NIENTE PAROLE AL VENTO LE MIE.!!!!! Calogero Taverna ----------------------------------------------- Tre Giorni nella Terra dei Sicani con l'agenzia viaggi Regapetra di Enzo guarda CONTRA OMNIA RACALMUTOMacaluso Voi che bene o male mi leggete, voi che bene o male siete costretti ad interrogarvi cosa sarà mai Racalmuto, voi che non siete locali (ma anche voi se lo siete) perché non passate un fine settimana a Racalmuto. Rivolgetevi all'Agenzia di Viaggi del mio amico Enzo Macaluso. Sa organizzarvi ua indimenticabile originale tre giorni. Vi può venire a prendere dove volete. Se preferite l'aereo verrebbe a prelevarvi vuoi all'eroporto di Catania,vuoi a quello di Palermo e figursi dagli altri aerporti minori. Vi sistemerebbe ove preferiti dall'albergo a 5 stelle a quello molto lindo piacevole e molto ecomomico, o in stanza in famiglia (Racalmuto è paese albergo) o in intriganti B&B locali. Per un giorno vi farebbe toccare con mano e deliziare con gli occhi con una istruttiva peregrinatio i luoghi più arcani dell'ancora non del tutto investigata Civiltà Sicana (o meglio presica secondo mie esclusive ricerche che Enzo ben conosce) . E lungo il percorso vi additerebbe lo Zubbio di Sant'Anna, le collegate miniere di caciummo, le fughe d'amore nel bosco di Aglianni al Castelluccio, il Castelluccio, la fontana del Vozzaro, i ruderi di colossali miniere di potassio abbandonate. E il clou dei clou le fantastiche mecropoli sicane di Fra Diego, la grotta del frate agostiniamo giustiziato a Sant'Elmo per la nota Morte dell'Inquisitore di Sciascia. Ritornando non mancherebbe uno sguardo alla spettrale necropoli bizantina a Vriccico tra calanche e mincciose statue rocciose scolpite da i venti preistorici. In appendice una vista lungo il "gattano" detto del Pantano per vedere i luoghi del ritrovamento dei Tegulae Sulfuris del Mommsen e quindil'arcano di una incipiente tomba a Tholos rastremata in alto da un palmento Cinquecentesco come cinquecenteschi sono i mulini ad acqua dei dintorni, capolavori dell'ingegneria di quei tempi. L'indomani ad Agrigento a godere gli splendori della Valle dei Templi, e il pomerggio un puntata a quel capolavoro unico della natura che è la SCALA DEI TURCHI. Il terzo giorno escursione a Milena per ammirare le tombe micenee, celeberrime per i ritovamenti archelogici e da lì visita alle mastodontiche tombe di Sant'Angelo Muxaro dove si colloca il mito di Icaro. Quanto ai prezzi, Enzo è mbattibile per andare incontro alle esigenze dell'oculato risparmio dei graditi ospiti. Vi saranno oggertre grati le mie pubblicazioni archeologiche e storiche su Racalmuto e vi sarà messa a disposizone studi specialisici er una vanca divertente ma anche erudita. Visualizzato: 13 giugno ------------------------------------------------------------------------- [<'Pampilonia, nel dialetto racalmutese vol dire confusione infernale chiasso panico smisurata allegria; a chi ha letto 'Fiesta? di Hemingway più suggestiva sembrerà l'ipotesi che la parola scaturisca dalla festa di Pamplona invcece che dalla Babilonia 'civitate infernali' dei predicatori; e all'potesi si accompagna una 'pampilonia' di festa che nell'ultima settimana di maggio qui esplode insonne e violenta. Con questa festa rissosa, che certo piacerebbe a Hemingway, i regalpetresi celebrano un miraolo della Madonna di cui fanno fede antiche cronache. Correva l'anno 1503, ed era signore di Regalpetra Ercole del Carretto quando in un pomeriggio pieno di sole e polvere fece sosta davanti alla chiesa di santa Lucia, dove era una fontana. il nobile castronovese Eugenio Gioeni ......ma più di ogni altra è inquietante la considerazione sulla scelta della Madonna tra il Gioeni e il del CARRETTO, TRA I CASTRONOVESI E I RAGALPETRESI ... PERHe' TRA I REGALPETRESI LA MADONNA HA VOLUTO FERMARSI, LA POPOLAZIONE DI CASTRONOVO ESSENDO IN EGUAL MISURA FATTA DI UOMINI ONESTI E DI DELINQUENTI, DI INTELLIGENTI E DI IMBECILLI. -->] Leonardo Sciascia: Le parrocchie di Regalpetra.

martedì 18 luglio 2023

Calogero Taverna * * * “STORIA RELIGIOSA DI RACALMUTO” Studi e ricerche * * * _________________ PRIMA DELLA STORIA Racalmuto si affaccia sulla ribalta della storia - quella almeno documentata - molto tardi: bisogna attendere il 1271 per imbattersi in un diploma angioino ove il casale della diocesi di Agrigento è segnato in termini tali da non lasciare troppi dubbi sulla esistenza del paese. Prima, affiorano solo cenni o spunti che soltanto in via congetturale possono portare a questo centro dall’incerto nome arabo di Racalmuto. Il toponimo “Racel ...”, ad evidenza corrotto ed incompleto, che trovasi nelle cronache del Malaterra, è da riferire secondo alcuni a questo entro dell’agrigentino: di conseguenza esso sarebbe uno dei dodici borghi arabi soggiogati, violati e ricristianizzati dai lancieri di Ruggero il Normanno, nell’aggiramento per la conquista della Ghirgent di Kamuth. E Racalmuto nient’altro sarebbe che “Racal-Kamut”, Borgo o Fortezza di Kamuth - come del resto lascia trapelare la grafia del toponimo nel diploma del XIII secolo che si custodiva a Napoli, negli archivi angioini. Altri si ostina a collegare una delle località descritte dal geografo Edrisi, GARDUTAH, con Racalmuto (come se si trattasse di una corrotta trascrizione del fonema dialettale “Racarmutu”). Altri come Eugenio Messana, invece, reputa che il toponimo Al Minshar sempre dell’Edrisi non sia nient’altro che il Castelluccio. Non manca certo l’erudizione, ma ci troviamo di fronte solo a vaghe congetture. Noi, invece, restiamo presi da quanto afferma un archeologo del valore di Biagio Pace che, forse un po’ troppo avvalorando il nostro Tinebra Martorana, propende per la tesi secondo la quale le Grotticelle, sotto la contrada del Giudeo, sarebbero state adattate, nei tempi bizantini prossimi al papa Gregorio Magno, ad ipogeo cristiano. E sulle ali dell’entusiasmo archeologico, avremmo voglia di ritenere che quella crocetta che è marcata in una Tegula Sulphuris, di cui parla qualche archeologo, stia ad indicare una presenza cristiana a Racalmuto addirittura sotto l’imperatore Commodo. Quelle Tegule - così approssimativamente denominate dal Mommsen - venivano fabbricate e vendute nel quartiere ellenico di Agrigento, ma il loro uso riguardava di sicuro le miniere di zolfo di Racalmuto - quelle della zona di Quattro Finaiti e dintorni. Secondo studi attendibili, questo avvenne sotto l’imperatore Commodo. Forse un liberto cristiano fu inviato nelle officine zolfifere imperiali della nostra terra e nelle sue Tegulae - le antenate delle moderne ‘gavite’ - fece incidere il segno della sua fede: la piccola croce che non è sfuggita agli archeologi della nostra epoca. Se è così, la presenza cristiana a Racalmuto è antichissima, quasi una predestinazione, un pionierismo i cui meriti si sono protratti nei millenni. Racalmuto è stata una chiesa salda nella fede: giammai vi ha attecchito la mala pianta dell’eresia: qualche presenza massone alla fine dell’Ottocento ha rappresentato semplicemente lo snobismo di qualche ex seminarista alla ricerca di intime rivincite o di moti liberatori da psicoanalitici complessi. Diversamente che da Grotte, qui da noi mai si sono avuti fomiti scismatici e giammai si sono espanse sette eretiche. La vicenda emblematica di Fra’ Diego La Matina ci appare un fervido parto letterario del pur grande Leonardo Sciascia. Lo scrittore diede enfasi alle dubbie affermazioni di un cronista secentesco e prese alla lettera accuse palesemente rigonfiate. Un Fra’ Diego La Matina autore di libelli eretici è ipotesi infondata e comunque non potuta documentare dallo Sciascia. A noi risulta, invece, che un chierico di tal nome dimorasse nel 1660 e rigorosamente assolvesse al precetto pasquale. Lo attesta la più
ALBA SCHEMBRI scusami se ti importuno ma non riesco a capacitarmi, essendo tu nelle amicizie di un certo Lillo Taverna che non conosco e non ho mai letto tramite altri, come tu faccia a sostenerlo un patologico anziano affetto da gravi forme di arteriosclerosi in un cuore che alberga cattiveria è volgarità, io ripeto non lo conosco ma pochi giorni fa ricevo una richiesta d’amicizia con una serie di complimenti che mi misero in guardia e scrutando nel suo profilo feci attenzione nell accettare l amicizia, ho fatto bene perché l’abominevole bestia che alberga in lui vedendosi ignorato mi ha scaricato veleno e volgarità e l ho subito bloccato, però do con certezza che sta continuando… ma tu come fai a seguire una persona così.. non ho mai avuto modo di interagire e si sta sfuriando contro di me ma specialmente contro le persone che io seguo ed amo!! fai attenzione --------------------------- addolcire il veleno che scaglia? mi stanno riportando quello che pubblica contro Alessio veleno e invidia ma segnalatelo !!! N.B. Chi era quella che riportava e faceva la talpa? Ma la PERNACCHIA, che ora vorrebbe comicamente vestire' i panni della critica letteraria per difendersi offendendomi. ............................. Soggiunge la beghina del lercio personalmente non so da che cosa provenga questo suo livore so solo che mi passano in posta scritti che sta pubblicando contro di me e Alessio, sono basita non ho parole non ho mai conosciuto questa persona è la sua richiesta d amicizia mi ha subito messo in guardia da un folle … non ho voluto proprio conoscerlo e nonostante mi sta aggredendo pubblicamente senza conoscermi minimamente.. minaccia… che Dio li dia pace ignorarlo è quello che ho fatto subito dal primo momento, ma il mio punto interrogativo era rivotò a te, perché ho visto qui un tuo messaggio inviatomi e poi cancellato .. notte notte Lillo Taverna 1 h · Contenuto condiviso con: I tuoi amici ALBA SCHEMBRI scusami se ti importuno ma non riesco a capacitarmi, essendo tu nelle amicizie di un certo Lillo Taverna che non conosco e non ho mai letto tramite altri, come tu faccia a sostenerlo un patologico anziano affetto da gravi forme di arteriosclerosi in un cuore che alberga cattiveria è volgarità, io ripeto non lo conosco ma pochi giorni fa ricevo una richiesta d’amicizia con una serie di complimenti che mi misero in guardia e scrutando nel suo profilo feci attenzio… Altro... Lillo Taverna 1 h · Contenuto condiviso con: I tuoi amici ALBA SCHEMBRI Ecco che la parola si manifesta e spesso cade nella nostra vita tra un avvenimento e un altro in nostro sostegno o per aprirci a nuove riflessioni, questa parola cade proprio a pennello su una tela dipinta da chi della parola fa un uso improprio, malvagio, impuro, da chi scaglia le proprie frustrazioni la propria rabbia contro il fratello contro gli innocenti, ne fa un arma per recidere quelli che sono i sentimenti veri, leggendo si è aperto il cuore ad una prof… Altro... Lillo Taverna 3 h · Contenuto condiviso con: I tuoi amici Lillo Taverna 1 g · Contenuto condiviso con: I tuoi amici Tradire non è solo andare con un' altra donna o un altro uomo ma deporre chi si ama nel ripostiglio degli affetti in disuso.
Sabato 26 dicembre 2015 LA NOVELLA CHIESA DI S. ROSALIA. Efficace il Pirri nel parlare del fervore della confraternita delle Anime del Purgatorio nel costruire o riedificare la Chiesa di Santa Rosalia. L’anno è il 1628, qualche tempo dopo la tremenda peste che a Racalmuto infierì nel 1624 , anno del rinvenimento del corpo di S. Rosalia nella grotta di Monte Pellegrino, giusta appunto il giorno dell’Ascensione. Nel manoscritto attribuibile al Genco è significativo il presente passo: «Poi a pag. 373 [il Cascini] narra che Racalmuto fu devoto di S. Rosalia tanto che narra: “Ne si mostrò poco divota verso S. Rosalia la terra di Rahalmuto, la quale come si è detto nel primo libro, fin dal suo principio, nacque sotto la protettione di questa Santa e vi dedicò la sua prima chiesa, havendola hora rifatta di nuovo; è incredibile la divotione, con che viene visitata a piè scalzo ogni sera non da pochi, ma d’una moltitudine grande. Però con molto maggior mostra di pietà, e humiltà ciò fecero il giorno quando accompagnarono la sua Santa reliquia, che fù l’ultimo di Agosto 1625, erano andati a portarla da Palermo, ben 80. a cavallo, e quella mattina, che fù Domenica, si cantò prima [pag. 375] la Messa nella Chiesa dei Padri Minori Osservanti colla solennità solita; e si liberò una spiritata; dopo il Vespro pur solenne si fece la processione, nella quale, benché vi fosse molta pompa d’apparato con tre archi trionfali, di luminarie per tre giorni, di concerto di Musiche, e salve di schioppi, nondimeno superava ogni cosa la devotione, che s’udia delle voci, e sospiri, e pianti, e si vedea della moltitudine tutta a piè scalzo. Accettò la Santa la pietà loro, e gli mostrò a chiari segni, che la sua protettione l’havea liberati dalla pestilenza; imperoché havendo la terra delle Grotte presso à due miglia molto mal menata da quel morbo, colla quale così infetta per un buon pezzo, prima che fosse dichiarata, vi fù pratica stretta, per essere in buona parte parenti fra loro e haver molta communicatione, non si attaccò però male veruno; anzi entrandoci dentro appestati diversi, si di questa terra, come d’altre, i medesimi che la portavano poi in altri luoghi, quivi non vi lasciarono vestigio alcuno.» Facendo la collazione con il testo originale, sono sate necessarie alcune rettifiche. ( Si è consultata l’edizione del 1651 del volume del p. Giordano Cascini «S. Rosalia, Vergine Romita palermitana, palesata con libri tre dal M. R. P. Giordano Cascini della Compagnia di Giesù»). Il manoscritto racalmutese (ed anche p. Morreale) attinge a questa pubblicazione palermitana del 1651. Il p. G. Cascini era morto sin dal 1635 quando fu pubblicato questo volume. E’ stato il p. Pietro Salerno S.J. a riprendere gli appunti del Cascini ed a rimaneggiare altri due testi già pubblicati tra il 1627 ed il 1635 per fare questo ponderoso tomo. Per di più rettifica ed immette notizie posteriori, ragion per cui non si sa quali notizie siano originali del Cascini e quali interpolate successivamente dal Salerno. Nell’analisi critica dei padri autori degli «acta sanctorum» del 1748 queste anomalie sono puntigliosamente messe in rilievo. Certo, anche per la storia di Racalmuto, alcune interpolazioni del Salerno - tipo, secondo me, quella del riferimento al Monocolo - disorientano. [1] Notizie interessanti sulla Chiesa di S. Rosalia di Racalmuto - anche se forse non proprio fondate - si scoprono nel “saggio storico-apologetico sulla vera patria del celebre medico D. Marc’Antonio Alaimo di Racalmuto dell’Abate d. s. acquista” Napoli 1852 (cfr. copia fornitaci da P. Biagio Alessi). «... Andrea Vetrano - scrive Acquisto a pag. 7 -, discepolo di Marco Antonio Alaimo, recitò nel novembre del 1662 le lodi funebri del dotto Maestro [...e] proseguendo [..] in conferma dell’assunto, e della pietà, che sempre più gelosamente si coltivò nella famiglia Alaimo, il medesimo scrive; che Aloisia Alaimo, dalla quale Marc’Antonio trasse sua origine, gettò in Racalmuto le fondamenta della Chiesa di S. Rosalia , unicamente a di lei spese, circa il 1200. [2] * * * Nelle varie fonti prima citate si rinvengono briciole della storia locale di Racalmuto. Non vanno disperse. A parte qualche tocco di satanismo secentesco (la vicenda della spiritata), il vivere paesano, la sua religiosità, la sua organizzazione vi trovano riscontro sinora non adeguatamente messo in risalto. Le reliquie di S. Rosalia, comprate in Palermo e traslate in pompa magna nella chiesa di S. Maria dei frati minori osservanti, da ottanta cavalieri, assurgono a momento di grande rilevanza storica. Una conferma la ritrovo nel Diploma custodito in Matrice (che però è parziale e non mi consente di leggere l’ultima parte di destra.) Ecco quelli che riesco a decifrare: In alto, nello svolazzante nastro: IOANNETTINUS DORIA ET C [/] Nel rosone, attorno ad un’interessante immagine di S. Rosalia, Sancta Rosalia Virgo eremitica panormitana Sotto l’aquila nobiliare NOS D: FRANCISCUS DELLA RIBA S. T [/] Prothonotarius Apostolicus, Archidiaconus Maioris Panormitanæ E [/] D.ni Nostri Utriusque signaturæ Referendarius .. & Reverend.mi D [/] IOANNETTINI DORIA S.R.E. Titoli Sancti Petri in Monte Aureo [/] & Archiepiscopi Panormitani [......] V [icarius] Generalis. Omnibus ad quos hæ litteræ pervenerint fidem facimus, & testamur fragmenta Ossis Costæ, quæ funi penes Fratrem IOANNEN BATTISTA [/] Montis Carmelis esse ex Reliquiis SANCTÆ ROSALIÆ V[...] [/] Urbis Patronæ; cuius Corpus nuper est inventum in Antro Montis [/] mirabiliter inclusum ut autem duo fragmenta, ut supra, liceat universis [/] [..] ac religiose venerari; in huius rei testimonium presentes dedimus nostra fut [/] præfati Ill.mi Dni Cardinalis obsignatas. Panormi Die X.. Augusti VIII Ind. [quindi 1625] MDCXX[/] Firme illeggibili e in basso, nell’ovale sotto gli angeli Lilia præstanis encedunt alma rosetis, Ignea pestis adest, hac rutilante Rosa O felix, faustumque solum cui sacra [...] Pignora, tabificum despicit [..] L’altro diploma in caratteri gotici, sempre custodito in Matrice, non dovrebbe riguardare proprio S. Rosalia, anche se la santa vi è citata: al 17° e 18° rigo leggerei “in Sancte Anne et Sancti Joachini ac Annuntiantionis Beate Marie Virginis nec non Sancte Rosalie festivitatibus et devote visitaverint ..”. Lo stato dell’originale e le ampie abrasioni impediscono una più precisa lettura. Dovrebbe però riguardare una bolla pontificia di concessione di indulgenze connesse ad una confraternita che credo quella di S. Francesco. Reca infine la data del 1630 [Anno incarnationis dominici Millesimo Sexcentesimo tricesimo Januarij], se non erro. E’ postuma la visita fatta «in hac terra Regalmuti sub die 26 novembris 1726” da parte di un canonico. Facendo una digressione nella digressione, l’episodio degli 80 cavalieri che portano in piena peste le reliquie di S. Rosalia da Palermo nella chiesa di S. Maria nell’agosto del 1625, dovette restare ben impresso nella memoria dei racalmutesi. Qualcuno, però, si avvalse di quel ricordo per l’esaltazione della propria famiglia. Riporto a tal proposito il seguente passo di Eugenio Napoleone Messana (op. cit. pag. 104) «Giovanni IV del Carretto, marito di donna Beatrice Ventimiglia, figlia unica del principe di Castelbuono, quando ascese alla contea [di Racalmuto] aveva tre figli, Girolamo Aldonza e Porzia. Girolamo per la legge del maggiorasco vigente era destinato alla successione della contea. Le figlie erano entrambi (sic) ospiti della zia Marzia del Carretto, figlia di Giovanni III, abbatessa di Santa Caterina in Palermo fino al 1598, data della sua morte e vi sarebbero forse rimaste se non fossero state riportate in paese nel 1600, per volontà del padre, allarmato dell’insurrezione contro il nuovo pretore. In quell’occasione Giovanni IV promise le figlie in moglie a quei cavalieri che gliele avessero ricondotte al castello sane e salve. La sorte arrise al milite Scipione Savatteri che sposò Maria ed ebbe in dote il feudo di Gibillini. Questo matrimonio diede inizio alla famiglia dei Savatteri di Racalmuto, che risulta essere la più nobile di tutte le altre. I Savatteri infatti discendono da Pable Zavatier, nobile francese al seguito del conte Ruggero [...] Non si hanno notizie dei motivi per cui Aldonza non contrasse mai nozze, si sa soltanto che lei nel 1605 a proprie spese fece costruire l’Abbazia di Santa Chiara ...» L’inattendibilità storica, specie sui del Carretto, è fin troppo vistosa. Quanto a donna Aldonza, questa non ebbe mai a maritarsi e fu ospitata, zitella invecchiata, nel monastero di S. Caterina in Palermo. Eugenio Messana non ebbe modo di studiare i documenti che si rinvengono nell’Archivio di Stato di Agrigento per conoscere la vicenda della terribile virago secentesca donna Aldonza del Carretto. In Pirri, ad esempio, vi è qualche spunto per la storia di questa nobildonna. (cfr. pag. 758, op. cit.) Sul nobile Savatteri, gli archivi parrocchiali smentiscono purtroppo impietosamente. Ma la digressione prova come anche nelle fantasie nobiliari locali vi sia un barlume di storia: il caso citato può a mio avviso collegarsi allo sfilare di cavalieri con le reliquie di S. Rosalia nell’estate del 1625.[3] La chiesa di S. Rosalia resta funzionante per circa un secolo e mezzo. Nel 1758 essa è ormai quasi cadente: nel libro delle visite pastorali (Archivio Vescovile di Agrigento - Visita del 1758 di Andrea Lucchesi Palli - f. 735) si annota: «Eodem [giugno 1758] - S.ta Rosalia - Predictus Ill.mus et rev.mus U.J.d. D. Gerlandus Brunone accessit ad visitandam Ecclesiam S.tæ Rosaliæ et dixit: ‘che fosse interdetta fin tanto, che gli altari fossero provveduti delle necessarie suppellettili giusta la forma prescritta dal nostro Ecc.mo Monsig. nelle sue istruzioni della Sagra Visita date in stampa. La melanconica fine della gloriosa chiesa di S. Rosalia emerge burocraticamente dal Registro dei Vescovi 1792-1793, ff. 570-571, giusta i seguenti termini: [la parte della pag. 570 che riguarda S. Rosalia reca a fianco annotato: Non abuit effectum e risulta tagliata con un’ampia X, ma la lettura è del pari interessante:] «Rev.do Archip.tero terræ Racalmuti salutem. Restiamo intesi dalle vostre lettere segnate sotto li 21. del mese cadente di Maggio in risposta al nostro ordine colle quali ci rappresentavate, che avendo fatto bandire (bandiare) la Chiesa quasi diruta sotto titolo di S.ta Rosalia, non vi è stata alcuna offerta; solamente codesto Sacerdote Don Salvatore Maria Grillo per sua devozione vuole erigere l’altare a d.a Santa entro codesta Venerabile Chiesa Madre a sue proprie spese una con tutti quelli paramenti per decoro di d.o Altare conservandosi della cessione della medesima Chiesa di S.ta Rosalia, e perciò avete a Noi ricorso per l’ordine opportuno. Dietro il quale fu da Noi fatta ‘provvista] quod fiat ordo Rev. Paroco prout conveni. In seguito di che vi diciamo ed ordiniamo che obligandosi il Rev. di Grillo ad erigere il dovuto Altare con tutte le necessarie decorazioni a proprie spese, ed al mantenimento del medesimo, passerete a stipulare il contratto » «Rev. Archip.ro Terræ Racalmuti Salutem - Restiamo intesi delle vostre lettere [...] sotto li 21: del p.p. Mese di Maggio colle quali ci partecipate di aver d’ordine nostro fatto subastare per il corso di anni due la ven.le Chiesa di S. Rosalia quasi diruta, e non è stato possibile rinvenire dicitore, che volesse far la sua offerta, solamente codesto Rev.do Salvadore Grillo pella sua pietà e devozione verso d.a gloriosa Santa , ed a preghiere anche dei devoti s’indusse ad acconsentire di erigere d.o Altare e Cappella condecente e congrua in codesta Venerabile Chiesa madre in onore di detta Santa uniformemente di ornato della stessa Chiesa una [f. 571] ... con tutte le decorazioni necessarie a d.o Altare e Cappella, conservandosi della cessione della suddetta Chiesa di S.a Rosaria e Sagrestia annessa, quale offerta fu da voi annunziata, dopo averla fatta mettere all’asta [ subastare?] non Lillo Taverna 50 m · Contenuto condiviso con: I tuoi amici Lillo Taverna 59 m · Contenuto condiviso con: I tuoi amici ALBA SCHEMBRI scusami se ti importuno ma non riesco a capacitarmi, essendo tu nelle amicizie di un certo Lillo Taverna che non conosco e non ho mai letto tramit… Altro...

giovedì 8 giugno 2023

Circolo unione verbali Il primo verbale che siamo in grado di riscontrare risale al 28 marzo 1920. Ha per oggetto: «ammissione a soci effettivi dei signori Farrauto Francesco, Farrauto Giuseppe e Nicolò Vinci fu Mario ». L’assenso è plebiscitario. Ne fanno fede il presidente G. Grillo, il Segretario E. Tulumello ed i soci Cavallaro e F. Mattina. Nel 1921, nominato un comitato per le feste al circolo ed ammesso il socio provvisorio avv. Carmelo Burruano, si procede con una profetica scelta di campo a sottoscrivere l’abbonamento al “giornale Popolo d’Italia”. Non tutti invero sono d’accordo, ma la maggioranza a fiuto fino. Il meritevole abbonamento viene deliberato con conferma e sottoscrizione del presidente Bartolotta, del segretario G. Sciascia e dei soci G. Grillo e S. Messana. Lo storico verbale porta il numero 4 ed è datato 16 gennaio 1921: più previdenti e tempestivi di così, non si poteva essere; la maggioranza dei nobili racalmutesi è fascista anzitempo e si abbevera subito alla eclatante prosa del futuro astro, dell’uomo della provvidenza, insomma, di Benito Mussolini. Personaggi famosi saranno i neo soci studenti ammessi con delibera 18 aprile 1920. Il dott. Baldassare poté dominare durante il fascismo e continuare ad essere uomo di potere anche nell’immediato dopo guerra. Venne nominato assessore come uomo della laica, destrorsa e con nomea massonica Democrazia del Lavoro, subito dopo l’uccisione di Baldassare Tinebra, quello della “Congiura dei loquaci” di Gaetano Savatteri. Il secondo dei nuovi soci studenti del 1920, Tulumello Giuseppe fu Giovanni, è rimarchevole per essere il fratello di quel Vincenzo Tulumello di cui parla il Messana, cioè di quel « giovane ardente dalla parola suasiva e convincente, il quale però, a guerra scoppiata, fece di tutto per non andarvi e la voce popolare vuole che anche sia morto perché si provocò il diabete.» ( ). Fu comunque un ottimate di Racalmuto, anche se non poté svettare come l’alto lignaggio del suo casato avrebbe imposto. Accede al sodalizio in quell’anno il dott. Salvatore Petroni, immortalato, poi, da Leonardo Sciascia nel suo “Porte aperte” e per taluni tratti nell’altro suo libro “una storia semplice”. Quanto all’ultimo, al dott. Salvatore Burruano, il personaggio lo incontriamo nella storia del fascismo racalmutese, riscuote la sua brava dose di cattiveria dal Messana , finisce ufficiale dei carabinieri, crede in Mori, lo segue. Entra in rotta di collisione con Cucco. L’arma – o per l’una o per l’altra ragione o per tutte e due – non glielo perdona, lo congela, subisce l’ostracismo sino all’entrata degli americani. Dopo, ha un qualche riconoscimento Si congeda e tutti l’abbiamo chiamato: il colonnello Burruano. Ma da una certa data in poi pretese – ed ottenne – il titolo di generale. Fu brillante ed amorevole. Al circolo tenne testa specie come responsabile dei balli protocollari. Ebbe incarichi sociali tra il 1922 ed il 1924, tornò ad essere eletto “deputato” nel 1948 con 38 voti e nel 1949 con 47 voti. Il 25 aprile 1921 viene ammesso a “socio provvisorio con dimora precaria” il dottor Achille Vinci, figura di spicco nella professione medica, nella vita politica e, con particolare caratterizzazione, nell’evolversi della realtà sociale del circolo. Autore di tremende e velenosissime poesie in vernacolo, si può dire che solo Totò Marchese l’eguaglia, quando addirittura non lo supera. Quelle di Fofò Scimè sono letterariamente sublimi e, per fortuna, non attingono al fiele della cattiveria. Si dice che la lunga composizione “nngaglià la parrinedda” che Eugenio Napoleone Messana pubblica nella XXVII appendice del suo testo storico sia dovuta alla penna del dott. Vinci. Il velo dell’anonimato disperde ormai il senso della solforica stroncatura di tanti personaggi bene in vista all’epoca. Oggi, solo i vecchi del Circolo Unione sanno decriptare, con aggiunta di sapidi particolari, le terribili rime. Tra breve, anche questa pagina di storia locale verrà cestinata per indecifrabilità dei sottintesi. Il due gennaio 1921 accede al circolo don Gaetano Savatteri, personalità molto contraddittoria, nato ricchissimo e morto nell’indigenza per la rapacità di un’antagonista grande famiglia. Il 10 settembre del 1923 alle dodici e mezza, don Gaetano incappava in una accesa discussione con Oreste Cavallaro – una lite tra parenti, ci pare di poter dire – e subiva l’umiliazione di essere pubblicamente schiaffeggiato. In altri tempi, ciò avrebbe comportato ferri incrociati e duelli in rigida etichetta: ora il mondo dei civili sembra cambiato. O don Gaetano non era più in grado di rispettare l’antico codice d’onore. Si è accontentato dei tre mesi di sospensione che la rituale assemblea del 16 settembre inflisse al Cavallaro (a semplice maggioranza) in “applicazione dell’articolo 128” del minuzioso regolamento sociale. Carmelo Burruano, il celebre avvocato tra gli anni Venti ed i Sessanta, l’altro figlio di don Cicco, viene accettato all’unanimitù come “socio provvisorio” il 16 gennaio 1921 ed il successivo giorno 30 è la volta di Messana Everardo, Giancani Giuseppe e Martorana Nicolò, tutti e tre con la qualifica di “socio studente”. Per la cronaca, ora l’ammissione non è all’unanimità ma “a maggioranza dei voti”. Comincia l’infiltrazione della piccola borghesia in un circolo d’origini borboniche e propenso ad atteggiamenti esclusivi. Entra nel circolo “ maggioranza dei voti” pure Federico Giancani di Luigi, il sette luglio di quel medesimo anno. Indi scatta una bella epurazione. Sono tredici soci morosi che subiscono la “radiazione”. Molti, avvocati e dottori, faranno ritorno, come pecorelle smarrite e pentite. Non staremo però qui a fare l’elenco dei nuovi soci: chi vuole saperne di più in proposito, basta che consulti l’allegato lungo elenco, ove vita, cariche e, qualche volta, morte trovano annotazione elettronica. Davvero trascurabile la delibera del “salario ai camerieri”: la forniamo lo stesso. Nel 1921 il cameriere Angelo Collura guadagnava 155 lire al mese ed il suo sabalterno, Vincenzo Vella, 130 lire mensili, entrambi dopo un aumento di 30 lire mensili I verbali del circolo ci forniscono l’elenco della prima deputazione di cui si abbia completa conoscenza. Eletta all’unanimità per 1922 questa risulta essere la storica amministrazione: 1921 27 dicembre 1921 Bartolotta dott. Comm. Giuseppe Presidente 1921 27 dicembre 1921 Sciascia Giuseppe Segretario 1921 27 dicembre 1921 Falletti Nestore fu Luigi Cassiere 1921 27 dicembre 1921 Grillo Angelo Deputato 1921 27 dicembre 1921 Vinci Ettore prof. deputato 1921 27 dicembre 1921 Messana Luigi Emilio deputato Sul commendatore Bartolotta c’è da dilungarsi molto; oltre che il vero capo dell’amministrazione comunale, è anche la massima autorità al circolo. Su lui si diffonde E N. Messana. Anche Sciascia, pur con molta circospezione, ha frecce al suo arco letterario e tante vicende elottarali, amministrative e sociali della Racalmuto prefascista sussurrate dallo Scrittore hanno sullo sfondo appunto il nostro commendatore. Per faccende cui noi ci riferiamo pudicamente, si leggano, se proprio se ne ha voglia, alcune nostre pagine sull’affermazione fascista nel nostro paese. Falletti Nestore è il nonno di Nestorino e ciò basta per quelli della mia generazione. La figura di Grillo Angelo fu Angelo torna scialba al vostro cronista. Bisogna rivolgersi a Guglielmo Schillaci o a Lillo Savatteri per averne ragguagli e giudizi amorevoli ma disincantati. Il prof. Ettore Vinci me lo ricordo come mio esaminatore agli esami di ammissioni: correva l’anno del Signore 1945. Luigi Messana di Emilio è il celeberrimo “don Luigino”: facciamo riferimento alla foto dell’ineffabile personaggio accanto a Sciascia con l’eterna sigaretta accesa (foto chee trovasi esposta alla Fondazione Sciascia) per ritenerci assolti dall’obbligo di rapporto. Abbiamo incontrato questa primavera (2001) un suo simpaticissimo nipote acquisito che ci ha dispensato un ammaliato bozzetto di famiglia. Per gli aspetti goliardici, spingere il migliore Guglielmo nelle sue inimitabili rievocazioni. Su Francesco Mattina fu Raffaele non sappiamo aggiungere nulla, ma è colpa della nostra personale disinformazione: al circolo c’è ancora qualcuno che sa bene evidenziarne il ruolo sociale ed il posto nella grintosa realtà racalmutese. Giuseppe Sciascia di Giuseppe, austero ed arcigno signore tipico di un paese come il nostro, può considerarsi il prototipo di segretario discreto e prudente che crea uno stile peculiare al Circolo. Stringato e preciso nella sua prosa, i suoi verbali sono ammirevoli. Personalmente, avremmo gradito qualche pettegolezzo in più, qualche nota maggiormente vivace, qualche squarcio sincero. Sotto questo aspetto, il buio più assoluto: disperazione per lo storico, rammarico per il ricercatore di piccoli fatti del vivere paesano. Il tre dicembre 1922 è tempo per cambiare Statuto. I tanti avvocati, giuristi ed amministrativisti del Circolo riescono a mettere insieme ben 153 articoli. Non siamo certo al profluvio legislativo di cui parla Sciascia, «ai 400 articoli .. ed al lungo preambolo» testimoniati dal barone Lascuda (il Tulumello?) ma ci siamo vicini. Sciascia ironizza sul «capolavoro di cultura letteraria e giuridica [quale] vive soltanto nei ricordi dei vecchi: quando il circolo diventò dopolavoro fascista le copie dello statuto andarono disperse». E’ propenso a credere alla idoneità di “tale capolavoro” a preservare “davvero la concordia” (o l”Unione” che dir si voglia) ed avitare che «le zuffe e gli incidenti che frequentemente accadono non portano mai a scissioni o pronunciamento.» Noi che una qualche pazienza certosina abbiamo dovuto praticarla per consultare un paio di centinaia di quei verbali non abbiamo trovato molti ricorsi ai pletorici articoli regolamentari (una sola volta per rissa – quella del Savatteri e talune altre per vicende meramente amministrative. Solo nel dopo guerra l’avv. Pillitteri si incarognì sull’art. 13 per impedire facili ammissioni. Si aspettava allora che il burbero legale fosse assente per inventare plebiscitarie votazioni di consenso). Il lungo statuto esordiva ribadendo il nome: «Il luogo di convegno dei soci dicesi Circolo Unione». Lo scopo? «mira a procurare ai Signori soci svaghi leciti ed onesti, tendenti alla ricreazione dello spirito, della mente ed al reciproco rafforzamento dei vincoli di rispetto e di amicizia.» I locali dovevano reperirsi «in punto centrale del paese». «Sculture, pitture, figure … possono esistere» purché «non offendano la pubblica morale e non cozzino con il ragionevole concetto dell’ordine e della disciplina nella famiglia, nella società e nella Patria». «Non deve esistere nel circolo quanto possa essere interpretato come manifestazione di partito intendendo l’associazione, nel modo più assoluto, conservare il carattere apolitico.» Si sorride ancora sull’articolo 9 per cui «il socio deve essere … di regolare intelligenza». Per l’art. 14, po, «non può essere ammesso né consercato socio chi abbia esercitato ed eserciti mestieri ed impieghi servili o abietti o disonoranti o chi abbia subito una condanna a pena infamante.» Il circolo è apicale; svetta il presidente: per l’art. 37 «la persona del Presidente è inviolata, è rispettata al massima grado .. », negli auspici almeno, ma crediamo anche nella realtà. Il rosario presidenziale che graniamo qui di seguito non lascia dubbi in proposito: anno data cognome nome carica 1921 2 gennaio 1921 BARTOLOTTA Presidente 1921 4 aprile 1921 BARTOLOTTA Giuseppe commendatore dottore presidente 1921 27 dicembre 1921 BARTOLOTTA dott. Comm. Giuseppe Presidente 1922 3 dicembre 1922 TULUMELLO dr. Baldassare Presidente 1923 19 agosto 1923 SCIMÈ cav. Uff. d. Nicolò presidente 1923 16 dicembre 1923 SCIMÈ cav. Dott. Nicolò Presidente 1924 14 dicembre 1924 SCIMÈ cav. Dr. Nicolò Presidente 1925 13 dicembre 1925 FALLETTI cav. Alfredo Presidente 1930 14 dicembre 1930 MENDOLA cav. Michele Presidente 1931 13 dicembre 1931 MENDOLA cav. Dott. Michele Presidente 1932 19 dicembre 1932 MENDOLA cav. Dott. Michele Presidente 1933 14 febbraio 1933 MENDOLA Cav. Dr. Michele Presidente 1934 19 gennaio 1934 MENDOLA Cav. Dr. Michele Presidente 1935 7 gennaio 1935 MENDOLA Cav. Dr. Michele Presidente 1936 7 dicembre 1936 VINCI dott. Achille Presidente 1941 1 settembre 1941 VINCI dott. Achille Presidente 1946 14 giugno 1946 BATTIATI Alfonso Presidente 1948 4 gennaio 1948 BATTIATI Alfonso Presidente 1948 30 marzo 1948 VINCI dott. Camillo Presidente 1948 1 aprile 1948 VINCI dott. Camillo Presidente 1948 19 dicembre 1948 MESSANA Luigi di Emilio Presidente 1948 27 dicembre 1948 GIANCANI prof. Salvatore Presidente 1949 1 gennaio 1949 GIANCANI prof. Salvatore Presidente 1949 21 dicembre 1949 GIANCANI prof. Salvatore Presidente 1950 12 febbraio 1950 SCIASCIA Giuseppe Presidente 1951 23 dicembre 1951 SCIASCIA Giuseppe Presidente 1952 2 dicembre 1952 SCIASCIA Giuseppe Presidente 1954 3 gennaio 1954 BATTIATI Alfonso Presidente 1955 31 luglio 1955 BATTIATI Alfonso Presidente 1956 15 gennaio 1956 ROMANO dott. Giuseppe Presidente 1961 5 agosto 1961 BARTOLOTTA p.a. Nicolò Presidente 1962 30 dicembre 1962 BARTOLOTTA p.a. Nicolò presidente 1965 2 gennaio 1965 BARTOLOTTA p.a. Nicolò Presidente 1968 28 dicembre 1968 BARTOLOTTA p.a. Nicolò Presidente 1970 3 gennaio 1970 BATTIATI cav. Alfonso Presidente 1970 26 dicembre 1970 BATTIATI cav. Alfonso Presidente 1971 30 dicembre 1971 VINCI ins. Paolo Presidente 1972 30 dicembre 1972 VINCI Paolo Presidente 1973 30 dicembre 1973 VINCI Paolo Presidente 1974 31 dicembre 1974 VINCI Paolo Presidente 1975 31 dicembre 1975 VINCI Paolo Presidente 1977 16 gennaio 1977 VINCI Paolo Presidente 1977 30 dicembre 1977 VINCI Paolo Presidente 1978 31 dicembre 1978 MORREALE dott. Angelo Presidente 1981 18 aprile 1981 MORREALE dott. Angelo Presidente 1084 30 dicembre 1984 VINCI Paolo Presidente Tutti, davvero, galantuomini i presidenti che si sono succeduti al circolo Unione; apprezzati e rispettati persino dagli avversari politici, e ci riferiamo a quei pochi che hanno svolto attività politica. L’attuale presidente – che non figura nell’elenco perché subentrante dopo il 1084 – non sappiamo da quanti anni riveste la carica. L’ing. Francesco Marchese è uomo di tutto rispetto, riservato, probo, magari accentuatamente religioso, può considerarsi l’anima e la sopravvivenza del Circolo. Se non fosse stato per lui, il sodalizio sarebbe già morto e sepolto come diagnosticato nei verbali degli anni Ottanta. Noi – che gli siamo molto amici – in questo gli vogliamo male: auspichiamo una sua Presidenza sine die. Senza Cicciu Marchisi il circolo finirebbe negli annali dei ricordi cittadini e nulla più. Gli articoli 68-70 esigevano e disciplinavano il socio “porta-bandiera”. Andava nominato fra i più giovani, doveva calzare guanti bianchi ed indossare l’abito nero. Costume ovviamente desueto. Oggi, di soci “giovani” che dispongono di guanti bianchi ed abito nero non se ne trovano al Circolo. In un domani – speriamo prossimo – chissà. Dall’art. 70 all’art. 85, il Regolamento si occupa dei “serventi”. Beh, qui siamo nel Medioevo. Attualmente, il più tardivo dei soci è spesso chiamato ad un’azione vicaria: spetta a lui chiudere la porta. Ogni legge che si rispetta deve avere la sua coda penale. Il regolamento dedica gli articoli 117-120 alle “colpe” che possono essere «gravi, ordinarie e leggere». Sono colpe gravi: «lo spergiuro, la complicità sia pure involontaria o la cooperazione al reato da parte dei camerieri, che manchino di esiggere (sic) le tasse da giuoco, la contrazione di debiti di gioco non soddidfatto nelle 24 ore [vi incappò il socio Giuseppe Grillo nel marzo del 1923], le offese rivolte comunque ai soci ed ai camerieri, la reazione scorretta contro l’autorità della Deputazione e dei singoli membri della Deputazione, la infedeltà di gestione negli affari finanziari, le disfide tra i soci, per qualsiasi fatto avvenuto nel circolo, il danneggio volontario o la sottrazione di un qualsiasi genere appartenente al Circolo, il barare la giuoco.» Colpe ordinarie, invece, «le dicerie che in qualunque modo compromettano la dignità di uno o più soci, la formazione di complotti tendenti ad inceppare la libertà di voto o a produrre la disunione o la discordia tra i soci, la disubbidienza ai regolamenti, il rifiuto pertinace agli obblighi propri, le piccole risse e le animosità tra i soci.» Tra le colpe leggere andavano annoverati «le indecenze, i sussurri ed i disturbi che si commettano nel circolo, le discussioni a voce troppo alta, l’abuso delle proprie qualità per influire od imporsi nelle deliberazioni, le dosattenzioni che mettano i soci nella impossibilità di servirsi dei mezzi del Circolo, messi a loro disposizione, il vestire poco decente.» Per la morte di un socio, «il circolo … prenderà il lutto per tre giorni consecutivi, durante i quali saranno affisse alle porte, che resteranno semiaperte, fasce nere, con la scritta: Per la morte di un socio; non sarà permessa alcuna festa nei locali del Circolo, né il suono del pinoforte» (art. 146). Il grintoso regolamento non ebbe poi seria applicazione nei suoi aspetti punitivi. Subì sanzioni il 10 febbraio 1923 il socio Federico Picataggi, reo di «calunnia contro il socio Diego Farrauto». Ad accusarlo, l’avv. Agostino Puma. (Il Picataggi, “eliminato dal circolo”, fu riammesso il 22 di luglio 1923 a richiesta di n. 30 soci per i quali la delibera di espulsione era “da considerare come non avvenuta e quindi annullata per vizio di forma). Del caso Grillo, si è già detto. Il socio si dimise (ma il 26 dicembre 1923 ritorna nel sodalizio). Più grave la faccenda del Savatteri, di cui abbiamo già detto. Troppo poco dunque per dare ascolto a Sciascia che parla di chissà quali risse e contrasti. Dopo la guerra del 1940-43, sia pure con altro statuto, non si è più verificato alcun incidente fra soci, per cui la Deputazione abbia dovuto prendere provvedimenti. Non tutti santi e remissivi – si badi bene. Solo che, giustamente, presidente e depuati lasciano che si soci se la sbrighino tra loro ed in privato. Non abbiamo capito perché nel 1923 (in pieno agosto) il prof. Nicolò Farrauto si sia dimesso, con lettere formali, da segretario appena eletto della Deputazione: gli subentra Egidio Tulumello. Non passano molti mesi ed ecco il Farrauto tornare segretario a pieno titolo: 1923 16 dicembre 1923 SCIMÈ cav. Dott. Nicolò Presidente 1923 16 dicembre 1923 FARRAUTO prof. Nicolò segretario 1923 16 dicembre 1923 RESTIVO Antonio cassiere 1923 16 dicembre 1923 TULUMELLO Egidio deputato 1923 16 dicembre 1923 VINCI prof. Ettore deputato 1923 16 dicembre 1923 BURRUANO avv. Salvatore deputato 1923 16 dicembre 1923 CAVALLARO avv. Luigi deputato Il 10 febbraio 1924 si modifica il Regolamento: gli articoli diventano 58. Non sappiamo se soppianta integralmente quello che vigeva prima o è integrativo. Questione giuridica di nessun valore ai nostri giorni e quindi l’abbandoniamo seduta stante. Immutato l’art. 1, all’articolo 2 le pretese classiste del Circolo montano: «possono essere soci tutti coloro che appartengono alla classe dei civili, e coloro che per educazione ed istruzione godono il prestigio di civili». C’è da domandarsi chi sono quelli che non hanno siffatti requisiti, gli “incivili” insomma. Per converso sparisce ogni accenno all’intelligenza … e meno male! La persona del Presidente cessa perde la sua inviolabilità. Il portabandiera però deve restare come prima, con guanti bianchi ed abito nero. Permane il bravo titolo per i “serventi”. Un bel “maestro delle cerimonie” ci sta sempre bene: disciplinerà le feste sociali (art. 21) e la sua nomina “è devoluta alla Deputazione”. I lettori di buon senso ci obietteranno che al di là dello svolazzo sui civili il nuovo regolamento era più essenziale e funzionale, più moderno insomma: forse hanno ragione. Siamo al 1925, i mutamenti politici ci sono stati e si fanno sentire. Una nuova deputazione viene sfornata: sono tutti uomini nuovi o non compromessi con la politica. Certo il prof. Enrico Baeri che tanto conservatore non dovette essere si becca nove voti in meno rispetto agli altri cui vanno o 38 voti (al presidente Falletti ed ai deputati Felice Cavallaro e Diego Farrauto) o 39 (per il segretario Angelo Grillo, per il Cassiere Carmelo Rosina Bartolotta e per il giovanissimo deputato geom. Saverio Vinci). Da notare che i votanti erano 39, dunque tre signori votarono per loro stessi. Cosa succedeva al circolo? A distanza di decenni e senza verbalizzazioni sincere nulla più trapela. Sparivano dall’amministrazione personaggi autorevoli quali il cav. Uff. Dr. Nicolò Scimè, il prof. Nicolò Farrauto, Egidio Tulumello, Antonio Restivo (questi invero tornerà nel 1931) e l’avv. Salvatore Burruano. Col il 1926 incipit novus ordo al Circolo. I malevoli però ci avvertono di andare cauti: al Circolo Unione, finché prevalsero i “civili” l’area che si respirava era di sapore massonico: prima, durante e dopo il fascismo. Sarà vero? Strano, il registro dei verbali segna, con il 1926, una nuova numerazione progressiva che però si ferma al n.° 2, dopo i verbali diventano ballerini: quelli che noi abbiamo potuto consultare passano al 13 dicembre 1929, non hanno più numerazione, e portano ora una timbratura succinta ma efficace “circolo unone - Racalmuto”. Si deve sloggiare: «il presidente propone all’assemblea l’affitto del nuovo locale e precisamente quello di proprietà del sig. Nicolò Castiglione, attualmente in locazione al sig. Alfano Giuseppe. Lo stabile si compone di tre vani a pianterreno, e uno di questi è sul corso. L’affitto annuo convenuto è di L. 1.000.» L’assemblea approva ad unanimità. Presidente è sempre il Falletti.. !931: nuovo ed ancora più radicale assetto sociale. Il fascismo ormai impera ed anche al circolo bisogna tenerne conto. Il Falletti, che fascista comunque lo è, fa queste significative comunicazioni. Certe vanno interpretate ma non è fcile. Ci limitiamo quindi a registrarle per come le abbiamo rintracciate: «Il presidente fa notare che nel compilare la scheda della nuova Deputazione quella uscente si è proposta di scegliere elementi che, per la libertà concessa dalle loro occupazioni e notorietà in fatto di serietà ed energia dassero (sic) il migliore affidamento. Tale scelta è caduta su i sigg. Dott. Mendola cav. Michele Presidente- Antonio Restivo cassiere – Angelo Grillo segretario; Luigi Tulumello Muratori, Diego Tulumello, prof. Nicolò Martorana, Giuseppe Tulumello deputati. I quali consci del diciamolo difficile mandato sapranno adoprarsi, meglio degli uscenti, perché il Circolo oltre a mantenere la tradizionale signorilità, sia avviato ad una esistenza meno stiracchiata di come dovette vivere fino ad ora per un complesso di circostanze a tutti note.» Nel mese di febbraio prende la parola in assemblea il sig, Achille Vinci fu Mario «il quale prospetta .. che non è il caso di fare acquisto di un chiliofono, poiché il Circolo andrebbe incontro, per come egli immagina, ad una spesa continuativa per l’acquisto di dischi, onere che potrebbe divenire in seguito gravoso alle finanze del Circolo stesso, quindi sarebbe conveniente che si acquisti il solo apparecchio radio.» Stefano Messana lo rintuzza ed ha la meglio. Chi conosce Achille Vinci dirà che l’uomo non si smentisce. I giornali che ora gravitano sulle casse del circolo sono il Giornale di Sicilia, L’ora, il Popolo d’Italia, l’Illustrazione italiana, la Lega navale, il Popolo di Roma, la Milizia fascista, l’Aquila, la Gioventù fascista e la Domenica dell’agricoltore. Sui soci onorari ammessi il 26 giugno del 1932 si è già detto: fu l’unica volta in cui si dovette accedere a simili munificenza. Un’altra volta in verità ci fu: siamo nel 1968 (28 dicembre) ed il socio dott. Luigi Caponcello propone che si dichiarino soci onorari «coloro i quali hanno raggiunto quaranta anni di socio e settanta anni di età». La proposta venne apprezzata ma non sappiamo che fine abbia fatto. Crediamo che non se ne sia fatto nulla. Altra data notevole nei processi di normalizzazione fascista del circolo è il 1933. I soci del circolo imperterriti avevano nominato i propri amministratori con liberi elezioni, non avevano imbrattato la loro antica denominazione con improbabili dizioni del tipo “dopolavoro 3 gennaio” (per come ci fa sapere Sciascia, o Dopolavoro 23 marzo come risulta a noi), ed ostestantamente – almeno sino al 1938 – datavano i loro verbali senza i numeri ordinali dell’era fascista. I nodi ora però cominciano a giungere al pettine: Analizziamo la delibera n. 2 del 30 gennaio 1933. All0ordine del giorno abbiamo: «inquadramento del Circolo all’O. N. D. (che se non sbagliamo significa Opera Nazione del Dopolavoro). Nuovo Statuto». Il presidente spiega che «in relazione all’adesione fatta, con deliberazione del 14 dicembre 1930 all’O.N.D., si è obbligati» a rispettare il nuovo Stato. Ne dà lettura. La discussione si anima: ma c’è poco da dire. Il circolo ha scelto (ha dovuto scegliere, pena la soppressione, diciamo noi) di far parte «di una delle geniali Organizzazioni del Partito, che inquadra l’azione dello stesso [circolo] nel campo dell’educazione spirituale del popolo.» Chi l’avrebbe mai detto che il Circolo Unione, il circolo dei galantuomini, dei “civili” insomma, si sarebbe andato ad impelagare nell’«educazione spirituale del popolo» e che per di più fosse “popolo”. Col fascismo, o così o la morte. I soci credono, allora, di fare i furbi, fanno verbalizzare: «lo statuto [quello fascista, imposto dal fascismo] viene approvato, conservando integro in quanto non in contrasto, il regolamento del circolo.» La furbata viene subito disillusa: il 14 febbraio del 1933 la deputazione deve portare in assemblea «cordiali saluti fascisti». Si pensi, è l’unica volta in cui quel termine fa capolino negli arcigni verbali del circolo. La Deputazione fa presente che «Il cav. Dr. Michele Mendola viene nominato Presidente con la seguente lettera del Segretario Federale di Agrigento con la motivazione “ Mi è gradito significarle che la S.V., a norma della facoltà concessami dall’art. 9 dello statuto sociale, in data odierna, è stata nominata Presidente». Colpisce quel “lei” al posto del doveroso “Voi”. Ad ogni modo, il presidente del circolo non è più di nomina assembleare ma per approvazione del segretario federale Presidente del Dopolavoro, in quel epoca il prof. Dr. A. Gaetani. Un confronto tra il comportamento del Circolo Unione e quello del locale Mutuo Soccorso la dice lunga sulle resistenze “antifasciste” del nostro sodalizio. Al Mutuo soccorso già da quattro anni ci si era allineati diligentemente. A proposito dei verbali di quest’ultimo abbiamo scritto: « I verbali dell'anno 1929 esordiscono con una novità. La data è ora agghindata con l'indicazione dell'anno della volgente era fascista. La seduta del 26 gennaio cade nel VII anno del fascismo. E riguarda la nomina di una commissione per le feste di carnevale. Il 28 maggio 1929 si paga una nota a Collura Alfonso per la fornitura di “2 mobilucci in mogano con specchi e lastre di marmo”. Si ha la forza per rifiutare l'abbonamento al giornale L'Aquila, nonostante la richiesta promani dalla casa dei Balilla di Agrigento (5 novembre 1929). Ma per il matrimonio del principe di Piemonte, “ad unanimità il consiglio stanzia la somma di lire trecento” (2 gennaio 1930). Il 10 maggio 1930 (anno VIII) “il presidente mette a voti segreti col sistema delle fagiole, per il prelevamento della somma per pagare le tessere agli iscritti del circolo all'O.N.D. oppure pagare personalmente l'iscritto. Visto il risultato ad unanimità di voti, approva il prelevamento della somma dal fondo di cassa e l'iscrizione a corpo.” L'omologazione fascista si è dunque consumata. Presidente è Salvatore Mattina fu Gaetano. Segretario: Collura Alfonso. Era arrivata una circolare mandata dal Podestà, con cui si esigeva l'iscrizione del circolo all'Opera nazionale Dopolavoro. I tempi della libertà di associazione erano definitivamente tramontati. L'assenso era d'obbligo. Nel luglio successivo il circolo può, per compenso, venire incontro ai soci che tanto desiderano una radio. Ad unanimità si decide di 'acquistarla incondizionatamente'. In quel torno di tempo, il vice presidente è Carmelo Schillaci Ventura, degna persona, che ricordiamo con affetto. Per far parte del circolo, la tassa di entrata sale ora a L.50. Col nuovo anno, occorre una commissione per 'manovrare la radio'. L'audizione è limitata da mezzogiorno alle 13,30 e al tardo pomeriggio fino alle 22,30. Qualche segno di vivacità rrequieta lo dà il solito Angelo Collura che, sebbene vice presidente (o forse appunto per questo), “la sera del 25/26 (dicembre 1931) si presentava nell'abitazione del cameriere per prelevare la chiave del circolo; la quale, si tratteneva con persone per divertimento. Il presidente (Calogero Mattina) mette a votazione segreta circa il provvedimento se doveva stabilire la punizione il Consiglio oppure l'assemblea generale dei soci”. Si propende per la competenza del Consiglio. Il Collura subisce un mese di allontanamento. Due giorni di mancata paga vengono inflitti, pure, all'incolpevole cameriere. Non doveva eseguire gli ordine del Vice Presidente. Una pretesa eccessiva, ci pare. Raffaele Morreale, portabandiera, non ha voglia di portare il vessillo del circolo “in occasione della venuta delle truppe militari”. Il 4 agosto 1932, gli viene tolta la carica.Carmelo Guarnieri è il suo sostituto. Le cariche sociali cessano di essere affidate a libere elezioni. “Ritenuto che la nuova amministrazione – viene verbalizzato, con contorta prosa, il 9 dicembre 1932 – sarà approvata prima della fine del c.m. per ordine del Commissario Comunale dell'O.N.D. sig. Mattina prof. Giuseppe, ed in esito alla circolare n. 8 dell'8 c.m.” al consiglio non rimane altro che procedere ad una commissione consultiva, incaricata di segnalare nominativi graditi. Il fascismo che in Racalmuto aveva visto i suoi albori per opera di Agostino Puma e dei suoi congiunti Burruano (in ispecie l'avv. Salvatore e suo fratello Carmelo), era passato poi sotto l'egida del farmacista Enrico Macaluso. Al Ministero degli Interni figurava, nel 1926, il seguente stato maggior (cfr. A.C.S. - MI - PS - 1926, b. 107): - segretario politico: MACALUSO dott. Enrico; - segretario amministrativo: MATTINA prof. Giuseppe; - presidente assemblea: MENDOLA cav. dott. Michele; membri: - BRUCCULERI LUCA Giuseppe; - CAVALLARO avv. Baldassare; - CAVALLARO Oreste; - ROSINA FILI' Carmelo; - VINCI dott. Achille; - MARTORANA prof. Placido; - SCIASCIA Giuseppe. «Altri dati: risulta una scheda sulla costituzione della Sezione del Fascio di Racalmuto. Essa venne costituita il 29 novembre 1925 con il titolo 'SEZIONE FASCISTA RACALMUTO'. Enrico Macaluso assurgerà alla carica di podestà Lo ritroviamo in tale veste in una controversia relativa alla miniera di Gibillini che si ebbe a dirimere il 7 gennaio 1928. Gli echi giungono a Roma, per il tramite del prefetto di Agrigento (cfr. A.C.S. - MI - 1928 b. 170). Enrico Macaluso sarà un protettore, tra gli altri, del Mutuo Soccorso. A lui si deve se il circolo poté usufruire dei locali tradizionali che il proprietario Iacono voleva liberi ad ogni costo. » «Alla presidenza del circolo, il 18 febbraio 1933, troviamo Luigi Casuccio. Presiede in effetti, come dice un timbro sovrapposto, una sezione O.N.D. Il 16 giugno 1933 il circolo si sobbarca ad una richiesta dell'opera balilla del paese ed offre un 'moschetto modello ridotto 91'. Viene intitolato ad un caduto in guerra ed offerto al figlio “del camerata Restivo Pantalone Giuseppe”. Credo che si trattasse di un aggeggio in legno, quasi un giocattolo. Il 6 giugno di quell'anno i verbali cominciano a chiudersi “con un devoto saluto al re e al Duce”. Il 29 novembre del 1935 il “rev. arc. Giovanni Casuccio” chiede ed ottiene di far parte della “Società Mutuo Soccorso Sezione O.N.D. – Racalmuto”: è questa ora la denominazione del circolo, come recita il timbro tondo apposto in calce ad ogni verbale. Alla fine del 1935 si era dismesso il saluto fascista. A cominciare dal 1936, con l'amministrazione nuova diretta da Giovanni Tinebra, si riprende il saluto fascista alla fine dei verbali. La forma è quella rituale voluta dall'ineffabile Starace. Esaurito l'ordine del giorno, il presidente “ordina il saluto al DUCE, il consiglio risponde un clamoroso A NOI”. Il 17 dicembre del 1936 v'è una domanda a socio di tutto rispetto. Trattasi del Camerata AGRO' Giovanni di Nicolò. Naturalmente viene accettata ad unanimità. Il Consiglio si onora di inviare una lettera all'interessato per dare la lieta novella. Il 15 novembre 1938, l'arciprete Casuccio si dimette da socio: se era entrato con intenti missionari, aveva dovuto ricredersi. Era peraltro vice presidente un suo fratello: Nicolò Casuccio. Nel timbro del circolo era apparso l'emblema del fascio. Il verbale del 29 gennaio 1939 ha notevole importanza per la svolta definitivamente fascista del circolo. “Il presidente [Giuseppe Sicurella] insedia il nuovo direttorio rivolgendo il cordiale saluto fascista. Il Segretario dà lettura del nuovo statuto, rimesso dal Dopolavoro Provinciale..” » Uniformità e difformità appaiono palesi ed eloquenti nel confronto dei due tipi di verbali dei due diversi circoli: aristocratico e distaccato il Circolo Unione; remissivo ed accondiscendente nella forma; irrequieto nella sostanza, il Mutuo Soccorso. Ma il Dopolavoro Provinciale incombe su entrambi, autoritario, indiscutibile. I potenti soci fascisti del Circolo Unione salvano la faccia; vi è più diplomazia. I verbali del circolo unione sono ora ancor più guardinghi, si limitano all’ammissione di nuovi soci ed ai bilanci. Per il povero cronista non ‘è trippa. Sfugge un XVI per il 1937 ma subito dopo, nel verbalizzare quelle che ora si chiamano “adunanze”, ci si scorda di quel fausto scorrere dell’era fascista. Giungiamo al verbale n. 32, il primo settembre del 1941 “XIX” «il presidente riferisce che il socio sig. Matrona Michele sin dalla entrata è stato incaricato di svolgere le pratiche amministrative del Circolo per cui ha creduto opportuno dispensarlo dal pagamento delle quote mensili. Pertanto invita il Consiglio [si noti: non più Deputazione] a notificare il provvedimento che entra ad assicurare al Circolo la continuità del funzionamento di tutto il servizio amministrativo necessario.» Al contempo il Matrona assume la carica di segretario. Con il verbale n. 45 del 22 luglio 1942 XX cessano i documenti dell’era fascista. Disponibile è poi il “registro delle Deliberazioni del Circolo Unione Racalmuto – Racalmuto lì aprile 1946.» Ma prezioso è l’ultimo documento fascista disponibile. Il segretario Matrona, in bella calligrafia, annota «che sono state presentate domande per assunzione a soci studenti. Il primo della lista è «il sig. Sciascia Leonardo». L’ammissione avviene «ad unanimità di voti». Certo anche senza quell’ammissione lo scrittore Sciascia ci sarebbe stato lo stesso, ma con quell’ingresso nasceva l’apologo del Circolo della Concordia con la galleria dei suoi ineffabili personaggi. La svolta del 1944 Il circolo si scrolla di dosso quel suo passato di imposizioni: quelle fasciste (con l’umiliante inquadramento tra i volgari circoli del dopolavoro che “geniale istituzione” a noi francamente non pare) e quelle dell’immediato dopo guerra promananti da risvegliate manie massoniche e da uomini dell’AMGOT non proprio indenni da sospetti mafiosi. Il 10 febbraio del 1944 si redige il verbale n. 1 della nuova realtà associativa: “dietro invito personale dei 46 aderenti al Partito Democratico sociale, si sono riuniti in prima convocazione nella sala delle adunanze n. 27 soci, i quali invitati a scegliere il Presidente hanno eletto a scrutinio segreto – con 25 voti su 27 – il dott. Achille Vinci, incaricandolo della riorganizzazione.” Due sole sottoscrizione e di due soli soci: dott. Gaetano Falletta e Baldassare Tinebra. Chi erano codesti soci alquanto politicizzati ed ovviamente con simpatie di destra. La prima nuova deputazione ci da i primi nomi eccellenti: 1944 10 febbraio 1944 Vinci dott. Achille Presidente 1944 12 febbraio 1944 Capitano Cav. Prof. Luigi deputato 1944 12 febbraio 1944 Caponcello dott. Beniamino deputato 1944 12 febbraio 1944 Mustica prof. Guido deputato 1944 12 febbraio 1944 Vinci sig. Achille deputato 1944 12 febbraio 1944 Falletta sig. Nestore cassiere 1944 12 febbraio 1944 Cavallaro prof. Emanuele segretario 1944 12 febbraio 1944 Cavallaro cav. Avv. Baldassare deputato onorario 1944 12 febbraio 1944 Picone cav. Avv. Salvatore deputato onorario Il giorno 20 del mese di dicembre 1944 il dott. Achille Vinci deve dare le consegne al subentrante nuovo presidente, il sig. Amedeo Messana, tetragona figura di militare, sia pure in pensione, dovrà sostenere una irriducibile contesa con il farmacista Argento. Il farmacista (Calogero Argento fu Michelangelo, abitante in via Rapisardi 35 di Racalmuto) ha buoni motivi per fare notificare al presidente Messana «un atto di protesta e diffida». L’atto stragiudiziale risulta discusso nell’assemblea del 4 gennaio 1945. Vi si legge «premesso che l’istante è socio effettivo del circolo unione da oltre 50 anni ; che il 10 luglio 1943, per effetto dello stato di emergenza i locali del circolo furono chiusi, come quelli di tutti gli altri circoli della Sicilia, senza che essi fossero sciolti; che nei primi del 1944, concessa la libertà politica alla Sicilia, i circoli furono tutti riaperti e restituiti ai soci che ne avevano diritto, senza restrizioni di sorta ed essi ripresero la loro attività con le norme statutarie preesistenti; che solo a Racalmuto una sparuta minoranza di soci effettivi del circolo unione, unitamente ad un numero sparuto di soci provvisori, erano riusciti ad impadronirsi dei locali del circolo, del suo mobilio e dei suoi documenti, facendo pervenire ai soci (classificandoli ex soci) un foglio apocrifo con l’invito a poter frequentare le sale del circolo a condizione di aderire al Partito Democratico sociale, spogliando così di loro diritti precostituiti i soci assenti, anche per servizio militare e quelli che non ritenevano opportuno di aderire a tale imposizione; che il 10 febbraio stesso anno, senza avere convocato l’assemblea generale dei soci effettivi, soli aventi diritto a deliberare, lo stesso gruppo (28 individui, tra soci effettivi, provvisori e non soci) modificando lo statuto nominò il presidente ed una deputazione, trasformando così un’antica associazione apolitica in sezione del Partito Democratico sociale, divenuto dopo Democrazia del Lavoro, - poiché quanto sopra costituisce atto di violenza ed arbitrio contrario anche alle norme di diritto civile» il bravo farmacista, tramite l’usciere di Pretura Palermo, protestava “nelle forme e per ogni effetto di legge, impugnava di nullità le deliberazioni, diffidava il sig. Messana Amedeo chiedendogli la restituzione “del sodalizio al sig. Cav. Alfredo Falletti, ultimo presidente legalmente nominato e in carica al 10 luglio 1943. Aggiungeva che lo riteneva «personalmente responsabile sia in linea civile che penale delle trasgressioni che avesse permesso si commettano in contrasto con le norme statutarie del circolo unione.» Il Messana se l’è presa sul piano personale e forse avrà avuto le sue bravi ragioni. A noi pare che il farmacista avesse ragione, tant’è che già il 30 dicembre 1944 era stata dichiarata l’apoliticità del circolo; per lo svincolo politico si erano dichiarati il notaio cav. Aurelio Alaimo, il dott. Camillo Vinci ed il dott. Luigi Cavallaro; per il mantenimento del carattere politico, il dott. Achille Vinci, ma avevano vinto gli “apolitici” riportando “24 voti favorevoli su 46 votanti”. La contesa Messana-Argento ha degli strascichi, ma ci appare troppo personalistica per rappresentarla. Non è un caso che appena ritornati alla vecchia maniera, al tradizionale circolo unione subito chiese l’iscrizione la nuova intellighenzia (al contempo, jeunesse dorée) Francesco Burruano, Totino Di Gesù, Clemente Casuccio, Michele Alaimo e Peppino Nalbone. Vedasi il verbale n. 20 del 4 gennaio 1945. Ma il circolo riprende i suoi antichi connotati solo il 16 gennaio successivo: una frotta di vecchi soci, per niente simpatizzanti della Democrazia del Lavoro o perché d’ispirazione cattolica o perché nostalgici del regime dissolto nel luglio del 1943, torna a sedersi nelle abituali poltrone del circolo. A scorrere quei nomi abbiamo la stratigrafia della nuova colorazione partitica (dovendovi naturalmente includere i soci del 1944 che crediamo battessero il trentatré massonico). Così il 25 marzo del 1945 abbiamo quest’altra deputazione, composta da personalità nuove o sicuramente distaccate dagli orientamenti associativi dei due precedenti deputati onorari: 1945 25 marzo 1945 Mendola cav. Michele Presidente 1945 25 marzo 1945 Giancani prof. Salvatore deputato 1945 25 marzo 1945 Vinci geom. Saverio deputato 1945 25 marzo 1945 Padovani Lorenzo deputato 1945 25 marzo 1945 Di Gesù dott. Salvatore deputato 1945 25 marzo 1945 Falletti geom. Luigi deputato 1945 25 marzo 1945 Grillo prof. Angelo deputato Ma dura lo spazio di un mattino; c’è un subbuglio assembleare e già l’8 aprile il circolo cambia deputazione, sia pure con votazioni risicate: 8 aprile 1945 Vinci geom. Saverio Presidente 15 voti 8 aprile 1945 Abate Giuseppe Segretario 15 voti 8 aprile 1945 Cavallaro prof. Emanuele Cassiere 15 voti 8 aprile 1945 Tulumello Muratori Luigi deputato 16 voti 8 aprile 1945 Tulumello Giuseppe deputato 15 voti 8 aprile 1945 Di Gesù dott. Salvatore deputato 15 voti 8 aprile 1945 Burruano Francesco deputato 26 voti Un preludio di revanscismo si ha il 7 aprile 1945: ben tre rispettabilissimi postulanti vengono impallinati e così «i suddetti sigg. non avendo riportato i 2/3 favorevoli (come prescrive il vigente regolamento) non sono ammessi. Il socio dott. Giuseppe Romano di Ignazio invia una lettera (di cui si ignora il contenuto) ed uno spiacevole inconveniente si considera “chiarito”. Nel corso delle votazioni si era dovuto lamentare che qualcuno aveva combinato «lo scherzo di spegnere la luce nelle sale del circolo, quando ancora vi erano dei soci.» La fase del dopo 1946 Baldassare Tulumello è il primo firmatario della commissione istituita per rivedere lo statuto sociale. Il nuovo statuto reca la data del 20 marzo 1945, è composto di soli diciannove scheletrici articoli ed ha un taglio molto sobrio e signorile. Torna il vecchio nome: Circolo Unione, si mandano al macero le incrostazioni politiche trattandosi ora solo di «libera associazione apolitica, con sede in Racalmuto [che] ha scopi ricreativi e culturali.» (Art. 1) Per essere soci occorrono «ineccepibili requisiti morali e civili» (art. 2). Purtroppo torna il pallino dell’intelligenza: i soci devono possedere «una intelligenza ed istruzione sufficienti» (Art. 2). Si inserisce il famigerato art. 13 – futuro cavallo di battaglia del polemicissimo avv. Pillitteri – che testualmente recita: «Le adunanze sono presiedute dal Presidente o da chi ne fa le veci e sono convocate mediante avviso personale ai soci effettivi e con affissione dell’avviso in una sala del Circolo, almeno cinque giorni prima dell’adunanza. L’invito indicherà l’ordine del giorno da discutersi. – Nelle adunanze si delibera solo sulle questioni poste all’ordine del giorno, e per qualunque oggetto la votazione sarà fatta in forma segreta per iscritto. Le deliberazioni sono approvate a maggioranza assoluta e nel caso di parità di voti la proposta si intende respinta. – Le adunanze saranno legali quando vi intervengano la metà più uno dei soci effettivi iscritti. In seconda convocazione saranno valide, qualunque sia il numero dei soci presenti, salvo quanto appresso.» Fin qui dunque nulla di trascendente, ma è in quel “salvo quanto appresso” il caudatario veleno. Si passa, dunque, all’art. 14 che vuole: «Per la modifica dello Statuto e regolamento e per scioglimento del Circolo è necessaria la presenza di due terzi dei soci effettivi iscritti, sia nella prima che nella seconda convocazione dell’assemblea e riportare favorevoli i voti della metà più uno degli effettivi iscritti. Per l’ammissione od espulsione dei soci occorre sempre la presenza della metà più uno dei soci effettivi iscritti e che la proposta riporti, per l’approvazione, i due terzi dei voti favorevoli.» Cero la norma era più blanda della precorsa, ma è singolare che per sciogliere il Circolo bastava la metà più uno dei soci presenti; per fare entrare un nuovo socio occorrevano i due terzi di voti favorevoli.» Disposizione abnorme, alquanto malefica … e si vedranno poi i drammatici effetti. Sciascia ironizza: «Raccoglieva proprietari terrieri, professionisti, funzionari dello Stato, maestri delle scuole elementari; e vi si entrava se approvati, per votazione a palle nere e bianche, dai due terzi dei soci. La non approvazione - piuttosto frequente - era un fatto mortificante e non privo di conseguenze morali, sociali. Una macchia.» Ma in questo dopoguerra la faccenda fu seria. Esclusioni piene di puntiglio, impallinamenti colmi di vendetta personale, dileggi animarono la vita del cIrcolo in tre o quattro occasioni. Noi non possiamo fare i nomi e cognomi: se non querela, avremmo addosso ire funeste di carissimi amici. Uno di questi – oggi assiduo frequentatore delle poltrone del Circolo - ha dovuto sobbarcarsi nell’arco di tempo di vent’anni a quattro votazioni, tra rifiuti, annullamenti, rinvii e finalmente accettazione. Il massimo responsabile di tale rosario di umiliazioni, il combinato disposto degli articoli 13 e 14 e – ma solo per taluni versi – la ripiccata inflessibilità del defunto avvocato Pillitteri. I verbali ora si succedono monotoni, steriotipatici, redatti con la solita grafia del solito segretario Abate. Addirittura sino al 18 gennaio del 1948. Breve interruzione in quest’anno per i fatti che si richiameranno e poi di nuovo gli elaborati del prof, Abate sino al verbale n. 116 del primo febbraio 1950.