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martedì 11 marzo 2014

Le lamentele di un rimpatriato racalmutese

Lillo Taverna Si sono inventati persino la carambola pur di tornare a sedersi tra le clarisse del Comune. Sembran militari con strategia e tattica. Ma sono sempre loro. Sono il passato di Racalmuto. Quel passato che occorre definitivamente seppellire. Non giudicare, non condannare ma neppure resuscitare, men che meno osannare. Parce sepulto. Ripeto: tre tempi per Racalmuto: passato, presente, futuro. Passato da scordare. Presente da giudicare. Futuro da costruire. A quelli del passato dico: sappiamo delle vostre colpe ma siccome ne siamo tutti in qualche modo correi, seppelliamolo e non se ne parli più. Certo non possiamo fermare il corso della giustizia. Se quei faldoni che tre anni di vere indagini di competenti pubblici ufficiali porteranno a condanne dei togati del codice penale o a sanzioni di quelli amministrativi, nulla potremmo farci. Fingeremmo di addolorarci e continueremo a giudicarvi innocenti. Ma non cercate sotto mentite spoglie di rientrare dalle varie porte fanze nel sacrario del comando comunale.
  • Lillo Taverna IL PRESENTE. Brutto colpevole arrogante. Credono che con denunce facili possono tacitare persino il rito del VERRO VOLPINO: Le due denunce partite contro Guagliano sanno di protervia poliziesca. Non sentire, non capire, non annuire: solo minacciare la voce discorde. Attaccarsi all'errore stilistico, all'ingenuità espressiva, all'incauto protestare per schiacciare, tacitare. Ma per tutti come per loro verrà il tempo in cui i nodi si spiaccicheranno contro i i pur radi e tardi denti del gran pettine della verità. Caro Sciascia, nell'area pubblica i pettini hanno i denti per il giusto processo, anche se non celere ne è la condanna. A che mi riferisco: ma ad un mare di cose, a bilanci distorti, a omessi rapporti (questi veri e doverosi), ad assunzioni e incarichi evitabili, a incurie e ritardi. Non vi sono? A dir poco dovranno dimostrarlo.
  • Lillo Taverna IL FUTURO. Quello ce lo dobbiamo costruire tutto noi racalmutesi. Né primari né podestà da carta stampata ci possono far nulla. Chi cerca l'etica nell'economia politica, dimentico del gran rifiuto che il popolo di Racalmuto già ne formulò, non può barare. Chi grida di operare per il bene comune mentre tenta la sua salvezza economica non è credibile. Chi zia o nipote o coniuge o cognata di questo o di quello che vedemmo andarsi ad acculturare in Columbia o rimpinguarsi di gamberoni rossi (mi dice Guglielmo costati undici milioni di vecchie lire) non è credibile; certi effetti alone la sommergerebbero. Chi con questa no profit di qua con quel macello di là, con la autombulanza profittevole o la sagrestia accogliente ha già avuto, per cosrtesia ci lasci lavorare in pace. Hanno distrutto il passato ora vogliono pregiudicare anche il futuro? Racalmuto non ha bisogno di assurgere a modello d'efficienza: basta che torni NORMALE che riprendano le iniziative imprenditoriali, che si produca ricchezza e che si distribuisca con equità. che si dia lavoro secondo l'imperativo evangelico della giusta mercede. Le beneficenze oltre che umilianti sono anche perverse se si concentrano a favore di chi bisogno vero non ha essendo moglie del ricco medico di base o suo parente o magari coniuge le privilegiato ingegnere o del temuto sindacalista. Sappiamo, sappiamo, sappiamo. Il minimo che era doveroso era tener conto del reddito familiare, nel gestire i cosiddetti ammortizzatori sociali. Ma cosa fatta capo ha. Il passato va seppellito abbiamo detto. E il futuro deve mettere in moto ogni strumento anche finanziario per lo sfruttamento delle nostre risorse naturali (dall'alabastro alle distese acquifere su cui hanno fatto passare snodi viari cementificati); per il lancio della nostra agricoltura recuperando magari le ampie distese requisite da una forestale infestata da eucalipti assorbeacqua là dove occorrerebbe invece irrigare; l'autoctono smaltimento dei rifiuti, per l'equilibrato riparto degli oneri tributari, non perdonando imposte del tipo IRAP a colossi anche se parastatali
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