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mercoledì 12 dicembre 2012

Sciascia, Guttuso e Infantino


Infantino tenore ormai in declino si mette a comporre musica. Mette sostanzialmente nel pentagramma serenate, canzoni e canti sacri racalmutesi. Li vuol pubblicare: si fa rilasciare una presentazione dal suo amico e coetaneo Leonardo Sciascia. Eccola: mirabile, una delle più belle pagine del grande Racalmutese che mi sia capitato di leggere. Inoltre ottiene non si sa come questa splendida composizione pittorica di Guttuso per la copertita dei suoi spartiti. Sciascia e Infantino in sodalizio all'epoca con il grande Renato Guttuso di Bagheria. Poi non sarà più così. Ma noi gustiamoci qui questo  sublime binomio: Guttuso-Sciascia, i figli di Bagheria e Racalmuto, due paesi oggi tacciati di tante infamie mafiose.

Pagina fotografica di storia racalmutese - Natoli e Pedalino a Racalmuto



Siamo in piena epoca fascista: giunge a Racalmuto l'autore dei Beati Paoli; un po' rinviene un po' si prefigura la storia di un uomo di "tenace concetto": fra Diego La Matina. 
Ne verrà fuori un polpettone che Sciascia prima legge e poi dissolve. Pedalino che bene o male è riuscito a farsi iscrivere negli elenchi ultra gonfiati di quei quattro scalmanati della prima ora di Mussolini fascista corre a Racalmuto. Compone altri sonetti in vernacolo, diremmo in lingua letteraria di una inesistente Sicilia. Dietro vi è la bella facciata del Santissimo, andata in malora in tempi democristiani. Angelo Collura è ancora chaffeur ma in belli stivaloni molto lucidi. Anche qui una Racalmuto spoglia di orpelli letterari che adoro, ad onta magari di tanta dedizione fascista.

Messaggio a Ferdinando Imposimato


Ho osato scrivere questo messaggio all'ex giudice Ferdinando Imposimato: non dico che mi aspettassi una  esaustiva udienza, ma almeno un cenno cortese che avrei tanto gradito. Nulla.
 I grandi uomini parlano e non ascoltano. Credono persino che così salvaguardino il loro alato prestigio.

Calogero Taverna

E' un vero peccato che con Lei non si possa qui dialogare. Noblesse oblige! Certo a distanza di oltre trentadue anni mi piacerebbe avere un colloquio con Lei circa quell'interrogatorio - non troppo formale - che mi impose nei sotterranei dell'EUR. Riguardava il caso Sindona. Ella fu con me un gran signore. Non lo fu invece Falcone con Sciascia per identico episodio. Sciascia si spaventò troppo; la minaccia di imputazione non tanto di falsa testimonianza quanto di contiguità con la mafia, lo intimorì tanto da fargli scemare le difese immunitarie e morire quindi di leucemia (per quel che ne so). Sto oggi scrivendo e parlando in eccesso per dimostrare che la magistratura (Colombo in testa) nulla capì delle banche milanesi (io ne ispezionai una) che molto giornalisticamente si chiamarono le Banche di Sindona. Vicende come quella di Fazio ripropongono il problema sia pure a condanne rovesciate.

lunedì 10 dicembre 2012

Dal CONFITEOR all’EGO TE ABSOLVO




di Calogero Taverna



Il grande banchiere Geronzi (o meglio mefistofelico "cambista” diabolico regista di fusioni, fusioni per incorporazione, incorporazioni fondenti, acquisizione di attività e passività nette, dismisssioni et similia ma pessimo ragioniere e soprattutto ignaro di pandette codici e leggi sovranazionali) ci confessa a pag. 143-144 che sì per risanare la BNA la Banca di Roma vende Interbanca "e lascia il ricavato alla controllata", che il bischero che compra è il defunto Pontello (quello che viene dalla Banca Privata Finanziaria) "padre-padrone -- molto rispettato non solo nelle Tre Venezie" (chi ha da tremare, tremi). 
Pontello non si ferma: compra anche la BNA "per 1350 miliardi di lire". 
Il banchiere realizza "una plusvalenza di mille miliardi. In meno di quattro anni”. Il povero mortale, quello che voi dite che non riesce a sbarcare il lunario, si fa il segno della croce (ammesso che abbia voglia di leggere queste cose di altissima finanza): ma quel Pontello lì i soldi li stampava? Ma quel banchiere come faceva a fare tutti quei marchingegni che manco Tanu Bamminu ci riusciva con le carte? 
La Banca di Roma chiude in utile per 909 miliardi di lire. Certo si dirà con tutto quel ben di Dio! E no! Oltre 840 miliardi di lire discendono da una provvida legge modificativa di un principio contabile per cui le imposte di oggi si possono imputare domani. Il banchiere si stizzisce: “non dica effetto positivo: la legge consente il differimento, gli amministratori la devono applicare”. Non mi pare che possano chiudersi in attivo bilanci ope legis. Il rischio è sempre dell’imprenditore che può rinviare alle calende greche oneri abnormi solo se il quadro generale dell’impresa lo permette. Ma bazzecole. 
Sì c’è Basilea, BI ed altre superfetazioni del capitalismo odierno che vorrebbero addirittura – almeno per le banche – bilanci “prudenziali”. Ma ciò si sa è come non commettere atti impuri da parte di impuberi sani e forti e normali. Roba da preti insomma. Qui a Roma, rigidi revisori pagati come società di certificazione dei bilanci  sono costretti a dire che applicando questa legge qui, quella legge là si ovatta una perdita certa di “circa 1400 miliardi di lire” (cfr. pag. 144) con una ammiccante e distribuibile risultanza positiva di “909 miliardi di lire” atta ad esempio a frantumarmi il valore delle mie (solo dieci) azioni della Mediterranea. 


Perché siffatto bailamme? Chiaro: per consentire lo SBARCO IN SICILIA (vedi pagg. 144-145 146 e 147 e risparmiatemi ad ottant’anni il pedante ed ozioso compito di far sintesi giornalistiche).
Sono sornione: lo ammetto. Ma qui ho voglia di chiedere spiegazioni all’illustre facoltà di economia dell’Università del tempo perso di Racalmuto. Perché mai quel putiferio? C’entra Racalmuto? Non ci fu a Racalmuto una INTERFINANZA ove allocchi depositarono centinaia di milioni di loro risparmi, sia per avere assurde ricompense reddituali ma sia anche per infiltrare propri virgulti di non eccelsa levatura almeno scolastica? Già, dopo finita la crisi della Baia dei Porci; pacificatesi America e Russia magari per il provvido intervento di Papa Giovanni (che grande papa quello ed io di sinistra l’adoro più di Bersani con buona pace dei moderni censori tutto sommato nati a Grotte); squagliatasi l’iniziativa edilizia “americana”del pingue Joe racalmutese in quel di Lampedusa; racalmutesi (e non solo) corsero davvero il rischio di perdere i soldi; e i loro figli, i posti che credevano bancari ma tali non erano. Sovvennero il Banco di Sicilia, La Cassa di Risparmio Vittorio Emanuele e “salvarono” i depositanti (ma qualcuno dopo dovette pagare: Geronzi, appunto). 

Sovvenne Di Prima Canicattinese ed altri persino di Castrofiippo e con tanti soldi (in tasca a loro) cedettero banche e banchette al MPS e BPL di Fiorani che quei “derelitti” tutti assorbirono. Ed alla fine pagammo tutti noi, anche quelli che non c’entravamo. Politicanti avveduti a Racalmuto che seppero bene pilotare ‘ste faccende ce ne furono. Io non li cito per non farmi querelare. Ma di grazia oggi non mi facciano la morale (politica). Mi arrabbio davvero.