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venerdì 17 ottobre 2014

contrappunto ad un discepolo ammodino di una professoressa di Sicilia

Sono un ottuagenario. Sono entrato qui di straforo. Conosco ed apprezzo la professoressa. Non si offenderà se le dico che quel Marco o non esiste o bara. Vissi i miei vent'anni tra Racalmuto ed Agrigento. I riti dell'amore siculo erano glabri. Vigeva la "taliata". Lei dietro la persiana socchiusa. Tu la guardavi, lei ti guardavi? successo amoroso. Grande spreco insomma di coito oculare. Per la ragazza arrivare intacta virgo la notte terribile delle nozze era ossessione inibente. Se il panno rosso non si sventolava, lo si mostrava tra preoccupati parenti stretti. Venne poi l'albergo. Il viaggio di nozze. Oh, che liberazione!- Molte divennero maestre a Messina e i legittimi mariti spesso ebbero tragiche sorprese. Matrimoni flaccidi. Se la vicina coniugata si prestava, si doveva. I figli si impressionavano? Era giusto, equo e livellatore. I figli si adontavano? Non penso. O meglio, v'era molto complesso di Edipo. Il ragazzo sai quanto se ne fregava se il padre faceva il maschio. Era geloso della mamma. Crederla senza sesso era liberatorio. Se invece era la genitrice che sgarrava, scattava il complesso del cocu  e bruciava. Di solito lo si perpetuava sposando la fanciulla che si sapeva iniziata dall'amico di infanzia. Strane poi certe coppie incrociate. Forse ci si scambiava i favori. Per le ragazze non so. Non ne praticai. Emigrai. A Modena questi meridionalismi suonavano medievali tabù. Certo che l'emigrante non colto aveva tanto successo nelle balere ove caschetto d'oro spingeva all'abbraccio lubrico. Ma quello scendeva poi al paese per farsi una moglie.
Torno quaggiù  dopo diecine di lustri e trovo tutto mutato. Dietro il mio cancello in campagna, rimasto chiuso  per anni, trovo di tutto: Vi avevano parcheggiato le auto delle coppiette come a Roma o a Cento o a Rimini d'inverno. E per quel che vedo, anche le quattordicenni non hanno - o sembra che non abbiano - ritegno- Oggi a Roma se sali su un bus all'ora del ritorno da scuola, vedi che le parti si sono invertite: aggressive, sfacciate esperte se le guardi negli occhi le fanciulline anche di tenera età. Infrosciati, remissivi, distratti i giovincelli dalle mesce dorate, dall'orecchino equivoco e dalla mosceria impressionante.  E in Sicilia? Non so! Leggendo quel che ho letto qui sopra mi disoriento: mi pare che nulla sia cambiato dai tempi miei. Il ragazzo che ha voglia di suicidarsi perché il padre talora cavalca la cavallina mi sembra improbabile. Ma confesso la mia ignoranza.



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QUESTA LA LETTERA CHE ANNOTO:



Marco, 22 anni, ultimo anno di Scienze della comunicazione. Abbiamo appena concordato l’argomento della tesi, la metodologia, i libri da studiare e di solito finisce qua. Invece esita, sembra che non voglia andarsene. Ha la faccia imbarazzata, guarda per terra. Poi finalmente:
«Volevo ringraziarla, prof.»
«Per la tesi? Non ce n’è bisogno. Comincia a lavorare, mi ringrazierai alla fine.»
«No no, – sorride, – mica per la tesi. Per il blog. Per le cose che scrive sul blog.»
«Ne scrivo tante… quali?»
«Quelle sulle donne, – Marco arrossisce, – no, ma che dico: sulle donne e sugli uomini, sul fatto che i problemi delle donne sono anche nostri. È una cosa che mi ha colpito molto, la prima volta che l’ho sentita. Cioè no, in realtà non l’ho sentita, l’ho letta. Sul suo blog, appunto.»
«Ah. Ma perché dici questo?»
«Perché grazie a quello che scrive ho capito tante cose.»
Si appoggia sullo schienale e distende i lineamenti. Sembra che la tensione si stia allentando.
«Vede prof, a un certo punto ho cominciato a pensarci. E c’è stato un momento che ci pensavo giorno e notte, era diventato una specie di chiodo fisso. Poi finalmente ho capito.»
«Cos’hai capito, Marco?»
«Che i problemi non ce li hanno solo le donne, anche noi uomini ne abbiamo un casino. Anche se guadagniamo di più, lavoriamo di più, abbiamo l’immagine vincente e balle varie. Sì, quelle cose che lei scrive sul blog e che a molti danno fastidio. A dire il vero anche a me davano fastidio all’inizio. Molto. Mi facevano proprio incazzare, sa. Ma da quando ho capito, non più. Anzi…»
«Hai capito… cosa?»
«I nostri problemi, quelli dei maschi. Ci penso un casino, sa? A me certe cose di noi maschi cominciano a darmi molto fastidio. No, ma che dico: certe cose mi fanno proprio schifo, prof.»
«Quali cose?»
«Che dobbiamo fingere che siamo forti a tutti i costi, che non riusciamo a piangere, che trattiamo le ragazze in quel modo schifoso…»
«Cioè cosa fate?»
«Ma sì, prendi e molla. La fissa che sei più figo se ci vai a letto e il giorno dopo te ne freghi. L’idea che uno sia più ganzo se non si coinvolge, se non s’innamora. Balle, sono tutte balle. E il peggio è che certe cose me le ha insegnate mio padre, le ho imparate in casa, prof. Perché vede, la mia è una famiglia normalissima e in apparenza mia madre è indipendente, ha il suo lavoro, guadagna, ma sono tutte balle, perché in realtà le cose stanno diversamente, mio padre la tradisce da sempre, lei è infelice e io e mio fratello lo sappiamo da quando eravamo piccoli…»
Abbassa gli occhi, è di nuovo paonazzo.
«Marco, non dirmi niente, dai. Mi pare che questa cosa ti faccia star male…»
«No, prof. Certe cose a un certo punto bisogna buttarle fuori. Ci metto due minuti ma voglio dirle una cosa. Posso?»
«Certo.»
«Ricordo sempre una frase che mio padre mi disse la prima volta che ho scoperto che faceva le corna a mia madre. Avevo dieci anni e forse… be’ forse lo stavo guardando male, doveva esserci qualcosa di storto nella mia faccia, perché mi disse: “Vedi Marco, gli uomini sono fatti così. Un uomo non si giudica da come tratta le donne. Un uomo si giudica dal lavoro, dalle cose che costruisce, da come tratta i figli. Le donne sono un’altra cosa”.»
«E tu?»
«Ci pensai un casino, mi convinsi che aveva ragione lui e che anche per me e mio fratello le cose sarebbero andate in questo modo.»
«Ne sei ancora convinto?»
«Per niente, anzi. È proprio per questo che l’ho ringraziata. Perché grazie al suo blog ho capito che in realtà a me questa cosa di mio padre mi ha sempre fatto schifo. Io non voglio essere così. Gli uomini si giudicano anche da come trattano le donne. No, ma che dico: soprattutto, non anche. E mio padre mi avrà anche dato i soldi per mangiare, per studiare e per andare fuori con gli amici la sera. Ma mi fa schifo lo stesso, ecco l’ho detto: mi fa schifo. E io non voglio essere come lui. Voglio essere diverso. Mi aiuta, prof?»

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