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mercoledì 26 dicembre 2012

FINMEDIT : la strenua difesa dei soci di minoranza della Banca Mediterranea


Signor Presidente, signori soci di maggioranza, signori piccoli azionisti e soprattutto signori soci che si riconoscono in Finmedit,


Quest’incontro si carica di drammatici accenti e non è consentito ad alcuno divagare: se ci dovessero difettare il reciproco rispetto, la saggezza e l’oculata pazienza, andremmo incontro a nefaste conseguenze, pregiudizievoli per tutti.

Siamo qui assemblati soggetti portatori dei più disparati interessi; abbiamo tante ragioni per confliggere  reciprocamente: avremo la forza di trovare i punti di confluenza, anziché scatenarci in contese esasperate?

Un socio di minoranza è già partito a testa bassa per tutto contestare: ragioni ne ha da vendere. Vogliamo provare ad intenderci? Il socio di maggioranza, con il suo 58% o giù di lì, ha solo voglia di delibare quanto deciso altrove? In questo caso, a noi soci di minoranza non resta altro che scandire qui il nostro dissenso e tentare in altre sedi la salvaguardia delle nostre residue interessenze.

Lo premettiamo subito: dovremmo parlare per ore ed ore solo per abbozzare la pregnanza dei nostri interessi di soci di minoranza lesi e compressi in anni ed anni di sopraffazioni, provenienti dalle più diverse sedi anche tutorie. Non ci verrà consentito. Ci venga consentita almeno  una pausa di riflessione per un’intesa là dove questa è possibile.

Il presente raduno scaturisce dai risultati ispettivi della Banca d’Italia del 1999 che neppure ci vengono indicati. Per il Consiglio di Amministrazione, basterebbe questo ultracriptico ragguaglio: occorre «una rettifica … in via prudenziale [di L. 145mld, o forse di L. 175,8 mld o forse per una cifra ancora maggiore sino a spiegare “una perdita di periodo di L. 220,4 mld”] a seguito degli esiti della visita ispettiva della Banca d’Italia recentemente rassegnati».

Ai soci di minoranza non s’intende far sapere altro. E’ ciò sufficiente per decidere o per opporsi?

Si chiede piena fiducia nel C.d’A che si limita ad una generica assicurazione sul fatto che le indicazioni ispettive «saranno oggetto di puntuale disamina anche alla luce dell’evoluzione più recente».

Capirà bene il socio di maggioranza che siffatta fiducia i piccoli azionisti non possono accordarla. Capirà bene il socio di maggioranza che già nella stessa costituzione di questa presidenza – il rispetto per le persone è fuori discussione – i sospetti di interessi in conflitto varcano abbondantemente la soglia degli indizi gravi, precisi e concordanti. E sono sospetti che dilagano per ogni dove: dalle stesse formulazioni del presente ordine del giorno alle decorse deliberazioni assembleari, a partire da quelle del 1994.

C.d’A – indiscussa espressione del socio di maggioranza – collegio sindacale, il socio di maggioranza medesimo non reputano di rischiare troppo sotto il profilo del conflitto d’interessi? Non reputano di sospendere questi lavori per un contemperamento delle confliggenti posizioni, specie nei confronti dei soci che fanno riferimento a FINMEDIT?

Per quel che ne sappiamo extra moenia i rilievi ispettivi vanno soppesati con rispetto verso la Banca d’Italia ma senza timori riverenziali per ciò che concerne la loro attendibilità, che ci pare spesso claudicante e soprattutto in contrasto con l’operato della medesima Banca d’Italia, sia quella che perfezionò le acri risultanze dell’ispezione Scattone, sia quella che sino alla reiterazione del controllo di Vigilanza del 1999 aveva assistito con favore la gestione Banca di Roma.

Conosciamo il valore dell’ispettore Barbagallo e non siamo tra quelli che pensano che il valente funzionario – a quanto pare parente o affine  del dott. Noto – possa essersi fatto impressionare dalla voglia della Banca di Roma di incorporare nientemeno che il  quasi millenario Banco di Sicilia. Resta singolare che le ultime risultanze ispettive finiscono per apparire un pamphlet contro lo  stesso Istituto di appartenenza dell’ispettore.

Gli attuali esponenti della Mediterranea hanno fatto approntare una difesa dei consiglieri e sindaci incappati in censure ispettive (credo che ai soci di minoranza occorra far sapere chi paga queste difese così come necessita ragguagliare sul costo delle complesse procedure a tutela degli esponenti aziendali sotto accusa a seguito della precorsa ispezione Banca d’Italia): trattasi di difesa effimera, di sostanziale ammissione di colpa, di postulazione di una generica attenuante per avere operato in modo tale che alla fine: «la complessa situazione della Banca, ove riferita alle risultanze della precedente ispezione della fine del 1994, è risultata in continuo miglioramento.» Ci si limita, così, a dolersi flebilmente del fatto che «il negativo giudizio formulato in sede ispettiva non abbia considerato l’impegno del consiglio …. e i positivi miglioramenti in relazione alla situazione della Banca così come definita nella precedente ispezione.» (A noi qui poca importa la sbavatura giuridica di quella difesa avverso le sanzioni amministrative bancarie, che scaturisce tutta dalla sottovalutazione delle lettere contestative del locale direttore della Banca d’Italia).

A noi soci di minoranza interessa invece organare una controdeduzione pregevole specie sotto il profilo fattuale per tamponare le conseguenze della visita ispettiva, che, così come traspare, porta dritto dritto ai provvedimenti dell’art. 80 del TULB (si ribadisce: art. 80 e non ad esempio art. 70 o art. 76). Cari soci, se bastassero gli anatemi dell’amico Marcantonio per scongiurare siffatti pericoli, non ci mancherebbe la voce per sacramentare, ma la mia precorsa esperienza nel settore mi rende oltremodo preoccupato e preoccupati dovrebbero essere i  politici per le conseguenze economiche del territorio, i sindacati per i riverberi sull’occupazione, il socio di maggioranza per i riflessi sul suo bilancio (a quanto ascende ora il valore della partecipazione “Mediterranea”?), il C.d’A ed il collegio sindacale per dover rispondere in sedi non commendevoli su distorsioni contabili ed altro, i soci di minoranza plaudenti nel passato alla Banca di Roma (con compensi di natura professionali?) e noi soci che ci rifacciamo a Finmedit che vedremmo polverizzare quel che ancora – sia pur poco – rimane dei nostri capitali di rischio.

Non è questo un motivo per unirci?

Su tale base ed a tale fine si potrebbe collaborare per una contrapposizione difensiva avverso la Banca d’Italia. Tanti di noi hanno professionalità pregresse che potrebbero essere di grande aiuto. L’offriamo al C.d’A. che dovrebbe subito accettare: siamo sulla stessa barca.

Se questa proposta dovesse essere accolta, si renderebbe necessario interrompere l’assemblea e riconvocarla per deliberare sui risultati che una siffatta commissione mista di cointeressati riterrebbe utile sottoporre all’approvazione dell’intero sodalizio bancario.

Diversamente, i soci di minoranza dovrebbero respingere l’intero o.di g. che viene proposto e predisporre gli strumenti tecnico-giuridici per una difesa giudiziaria, il cui filo conduttore non può non essere il conflitto di interessi con il socio di maggioranza – spesso socio tiranno – e con quanti vi si sono accodati o vi si accodano.

Il conflitto parte da lontano e a dire il vero con una intrusione della Banca d’Italia, a dir poco, irrituale. Fu infatti il locale direttore della Banca d’Italia a rappresentare nel 1994 i desiderata dell’Organo Centrale  tendente ad imbarcare la  banca del sud nell’alveo del mega gruppo facente capo alla Banca di Roma. L’autorevole suggerimento trovò spazio in una sede impropria quale è la lettera ufficiale di contestazione delle risultanze ispettive (nota n. 4626 del 16 settembre 1994): vi si legge, infatti. «... la Banca di Roma dovrebbe acquisire una quota del 30% del capitale di codesta Banca [Mediterranea] [..]: in tal modo, codesto ente entrerebbe a far parte del gruppo creditizio Cassa di Risparmio di Roma. Al riguardo, si è qui dell’avviso che l’accordo debba essere considerato alla luce dei risultati della verifica ispettiva. In particolare, l’apporto patrimoniale dovrà essere quantificato tenendo presente la necessità di fronteggiare il deterioramento dell’attivo e di ripristinare l’equilibrio reddituale [..]: l’intesa dovrà consentire i più ampi poteri di gestione al partner prescelto, nel cui gruppo creditizio andrà ricompresa l’azienda ...» (v. pag. 5).

E potremmo citare altre fonti che ormai sono di pubblico dominio per i vari processi anche penali in corso.

Lanciato lo strale contro B.I., poco possiamo raccogliere da tali lagnanze. La Banca d’Italia per giurisprudenza consolidata è “organo irresponsabile” (vedasi sentenza Ambrosiano, Cassazione a sezioni unite del 29marzo 1989 n. 1531) e le pur acri polemiche della dottrina a nulla hanno approdato. Se F. Vella ha scritto: «in altri termini si tratta di evitare soltanto che all’illusione del legislatore totale si sostituisca l’illusione dell’amministrazione tuttofare», la discrezionalità della Banca Centrale resta ancora assoluta, ora come allora.

Ma l’usbergo B.I. non dissolve le responsabilità Bancoroma.

Nel 1993 figuravano tra le azioni proprie L. 18.413/m.  comprate per la maggior parte a L. 15/mila. Con accordi del marzo 1994 la Banca di Roma s’impegnava ad acquistare n. 1.568.816 azioni in portafoglio della Mediterranea  a L. 15.000 ed a sottoscrivere integralmente un aumento del capitale per giungere ad una quota del 30% al prezzo di emissione non inferiore a L. 15.000. Era un accordo condizionato, ma nella sostanza non poteva essere modificato se non per eventi allora imprevedibili. L’atto provvidenziale fu la drastica ispezione Scattone che abbondando in previsioni di perdite su opinabili sofferenze consentì la riduzione del prezzo da L. 15.000 per azione a L. 8.000 per azione. La Banca di Roma senza doversi sbracciare più di tanto potè rinegoziare l’iniziale acquisto delle azioni della Mediterranea nel proprio portafoglio da L. 15.000 ad azione a L. 8.000; sottoscrivere sempre a L. 8.000 per azione l’aumento del capitale sociale del novembre 1994 ed a tale prezzo potè aggiudicarsi  quello successivo del 1995.

I dati tecnici qui non interessano: resta però evidente che la Banca di Roma potè acquisire l’attuale 58% o giù di lì del capitale sociale della Mediterranea adducendo soltanto 339/miliardi circa al posto di L. 636/miliardi circa con una differenza  di L. 297/miliardi circa, (miliardo in più, miliardo in meno: noi non abbiamo per ora i dati precisi). Dobbiamo aggiungere che la cosa, pur indagata, non ha sinora sortito effetto alcuno presso la magistratura. Il supporto giuridico sembra essere una perizia di un auditor bancario, di cui la Banca di Roma è socia, che a dire il vero si è limitato a  fare un poco convinto riferimento alle risultanze ispettive precedenti. Ma particolare di grosso valore, la Banca di Roma non ha ritenuto, dopo, attendibili le ricostruzioni ispettive e per anni le sofferenze sono state molto al di sotto rispetto a quelle ispettive. Del pari le valutazioni delle perdite inerenti.

Se mi si chiede se in atto i soci possano ancora sperare in un recupero risarcitorio, non so rispondere. Mi pare che tutte le precedenti delibere assembleari al riguardo dovrebbero essere invalide per manifesto conflitto di interesse. Oggi, in questa chiamata al giudizio finale, il socio di maggioranza dovrebbe per lo meno allontanarsi ed il C. di A. con il collegio sindacale non avrebbe titolo a fare proposte di acquiescenza ai nuovi risultati ispettivi per la palese confliggenza d’interessi. Una delibera in ordine delle responsabilità patrimoniali dovrebbe avvenire senza l’interferenza di soci coinvolti o di amministratori consenzienti.

La mia proposta è comunque quella di attivare l’art. 2392 c.c. e di richiedere il “provvedimento motivato” alla Banca d’Italia ai sensi dell’art. 70 c. 7 del TULB, non mancandosi – in caso di mancato raggiungimento del quorum previsto – di procedere egualmente ad una nostra  segnalazione motivata.

Alla Banca d’Italia deve inoltre essere fatto presente che vi sono ragioni di assoluta urgenza perché proceda alla “gestione provvisoria” ex art. 76 del T.U.L.B.

E ciò non tanto per quello che prima abbiamo abbozzato, pur mancando di dati di dettaglio, ma soprattutto per i seguenti indici di anomalia nella gestione bancaria.

a)     la Banca non ci segnala che il nostro sistema informativo è risultato “obsoleto”; che inadeguato è apparso l’apparato contabile e segnaletico; che carenti si  sono rivelati i sistemi di controllo interno. Ebbene ciò nonostante che dal 1994 ad oggi il carico del conto economico per competenze a professionisti esterni abbia avuto il seguente ingente sviluppo: 1994 L. 5.432.795.176; 1995 L. 3.447.530.240; 1996 L. 4.914.115.300; 1997 L. L. 6.413.846.934; 1998 L. 7.049.931.185 e già nella prima metà di quest’anno l’esborso è asceso a L. 5.671.059.916.

b)    Se siamo bene informati, alla Banca d’Italia non piace neppure il nostro Servizio Ispettorato - ma per esperienza diretta noi dobbiamo qui esternare il nostro plauso ai valenti dirigenti della Mediterranea che vi hanno operato e che ancora vi operano – e tanto rende inaccettabile l’enorme dispersione di mezzi propri nel pagare ingenti somme alla Capogruppo per prestito di “personale”. Leggendo gli scarni dati di bilancio abbiamo che nel quinquennio sono stati sborsati questi emolumenti a dirigenti estranei distaccati dalla Banca di Roma: 1995 L. 1.434.486.272; 1996 L. 3.049.758.246; 1997 L. 2.281.669.399; 1998 L. 2.531.803.065 e nella prima metà del 1999 L. 1.400.830.290. In totale dunque L. 10.699,5 milioni di nessuna utilità, di gratuito aggravio dei vari conti economici, già pesantemente incisi dall’enorme costo del personale proprio – invero di altissimo livello, se bene utilizzato – e con incidenze sulle responsabilità degli amministratori, dei sindaci, nonché con insorgenze conflittuali di interessi nell’ambito delle assemblee sociali per la presenza determinante del socio tiranno beneficiario indiretto di codesti indebiti o dispersivi gravami economici.

c)     Per il nuovo ispettore della Banca d’Italia gli ingenti accantonamenti per ammortamento in conto delle varie sofferenze ed incagli che hanno devastato i precorsi esercizi sono insufficienti e necessiterebbero – a dire degli stessi amministratori – “rettifiche di valore su crediti in sofferenza e ad incagli pari a L. 175,8 mld.” e cioè L.30,8 mld. per “rettifiche di valore analitiche” e L. 143 mld. a titolo di svalutazione “forfetaria”. Non venendo ragguagliati in nulla, noi soci di minoranza contestiamo siffatta impostazione di bilancio.  Innanzitutto, occorre conoscere il trend delle sofferenze dalla precedente ispezione alla presente: occorrono i famosi allegati di supporto agli stringati rilievi. Necessita stabilire se la gestione delle precorse sofferenze è stata adeguata e proficua; se il socio di maggioranza ha favorito i suoi grandi clienti esposti anche in Mediterranea;  se via sia stato uno storno di posizioni incagliate da Roma a Potenza ed altre peculiarità operative che passano anche attraverso compravendite di azioni preferenziali della Mediterranea da parte della Banca di Roma a pregiudizievole sistemazione di taluni grandi debitori della Mediterranea. Questi e tanti altri aspetti su cui ci si riserva di intervenire nelle competenti sedi rendono particolarmente grave il contesto delle responsabilità amministrative di amministratori e sindaci ed inquinano le precedenti delibere assembleari che hanno inteso suggellare, col solo assenso dell’interessato socio tiranno, un indirizzo gestionale che ora la Banca d’Italia torna a stigmatizzare pesantemente.

d)    Per la Banca d’Italia, prodottasi in uno scrutinio del merito di credito nella sua veste di terzietà, diffuse sarebbero le manchevolezze che vengono giudicate incoerenti con l’ipotizzata espansione del comparto. L’iniziale intento di convogliare a Potenza da Roma risorse tecnico-menageriali rivenienti da una impresa bancaria di alto standing appare del tutto frustrato. La Banca d’Italia non può pertanto lasciare la Mediterranea in mano a chi ha tradito la sua fiducia: le resta l’ufficio ex art. 76 TULB cui deve procedere con urgenza perché vanno profilandosi manovre pregiudizievolmente dilatorie come è la proposta degli amministratori, che, pur fustigati dai rilievi ispettivi, vorrebbero un “rinvio al prossimo esercizio dell’adozione degli opportuni provvedimenti di cui all’art. 2446 c.c.” e ovviamente fidandosi della benevolenza del socio tiranno – per suo verso interessato a tale conflittuale slittamento di provvedimenti che sarebbero inceppanti della veridicità e fedeltà del suo proprio bilancio -  sperano in una decisione volta a soprassedere «in questa sede, alla riduzione del capitale a copertura delle perdite al 30/06/99».

e)     Sempre ad avviso dei nuovi ispettori B.I. gli incagli ufficiali hanno per lo più caratteristica di sofferenza. Si intuisce, dunque, un deterioramento dell’assistenza creditizia. Le sofferenze residuano in L. 600/miliardi a seguito di “rettifiche di valore” per L. 595,6 miliardi (la nostra banca ha crediti in sofferenza per L. 1.196 miliardi  che gli amministratori di diretta emanazione del socio tiranno lasciano marcire da anni tra le pieghe dell’attivo). Sono destinate, per intuizione ispettiva, a crescere ulteriormente. La Banca d’Italia non è tenuta ai provvedimenti di rigore, ma un inquietante interrogativo la dovrebbe attanagliare, specie se lascia l’azienda bancaria sotto la sua vigilanza, in mano di amministratori e di un socio di maggioranza a dir poco distratti. Aggiungasi che patologico va giudicato il comparto degli interessi di mora: trattasi di L. 373.293.701.894 svalutate per L. 320.953.587.573, il che la dice lunga sulla indolenza degli amministratori nel recupero almeno parziale degli interessi moratori. Ed il rilievo n. 15 è molto significativo al riguardo. S’impone quindi l’interrogativo circa l’atteggiamento della B.I. che al momento si limita a contestare cose tanto gravi senza assumere le iniziative che, se non la forma, l’essenza della vigilanza  prudenziale imporrebbe senza indugio.

f)     Rade sarebbero – sempre per la Banca d’Italia - le autonome e tempestive azioni esecutive volte al recupero dei crediti. Da ciò dovrebbe scaturire un’immediata e tempestiva iniziativa nel senso scandito dall’art. 76 T.U.L.B.

g)    Quanto delicato sia il rilievo sulla scarsa correttezza contrattuale e sulla rilassata prevenzione dell’utilizzo dei circuiti bancari a fini criminosi è di palmare evidenza. Un rilievo del genere rivolto ad uomini per vari versi legati ad uno dei massimi enti bancari nazionali lascia solo esterrefatti. Ma basta una semplice tirata di orecchie?

h)    Per Barbagallo sarebbe solo insufficiente l’attenzione che viene prestata all’osservanza della normativa antiusura. Per quel che ci è capitato di vedere, gli episodi di tracimazione dai “tassi-soglia” sarebbero tutt’altro che episodici e di modesta misura.

i)      Censurabili in termini di maggior rigore ci sembrano i casi di devianza dai canoni dell’antiriciclaggio (rilievo 16);

j)      Esulando dalle contestazioni B.I., abbiamo da lamentare l’assoluta inidoneità delle note illustrative della nota contabile al 30/6/99 e dell’o.d.g che ci viene proposto. Il rendiconto che ci viene chiesto di approvare ha un taglio decisamente incomprensibile: nulla si spiega, nulla si dice a chiarimento di tavole e tavole di aridi numeri, men che meno ci vien fatto sapere perché all’improvviso si riesumano fatti e vicende di almeno un quinquennio prima e - divenuto il socio egemone padrone assoluto del consiglio di amministrazione, dopo il defenestramento o le dimissioni forzate dei pur remissivi esponenti della minoranza - si è inferto un colpo esiziale alle residue valenze patrimoniali dei soci minoritari. Abbiamo detto sopra come secondo noi la Banca di Roma sia divenuta all’improvviso padrona assoluta della Mediterranea senza conferire - o quasi - alcun apporto per consolidate plusvalenze della precedente azienda bancaria. Dopo il bilancio 1997 -  che a mio avviso va invalidato per nullità sempre eccepibile – è stato azzerato il “fondo soprapprezzo azioni” che noi soci di minoranza e noi soli abbiamo costituito, con solo nostri sudati - ed ora dispersi - capitali freschi; non furono rispettati i divieti per conflitto d’interessi e fu rimessa alla volontà dittatoriale del socio egemone la decisione dissolvitrice del patrimonio altrui, senza contemplare gli ostacoli anche giuridici che vi si contrapponevano. Tre o quattro cifre sintetizzano la devastazione bancaria che con questo rendiconto semestrale  - frutto solo dell’inventiva dei rappresentanti del socio egemone - ci si propone addirittura di “approvare”, come se non si trattasse di manovre volte solo a nostro danno, a danno cioè dei soli ed indifesi soci potentini, e cioè di quei maldestri soci vistisi ridotti a soci di minoranza quando un tempo erano i proprietari assoluti della Banca, per non parlare dei soci di Pescopagano che per destinazione del padre di famiglia vantavano imprescrittibili ed incedibili diritti di prelazione su una non trasformabile banca popolare. E tutte queste nostre ragioni sono state nel tempo vanificate per interferenze anche autorevoli.

k)     Con alcune cifre buttate lì, nel rendiconto semestrale, che sconvolgono ogni logica di economia d’azienda si vuole, con decisione del solo socio di maggioranza, vanificare i patrimoni dei soci minoritari;  ciò, mentre  - per converso – si lascia integra la partecipazione del socio dominante che potrà alienare ogni cosa senza nulla perdere.

l)      Abbiamo subito conflitti d’interesse a non finire; siamo stati iugulati con decisioni lesive dei nostri interessi di soci privati di voto effettivo per il prevalere del socio tiranno, interessato a ben altro; nessuno può negare che v’erano nel passato fondati sospetti di condotte ricadenti negli articoli del 2446 codice civile, 2447 c.c. e 2448, sub 4), pronuba anche una legge bancaria priva di difese per i soci di minoranza, espoliatrice dei diritti ex art. 2409 c.c.; di una legge bancaria che per ottenere dalla Banca d’Italia un motivato giudizio – prevedibilmente negativo per i soci di minoranza – vuole il voto assembleare del ventesimo del capitale sociale. Ma se vi sono notitiae criminis la Banca d’Italia non è tenuta a fare rapporto all’autorità giudiziaria, senza indugio? E così ancora una volta dovremmo subire l’arcigno silenzio sugli eventi che avrebbero improvvisamente determinato il crollo della nostra banca, dato che il C.d.A.  – che  al socio di maggioranza, statene certi, tutto ha già detto – reputa prudente non fornire adeguati chiarimenti sia in sede di relazione generale sia in sede di doverosa esplicazione di sibilline poste contabili.

m)    Si pensi ad un fatto devastante: senza eventi imprevisti ed imprevedibili, senza ragioni inopinatamente sopraggiunte, senza deterioramenti repentini dell’ordinario operato bancario (del tipo di colossali malversazioni da parte di dipendenti infedeli), la Banca Mediterranea,  che nel 1998 il suo modesto ruolo di azienda creditizia era riuscita a svolgerlo per merito esclusivo della pur numerosa e subalterna compagine impiegatizia, precipita da un risultato passabile  ad una catastrofica perdita di periodo (che vuol dire?) 

n)    La disavventura è tanto inconsueta, tanto spaventevole, tanto abissale che avrebbe dovuto spingere i responsabili - alla fine tutti portavoce del solo socio dominante - a quintali di giustificazioni e di chiarimenti e di ragguagli e di informazioni tecniche e di spiegazioni giuridiche, e di lezioni di tecnica bancaria, e di altro ed altro ed altro ancora. Ed invece nulla, o pressoché nulla - visto che quello che si dice, cripticamente, innocentemente, sa di scarica barile. Il nostro patrimonio crolla d’improvviso e si porta a quota 155/miliardi (ed i tecnici sanno per di più che la riserva per azioni non va conteggiata); in parole povere le nostre azioni che credevamo valere ancora sulle 8.000 mila lire, non valgono neppure il valore nominale di L. 5.000, ma solo, salvo ulteriori devastazioni, L. 2.050 (che in prospettiva potrebbero equivalere a 4 azioni del Banco di Roma all’identico valore nominale e francamente con questi chiari di luna potrebbe anche convenirci. Basta che ce l’assicurino sin d’ora).

o)    Ci pare di riascoltare vecchie giustificazioni che si abbarbicavano ai cosiddetti  “fenomeni di deterioramento della qualità del credito” (vedasi bilancio 1997). Ma ora i “romani” debbono spiegarsi meglio: vengono dalla “sapienza” e sono sapienti. Si deteriora qualcosa che una volta era buona. Si deteriora qualcosa perché malconservata. Si deteriora qualcosa perché non si sa gestirla. Si deteriora qualcosa perché, per mille inconfessabili motivi, la si vuol deteriorare, perdere. Si deve essere più chiari. Qui è in gioco la sopravvivenza della banca, almeno la sopravvivenza delle partecipazioni minoritarie. Al socio egemone può fare comodo rimpinzare di riserve, se non occulte, di sicuro potenziali questa nostra banca; lasciare un residuo barlume di consistenza patrimoniale che giustifichi la partecipazione al valore di L. 6-7.000  nel bilancio bancario del socio dominante; vendere a terzi quell’interessenza - magari esteri e meglio ancora se esterovestiti e meglio ancora se con capitali facili - a prezzi di affezione; creare le premesse per un successivo azzeramento del capitale sociale per l’estromissione dei soci dominati e ciò in vista di una ricostituzione del capitale sociale cui non potranno accedere i soci dominati per inidoneità finanziarie; facile così la locupletazione degli ipotetici speculatori esteri (cui gratuitamente accederanno le riverse potenziali per i sovrabbondanti ammortamenti delle sofferenze). Dovete chiarire e rasserenare i soci di minoranza, informarli e soprattutto astenervi dalle improvvide politiche di occultamento di utili con massicce e ingiustificate rastremazioni dei crediti.

p)     Fuge rumores” dicevano i maestri del capitalismo italiano. D’accordo: ma qui non è questione di rumori; qui è l’annuncio di una morte, della morte di una banca. Se non il lamento delle prefiche - e nessuno di noi lo gradirebbe - almeno una confessione liberatrice sarebbe doverosa. Da cinque anni abbiamo le tanto conclamate sinergie con il grande polo della Banca di Roma; caterve di funzionari, dirigenti in prequiescenza, profluvio di corrispondenza ammonitrice; pareri “pro veritate” - ma a dire il vero, la verità della casa madre - ultra remunerati; amministratori venuti da lontano; provvedimenti odiosi; dimissionamenti ex abrupto di dirigenti tradizionali, e tant’altro: beh! tutto questo non solo non ha impedito la catastrofe ma l’ha registrata, a dir poco, tardivamente. E per di più - e qui siamo nell’inaccettabile - la si viene qui a raccontare per sommi capi, cripticamente, senza ragguagli, misteriosamente, ultimativamente e con il non nascosto intento di ottenerne la tranchant approvazione del socio egemone, noncuranti di ogni remora per conflitto d’interesse.

q)     Un tempo ci venne detto che la débacle  si era verificata: «a seguito del totale deterioramento della situazione economico-finanziaria di alcuni clienti e grandi gruppi che ha comportato, in particolare per nuovi fatti negativi riscontratisi nella seconda metà del 1997, oltre al passaggio dei relativi rapporti da incagli a sofferenza, un aumento delle previsioni di irrecuperabilità,[per cui] sono necessitate rettifiche nette su crediti e svalutazioni per perdite definitive per circa 275 miliardi.» (v. p.  2 bilancio 1997) . O si mentì allora o si mente adesso. In ogni caso numerose sono state le inesatte segnalazioni all’Organo di Vigilanza.  L’organo tutorio fu  in quiescenza allora, non mi pare che possa continuare ad esserlo. Non può quindi lasciare la banca in mano di chi qualche problema con l’art. 134 T.U.L.B. dovrebbe averlo. Si vocifera - a dire il vero qualcuno mostra le fotocopie delle missive - che non è da ora che l’ex Amministratore Delegato pietisse udienza epistolare presso quelli di Roma per il passaggio a sofferenza di posizioni a lui sgradite; si vocifera che Roma abbiano fatto finta di non ricevere neppure quelle missive, almeno sino ad una certa data?  Si vuol rispondere in questa sede? Si vuol chiarire se almeno la consapevolezza di quel deterioramento del credito c’era già a date pregresse? Vetustamente? Se no, si vogliono fornire le precisazioni? Sono state almeno fatte le debite segnalazioni all’Organo di Vigilanza? I moduli di rito (Mod. 135 Vig. di un tempo o quelli attuali di Matrice) sono stati corretti, ad ogni cadenza? Non v’è pericolo di essere incorsi nelle censure dell’art. 134 della legge bancaria? O si pensa davvero che la normativa di Vigilanza valga solo per gli zotici amministratori del Sud ma non riguardi gli Unti del Signore? Davvero agli “amici sarà dato; ai nemici sarà tolto”, per esprimerci evangelicamente?

r)      Possiamo rigirare quante volte vogliamo la scarna paginetta di questa nota del C.d.A. (quella dei sindaci è ancor più risibile): nulla sapremo sullo stato degli impieghi (qualche cifra buttata qua e là). Ne sapevano di più quelli della FIBA-CISL  che ironicamente si andavano domandando “Ma c’è qualcuno a cui interessano 1.200 miliardi?”. Prosa e sintassi a parte, quel che in quel foglietto si dice pubblicamente - e i responsabili di questa banca lo hanno lasciato dire impunemente - credo che interessi a questo consesso. Ma soprattutto credo che i nostri amministratori dovevano in sede di bilancio contestare, puntualizzare e precisare le accuse dei cislini. Davvero l’Ufficio Recupero Crediti si è tramutato in “discarica di rifiuti a cielo aperto”?  Non siamo in vena di compassione per chi ha voglia di fare sapere all’esterno - ma lo stipendio lo riscuote all’interno - che viene spremuto “uno sparuto numero di addetti alla gestione, sempre più oberato di carichi di lavoro che hanno condotto alcuni di loro ad un vero e proprio stress psico-fisico, in un locale sempre più simile ad un cantiere edile, per non usare altro genere di paragone.” Ma siamo più interessati alla faccenda dell’amministratore delegato; anche a noi, in sintonia, “sorge spontanea un’altra domanda: se l’amministratore delegato ha avvertito l’indifferibile necessità di effettuare le così dette pulizie, riversando a sofferenza centinaia e centinaia di miliardi si da creare una vera e propria discarica delle sofferenze, che hanno raggiunto la ragguardevole cifra di 1.200 mld., al netto di molti altri miliardi girati a perdite, cioè a babbo morto, ha, al pari, avvertito l’esigenza di dotarsi di uno strategico piano dei rifiuti?” Dove dobbiamo cercare risposta a questa ed altre domande consimili? Dal sindacato della CISL? Non abbiamo diritto ad averle qui quelle risposte? Anzi, non dovevano esserci già? Vorranno gli amministratori ripensarci, ritirare il bilancio e corredarlo di tali doverose risposte? Ci vorranno dire che c’entra Mastronardi con le sofferenze, visto che la CISL lo rimprovera di non avere affrontato “in maniera seria e concreta .. la questione delle sofferenze”? La CISL si permette di accusare la banca - ma questa non risponde alla CISL ed omette anche in questa sede di dare la dovuta informazione - con questi pungenti appunti: «I problemi, quasi tutti insoluti, sono letteralmente esplosi, rendendosi di più difficile soluzione; l’eccessiva burocratizzazione e legalizzazione  ha pressoché ingessato il settore rendendolo sempre più simile ad un’aula di tribunale e sempre meno un ufficio bancario dinamico, moderno, pragmatico, orientato a recuperare i propri quattrini senza diventare strumento per bieche affermazioni personali di madame e messeri di turno.» Ci punge vaghezza di sapere chi sono codeste “madame” e codesti “messeri” a turno nelle “bieche affermazioni personali”. Ma forse è già partita qualche denuncia. Almeno, si ha intenzione di segnalarcela? La FIBA-CISL asserisce che “il nostro amministratore e i suoi detti consulenti ... sono, diversamente dai sindacalisti, pagati, pardon, stra-pagati!” A noi soci di minoranza si vuol almeno dare qualche ragguaglio su tali strapagamenti? In bilancio qualche cifra spunta - ovattata, però, confusa in un mare di dati: qualche cenno l’abbiamo fornito noi sopra. Tanti soldi spesi per portare la redditività bancaria abissalmente sotto zero ed il patrimonio da 600 e rotti miliardi ad un opinabile importo di 155 miliardi. Ma le cifre dicono poco: non sappiamo quanto abbia preso l’amministratore delegato e quanto sia finito ai numerosi membri degli organi aziendali. Abbiamo già detto delle decine di miliardi erogati a “professionisti esterni”: a chi, a quale titolo, perché? Mistero. Ci piacerebbe tra l’altro sapere se corrisponde al vero che si sia ritenuto necessario consultare un legale esterno della Banca di Roma per sapere come comportarsi nell’acquisto delle proprie azioni;  se è poi vero che costui si sia limitato a sintetizzare quello che aveva già scritto in un vecchio suo lavoro pubblicato e stravenduto; che abbia dato consigli così vaghi che gli esponenti aziendali si sono sentiti riassicurati sul loro vezzo di comprare da beneaccetti, fingendo persin di credere a cervellotiche motivazioni, e di negare l’acquisto a chi gradito o perlomeno compaesano (pugliese) non era; che per somma beffa, quel vacuo parere sia costata una tombola alla banca. Sono questi solo pettegolezzi di borgata? Vorranno i nostri progettisti del bilancio, chiarire, rasserenare, fugare gli equivoci? Oppure reputano la faccenda, coperta dal .. segreto bancario? Le Autorità di Vigilanza non sono davvero interessate alla questione? La provenienza di quei consulenti può avere un peso?

s)      Per inciso, la petulante domanda della FIBA-CISL è del 23 marzo 1998, in tempo per consentire ai nostri amministratori - se davvero ne avevano voglia - di fornire in questa sede tutte le spiegazioni possibili, il ragguaglio su tutte le difese percorribili. Il silenzio è, per converso, eloquente. Sorprende davvero quello che viene lasciato cadere, quasi inavvertitamente, a pag. 2 del bilancio 1997: “Perdite definitive per 275 miliardi” vengono segnalate come se ci si ragguagliasse su una gita scolastica. Che cosa sono le perdite definitive per “rettifiche nette su crediti”? Perché definitive? Si tratta di valori numerari certi? Se sì, ci vogliono venire spiegati? A pagare siamo noi, soci di minoranza. Si consultino tutti i testi di economia aziendale e di tecnica bancaria e non si riuscirà a comprendere la portata gnoseologica di una definitività in momenti valutativi dei crediti: la ragioneria ci dirà che siamo in presenza di “perdite temute”, di eventualità, dunque. Ed allora? La informazione ha senso se si vuol dire che la banca, in vena di munificenza, si sia messa ad assecondare clientela di favore con formali rinunce delle proprie ragioni creditorie. Magari, basandosi su un incidente di percorso di qualche maldestro ex direttore generale che non si è avveduto che la garanzia doveva essere novennale anziché annuale. E basta tanto per considerare “perdita definitiva” qualche grazioso omaggio, magari di una cinquantina di miliardi, “per necessitata rettifica netta su crediti e svalutazioni”? Vogliono, lor signori, informarci, o rasserenarci? Abbiamo diritto alle indispensabili informazioni? Ove si trovano nei bilanci che avete progettato e fatto approvare dal cointeressato socio tiranno?

t)      Ma ritorniamo ai 688,1 miliardi di “perdite ammortate” per temuta irrecuperabilità di partite in sofferenza. Non crediamo che si tratti di creditorie perdenti alla data del 24 marzo 1998 o a quella del 16 settembre 1999 (data di consegna del rapporto, visto che pare i signori amministratori si siano rifiutati di firmare in ante-prima i famosi allegati di vigilanza ispettiva). Sicuramente, si tratta di incagli risalenti alla notte dei tempi. A quando? Si è posta attenzione al fatto che l’importo della perdita era tale da sovrastare  il capitale sociale? Non vi erano altre perdite? Non è colpa nostra se non è facile capire cosa gli amministratori abbiano voluto dire con la ridda di cifre dei vari bilanci relative alle perdite “temute”. Le quali perdite - qualsiasi alchimia contabile si tenti, a qualsiasi scuola di pensiero si aderisca - per lo meno hanno, da anni, determinato quel paralizzante buco patrimoniale di cui all’art. 2446 codice civile. Perché allora non si è proceduto alla convocazione dell’assemblea “senza indugio” in tempi non sospetti?  Noi siamo tentati di sospettare che un conto è per il socio egemone svilire l’esposizione creditizia della concorrente banca dominata, un conto è svilire formalmente il capitale sociale della banca dominata, pena la necessità di ammortare la propria partecipazione - e Dio solo sa se la Banca di Roma può permettersi svalutazioni siffatte - e la doverosità degli apporti di capitali freschi propri nella stessa banca dominata. Ma palmare è il  conflitto d’interessi che ne scaturisce. C’è da domandarsi allora se si è operato con accortezza, se si è deliberato nel passato con le debite astensioni. Se non si vuol rispondere in questa sede, prima o poi ed in ben altre assise  si sarà costretti a farlo.

u)     Per non venire tacciati di fare un discorso “senza costrutto”, siamo costretti ad essere puntuali sino alla pignoleria. Una pregiudiziale deve essere però subito evidente. Mentre a noi soci di minoranza non è dato di sapere nulla sulla nostra banca, fuori di qui, nelle sedi sindacali - lo abbiamo visto - in quelle politiche, presso il Consiglio di Basilicata, e presso la stampa (l’orgia di questi giorni ci ha infestati tutti), carte, rapporti ispettivi, consulenze giudiziarie, interrogatori, documentazione riservata ecc. circolano come romanzetti d’appendice. Noi abbiamo avuto la fotocopia dell’interrogazione di Pietro Simonetti del 23 marzo 1998. L’iniziativa politica è stata resa di pubblica ragione con il corredo degli atti riguardanti la nostra banca. Quel che i nostri amministratori ci tengono segreto, lì è dato in pasto del pubblico. Quanto andremo dicendo si avvale di quei documenti. Ma trattandosi di nominativi, di imprenditori, di gente che ha diritto alla riservatezza, ci guarderemo bene dal divulgare - da parte nostra -  le generalità di siffatta clientela bancaria.


*   *   *

      A noi interessa avere risposta in ordine ai fatti che stravolgono la gestione della nostra azienda: i nomi a chi interessano. Ci serviremo quindi di riferimenti indiretti a tutela della riservatezza di tali soggetti.

Il Simonetti, nell’invitare il Consiglio Regionale di Potenza a costituirsi parte civile nel noto processo che coinvolge solo taluni degli ex amministratori della nostra banca, allega i rapporti di due ispezioni della Banca d’Italia. Là abbiamo una messe di notizie sullo stato degli impieghi della nostra banca. Emerge così che «l’esame del rischio creditizio in essere al 31.12.1993 poneva in evidenza:

a) posizioni in sofferenza ed incagliate per un ammontare rispettivamente pari a L. 847,1 miliardi e L. 465,3 miliardi, sulle quali si prevedevano perdite complessivamente pari a L. 508,6 miliardi;

b) incrementi rispetto alle segnalazioni all’Organo di Vigilanza per L. 619,9 miliardi sulle sofferenze, per L. 166,7 miliardi sulle posizioni incagliate e per L. 406 miliardi sulle previsioni di perdita (cfr. allegati nn. 3/a e 3/b).» (Cfr. rilievo n.° 43 pag. 29).


     La divulgazione delle notizie - come si vede  - è grave. Sono stati adottati provvedimenti da parte degli organi a presidio della nostra banca? Rispondono al vero carte, notizie e dati propalati? Se sì, non possiamo non chiedere come mai dalle pure esagerate valutazioni ispettive, in base alle quali sofferenze ed incagli assommavano a fine 1993 rispettivamente a L. 847,1 miliardi ed a L. 465,3 miliardi, passano ora, nella nota che ci si chiede di approvare senza adeguate informazioni, a cifre quasi raddoppiate. Gli ispettori sono stati ritenuti eccessivamente fiscali: gli stessi esponenti della Banca di Roma per anni non ne hanno condiviso i dissolventi apprezzamenti. Che cosa è successo? All’improvviso c’è stata la folgorazione come Saul sulla via di Damasco? E non si ritiene di ragguagliarci? Quali le responsabilità dei nuovi amministratori? Quali i fatti nuovi che hanno imposto decisioni tanto devastanti? Nulla di nulla nella relazione che abbiamo sotto mano. Le superfetazioni si limitano a quei pochi accenni che abbiamo già richiamato.  Ma un grave dubbio ci assale: non è che si è portato a sofferenza l’impiego vivo dell’ispettore del 1993 e per converso si continua a tacere sullo stato di decozione di tanti altri e veri crediti in sofferenza o in incaglio, sol perché magari amici del padrone? E qui dobbiamo essere schietti sino alla ferocia.

Tralasciamo ogni riferimento alla martoriata posizione Casillo (solo ci piacerebbe sapere se i perduti 158 miliardi di cui leggiamo sulla stampa siano conteggiati nel subtotale di L. 1.434,2 miliardi di pag. 20 del bilancio 1997 oppure no: ed al contempo vorremmo sapere dall’ispettorato interno – nessuno può sottovalutare l’acume irriducibile di Maffucci, neppure Barbagallo -  se i noti libretti per quasi 4 miliardi, prima rivendicati da un celebre personaggio e poi fini nelle mani omonime di un ultraperdente nostro vecchio affidato, a scare bene non erano riserve occulte in collaterale dei debiti Casillo). Ma ci vogliono lor signori spiegare quale decorso hanno avuto i rapporti Parmalat, Mediofin, Pafi che stando alle notizie di stampa avrebbero contratto “prestiti che sarebbero stati utilizzati per l’acquisto di azioni, per un controvalore di 50 miliardi, dello stesso istituto di credito”. Quei prestiti che fine hanno fatto? Sono finiti tra le sofferenze? Tra gli incagli? O sono stati recuperati? Come? Quando? Con intervento di chi? Se la Banca di Roma - direttamente o indirettamente - si è data da fare per acquisire interessenze al capitale sociale della nostra banca per compensare quei prestiti, sono state rispettate le norme - dure e paralizzanti - che in questi ultimissimi anni sono state emanate a difesa della borsa?

Occorre scendere ancor più in dettaglio. Abbiamo diritto di sapere che fine hanno fatto i rapporti creditizi su cui si soffermavano gli ispettori della Banca d’Italia nei seguenti rilievi:

        - quelli che nel rilievo sub 1) ultimo capoverso gli ispettori definiscono “crediti, anch’essi di rilevante ammontare e oltre tutto riguardanti nominativi legati alla banca da vincoli partecipativi”, di cui stigmatizzano la “crescita delle esposizioni in misura non proporzionata alle effettive potenzialità economico patrimoniali dei singoli affidati, con refluenze sulle stesse possibilità di recupero delle creditorie e ciò pure in presenza di reiterate iniziative di sostegno e di ristrutturazione ...”. Siffatte temute refluenze vi sono state? Quali provvedimenti ha adottato la nostra banca? E’ stata equanime? Ha avuto indulgenze per alcuni e discriminatori accanimenti verso altri? Si pensi che i nominativi qui sotto tiro dagli ispettori della Banca d’Italia godevano allora di crediti per complessive L. 377.339 milioni su cui gli ispettori prevedevano perdite per L. 73.992 milioni. Quelle perdite si sono poi verificate? Quando sono state rilevate? Quando sono finite a carico del conto economico? Quali cautele sono state adottate?

In particolare, quale è stato l’atteggiamento verso i 20 rapporti del gruppo di pag. 2 dell’allegato 3b, esposto per L. 133.978 milioni con perdite previste dagli ispettori per L. 73.992 milioni? Si sono avute indulgenze per affinità politiche? Il socio egemone è stato indifferente o ha suggerito blandizie? Quanto poi al gruppo di cui a pag. 4 del menzionato allegato (primo affidato cod. 7275...) le previsioni di perdite degli ispettori (L. 27,9 miliardi su L. 50,7 miliardi di esposizione) si sono verificate? Vi sono intese in corso? Di che tipo? Si sono ammesse interferenze in Consiglio per presenze obiettivamente conflittuali?

In ordine all’incandescente rapporto di cui a pag. 9 (Codice primo affidato: 5283...), esposizione per L. 141,3 miliardi; previsioni ispettive di perdite solo L. 1,4 miliardi, davvero le perdite si sono rivelate così esigue? Il comportamento degli esponenti aziendali è stato congruo? Vi sono state ingerenze per soluzioni patteggiate? Vi è stato un qualche interesse del socio egemone?  

Il gruppo di cui a pag. 11 (cod. 7594 primo affidato) - esposizione L. 6,3 miliardi con perdita prevista integrale - è stato congruamente gestito? Si è ritenuto di privilegiarlo con discriminanti acquisti di proprie azioni?

Quanto al gruppo di cui a pag. 12 (cod. primo affidato 5092...) - esposto per L. 38,4 miliardi; previsione di perdita zero - attesa la natura di incagli secondo gli ispettori , sono state esplicate le procedure di recupero dell’ingente creditoria con solerzia ed efficacia? Se sì, quali e con quale risultato?

Il gruppo di cui a pag. 11 (cod. primo affidato 3552...) - esposizione L. 6,7 miliardi; perdita prevista: integrale - ha poi generato quell’esito tanto catastrofico? Per quali azioni della banca? Con quali refluenze sul conto economico della nostra banca?

In definitiva, come mai nella relazione del bilancio non v’è alcun accenno a fatti sì gravi, pregiudizievoli dello stato patrimoniale, con quelle che gli ispettori chiamano refluenze economiche? Se all’improvviso, e solo quest’anno, quelle posizioni, in tutto o in parte sono finite a sofferenze, perché si è atteso tanto? In ogni caso, ogni reticenza in proposito non è suscettibile di censura sotto il profilo della chiarezza, della verità e correttezza della situazione patrimoniale e finanziaria? Sussulti nell’imputazione di ammortamenti, si è sicuri che non rappresentino indebito scompiglio del risultato economico dell’esercizio? Non si pensa che l’eccezionalità dell’impostazione di bilancio di quest’anno merita tutte quelle informazioni aggiuntive previste ed imposte dall’art. 2423? Dove sono, visto che noi non riusciamo assolutamente a coglierle in quelle asfittiche, anonime, dispersive e sedicenti note integrative?

b)  - Si domanda quale evoluzione hanno avuto gli affidamenti stigmatizzati dagli ispettori nel rilievo sub 19). Vi si dice che trattavasi di “società ... ampiamente finanziate dalla banca con crediti che in sede ispettiva sono stati classificati tra le sofferenze con previsioni di perdita”. Ricordiamo che l’esposizione (cod. primo affidato: 4029.. cfr. pag. 3 allegato 3b) ammontava a complessive L.  9,7 miliardi con perdite previste per L. 6,3 miliardi. Non ha proprio nulla da dire il consiglio ai soci in sede di approvazione del proposto bilancio?

c)  - Le note critiche del rilievo sub 12) hanno consigliato un qualche comportamento responsabile da parte degli attuali amministratori o si è lasciato il tutto com’era senza preoccuparsi di attivare una qualche azione per il recupero delle ragioni creditorie della nostra banca?

d)  - Analoga domanda è da porre per il rilievo sub 13).

e)  - L’esposizione narrata e stigmatizzata nel rilievo sub 14) avrebbe dovuto essere oggetto di particolare attenzione da parte degli amministratori; si sono costoro prodotti in qualche iniziativa?

f)   - Nel rilievo sub 15) si accenna ad “un affidamento in conto corrente di L. 6 miliardi” a favore di una società di appartenenza di un consigliere, con un illegittimo debordo notevole. Al di là dell’assoluzione chiesta  - ed ottenuta - dal PM, la banca si è premurata di estromettere un cliente cosiffatto? Quel rapporto sussiste ancora? E’ regolare?

g)  - Non hanno gli amministratori nulla da dirci sui rapporti creditizi censurati nel rilievo sub 16)?

h)  - Nel rilievo sub 19) emergono inquietanti accenni a strani rapporti d’affari con industriali del Nord, che ricchissimi per i fatti loro, alla Mediterranea hanno fatto ricorsi per “buffi” di cui vorremmo sapere l’esito. A scanso di equivoci, a noi preme sapere se i finanziamenti al gruppo di cui a pag. 10 dell’allegato 3b (primo affidato cod. 7166 ...) ammontanti allora a complessive L. 16,8 miliardi, siano poi sortiti dalla situazione di incaglio (giusta valutazione ispettiva) o siano deteriorati. In particolare come i signori industriali del Nord si sono comportati con la nostra banca? Hanno assolto i debiti interessi? In misura equa? O mantenendo scandalose condizioni di favore (leggere per credere le note dei consulenti del PM, attualmente in libera circolazione come abbiamo sopra detto)?     Ma anche alla capofila erano stati accordati 30 miliardi che pare siano sfuggiti all’attenzione degli ispettori. Nel solito libello dei consulenti - che Simonetti acclude alla sua interrogazione - si legge a pag. 89: «Complessivamente i fidi accordati erano pari a L. 30.000 mln. (10.000 mln. c/c; 10.000 mln portafoglio sbf 10.000 mln anticipi import) e non erano assistiti da alcuna garanzia. I finanziamenti in parola venivano deliberati in data 13.7.93. [...] Per quanto riguarda il tasso da applicare alla facilitazione è da rilevare che .. si faceva riferimento al “Prime rate ABI” [...] Dalla comunicazione dei tassi inviata il 10.9.93 ... si evinceva l’applicazione dell’unico tasso dare dell’11,625%; venivano quindi esclusi i maggiori oneri connessi al secondo tasso dare e alla commissione di massimo scoperto.» E subito dopo - in relazione alla collegata, peraltro di risibili rispondenze patrimoniali - si annotava (pag. 90): « ... il finanziamento accordato non era assistito da alcuna garanzia.» A pag. 103 e segg. I consulenti si allargano in considerazioni che invero non hanno trovato nessuno ascolto nel PM e non val la pena qui di farvi in alcun modo ricorso. Ma è opportuno invece che gli amministratori ci ragguaglino su tali criticabili rapporti creditizi, sulla loro eventuale sistemazione, sul raddrizzamento delle clausole contrattuali relative alla remunerazione. Non vorremmo che il potentissimo gruppo - in particolare consuetudine fiduciaria con il socio dominante - sia riuscito a mantenere una posizione di favore creditizio a tutto danno della nostra banca. Gli amministratori hanno l’obbligo di fugare almeno gli effetti alone che la divulgazione degli atti istruttori vanno nefastamente producendo, con ulteriori appesantimenti della fragile operatività della nostra banca. Il lasciar correre sarebbe insipienza imperdonabile: un consiglio di amministrazione meno subalterno a soci extraterritoriali sicuramente non permetterebbe campagne di stampa cosiffatte. Per converso l’eccessiva reticenza verso i soci sarebbe di beffa oltre che di danno.

i)   - Estrapoliamo dal rilievo n.° 20 l’accenno alla posizione perdente di cui a pag. 5 dell’allegato 3b (cod. primo affidato 2336...). Abbiamo qui un’esposizione di L. 15,1 miliardi su cui gli ispettori prevedevano una perdita pressoché totale per L. 11,4.  Occorrono le debite informazioni, del tipo di quelle che abbiamo sopra puntualizzato.

j)   - Ci riferiamo alla parte del rilievo 22 - punto b) - per sapere che fine ha fatto la posizione (cod. primo affidato 2500...) ammontante allora a L. 7 miliardi circa con previsioni ispettive di perdita per L. 6,9 miliardi.

k)   - Quanto al rilievo sub 35) non si possono ulteriormente tacere gli sviluppi dei rapporti creditizi relativi alla “posizione che, nonostante l’apparente sistemazione effettuata attraverso la cessione di effetti a carico di altro nominativo ..., classificato anch’esso in sede ispettiva tra le sofferenze con previsione di perdita, presentava ancora nel mese di maggio 1994 una residua rilevante debitoria”; e relativi anche alla “società largamente e ripetutamente sovvenuta con nuove erogazioni, nonostante l’andamento dei relativi conti presentasse da tempo marcati sintomi di anomalia (sconfinamenti sui conti correnti notevolmente eccedenti i fidi accordati e rate impagate di finanziamenti in valuta per cifre rilevanti).

l)   - Del pari vanno forniti dati, ragguagli e chiarimenti in ordine alle posizioni censurate dagli ispettori nel rilievo n.° 36 lettera a); lettera c); lettera d); così come deve essere fatto per il rilievo n.° 37, lettera a); lettera d), nonché per il rilievo n.° 38, per il rilievo n.° 39, per il rilievo n.° 40, per il rilievo n.° 41 e per il rilievo n.° 42.

m)  - In sintesi il già citato rilievo n.° 43 doveva essere di guida ad una nota integrativa ai sensi dell’art. 2423 c.c. Mancando - come manca questa - il bilancio è improponibile e se si insiste a farlo approvare utilizzando magari la forza preponderante del socio egemone resterà di tutta evidenza la volontà indomabile di imporre decisioni esiziali per la sopravvivenza della banca, come sono quelle degli ammortamenti improvvisi dissolventi ogni redditualità bancaria per perdite note da tempo e che da tempo avrebbero dovuto essere portate a conoscenza senza indugio in assemblee straordinarie dei soci ai sensi della inderogabile normativa civilistica.

*   *   *

Non va poi dimenticato che già nel 1990  (dal 17.9.1990 al 1.2.1991) la nostra banca era stata assoggettata ad un’altra ispezione della Banca d’Italia. Anche allora erano emerse sofferenze ed incagli non rilevati prontamente e non segnalati alla stessa Banca d’Italia. I nostri attuali amministratori hanno tratto ammaestramento da quei rilievi o hanno continuato a sovvenire taluni clienti di dubbia rispondenza patrimoniale? Nell’empito repressivo dei precedenti esercizi, hanno riesaminato tutte quelle posizioni censurate dai precedenti ispettori? ne hanno tratto le debite conseguenze? O hanno reputato che sono svincolati da regole di indiscriminata obiettività, per cui possono sciogliere o legare secondo che loro più aggrada? Si esaminino gli allegati n.° 3; 3/1; 4/1 e ci vengano fornite le informazioni del caso o meglio le giustificazioni per tardivi ammortamenti - se vi sono - o per inadempienze nelle segnalazioni di Vigilanza - se vi sono. Se tutto dovesse essere regolare - e noi ce lo auguriamo, ci si dia la liberatrice assicurazione formale. Quel che per ora sappiamo che, come detto, vi sono stati “noti - e noi li ignoriamo del tutto, diversamente, a quanto pare, da quel che conosce la stampa - fenomeni di deterioramento della qualità del credito” (vedi pag. 1 Relazione Bilancio). Ma se il bilancio chiude con 220 miliardi di perdita per quei fenomeni, questi fenomeni bisogna bene spiegarli, pena l’occultamento delle reali condizioni della società amministrata.


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Non sappiamo se si fosse trattato di una frase di cortesia o peggio: a pag. 2 del bilancio 1997, invece di ragguagliarci sul tonfo che si è voluto far fare alla nostra banca , gli amministratori avevano  voglia di volerci far credere che tutto il male avutosi ora passerà perché «L’attività operativa permane, comunque improntata a precise politiche di rilancio aziendale, di miglioramento della struttura dell’attivo in un’ottica di riqualificazione degli impieghi e di contenimento di costi realizzando al riguardo sensibili risparmi anche grazie all’attivazione di concrete e possibili sinergie con la Capogruppo Banca di Roma.» Restiamo stupefatti: di grazia ci si dica almeno ora quali sono state queste ”concrete sinergie” con la Capogruppo Banca di Roma? Forse quelle che ci vengono con il dirottamento verso i nostri lidi di funzionari in prequiescenza per remunerazioni da capogiro come le inspiegate poste di bilancio qua e là lasciano intendere? Quelle poste di bilancio che abbiamo già richiamate ci vogliono venire spiegate in relazione a tali conclamate sinergie? O la reticenze è sinonimo di confessione?

Abbiamo avuto fra le mani un “verbale di riunione” del 12 febbraio 1998 di un gruppo di soci di minoranza da cui noi dissentiamo. Là, ad un certo punto, in termini volutamente equivoci si afferma: «Lo stato d’animo ... è stato purtroppo alimentato da una serie di delusioni quali:

        La mancanza di un vero progetto di rilancio della Banca Mediterranea, che non fosse enunciazione di principio e che si traducesse in un concreto piano industriale;

        Lo scarso riscontro nei fatti delle ripetute affermazioni del socio di maggioranza di essere nell’imminenza di porre a disposizione della Banca Mediterranea il proprio know-how, in particolare con la distribuzione di nuovi e più articolati strumenti finanziari;

        Una politica del credito molto restrittiva, che alla scarsezza dei volumi ha aggiunto la lentezza dei tempi decisionali, traducendosi sia nella cattiva gestione d’alcuni clienti affidati, che con maggiore elasticità potevano essere accompagnati nella loro ripresa, sia nell’allontanamento dalla Banca mediterranea di altri che, in considerazione del loro equilibrio gestionale, possono con maggiore facilità attingere credito ad altre banche, il cui iter deliberativo è più rapido.

        il sintomatico rifiuto di poter garantire le posizioni affidate con le partecipazioni azionarie nella stessa Banca Mediterranea; ciò non tanto per motivo di merito, ben comprendendosi che una diversa scelta avrebbe esposto l’azienda al rischio di una diluizione del proprio patrimonio, legalmente inammissibile, quanto per ragione di forma: troppe volte gli stessi dirigenti della Banca Mediterranea, anche quelli espressione dell’azionista di maggioranza, hanno dato all’interlocutore l’impressione di considerare tali azioni come di poco valore

  

Non v’è chi non veda come sotto gentili espressioni si nasconda un’aspra stroncatura dell’attuale gestione. Non sappiamo - o se lo sappiamo, non siamo in grado di provarlo - che fine abbia fatto e che intenti abbia perseguito siffatta querelle. Noi qui la proponiamo ufficialmente per avere le giustificazioni da parte degli attuali proponenti del bilancio, visto che vi sono appunti che ne mettono in dubbio l’oculatezza delle scelte di bilancio. Ma ciò che più ci preme è quest’altro passo: «.. la difficoltà per il socio di maggioranza di tradurre in concreto un piano di sviluppo di una partecipata nelle more di delicate scelte d’assetto e di proprio piano industriale.» E tanto si accende di luce sinistra se si ha ricordo di ciò che viene insinuato in esordio di discorso e cioè allorché - intenda chi ha orecchie per intendere - ci si proclama increduli su alcune voci, arrivando ad affermare - per negare - che  «è parere degli intervenuti, per esempio, che non siano vere le insistenti voci di una gestione poco trasparente del portafoglio titoli della Banca Mediterranea, secondo le quali esso sarebbe gestito avendo a mente più l’interesse dell’azionista di maggioranza che quello della compagine sociale nel suo complesso.» Quei soci maliziosetti - dopo avere buttato il sasso nello stagno - vorrebbero farci credere che a loro avviso «tali voci non appaiono degne d’attendibilità alla luce d’elementi sia morali sia logici  Gli elementi morali e logici in faccende di portafoglio sono obiettivamente inafferrabili. Siamo andati a vedere tutto quello che in bilancio vien detto in proposito. Nulla. Speriamo che dietro questa nostra sollecitazione venga sbaragliato il campo dalle cortine fumogene di quegli avveduti soci di minoranza. Ci si dica in particolare che mai e poi mai sono stati venduti titoli per decine di miliardi alla casa madre ad alto rendimento, per poi far ricorso a titoli a basso rendimento. Ci si dica in particolare che mai operazioni della specie siano state decise unilateralmente - o se in compagnia, in compagnia di chi - da qualche autorevole membro del consiglio di amministrazione, ignaro o con disprezzo dell’evidente conflitto d’interesse cui si andava ad incocciare. Ci si dica se davvero perdite non siano venute alla nostra banca da operazioni con la banca padrona, specie con arzigogolate operazioni di swap o giù di lì, finite con l’accentuazione anziché con l’affievolimento del coefficiente di rischio. Poste di bilancio che facciano sospettare operazioni del genere ce ne sono tante: uno straccio di spiegazione non si trova manco a pagarlo a peso d’oro. Qui però non è in gioco l’abilità strategica nella gestione del portafoglio titoli del nostro amministratore delegato, qui è in discussione un bilancio su cui le insipienze e le digressioni conflittuali, magari per giustificare con la casa madre gli elevati emolumenti, si scaricano sulla Mediterranea con violenza sovvertitrice della redditualità. C’è in questa sede chi ancora va alla ricerca di tarde vendette contro antichi nemici forse d’alcova. Noi - e speriamo tanti altri soci piccoli come noi - andiamo alla ricerca solo di ancore di salvezza per la nostra gloriosa e maltrattata - anche dalle autorità tutorie - banca Mediterranea.   Gli amministratori hanno ancora tempo per dare le opportune testimonianze in modo da costringere le autorità tutorie ad interessarsi alla nostra banca con maggiore sapienza di quanta sinora dimostrata.

Il terremoto che è avvento nel comparto titoli emerge da queste aride poste. I soci ben poco possono capirci.


Voce 50: obbligazioni e altri titoli di debito: anno 1997 L. 360,8 miliardi; anno 1996: L. 246,9; miliardi;  variazione + 113,8 miliardi; in percentuale + 46,1%,

voce
1993
1994
1995
1996
1997
1998
30/06/99
voce 20 titoli tesoro
572,3
802,5
1297,473
1622,309
1334,512
1322,739
978,069


E che è successo? Proprio negli anni (1996-1997) in cui i titoli di stato sono stati dimezzati nel loro rendimento, la nostra banca invece di operare alternativamente si butta o butta tutto sui titoli? Si spiega allora il tracollo della redditività. E ciò per colpa di chi? Dell’amministratore delegato? Si vuol venire qui a spiegare, a giustificare? In bilancio non troviamo neppure una nota in proposito.

Voce 130: altre attività: al 30/6/1999 L. 106, 486 mld (a fine anno, non prevedibile); anno 1998 L. 263,590;  anno 1997 L. 208,9 miliardi; anno 1996 L. 184,1 miliardi. Trattandosi di voce per sua natura residuale andava delucidata con pagine e pagine di note illustrative, ma niente di tutto questo. Dobbiamo accontentarci di una tabella Beh! Lì apprendiamo che quelle attività sono composte da partite viaggianti (ma il bilancio non dovrebbe avere partite viaggianti: le provvisorie appostazioni contabili devono essere tutte recepite nei conti di pertinenza, altrimenti si forniscono informazioni inesatte e scorrette. Che ci sta in quel viaggiare di partite? Perdite? Regalie? Emolumenti occulti? Leggere per capire i rilievi degli ispettori della Banca d’Italia in circolo per Potenza come un romanzetto d’avventure.

Sappiamo poi che  vi sono 22,1 partite ancora in corso di lavorazione: una piccola banca che resta ascosa; un mistero per tutti anche per chi redige il progetto di bilancio. E completa il guazzabuglio la singolare: partite definitive ma non imputabili ad altre voci. Noi chiediamo che cosa sono. Abbiamo diritto a sapere.

E potremmo continuare. La resipiscenza degli amministratori potrebbe impedirci l’ingrato ma inevitabile fardello di dibattere queste questioni in altre sedi.

*  *   *

Un punto dolente - dolentissimo - è la voce 120: Azioni o quote proprie (valore nominale Lit. 4.193.325) : al 30/6/1999 L. 5.921.061.000. Ci saremmo aspettati un profluvio di parole (giustificatrici); invece niente. Un incremento di acquisti azionari propri nel bel mentre si verificava un crollo verticale della redditività e delle valenze patrimoniali è davvero una rimarchevole contraddizione. Ci dispiace per quei soci adunatisi il 12 febbraio del 1998: qui la banca sembra agire in senso diametralmente opposto ai loro flebili lamenti. (Ricordate quel passaggio sull’ «impressione di considerare tali azioni come di poco valore”?)  Non credo che lor signori reputino esaustive degli obblighi di legge quello che dicono nella nota. Là - scolasticamente - si ripete la lezioncina dei testi elementari di diritto commerciale: «Le azioni proprie sono iscritte in bilancio al costo. Alle stesse si applica la disciplina prevista dall’art. 2357 e seguenti C.C.»  E vorrei vedere che si dicesse il contrario? Il ragguaglio è del tutto tautologico. Si dirà che basta ed avanza la tabella di pag. 46. E no, cari signori. Leggetevi la pag. 60 della consulenza Sandulli-Scorza che Simonetti ha divulgato. Ad ogni buon conto la leggiamo noi per voi. «Alla luce delle considerazioni che precedono, vanno lette, dunque, tutte le indicazioni che gli amministratori hanno ritenuto di dover fornire nel bilancio relativo ... e vanno anche apprezzate le omissioni delle relazioni sulla questione in ordine ai motivi degli acquisti di azioni proprie da ... , informazioni dovute  in base alle nuove norme in materia di bilanci bancari. Ed infatti, l’art. 3 del decreto legsl. 87 del 27 gennaio 1992 prevede che nella relazione sulla gestione siano indicate “il numero delle azioni o quote proprie sia delle azioni o quote dell’impresa controllante detenute in portafoglio, di quelle acquistate e di quelle alienate nel corso dell’esercizio, le corrispondenti quote di capitale sottoscritto, i motivi degli acquisti e delle alienazioni ed i corrispettivi

Non fraintendiamo, dove sono tutti siffatti elementi? Nella tavola di pag. 46 riusciamo a sapere che nello scorcio di esercizio vi sono stati acquisti per n.° 15.500 azioni proprie, ma rispetto al precedente giugno del 1998 risulta un incremento per L. 2411653/m).  Quello che è grave che ancora una volta gli amministratori non pare che abbiano voglia di essere trasparenti in sede di bilancio in ordine a) alle corrispondenti quote di capitale sottoscritto; b) e soprattutto in tema di “motivi degli acquisti e delle vendite”. Almeno in questa sede ci si vuol dire quali motivi sussistono in ordine ai seguenti acquisti:

      data operazione                 data delibera                    n.° azioni

2/1/97
9/12/96
4.000
3/1/97
9/12/96
72.000
21/2/97
9/12/96
3.000
5/3/97
25/2/97
14.290
27/3/97
20/3/97
8.000
8/4/97
20/3/97
1.404
29/4/97
28/4/97
43.142
20/5/97
21/4/97
9.000
21/5/97
21/4/97
8.760
7/7/97
30/6/97
1.000
15/7/97
30/6/97
6.000
17/7/97
30/6/97
4.000
28/7/97
30/6/97
10.000
28/7/97
21/4/97
1.000
1/8/97
30/6/97
5.000
5/9/97
30/6/97
19.500
9/9/97
30/6/97
2.000
17/10/97
21/4/97
3.750
Totale
215.846



Quali le ragioni per preferire codesti acquisti (e quelli successivi) a danno di altri soci esclusi? Si deve escludere la semplice discriminazione? Non si diano risposte affrettate, perché chi parla è in grado di fare le debite smentite.

Ma diamo uno sguardo alle attuali giacenze relative a precorsi esercizi. Nel 1995 abbiamo avuto n.° 847.455 azioni acquistate per essere cedute tutte quante, unitamente ad altre n.° 812.545 in portafoglio, alla Banca padrona di Roma all’identico prezzo d’acquisto - o forse al ridotto valore  bilancio - di L. 8.000, senza alcuna commissione o provvigione per l’intermediazione prestata dalla nostra banca. Anche allora non vi era conflitto d’interesse? Si reputa di non dovere dare neppure ora una qualsiasi spiegazione?

Sarebbe interessante conoscere i motivi degli acquisti del 23/6/95 (delibera del 9/5/95) per complessivo numero 249.290 per l’ammontare di L. 1.994.320.000. Perché furono taciuti i motivi? Non furono anche allora praticate discriminazioni? Del pari ci vogliono almeno ora dire loro signori che cosa li spinse a fare gli acquisti del 10/7/1995 (delibera del 9/5/95) e quelli del 13/7/95 (delibera del 9/5/95) e quelli del 18/7/1995 (delibera del 9/5/95) e quelli del 18/7/95 (delibera del 9/5/95) e quelli del 24/7/95 (delibera del 9/5/95) e quelli del 24/7/95 (delibera del 9/5/95) e quelli del 13/9/95 (delibera del 9/5/95) e quelli per n.° 102.000 azioni del 14/9/1995 (delibera del 9/5/1995) e quelli del 27/9/95 (delibera del 9/5/95) e quelli del 23/10/95 (delibera del 9/5/95) e quelli del 24/10/95 (delibera del 9/5/95).

Passando al 1996 sarebbe ora di spiegare l’ordine dei motivi che hanno spinto all’acquisto di n.° 207.330 azioni, soffermandosi in particolare su queste operazioni: data 18/7/96 (delibera 13/6/96; data 17/10/96 (delibera 12/9/96) e soprattutto sull’acquisto di n.° 120.000 (per un importo di Lire 960 milioni) del 31/12/1996 (delibera del 9/12/96) mentre ad altro socio si negava la compensazione per cifre di gran lunga inferiori. Si è forse mai detto qualcosa in proposito? L’art. 3 n.2 lettera b) del decreto legsl. 87 del 27 gennaio 1992 forse è stato abrogato ad insaputa dei consulenti del PM? Noi non l’abbiamo letto nell’elenco delle norme abrogate di cui all’art. 161 del D.LV. 1° settembre 1993, n.° 385. O forse si reputa che le leggi valevano per i vecchi signorotti potentini ma non possono avere valore tranchant per gli uomini dei grandi potentati bancari romani?





*   *   *

Anche per stanchezza, tagliamo a questo punto, con riserva comunque per ogni altro aspetto censurabile che per caso dovesse essere sfuggito. Gli ultimi nostri rilievi critici riguardano la proposta di ripianamento delle perdite del 1997. Lor signori hanno voluto svuotare la posta del passivo: fondo sovrapprezzo azioni pari a lire 101.385.862.156.- Quale disponibilità ne avevano e quale legittimazione ne ha soprattutto il socio dominante.  Rammentiamo a noi stessi che quel fondo è stato costituito ancor prima dell’avvento della Banca di Roma. Al 31.12.1993 il fondo era di Lire 106.185.458.756. Con l’avvento dei signori di Roma, il fondo come si vede si è contratto. Nel 1996 una rastremazione per lire 3.956.269.000 è passata sotto il naso dell’assemblea dei soci. Ma se così è stato una volta fatto non significa che si possa sempre fare. Ora l’assemblea deve essere vigile. Il socio dominante non ha contribuito alla costituzione del fondo: sono risparmi sudati dei vecchi, malconci soci ad averlo costituito. E’ obbligo morale e giuridico mantenerlo sino all’estremo. Il socio dominante non può quindi disporne; non può dilapidarlo. Il meno che si deve esigere che nell’eventuale votazione al riguardo esso doverosamente si astenga e lasci integra ai soci di minoranza la responsabilità della decisione. I soci di minoranza dovrebbero essere un tantinello avveduti da capire che non è questione formale e rigettare la proposta dei signori amministratori. Il bilancio ritornerebbe indietro per le rettifiche di competenza. Se i soci di minoranza non sono avveduti, pazienza. Almeno: chi è causa del proprio male pianga se stesso. Va da sé che qualora il socio dominante faccia qui orecchio da mercante e con il peso della sua maggioranza assoluta approvi egualmente l’improponibile, vedremo in competente sede chi ha ragione. Noi almeno abbiamo posto il problema e l’uomo avvisato dovrebbe essere mezzo salvato.

Altro aspetto inquietante di quel bilancio è stato quello di avere voluto utilizzare l’avanzo di fusione. Si chiesero lor signori chiesti che cosa fosse quell’avanzo di fusione? Non sanno forse che è mero residuo contabile del compattamento delle poste di bilancio di due società fusesi? Non sono tanto addentro alle segrete cose fiscali per cui la posta contabile è neutra fino a che non se ne faccia un effettivo utilizzo? Abbiamo proprio voglia di andare a pagare un mare di imposte solo per disattenzione? Magari, si penserà che nulla si debba al fisco e si procederà come se niente fosse. Il futuro accertamento - si sa che il SECIT ha un conto aperto con tali faccende di fusione - ricadrebbe sulle spalle già martoriate dei poveri soci di minoranza. (Noi temiamo che il socio dominante stia per spogliarsi di questa ingombrante partecipazione, ad onta dell’asserito carattere di partecipazione strategica, asserzione sinora utile per esigenze di quieto vivere sindacale).   

1 commento:

  1. Una lunga requisitoria di vent'anni fa. Che ci azzecca? E' cosa per gli addetti ai lavori (le satrapie bancarie, cioè). Ed è cosa che la recente incauta intervista GERONZI ha reso di inquietante e drammatca attualità. Sono considerazioni, punzecchiature, insinuazioni, intoppi per misteri callidi. Ne fu fatta istanza di chiarezza alla CONSOB del tempo. Nessuna risposta esplicativa. Solo uno scarno cenno di avvenuta ricezione con la pecisazione che siffatta pubblica Autorità non fornisce chiarimenti a "privati". Ma alle competenti autorità inquirenti, quei chiarimenti sono stati dati? Anche qui, il silenzio si addice ad ... ELETTRA.

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