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mercoledì 15 gennaio 2014

VECCHIA MIA LETTERA A RACALMUTESE FIERO SULLA DROGA A RACAL

VECCHIA MIA LETTERA A RACALMUTESE FIERO SULLA DROGA A RACALMUTO
Grazie per le belle parole che in qualche modo mi rinfrancano. Sa? la voglia di dire: ma andate a quel paese, è tanta. Credo di saperne qualcosina più di tutti: il pessimismo della ragione è totale. Davvero Giove rende folli quelli che vuol perdere. Ma nella mia militanza politica mi imponevano un disperato ottimismo della volontà. Il guaio di Racalmuto è che i grandi cervelli (come quello suo, quello di un Lo Re, di un Giuggiu Liotta, di un Filippo Mustica dei nuovi giovani che non conosco, del notaio Schillaci Ventura, del questore Messana etc.) non essendo lo spazio vitale (quello di cui parla Forsthoff) di Racalmuto adeguato alla latitudine del loro ingegno, quello spazio vitale l'hanno cercato e trovato a Milano, a Roma, forse in Francia, forse non so dove (già gli avventurosi siciliani diceva un tale scrittore, e non tutti vogliono essere il Bell'Antonio di Brancati per tornare nell'accidia di Catania). Racalmuto mai e poi mai può essere il monastero di santa chiara, al massimo quello di santa Maria, ma quello può forse destare un qualche interesse in un ottantenne come me. Sciascia è stato tanto fortunato da inventarsi un suo idilliaco spazio vitale alla Noce. Ma quello spazio vitale con nessun racalmutese l'ha voluto condividere: non con Gaetano Savatteri, un potenziale grandissimo scrittore,  con un Felice Cavallaro grintoso ingegno, ad un Macaluso che non conosco ma che quando scrive su Malgradotutto (per esaltare l'indifendibile Sciascia contro Berlinguer) la grafia ce l'ha forbita e bella ed in ultimo, forse, con Pierino Carbone, questo prorompente genio della penna che però, mi pare, sbandi un pò troppo forse perché vuol cimentarsi in cifre narrative che non gli sono congeniali. Ma prima o poi rintraccerà se stesso e Racalmuto avrà un'altra gloria letteraria, che diversamente dal modello umanizzerà la calligrafia ipotattica, eviterà la canaglieria politica (e mi lascerà integra la mia ricostruzione microstorica di Racalmuto).
Per converso - torno al mio stile burocratico, da ex ispettore B.I. - Bufalino Di Grado Sciarelli Caruso il deretano di una editrice il fotografo alla moda, tutti alieni, ebbero accesso, gloria e lancio in quel minuscolo "spazio vitale" controluce rispetto alla vetusta Casina di Matrona, nei cui verzicanti dintorni il Nostro, in una delle pochissime sue pagine lubriche, vedeva culeggiare erici tizianesche. Visioni forse appartenenti alla sua pubertà, come le cartoline a don Pidduzzu fanno pensare, crediamo per quegli "atti impuri" per i quali i preti ti ossessionano nei confessionali dei giovinetti. E le giovinette? Beh! lasciamo perdere. Sapesse quello che mi confidano a proposito di taluni mistici confessori racalmutesi!

E Consolo? Questo me lo conservo per ultimo. Io sono un pessimo lettore, leggo la prima pagina, capisco la musica, mi annoio, e passo oltre .... a pag. 27, mi annoio, a pag. 50 così via. Se mi si chiede dopo qualche tempo se ho letto quel libro, risponderò: mai letto. In totale buonafede: lo giuro. Dopo l'orgia commemorativa di REGALPETRA LIBERA, sfoglio Vincenzo Consolo: le pietre di Pantalica, anno 1988. E sfogliando sfogliando, mi soffermo a pag. 93. Oddio! mi son detto, se pubblico il mio romanzetto LA DONNA DEL MOSSAD ed il mio censore arriva alla parte finale del capitolo terzo "cavatieddi cu sucu di cunigliu sirvaggiu e sanzizza aggliannariata e antri cosi bboni", se non la galera per plagio almeno la causa per danni non me la toglie nessuno. Vero è che il mio ES s'incazzò gridandomi: ma chi cazzu dici Calì, il tuo è un passo sublime. Sì, ccia arrispunniu il mio EGO, vaglielo a raccontare a "Genitore incazzato".
Per questo non Le mando il file del romanzetto. No! Mi incute rispetto il Suo taglio ad alta cifra etica (direi giansenista). Peraltro mia moglie non vuole che io firmi quelle sconcezze (non lo nego) che vi stanno. Ed io il disgusto di mia moglie e l'altero cipiglio che mi sembra Lei assuma in materia de sesto e de nono, mi mettono in imbarazzo.
 Quanto alla droga - e Lei, mi pare ultimamente, vi è ritornato - anni fa, avendone gli accessi, ho scandagliato il cash flow dei racalmutesi quale inesorabilmente passa per le banche (e la posta) di Racalmuto e sapesse cosa ho scoperto? I veri ricchi non stanno a Milano ma a Racalmuto: qualcuno importando meritoriamente- bici cinesi (sic!). Ma crede davvero Lei che le mille e più auto che servono anche per andare da San Griguoli a lu Culleggiu ( e tante sono nuove e potenti) sono state comprate con la pensioncina della nonna (che il passaggio alla moneta unica ha polverizzato) o ai magri proventi dei "Socialmente Inutili"? Se le dico che il nero della DROGA si aggira a milioni (di Euro, sì), mi dirà che sono troppo esagerato? E sono franco! certo che poi qualcuno è costretto a girarsi dall'altra parte se in macchina a farsi è la propria ormai forse poco verginella figlioletta (un mio carissimo amico si è suicidato per cose del genere) e non meravigliamoci troppo se ai signori delle Autortà interessa più atterrire, per averne più corpose delazioni, lo spacciatorello che carcerarlo.
Non c’entra niente, ma nell'ora di ricreazione ho visto passare bustine (naturalmente di magnesia) alle ragazzine dell'istituto professionale davanti la mia casa paterna.

Poco cari "anonimi" (non Lei perché so benissimo chi è) genitori incazzati (per burla), don qui, don Là che cazzo ne sapete di tutto ciò? E se lo sapete che cazzo ci capite?

Mi si dice che debbo essere più chiaro. Ovvio che non posso, e racconto un aneddoto. Dopo avere ispezionato Sindona nel 1974, dopo che Occhiuto, per fottere Ciampi, ha spedito l'unico ispettore capace a Livorno, il sottoscritto ebbe l'anima dei guai suoi a cercare di far capire quello che avevo scritto (facile facile) ai signori magistrati che avendo già belli e confezionati i loro teoremi finché non riuscivano per lo meno a non farsi dichiarare cazzate i loro arzigogoli (secondo le vulgatae dell'interessata stampa del momento) non mi lasciavano andare. Ed io avevo mia moglie che mi appettava fuori la porta perché dovevamo prendere l'aereo per la doverosa visita pasquale ai miei vecchi genitori di Racalmuto.
Naturale che dopo quelle esperienze il mio affetto per i signori magistrati è nullo. Arrivo al SECIT di REVIGLIO (oggi inesistente, ma all'epoca fu cosa molto seria) e per mia scelta (il mio ruolo me ne dava facoltà) accedo alla Cassa di Risparmio di Cacciafesta. Guardo il credito cinematografico. Di che mi accorgo? all'epoca furoreggiava una certa Chelo (forse poco dotata artisticamente; forse molto generosa in altri campi - de sesto e de nono, appunto). Costei, oltretutto lesbica, consentiva anche i favori retrostanti a prestanti produttori, ma nel durante lei telefonicamente doveva ragguagliare la gelosissima amica. Chi pagava? Il credito cinematografico. Come faceva la banca? Deliberava il credito: scriveva in contabilità: dare crediti attivi - avere debitori diversi. Subito: dare sofferenze - avere crediti attivi. Quindi - dopo qualche tempo - dare conto economico (perdite) - avere sofferenze. Naturalmente era avvenuta la scrittura più importante: dare debitori diversi - avere cassa; ed i soldi si erano volatilizzati.
Per inciso sa che cosucce del genere (molto meno raffinate, parva materia, in definitiva) mi sembra di averle subodorate a Racalmuto una decina di anni fa con Giler, aiutandomi il bravissimo informatico Fofò lo Sardo?
Alla cassa glielo fatta pagare con un condono tombale e quella banca di miliardi ne ha dovuto dare al FISCO. C'era da punire quei disgraziati che per la pagnotta (o per la carriera) quelle diaboliche scritture le avevano pensate ed effettuate. Non ne avevo nessuna voglia. Mai ho perseguitato i lavoratori: la mia fede politica me lo impedisce. Certo conoscevo bene l'art. 321 c.p. I fatti obiettivi, come dice la legge, io li ho riferiti "a chi di dovere". Chi di dovere erano signori magistrati del Consiglio di Stato, della Corte dei Conti (che legulei amano definirsi i ragionieri dello Stato) e naturalmente non ci capirono nn' 'mato tubo. Mi chiamarono domandandomi che volevo dire. Esattamente quello che ho detto, né una virgola in più né una virgola in meno. Ma non si capisce niente? Ma che volete farci, mica son togato come voi, io povero ragioniere sono (naturalmente non era vero).
Ecco perché adesso a REGALPETRA LIBERA faccio qualche volta l'oscuro. Ora forse solo ioci causa. I vecchi vivono solo di rimembranze. Ed ecco perché sono stato esagerato nel nostro primo scontro. Ma Lei è persona degnissima e non se l'è presa più di tanto.
Con comprovata (spero) stima
Calogero Taverna

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