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domenica 4 gennaio 2015

Padre Cipolla




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Carissimo Piero, ammiro ed apprezzo la verve, la passione, la sagacia che profondi nel difendere le tue tesi. Hai un mito da imporre e ci riuscirai: trasformare il prete dello scuru e fuddra in un ideale di sacerdote altruista, dedito all’amore del prossimo, solerte nel diffondere a Racalmuto (purtroppo venendo da Milocca) il Regno di Dio. Mi riferisco, ovvio, a padre Cipolla.


Mi fai magari una lisciatina, richiamndomi alla coerenza (che invero credo virtù dei ciechi che tirano sempre dritto anche quando davanti si para loro una voragine). Sì sono proprio io che follemente mi son messo a recuperare la buona memoria di quel dissacrato poliziotto capo a nome Ettore Messana.
Ti dirò: lì non faccio fatica; il mio grande compagno comunista Girolamo Li Causi aveva in pieno parlamento profferito tre scomuniche avverso il nostro malcapitato concittadino. Mi ci è voluto poco – ad onta dei saccenti di Malgrado Tutto –appurare che si trattava di tre infamie senza fondamento. Con ciò non mi passa per l’anticamera del cervello pensare di avere riscoperto un santo laico, un fedelisimo servitore dello Stato (nel caso lo Stato di Polizia). Si sa che sono in fin dei conti un anarcoide per avere gusti del genere.
Torniamo a padre Cipolla. Un tempo anch’io mi ero fissato per una ricerca storica che sovvertisse il detto popolare. Anche perché non avendo molta dimestichezza col Padre Eterno non credo che sia agevole rinvenire la sua tonante voce nelle meschinerie verbaiole dei racalmutesi.  Ma appena mi sono addentrato nelle vicende del prete di Milocca – che essendo soprattutto vicende bancarie, per me era come giocare in casa – ecco il mio tonfo: il popolo di Racalmuto, quello che elegge sempre sindaci “esili” e poi si lamenta, stavolta ci aveva azzeccato, ancor più di quel che dicesse.
Il prete di Milocca è stato uno svagato prete maneggione, affarista, senza capo né coda. E di preti affaristi ne abbiamo avuto a Racalmuto, non ultimo il simpatico parroco, beneficiario sine titulo del Crocifisso, che tutti bene sappiamo e che volendogli tanto bene fingiamo di non sapere.
Scrive Sciascia: “di un prete che vuole una chiesa  «bella» e vi profonde il suo denaro”. Era una frottola storica, ma la confezionava Sciascia e chi osa! Invero, io, di persona, un prete che volle la sua chiesa non dico bella ma appariscente e vi profuse il suo denaro, ma proprio tutto il suo denaro non accettando manco un soldo dai sui fedeli, l’ho conosciuto. Andò in rovina e la sua famiglia credo che ancora lo sacramenti. Era padre Gerlando Di Falco del secolo scorso e la chiesa è appunto San Giuseppe, che ora ovviamente sta andando in rovina, utilizzata solo per inventarsi sacrestani di stato, pagati dal nostro dissestato Comune.
Ma non è il caso di Padre Cipolla. Aveva creduto che mettendo sù una banca cattolica cooperativa potesse rastrellare le rimesse degli emigranti negli Stati Uniti e farne quel che più gli tornava comodo: chiese dilatate e lasciate a cielo aperto, castelli medievali  maciullati da maestranze e murifabbri racalmutesi, scuole di cucito che non diplomarono nessuno, corsa ad investimenti immobiliari manco affittabili, partecipazioni minerarie quando Mussolini aveva abolito ogni forma di proprietà del sottosuolo italico (e questo me l’hai fatto scoprire proprio tu caro Piero). Credevo che certi articoli su un giornale del PP nisseno  di Sturzo li avesse scritto lui, il prete di Milocca, ma tu caro Piero hai pubblicato corrispondenze epistolari ove la lingua italiana veniva fugata da imperizie vernacolari. Se la faceva, in senso umanitario, con la vedova Bordonaro che mi pare fosse stata la moglie di quel sant’uomo di don Illuminato Grillo che ne aveva combinate al Comune, di concerto con un tal Nalbone, facendo ricadere la responsabilità di buchi di cassa al fuggiasco Savatteri, sindaco.
Il prete di Milocca era però politicamente aperto e non negò la sua benevolenza ai nuovi padroni in orbace. E questi una grande mano di aiuto gliela diedero, preservandolo dalle patrie galere: gli comprarono l’ala maciullata del c.d. castello Chiaramonano. E in fin di vita, pare per una perniciosa tubercolosi che tentava di curare alla Curma, mette in atto una bella bancarotta preferenziale: intesta i suoi beni immobili alle sorelle ottenendo però l’impegno a lasciare il tutto alla locale chiesa alla fine dei loro giorni. Allo Zaccanello Peppi Cipuddra mi faceva ammirare una bella “lenza” di terra di pane che l’arciprete pro-tempore (o i suoi familiari) coltivavano; proveniva proprio dal lascito di quelle sorelle del prete di Milocca.  Non ne avrà approfittato l’Arcangelo di Eugenio Napoleone Messana, ma è trascurabile bazzecola.
Da tempo quindi mi sono detto: de mortuis nihil nisi bonum o più evangelicamente: lascia che i morti seppelliscano i morti.  Di preti esteri che non mi sollazzano tanto ce ne ho sotto tiro due: quello di Milocca, la quale bene farebbe a riprendersi il suo geniale figlio sia pure ormai salma vetusta, e l’altro, quello che l’arzilla lady Hamilton andava dicendo che era l’unica persona intelligente di Racalmuto, anche perché scambiava il crocifisso per spadino omicida da grande brigante che era. Sciascia, usando della benevolenza dell’arciprete Casuccio, appura che il suddetto ex monaco era un tale Bufalino Maranella nato proprio a Montedoro. L’onnipotente sindaco Messana (montedorese) allora perché non trasla anche codesta salma monacale e se la riporta a casa. Almeno le ciarle della lady Chatterley montedorese sarebbero servite a qualcosa oltre che ad una denigrazione mondiale (in inglese) di noi cretinetti racalmutesi.
 
 

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