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domenica 10 febbraio 2013

Alfredo Sole risponde a Calogero Taverna ... un'assurda corrispondenza a 1600 km. di distanza.


Carissimo Alfredo

Ricevo il libro a cura di don Gallo con le tue collaborazioni epistolari e poetiche. Ti rispondo così come viene, di getto, anche se batto sulla tastiera del computer.

Un po’ mi rassomigli nel metter le mani avanti, specie per ciò che riguarda le tue poesie. Ma hai ben presente il tuo valore, diversamente non pubblicheresti un bel nulla. Con me non si può barare molto: per mezzo secolo ho sbarcato il lunario ISPEZIONANDO. Ho quindi deformazioni professionali che mettono talora in gran dispitto persino mia moglie. Ma se dopo 41 anni siamo ancora felicemente sposati vuol dire che il mio è difetto perdonabile.

La tua valenza scrittoria è ormai assodata. Quella poetica resta ancora nel chiuso della platea femminile che ti venera. Se tu avessi potuto seguire i miei lazzi bloggistici (il mio blog si intitola CONTRA OMNIA RACALMUTO) avresti saputo che io se non si tratta di Garcia Lorca non accetto poeti: bella presunzione la mia, no? Sono fatto così e a ottant’anni non ho alcuna voglia di cambiare.

Dicevamo che mi sento ispettore intus et in cute. La nostra intesa nasce circa un paio di anni fa, se non vado errato con questo scambio di lettere:

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Val la pena fare un comitato per chiedere la grazia?

Di Calogero Taverna (da Roma)

La lettera
Caro signor Alfredo,
non credo che lei mi conosca ed oltre al fatto che siamo nati entrambi nello stesso paese del sale e dello zolfo non so molto di lei.
Vivo da quasi sessant\'anno fuori di Racalmuto e tanto fuori per professioni, anche indagatrici, che nulla hanno a che vedere col mio paese. Almeno direttamente. Ma Racalmuto atavica ed attuale credo che ormai pochi misteri mi celi per una trentennale ricerca delle verità storiche, scevre di passionalità, ripicche e tartufonerie, quali impietosamente si rivelano consultando archivi,anche quelli segreti dell\'occhioluta polizia indagatrice e referente.
Qualche mese fa scrissi in un commento a qualche querula supponenza paesana di REGALPETRA LIBERA che preti e fustigatori e delatori moraleggianti un pensiero al Cristo morente, che con voce flebile, concede il paradiso al buon ladrone (hodie mecum eris in paradiso) avrebbero dovuto prestare. Per un rimorso, per mancare ancora ad un dovera di cristiano amore per il prossimo, anche per il peccatore rinsavito. Un\'iniziativa per chiedere al signor Presidente Napolitano già ospite racalmutese di concderle la grazia. A dire il vero non facevo il suo nome: per accortezza nei confronti di qualche membro della mia famiglia, ho hatto ricerso ad un\'astuzia letteraria occultatrice. Speravo in una eco fattiva. Nulla. Mi sorge il dubbio che neppure lei sia poi non tanto entusiasta di questa non richiesta attenzione. Se è così, lungi da me la voglia di fare pelosi esibizionismi di amore cristiano (perché assolutamente privo di fedi trascendentali). Seguo Pasolini che fa ironizzare su quel\"lassù\" dovendosi agire per un quaggiù, come dire un paradiso qui ora e subito. Come primo approccio, credo di avere detto troppo. Le dò la mia e-mail: non le mancano certo parole e saggezza per farmi capire quello che dovrei capire e per farmi capire quello che non ho capito. Non per esibizionismi letterari. A quasi ottant\'anni quali velleità pubblicistiche mi posso concedere? Ma forse la voce di un vecchio a Racalmuto può dare qualche frutto buono.
Ho molto affetto per lei, come per ogni mio compaesano non fortunato. Mi rompono quelli che ad ogni piè sospinto dicono che amano il loro paese. Io mi sforzo di amare l\'umanità del mio paese, insomma i racalmutesi tutti. Se la vita non è stata ingrata con me, in un ambiente tanto difficile come Racalmuto la vita spesso è crudele e \"matrigna\".
Buona fortuna (almeno per il futuro) da parte mia, con molta sincerità
Affettuosità
Calogero Taverna
calogerotaverna@live.it
La risposta
Caro signor Calogero,
non ero a conoscenza del suo commento sul sito di “Regalpetra Libera”, dell'intenzione di chiedere la mia grazia al Presidente. Come non essere entusiasta di questa attenzione nei miei confronti. Lo sono! Più di quanto Lei possa immaginare. È vero, non ci conosciamo. Lei manca dal paese da più di sessant'anni, io da ventuno. Ma proprio questa impossibilità di reciproca conoscenza ha reso la sua iniziativa nei miei confronti degna di quella umanità cristiana fine a se stessa; senza scopi di velleità pubblicistiche. Purtroppo non credo che Lei troverà riscontro positivo su quello che propone alla nostra gente. Sì, sono un peccatore rinsavito, ma per la gente resto pur sempre un peccatore. Ci possono essere commenti e critiche positive su ciò che sono oggi, perfino congratulazioni sull'uomo che sono diventato (ne ho ricevute...), ma tutto sommato non costa nulla esprimere un giudizio positivo nei miei confronti. Ma ciò che Lei propone va oltre, chiama la gente a prendere posizione, li responsabilizza a un'iniziativa facilmente preda da quella parte della stampa che vede dovunque del marcio e del falso anche dove l'acqua non può essere più pura. Provi a immaginarsi il titolo: “Il paese di Sciascia reclama un suo mafioso...”. Titoli e commenti di questo genere sporcherebbero un gesto così puro, così cristiano, così pieno di perdono per un compaesano ormai da troppo tempo nelle patrie galere.
Ciononostante se Lei è ancora interessato a provare a trarre fuori dal nostro difficile paese quella parte di senso umano e cristiano disposta a seguirla in questa sua iniziativa, io non potrei che esserne felice.
Commosso per la sua attenzione nei miei confronti, Le mando i miei più sinceri saluti.
Con affetto,
Alfredo Sole
Alfredo Sole
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Il personaggio di cui incidentalmente parlo nel mio libro Racalmuto nei Millenni, era figura astratta, metafora. Quello che ho creduto di individuare nei primi nostri contatti epistolari, un fantasma da meglio contornare. Mano mano è venuto fuori un personaggio in cerca d’autore. Il personaggio saresti tu, l’autore dovrei essere io. Teatralità pirandelliana a parte, ecco due “marionette che passione” di Rosso di San Secondo. Tu credi che io sia quello che di sicuro non sono; io credo che tu sia quello in cui tu difficilmente ti riconosceresti. Pensa un po’, se davvero sono il tuo autore, scriverei o farei mettere in scena che il mio personaggio nasce con un DNA che si è forgiato in almeno mezzo millennio con l’imperativo categorico che nessuna mosca deve poter passeggiare impunemente sul suo naso. Che inopinatamente, già tenero padre di una splendida creatura, già marito innamorato di una soave ragazza, già non ancora maggiorenne almeno sotto la vecchia legislazione, già prorompente di irrefrenabile vitalità, pieno di gioia di vivere, si trova forse che sì forse che no immerso in una diabolica tregenda. Gli si dice che avrebbe ucciso chi lo amava più di un figlio. Deve crederci, non lo ricorda, ma il suo clan questo impone, e bisogna ciecamente ubbidire e convincersi anche che davvero l’assassino è lui. Poteva anche essere in momenti di allucinazione  psichedelica, poteva avere fumato ciò che il borghese perbene fuma  quando può farlo nella discrezione altamente protettiva del suo rango. Ma quello, buttato in strada a pochi anni, no. Fuma quando capita se capita appena può. Poi è responsabile? Ma poi ha memoria?

Il mio personaggio è innocente, il crimine equiparabile al parricidio, è solo nel suo inconscio, non l’ha mai commesso, ma lui non sa, sa quello che è doveroso credere. L’assunzione di colpa glie l’hanno imposta e lui succubo, ossequiente, accetta la verità aliena. E poi può anche espiare quella colpa, commetterne altre e ben più gravi e queste sono colpe coscienti, rispettose della legge che contrasta la legge quella stampata su fogli con sigilli di stato. Deve far ritorsione contro le ritorsioni alle prime malefatte che gli si sono accreditate. Ed infine, sta su una auto di morte, della morte che altri dissemina, altri che lui deve accompagnare, far loro di copertura, consentirne la fuga incolume.

Ma questo non dicono le verità processuali e quelle verità dispongono anche di confessioni reiterate nelle supreme aule della giustizia umana. Già, le verità processali? Magari quelle di un Ingroia che ha tanta sicurezza di sé da volerci persino sottoporci al suo dominio presidenziale, anche nell’altro potere: da quello giudiziario a quello governativo.

Torno sula terra. Mi parli dell’avvocatessa. Se tu ti fidi vai avanti. Ebbi a scriverti che io non stimo i legulei. Mi ricordi che devo telefonarle. Mi ricordo che ti avevo detto che non ne avevo voglia. Ma se tu vuoi rimandami il numero e mi precipiterò. Poverina, non la conosco e quindi non giudico. Ma non apprezzo qualcuno dimentico che scatta a far visita appena c’è solfa di pubblicità, perché un ex democristiano poi pideino ed ora aspirante montiano, insufflato da un certo Tanu e canonizzato da un decrepito facitore di gialli stanno montando un intervento parlamentare che non avrà luogo per chiusura della legislatura. Ecco perché non mi piace!.

Se ti vuoi avvalere di un altro legale di maggior fiducia e ti dovessero occorrere contributi finanziari, sappi che sono qui pronto a venirti incontro. Basta un cenno.

Mi aggancio quindi alla parte finale della lettera di accompagno al libro. Ti dico, esulto per le attese positive che sentenze di cassazione ti stanno suggerendo. Temo che il coinvolgimento diretto possa farti prendere degli abbagli. Affidati qui ai professionisti, agli avvocati insomma, a chi terzo ma competente può agire in serenità e senza passionali sbandamenti.

Mi hai ben capito e quindi non mi dilungo.

Ti abbraccio paternamente Calogero Taverna

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