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giovedì 23 maggio 2013

Le parole non sono pietre


Oggi FB mi sta assordando: dovrei lagrimare perhé anch’io mi debba prostrare e piangere nella ricorrenza dell’uccisione di un mito. Se oggi Garibaldi lo si sta mettendo in naftalina e qualche bisbiglio irriverente è pur concesso, di fronte a Falcone tutti proni, riverenti commossi indignati. Persino il mio amico ex sindaco sale sul pulpito a dannare a rammentare a volere il giorno della memoria per questo olocausto (per la scorta io davvero piango) unipersonale.

Torno a ripeterlo: nessun grande uomo è grande per la sua cameriera. Ed io cameriera dei grandi lo sono stato e per un paio di decenni. Non mi parlate di miti: vomito.

Nella mia bizzarra scorribanda professionale – di questi tempi mi sono messo in testa che vada indagata la psiche delle ultracinquantenni e tra poco mi troverò scorticato da furenti virago per violazione del rispetto delle donne ultracinquantenni – nel mio assurdo indagare professionale, dicevo, un bel giorno prendo uno di quei sopravvissuti strani aerei ad elica per Birgi e posso entrare nel voluttuosissimo bunker all’aperto che era la dissennata villa del banchiere Ruggiriello in quel di Trapani. Dovevamo vedere se potevo dare qualche apporto professionale nella difesa contro la mia rinnegata Banca d’Italia. Mai mangiato pesce come allora. Si parla ovviamente di tutto. Della situazione economica. Di politica. Di quell’abnorme aggregato bancario che era allora il trapanese. Non si parla ovviamente di mafia, non so perché forse perché non si può parlare di corda in casa dell’impiccato. Ma ciò non impedisce ad un banchiere - e banchiere d’assalto - di sapere tutto di tutti in quella che in gergo si chiamava zona di influenza. Beh! Per farla breve me ne disse di un certo giudice in accoppiata con una certa giudice rossa (di capelli, s’intende). Non dovevo credergli? Certe ville simbolicamente aggredite in zone interdette, certe amicizie con un altro giudice giocatore che staccava sconfinati assegni a vuoto per cui il consuocero finì con il fare sconfinare il conto finendo la sua carriera, mi sconfortavano nel diniego dell'assenso. E poi soprattutto mi ha fatto svicolare quello che sardonicamente quel giudice svela alla Padovanì quanto ad un certo Leonardo Sciascia. Costui vidi poi sbarellare tanto paurosamente da diradare le sue difese immunitarie finendo anzitempo la sua vita in quel di Milano per il solito male incurabile. E poi … poi certo non è paradigmantico quell’associarsi ad un certo Martelli che mi lascia tuttora perplesso, e non certo per l’innocente spinello africano.

Sarà per questo sarà per il mio maledetto volere essere sempre contro, sarà per il mio non voler giammai ammettere che possano esistere eroi coscienti tanto eroici da costringerci a farne un mito, il fatto sta che oggi non mi sento di commemorare un mito. De mortuis nihil nisi bonum e a parole mi associo a questo parlar bene dei morti, ma nell’intimo permettetemi di pensarne NON BENE.

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