Profilo

domenica 11 novembre 2012

E’ tempo di “mea culpa”, basta con “tua culpa”.

Di questi tempi, in una Racalmuto con seri problemi, mi tocca qui a Roma di sentir ciance, pettegolezzi, sussurri, blasfemie, insulsaggini. Sono quasi sempre i moralismi della bassa cultura dei sotto scala del politicume paesano (specie quello qualunquistico che accusa tutto e tutti, dimentico delle proprie scelleratezze, come se gli altri non sapessero, non giudicassero, non condannassero). Ce n’è anche per me che da sessant’anni sto lontano che so? A Roma, a Modena, a Messina, e poi di nuovo a Roma e soprattutto girovago per il Nord Italia, scansando la Sicilia per evitare vendette e minacce trasversali? Non sono un eroe ma credo di non avere colpe oltre l’umano limite. Il mio “asino ragliante” la pensa diversamente ma si guarda bene dal palesarsi.
Una cosa è certa: non sono un “delatore”. Denuncio, se posso fatti e soprattutto misfatti ma non ho mai fatto nomi e le mie denunce sono alla luce del sole . Il termine “delatore” mio poco caro “asino ragliante” non ci azzecca direbbe il capo dell’ IDV cui prima qualcuno si aggregava ed ora lo danna alla gogna (a mio avviso fondatamente). Hai poco “mio asino ragliante” di voler fare il “conciliatore” ; l’invito al “volemose tutti bene” è ipocrita ed autoreferenziato. Arriva il giorno del giudizio. E non c’è solo il giudizio penale, c’è anche quello amministrativo di chi persegue il danno “erariale”. E manco ti puoi querelare perché sei “anonimo”.
Già debordo io. Ma non ho mai detto a nessuno che sono perfetto: in questo son tutt’altro che racalmutese. O meglio il “racalmutese” del sottoscala culturale. Purtroppo a Racalmuto si legge poco e si presceglie solo il “vacuo”. La rivista patinata di moda il quotidiano sportivo. Magari il romanzetto che invita ad andare “là dove ti porta il cuore”. Tutti amano Sciascia: ma quanti a Racalmuto l’hanno letto. Aggiungo io, per fortuna. Guarda che invito al sonno dei docenti che formulava. L’ho pubblicato nel mio vecchio FB (oggi messo al silenzio per sette giorni senza spiegazione alcuna). Dicono che la sala del suo sonno maggiolino è stata “smerdata” dalla mafia per dare un messaggio intimidatorio forte.
 Pare che ci abbia creduto anche la prefettessa; le si è accodato – penso malvolentieri perché lui sa e non può non sapere – il numero due della nostra non beneamata commissone del Palazzo delle monache foraggiate da Donna Aldonza del Carretto. Vi sbraitavano ossesse. Tutti tutte a dire “povera Racalmuto in mano alla mafia non solo criminale ma anche imbecille”. Imbecille perché: ma ve li immaginate “picciotti” della folkloristica invenzione giornalistica delle “cude chiatte” o del contrapposto firmamento degli “stiddara” andare furtivamente di notte a “smerdeggiare” località sacre alla cultura (ma domandate al 99% della gioventù racalmutese “ chi è Sciascia”, quando vi va bene vi diranno ”lu pupu di la chiazza”). Rischiare tanto per ricavare nulla. Un messaggio? Figuratevi la mafia che dà messaggi a chi nulla conta: alla scuola elementare di Racalmuto.
Certo c’è dell’inquietante negli episodi giustamente stigmatizzati. Io un messaggio forte, irato, di non più possibile sopportazione ce lo vedo: quello di bambini o bambine, che non amano la scuola perché la scuola è allo sfascio, perché chi insegna non sa spesso neppure accendere il computer, perché pensa alla cattedra che sfuma, perché è uno di là degli anni ancora precario, perché è madre di famiglia che deve scappare a casa per accudire i suoi bambini, perché la mattina si è alzata alle quattro per raggiungere il posto di lavoro ( (e chi oggi ha nove, dieci, undici anni non è più il babbeo come eravamo noi alla nostra età, quelli insomma che ben descrive nelle sue ostili cronache scolastiche Leonardo Sciascia – sa ribellarsi, sa persino impiastricciarsi e purtroppo qualcuno qualcuna sa anche impasticcarsi); guarda caso questa è poi la scuola che per giunta paga male. Sì, ogni occasione è buona per marinare la scuola, ma non in quanto alunni ma in quanto docenti. Vero è che Racalmuto non è Lampedusa o che so la lontana Carini, ma tant’è.
Non mi va si additi arrogantemente il vicino di casa, il politicante avversario, il compagno di cattedra, il prete, l’educatore sfessato come colui cui gridare: “tua culpa” “tua culpa”. Sono sempre comunista ma un po’ meno vetero per invocare l’autocritica. Una cosa almeno: invece di mettersi in ginocchio davanti la Matrice come imponeva la santa romana chiesa di giorgenti ai lontani cugini che intendevano sposarsi nel Settecento e fare penitenza con la corona di spine (falsa) in testa e con la coroncina del rosario da sgranare sino alla noia (se non mi credete, fatevi avanti che vi umilio) almeno pensate, almeno sussurriamoci “mea culpa – mea culpa”. Ma mi amo troppo per dichiararlo pubblicamente.

Nessun commento:

Posta un commento