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domenica 6 ottobre 2013

Sciascia come al solito zoppica nella microstoria di Racalmuto.

". Che c'è? - domandò
Siamo alle Grotte Maestà.
Ferdinando si affacciò allo sportello della carrozza. Case grige che si ammucchiavano a scivolo sul fianco di una collina, tetti di ortiche e muschio. E donne vestite di nero affacciate alle porte, e bambini dagli occhi attoniti, e porci che grufavano nelle immondizie.
Si ritrrasse.

- E che mi svegliate a fare?- disse al ministro. [....] Ecco questo scimunito a svegliarmi con la bella notizia che siamo alle Grotte,.
[...] A pochi passi dalla carrozza la gente si aggrumava silenziosa.
- Nelle grotte ci stanno i lupi: tiriamo avanti - disse all'ufficiale di scorta. [..]
E tirarono avanti per altre due miglia: fino a Racalmuto, dove trovarono balconi parati di seta come per il Corpus Domini, la giardia urbana schierata, una ricca mensa in municipio.
Giusto un secolo dopo , dalla stazione di Grotte il treno di Mussolini passò velocemente [..]
In verità, a due miglia appena di distanza, i due paesi erano quanto di più diversio ed opposto si possa immaginare. Grotte aveva una minoranza valdese e una maggioranza socialista, tre o quattro famiglie di origine ebraica, una forte mafia, e brutte strade, bruttissime case, squallide feste. Racalmuto aveva una festa splendida e frenetica, che quasi durava una settimana: e i grottesi vi accorrevano in massa, ma era per il resto, paese senza inquietudini, elettoralisticamente diviso tra due grandi famiglie, con pochi socialisti, molti preti e una mafia divisa."

Sciascia sapidissimo anche in questo squarcio de "Il mare colore del vino", non è poi proprio così serafico e super partes come vorrebbe darla ad intendere. Non ama Grotte e predilige Racalmuto. I luoghi comuni saranno dei racalmutesi ma lui ci guazza e la controffensisva - che sappiamo esserci stata ed esserci ancora - finge di ignorarla. Io debbo starmene buono: racalmutese da tantissime generazioni so di aver un peccato originale: il mio trisavolo Petro Taverna lasciava esasperato Grotte per eccesso di tassazione (dopo che i suoi antenati, piuttosto decaduti, ma era stati parenti di un certo arciprete, avevano lasciato, sempre tartassati, Racalmuto un secolo prima) e alla fine del Seicento ritornava a Racalmuto. Io sto in bilico tra il sorridere dei grottesi e il plaudire i grottesi dei miei antenati secenteschi.

Sciascia come al solito zoppica nella microstoria di Racalmuto. Non credo negli anni trenta dell'Ottocento Racalmuto potesse avere una magione comunale atta a imbandire una succulenta (ma non trimalcionesca) cena per il Re. Dovremmo aspettare la requisizione di un convento di monache cosiddette clarisse per tanto e un satrapo come il Matrona. Forse quella cena poté consumarsi nell'opulento palazzo di Savatteri (o forse del Borsellino) o in quello dei Tulumello, forse però nelle grandi case del prete della famiglia Matrona. Quanto al paese in mano a due famiglie, o con pochi socialisti, o con una mafia divisa mi sembra un guazzabuglio cronologico. Ma con ciò non credo di mancare di rispetto all'immenso Nanà, qui faziosamente filoracalmutese ed ironicamente distante dai grottesi.

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