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giovedì 17 gennaio 2013

Lettera raccomandata a Piero Carbone (remèo)



Carissimo Piero

Tu sei persona soave e le tue rabbie che sanno essere feroci riesci a comprimerle nel chiuso del tuo intimo esistenziale. Estroverso, sì ma in eccellente lingua italiana o in raffinatissimo eloquio della tua terra d’origine, che è poi anche la mia. Nel DNA siamo simili, nel folklore, no: diversi diversissimi. Tu sei persona educata, ammodo , tanto cortese: io l’opposto. Se ti scrivono a spiovere fingi di ossequiarli, arrivi persino a scusarti, là dove nulla c’è da scusarsi. Rimembri con toni di deliziosa ironia una pagina antica, un ricordo tanto sincero di una Racalmuto neghittosa a fronte di una Montedoro comunista (già, comunista!) effervescente, colta, musicalmente aperta, teatralmente calamitante, musealmente esplosiva, con biblioteca che attira l’eredità di uno scorbutico ma geniale racalmutese Raffaele Grillo che lì deposita i suoi cimeli avendo in gran dispitto l’insulsa e miope Racalmuto (almeno nei suoi confronti, certa aggettivazione di E.N. Messana del tipo del cucurbitaceo irritano anche me, ancora).

Ovvio che io ho apprezzato, applaudito al tuo scritto. E più che guardare una stella (quale?) vorrei che fossero le stelle a guardarci (ed a Racalmuto hanno poco da guardare). Si scrive a suocera perché nuora comprenda? Che ridere! Si accenna ad un CASTRUM da me subito derelitto e irriso, per aver dato ascolto a qualche becero calunniatore il cui coraggio è quello di obnubilarsi dietro un ignominioso anonimato? Si sappia: c’è di peggio ed ancora più fustigante in qualche neo blog che immediatamente viene inondato di visitatori veri e non "pompati". Perché? Perché io sono io e loro sono un c… avrebbe aggiunto il marchese del Grillo. E si aspettino fustigazioni impietose, non delazioni. Non è quello il mio costume. Io faccio parlare i fatti (e i loro misfatti) e le mie variegate quanto privilegiate professionalità. Non mi lascerò giammai fuorviare da inventate frotte di giapponesine plaudenti, o di cinesine ridenti, o di fiorentine che d’incanto perdono il loro salace dire per osannare. Penso allo sperpero di miliardi di vecchie lire per un castello medievale ripitturato al ducotone, per una fondazione regalata a signori già generi per qualche apertura annuale a maggior gloria di chi non si sa chi. Alla dissennatezza di una miliardaria riesumazione di un bel teatro ottocentesco, mutilato, cementificato, reso inagibile per una redditività smunta fino al collocamento di qualche ragazzuolo senza arte né parte. C’è del marcio in Danimarca. Ed io per quanto mi è possibile lo fustigherò senza pietà, se mi riesce con sarcasmo, con un taglio dadaista, con un linguaggio alla Zaratustra. Mi disgusta che soldi macilenti di un macilento bilancio comunale finiscano a tarallucci e cocacola e pizzette e pasticcini al macello per onorare un estraneo signor nessuno. Già, e così il bilancio comunale va a puttane e mi si dice con obbligo assoluto di riservatezza che tanto ha portato a postulare dissesti forieri di dismissioni di oltre centoquaranta padri o madri di famiglia. Allegria brava gente!

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