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domenica 31 maggio 2015

Siamo noi Cicerone? no, anche se un po' lo echeggiamo talora Chi è Verre? Uno nessuno centomila? Ma i Verre di Racalmuto ben li conosciamo; solo, non li mandiamo mai in esilio, nella Mauritania, manco se ordiamo preoccupanti "giochi di potere".

Siamo noi Cicerone? no, anche se un po' lo echeggiamo talora Chi è Verre? Uno nessuno centomila? Ma i Verre di Racalmuto ben li conosciamo; solo, non li mandiamo mai in esilio, nella Mauritania, manco se ordiamo preoccupanti "giochi di potere".
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 



Contro Verre - Cicerone

Testo
"Se qualcuno di voi, o giudici, o del pubblico qui presente, per caso si meraviglia che io, mentre da tanti anni mi sono occupato di questioni civili e penali difendendo molti e non attaccando nessuno, ora, all'improvviso, cambiato sistema, mi metta ad accusare, se considererò le profonde ragioni della mia decisione, approverà il mio agire e penserà che, senza dubbio, in questo processo, nessuno dev'essere a me anteposto in qualità di pubblico accusatore. Io fui in Sicilia come questore e ripartii da quella provincia lasciando in tutti i Siciliani un caro, indelebile ricordo della mia questura e del mio nome. Essi pensavano che il più valido appoggio per i loro interessi lo avevano, si, in molti protettori di vecchia data, ma, un po', anche nella mia persona. Ora essi, spogliati e rovinati, più di una volta sono venuti ufficialmente da me a pregarmi di voler accettare il patrocinio dei loro interessi. Mi ricordavano che più di una volta io avevo promesso, piщ di una volta io avevo assicurato che, se, all'occorrenza, avessero voluto qualcosa da me, non sarei venuto meno ai loro interessi. Dicevano ch'era venuto il momento di difendere non i loro interessi, ma la vita e la salvezza di tutta la provincia; ormai essi, nelle loro città, neppure gli dei avevano cui ricorrere, dato che le loro sante immagini Gaio Verre le aveva portate via dai santuari più venerati. Ciò che aveva potuto compiere la sua sfrenatezza nella cattiva condotta, la crudeltà nell'eseguire condanne, l'avidità nelle ruberie, la tracotanza nell'offendere, tutto essi, sotto la sua sola pretura, l'avevano subito per tre anni. Vivamente dunque mi pregavano di non respingere le preghiere di quelli che, finchè c'ero io, non dovevano a nessuno rivolgere le loro preghiere.
Vivamente mi dispiaceva, o giudici, di essere condotto in quella situazione: o dovevano restare delusi quegli uomini, che si erano rivolti a me per aiuto, oppure, mentre io fin da giovane m'ero dato a difendere, dovevo, per le circostanze e per dovere d'ufficio, mettermi ad accusare.…………………..

 Dicevo che essi avevano giа un attore, Quinto Cecilio, tanto piщ che egli era stato questore in quella stessa provincia, dopo la mia questura. Ma quelle ragioni che pensavo potessero tornare a mio favore per liberarmi da quell'impiccio, presentavano invece contro di me la maggiore difficoltа. Assai piщ facilmente mi avrebbero risparmiato questa noia se non conoscessero costui, o se costui non fosse stato questore presso di loro. Un senso, dunque, o giudici, di dovere professionale, di lealtа, di compassione, l'esempio di molte persone ragguardevoli, l'antica abituale norma dei nostri antenati mi hanno spinto ad accettare questo gravoso impegno, non nell'interesse mio, ma dei miei clienti.
Nondimeno, o giudici, in questa faccenda un pensiero mi consola: questa mia, che sembra un'accusa, deve essere considerata, non un'accusa, ma una difesa. Molte persone io difendo, molte cittа, tutta quanta la provincia della Sicilia. Quindi, poichй la mia accusa и rivolta Contro un solo, in un certo senso, mi pare, io rimango nella mia vecchia linea di condotta e non cesso affatto dal difendere ed aiutare. Dirт di piщ. Se questa causa io non la ritenessi cosм giusta, cosм nobile, cosм importante, se i Siciliani non me ne avessero pregato, se tra me e i Siciliani non ci fossero tanti vincoli, se io dicessi che и nell'interesse dello Stato che io faccio ciт che faccio (chiamare in giudizio, dietro mia denunzia, un uomo straordinariamente avido sfrontato scellerato, un uomo, i cui furti ed infamie, commessi non solo in Sicilia, ma in Acaia, in Asia, in Cilicia, in Panfilia, e, infine, qui a Roma, davanti agli occhi di tutti, noi perfettamente conosciamo nella loro enorme gravitа e vergogna), chi potrebbe avere il coraggio di criticare il mio gesto e di criticare la mia decisione? In che cosa, lo giuro davanti agli dиi e agli uomini, io potrei esser piщ utile allo Stato in questi momenti? Che cosa dovrebbe esser piщ gradito al popolo romano, piщ desiderabile ai soci e ai forestieri, piщ opportuno agli interessi di tutti? Le province saccheggiate, rovinate, distrutte completamente, i soci e i tributari del popolo romano, abbattuti ed avviliti, chiedono, non una speranza di salvezza, ma un conforto alla loro rovina. Quelli che vogliono che l'amministrazione della giustizia rimanga ai senatori, si lamentano che non ci siano buoni accusatori; quelli che potrebbero esser buoni accusatori vedono che non c'и piщ onestа nei tribunali. Frattanto il popolo romano, pur preoccupato da molte contrarietа politiche e difficoltа economiche, non chiede altro se non che nello Stato la giustizia torni all'energia e serietа di una volta. E un desiderio di giustizia che fa reclamare il ripristino della potestа tribunizia; data la leggerezza dei tribunali si vuole anche un altro ordine per l'amministrazione della giustizia; date le colpe e le vergogne dei giudici, anche il nome di censore, che prima, di solito, suonava odioso al popolo, ora и caro ed и diventato ormai popolare e oggetto di plauso. Marciume di farabutti, continue lagnanze del popolo romano, ignominia dei tribunali, discredito di tutto un ordine! Di fronte a tanta vergogna un solo rimedio penso ci possa essere, che i capaci e gli onesti scendano alla tutela dello Stato e delle leggi. E per il bene di tutti, lo confesso, che mi sono accinto a sorreggere quella parte dello Stato, che traballa di piщ.
Questo, dunque, o giudici, voi dovete ben fissare: Quinto Cecilio, visto che nessuno mai ha sentito parlare di lui e nessuno si aspetta un gran che in questo processo, visto ch'egli non ha nessun interesse a conservare alta una qualsiasi fama precedentemente racimolata nй ad allargare una base per il suo avvenire, questa causa non la porterа avanti nй con troppa severitа, nй con troppo studio, nй con troppo impegno. Nulla ha da perdere, se la cosa va male. Anche nel caso ch'egli vi esca con la vergogna piщ grande, col disonore piщ infame, nulla avrа da rimpiangere di una sua gloria passata. Da me, invece, molti pegni ha il popolo romano e io dovrт cercare in tutti i modi di tenerli in vita, difenderli, rassicurarli e riprendermeli. C'и di mezzo la carica, a cui mi presento; c'и la speranza che io ho concepito di me; c'и un... nome, che io mi sono fatto con tanto sudore, con tanto lavoro, con le mie veglie. Se, quindi, in questa causa, io metterт in evidenza la mia capacitа professionale e il mio impegno, ciт che ho detto sopra, per mezzo del popolo romano, lo potrт riavere sano e salvo; al minimo inciampo, invece, al minimo tentennamento, crollerа in un istante tutto ciт che, a poco a poco e in tanto tempo, ho cercato edificare. Per conseguenza sta a voi, o giudici, indicare chi ritenete capace di sostenere con la maggiore facilitа il peso di questa causa e di questo processo con lealtа, con attenzione, con occhio vigile, con senso di responsabilitа. Se voi a me anteporrete un Quinto Cecilio, io non penserт di esser menomato nella mia dignitа. Il popolo romano, perт, non senta che una requisitoria cosi onesta, cosм chiara ed esauriente non и piaciuta nй a voi nй all'ordine senatoriale. Badateci!
"A questo punto ormai chiedo il vostro consiglio, o giudici: che cosa pensate debba fare? Io capisco che debbo necessariamente accettare quel consiglio che voi mi darete col vostro silenzio. Se potrт disporre per la mia arringa del tempo concessomi dalla legge, coglierт il frutto della mia fatica, del mio zelo, della mia scrupolositа e proverт con questa accusa che nessuno mai, a memoria d'uomo, si и presentato in giudizio piщ preparato, piщ attento, piщ agguerrito di me. Ma mentre faccio il panegirico del mio zelo, c'и grave rischio che l'imputato ci sfugga. Che si puт fare, dunque? Una cosa, secondo me, semplice e chiara. Codesta gloria, che sarebbe potuta venirmi da un discorso completo, riserviamola ad altra occasione; ora procediamo alla incriminazione di quest'uomo con i registri dei conti, con i testimoni, con i documenti pubblici e privati e con autorevoli prove. Ora tocca a noi due, Ortensio. Ti parlerт con franchezza. Se fossi convinto che in questa causa vieni a competere con me sulla base della discussione e della confutazione delle accuse, mi darei anch'io a formulare e a svolgere accuse; ma, poichй hai preso a combattermi, non tanto secondo le tue naturali inclinazioni, quanto secondo le necessitа e gli interessi di costui, mi и giocoforza controbattere una simile tattica con qualche espediente. La tua mira и di cominciare a confutare le mie accuse dopo i primi e i secondi ludi; la mia, di aggiornare la causa non oltre i primi. Cosм accadrа che la tua condotta verrа considerata frutto di astuzia, il mio espediente, invece, dettato da necessitа.
Avevo cominciato a dire che toccava a noi due ed ecco in che senso. Quando, a richiesta dei Siciliani, accettai questa causa, ritenni alto titolo di onore che essi volessero mettere alla prova la mia lealtа e diligenza, dopo aver fatto esperienza della mia onestа e del mio disinteresse. Ma, una volta assunto l'impegno, ho mirato a qualcosa di piщ alto, che potesse mostrare chiaramente al popolo romano il mio attaccamento alla repubblica. Non mi sarebbe parsa degna del mio interessamento e dei miei sforzi la denuncia di un uomo giа da tutti condannato, se la tua intollerabile prepotenza e la faziositа, di cui hai dato prova in questi anni in taluni processi, non si fossero intromesse anche nella causa di questo disperato. Or dunque, giacchй ti piace tanto spadroneggiare nei processi e c'и tanta gente che non sente nй la vergogna nй il disgusto della sua sfrenata ambizione e scelleratezza, anzi pare che voglia trarsi addosso l'antipatia e l'odio dei Romani, confesso d'aver perciт assunto un tale incarico, che forse и troppo grave per me e non privo di rischi, ma degno d'impegnare tutto il vigore della mia etа e del mio zelo. E poichй, per la disonestа e la spudoratezza di pochi, l'intera classe и oppressa e schiacciata dal discredito per l'amministrazione giudiziaria, io mi dichiaro nemico personale, accusatore e avversario accanito, implacabile, spietato di questa genмa di uomini. Questo и l'impegno che mi assumo e mi arrogo: lo assolverт nel corso della mia magistratura e proprio da quel seggio, da cui i Romani hanno voluto che dal primo giorno di gennaio io mi occupassi con loro della cosa pubblica e della gente disonesta. Questo и lo spettacolo piщ grandioso e piщ bello che io prometto di offrire al popolo romano durante la mia edilitа. Avverto, premetto e dichiaro sin da ora: quanti hanno l'abitudine di depositare denaro, riceverne, garantire o promettere, oppure far da mediatori o agenti per corrompere la giustizia, e quanti hanno ostentato in questa faccenda la propria influenza o spudoratezza, tengano lontani da questo processo le mani e l'animo da tale empio misfatto. In quell'epoca Ortensio sarа console, con tutti i poteri civili e militari connessi al suo grado, e io edile, cioи poco piщ di un privato cittadino; ma la causa che m'impegno a trattare и di tal natura e cosм accetta e gradita al popolo romano che al mio confronto egli, benchй console, sembrerа in questo processo, se pure e possibile, anche meno di un privato cittadino".
"Nessuno di voi, credo, o giudici, ignora che in questi giorni si и diffusa tra il popolo romano la voce e l'opinione che Verre non avrebbe risposto all'appello nella seconda azione giudiziaria e non si sarebbe nemmeno presentato in tribunale. Questa voce era nata non solo per il fatto che egli era fermamente deciso a non presentarsi, ma anche perchй nessuno credeva che qualcuno potesse essere tanto audace, tanto folle, tanto impudente da avere il coraggio di guardare in viso i giudici o di mostrare il proprio volto al popolo romano, dopo essere stato convinto sotto il peso di tante testimonianze, di colpe cosм nefande. Ma Verre rimane quello che и sempre stato, pronto ad osare, preparato ad ascoltare. E presente, risponde, si difende; sebbene sia chiaramente colpevole delle azioni piщ turpi, non si riserva neppure la possibilitа, tacendo e non presentandosi, di sembrare di cercare una fine decorosa alla sua vita indegna. Accetto, o giudici, e non mi dispiace di raccogliere il frutto, io della mia fatica, voi della vostra virtщ. Infatti, se egli avesse attuato il suo primo proposito di non presentarsi, si conoscerebbe molto meno di quanto mi и necessario quale fatica io abbia sostenuto per predisporre e organizzare questo atto di accusa; il vostro merito poi, o giudici, sarebbe assai scarso ed oscuro. Non questo attende da voi il popolo romano e non puт essere contento se viene condannato chi non si и voluto presentare al dibattito e se siete stati energici con colui che nessuno ha osato difendere. Ma anzi si presenti, risponda; sia difeso con ogni mezzo e sommo zelo dagli uomini piщ potenti; la mia diligenza gareggi con la loro cupidigia, la vostra rettitudine con il suo denaro, il fermo contegno dei testimoni con la potenza minacciosa dei suoi avvocati. Quando queste forze ostili scenderanno in campo per combatterci, proprio allora appariranno tutte sconfitte. Se costui fosse stato condannato in contumacia, sembrerebbe non tanto avere provveduto alla propria salvezza, quanto avere invidiato la vostra gloria. In questi tempi infatti non si puт trovare alcun mezzo efficace di salvezza per lo Stato se il popolo romano non comprende che, quando l'accusatore rifiuta i giudici con cura, gli alleati, le leggi, lo Stato possono essere molto ben difesi da una giuria di senatori; e d'altra parte una grande rovina puт minacciare i beni di tutti se il popolo romano ritiene che possa essere tolto all'ordine senatorio il diritto di dare un giudizio sulla veritа, sulla rettitudine, sulla lealtа, sulla scrupolositа. Cosi credo di aver puntellato un settore importante della vita dello Stato Che era gravemente ammalato e quasi perduto senza rimedio e di non aver servito in ciт piщ la mia che la vostra gloria e la vostra fama. Infatti mi sono assunto il compito di far diminuire l'ostilitа e di togliere dimezzo le critiche rivolte ai tribunali, affinchй, quando in questa causa fosse stata data la sentenza secondo la volontа del popolo romano, l'autoritа delle giurie apparisse rafforzata in qualche modo per la mia diligenza, affinchй insomma si concludesse una buona volta la controversia sulle giurie, qualunque fosse stata la sentenza emessa. Senza dubbio, infatti, o giudici, in questa causa tale polemica giunge al punto risolutivo. L'accusato и un grande malfattore; se sarа condannato, si finirа di affermare che in questi processi grande и la potenza del denaro; se sarа assolto, noi finiremo di opporci al trasferimento dei poteri giudiziari. A dire il vero, nй egli stesso piщ spera nй il popolo romano piщ teme la sua assoluzione. Vi sono perт alcuni che si meravigliano per la sua straordinaria impudenza nel presentarsi e nel rispondere. Ma neppure questo mi sembra che debba essere motivт di meraviglia, se si tiene conto di tutte le altre manifestazioni della sua folle audacia. Molti atti di empietа e di scelleratezza infatti egli ha compiuto contro gli dиi e contro gli uomini, perciт и tormentato dai rimorsi e ridotto fuor di senno e di ragione.
"Vengo ora a quella che costui chiama passione, i suoi amici morbosa mania, i Siciliani ladreria. Io non so come chiamarla; vi metterт davanti i fatti, e voi li giudicherete non dal loro nome ma dalla loro gravitа. Prima, o giudici, apprendete la loro precisa natura; dopo, forse, non farete gran fatica a cercare qual nome si debba dare a tutto ciт. Io affermo che in tutta la provincia di Sicilia, cosм ricca ed antica, con le sue tante cittа e famiglie facoltose, non c'и stato vaso d'argento, vaso di Corinto o di Delo, pietra preziosa o perla, oggetto d'oro o d'avorio, statua bronzea o marmorea o eburnea, non quadro o arazzo che egli non abbia diligentemente ricercato, attentamente esaminato, portato via se gli и piaciuto. Puт sembrare la mia un'esagerazione: fate anche attenzione in qual modo io mi esprima. Non infatti tanto per parlare nй per aggravare l'accusa io abbraccio tutto con le mie parole. Quando dico che costui in tutta quanta la provincia non ha lasciato nessuno di tali oggetti d'arte, sappiate che uso le esatte parole latine, non il linguaggio dell'accusatore. Ancora piщ esplicitamente: niente nella casa di alcuno, neppure in quella dell'ospite, niente nei luoghi pubblici, neppure nei templi, niente presso i cittadini siculi, niente presso i romani, niente infine che gli capitasse sott'occhio e suscitasse il suo desiderio costui lasciт in tutta quanta la Sicilia, nй di privato nй di pubblico, nй di profano nй di sacro.
Da che parte dunque potrei meglio cominciare che da quella cittа la quale fu l'unico tuo amore e delizia, e da quale categoria meglio che dai tuoi stessi elogiatori? Piщ facilmente, infatti, si scorgerа quale sia stato il tuo comportamento verso coloro che ti odiano, che ti accusano, che ti perseguono, quando risulterа che hai depredato cosм sfacciatamente i tuoi Mamertini.
Gaio Eio - e quanti sono andati a Messina facilmente me lo riconoscono - и sott'ogni aspetto il mamertino piщ ragguardevole in quella cittа. La sua casa и forse la migliore di Messina, senza dubbio la piщ nota e la piщ aperta ai nostri concittadini e la piщ ospitale. Prima dell'arrivo di costui essa era cosм adorna da essere di ornamento anche alla cittа; infatti Messina in sй, pur dotata di una mirabile posizione; di mura e di un porto, и del tutto sprovvista di quelle cose di cui costui si diletta. C'era in casa di Eio una cappella privata di grande magnificenza, tramandata dagli antenati, antichissima, contenente quattro bellissime statue, di eccellente fattura ed assai rinomate, tali che avrebbero potuto far la gioia non solo di un raffinato intenditore come costui, ma anche di chiunque di noi, che lui chiama profani: la prima, un Cupido di marmo, di Prassitele; nessuna meraviglia se, raccogliendo le prove contro costui, ho appreso anche i nomi degli artisti. Il medesimo artista, se non erro, fece quel Cupido di identico stile che si trova a Tespie, onde questa cittа viene visitata; chй non ci sarebbe altra ragione per farlo. E si che il famoso Lucio Mummio, nel protrar via da quella cittа le Tespiadi, che si trovano nel tempio della Felicitа, e tutte le altre statue profane, il Cupido di marmo, poichй era sacro a un dio, non osт toccano".
"Vi и in Agrigento, non lontano dalla piazza, un tempio di Ercole, di grande santitа ed assai venerato. In esso и custodita una statua bronzea appunto di Ercole, di cui difficilmente potrei dire di aver visto cosa piщ bella - per quanto io non m'intenda gran che di queste cose, rispetto al gran numero di opere che ho visto -, al punto che, o giudici, la bocca e il mento sono un pт consunti, poichй nelle loro preghiere e rendimenti di grazie i fedeli sogliono non solo venerarla ma altresм baciarla. In direzione di questo tempio, mentre Verre si trovava ad Agrigento, all'improvviso, nel cuore della notte, si dirigono per attaccano dei servi armati sotto la guida di Timarchide. Sentinelle e custodi danno l'allarme; tentano dapprima di resistere in difesa, ma sono ridotti a mal partito e respinti a colpi di mazza e bastone. Quelli allora, divelti i chiavistelli e sfondate le porte, cercano di tirar giщ la statua, servendosi di leve per smuoverla. Frattanto in seguito a quelle grida si divulgт la notizia che si dava l'assalto agli dиi della patria, e non per l'arrivo inaspettato di nemici nй per l'improvviso attacco di predoni, ma che dalla cittа e dal seguito del pretore era mossa una schiera di malviventi armata di tutto punto. Non ci fu in Agrigento nessuno, nй tanto vecchio nй tanto debole, che quella notte non balzasse in piedi svegliato a tale notizia, e non afferrasse la prima arma che il caso offriva. In breve tempo, quindi, si accorre in massa al santuario da tutta la cittа. Giа da piщ di un'ora un gran numero di persone si affannava a tirar giщ la statua; ma questa intanto non vacillava da nessuna parte, sebbene alcuni cercassero di smuoverla facendo forza da sotto con leve, ed altri, legatala per tutte le membra, si sforzassero di tirarla a sй con le funi. Ed ecco che arrivano di corsa quelli di Agrigento; ne nasce una gran sassaiola; i soldati di codesto eccellente generale notturno si danno alla fuga. Nondimeno portano via due piccole statuine, per non ripresentarsi del tutto a mani vuote a codesto predone di oggetti sacri. Per i Siciliani non va mai tanto male che non trovino da dire qualche battuta di spirito ben appropriata: in questa circostanza dicevano che tra le fatiche di Ercole si doveva annoverare non meno questo crudelissimo verro che il famoso cinghiale d'Enimanto>>.

"Ora te io imploro ed invoco, o Giove Ottimo Massimo, il cui dono regale, degno del tuo bellissimo tempio, degno del Campidoglio e di questa rocca di tutti i popoli, degno della munificenza regale, offerto a te da re, a te dedicato e promesso, costui con empia scelleratezza strappт dalle mani regie, ed il cui simulacro santissimo e bellissimo rubт in Siracusa; e te, o Giunone regina, i cui due templi, assai venerandi ed antichi, posti in due isole di alleati, Malta e Samo, costui, sempre lui, spogliт con pari scelleratezza di tutti i doni ed ornamenti; e te, o Minerva, che parimenti depredт in due templi molto celebrati e venerati, in Atene, quando rapinт un'ingente quantitа di oro, in Siracusa, quando tutto portт via all'infuori del tetto e delle pareti; e voi, o Latona e Apollo e Diana, dei quali costui in Delo saccheggiт, con una violenta rapina di notte, non il tempio, ma, come vuole l'opinione comune ed il sentimento religioso, l'antica sede e dimora divina; e te ancora, o Apollo, che costui involт da Chio; ed ancor piщ te, o Diana, che spogliт a Perga, e la cui statua, veneratissima in Segesta, due volte consacrata presso i Segestani, una prima volta per la loro devozione, l'altra in seguito alla vittoria di Publio Africano, egli fece prendere e portar via; e te, o Mercurio, che Verre collocт in una palestra di una casa privata, e che Publio Africano, invece, volle nel ginnasio dei Tindaritani, nostri alleati, a custodia e protezione della loro gioventщ; e te, o Ercole, il cui simulacro costui, in Agrigento, nella profonditа della notte, raccolta ed annata una banda di servi, tentт di strappare e portar via dalla sua sede; e te, o santissima madre idea, che presso gli Enguini, in un tempio assai venerato ed augusto, lasciт cosi spogliata, che ora rimangono solo il nome dell'Africano ed i segni della religione violata, mentre non esistono piщ i ricordi della vittoria e gli ornamenti del tempio; e voi, Castore e Polluce, arbitri e testimoni di tutte le questioni forensi, delle piщ importanti assemblee, delle leggi e dei giudizi, collocati nel luogo piщ frequentato del popolo romano, dal cui tempio costui si procacciт lucro ed il bottino piщ disonesto; e voi tutti, o dиi che visitate le solenni adunanze dei giuochi, portati sulle tense, la cui strada costui fece restaurare a scopo di personale lucro, non per il decoro delle cerimonie religiose; e voi, Cerere e Proserpina, i cui sacri riti, secondo la comune credenza e le pratiche del culto, si svolgono m cerimonie di gran lunga le piщ importanti e segrete; voi, dalle quali si dice che siano stati donati e distribuiti agli uomini ed alle cittа i semi della vita e degli alimenti, i principi dei costumi e delle leggi, della mitezza e della civiltа; voi, i cui riti, ricevuti dai Greci ed accolti, il popolo romano custodisce con tanta devozione, sia nelle cerimonie ufficiali sia in privato, che non sembrano introdotti qui dalla Grecia, ma piuttosto trasmessi di qui alle altri genti; culto che fu contaminato e profanato da quest'unico individuo, al punto che una statua di Cerere, che ad uomo nonchй toccare, neppure guardare sarebbe stato lecito, costui la fece strappare e portar via dal sacrario di Catania, un'altra, poi, l'asportт dalla sua sede e dimora di Enna, e questa era tale che, al vederla, pareva di vedere Cerere stessa, o un'effige di Cerere non fatta da mano mortale, ma caduta dal cielo; voi ripetutamente io imploro ed invoco, o santissime dee che abitate i famosi laghi ed i boschi sacri di Enna, e che proteggete l'intera Sicilia, la cui difesa a me и stata affidata, voi, che per essere state inventrici dei cereali e per averli propagati sulla terra, tenete avvinte tutte le genti ed i popoli nel culto della vostra divinitа; e cosм pure io imploro e supplico tutti gli altri dиi e dee, contro i cui templi ed oggetti sacri costui, mosso da una scellerata follia ed audacia, portт sempre una guerra sacrilega ed empia, affinchй, se con questo imputato ed in questo processo io ebbi sempre di mira la salvezza degli alleati, la dignitа della repubblica, la mia lealtа, se le mie cure, le mie veglie ed i miei pensieri a null'altro furono protesi se non all'adempimento del dovere ed al bene, voi portiate, nel giudicare, il medesimo animo che io ebbi nell'accettare la causa, la medesima onestа che io mostrai nel trattarla; ed inoltre Gaio Verre, se tutti i suoi atti sono inaudite e straordinarie prove di scelleratezza, di audacia, di perfidia, di libidine, di avarizia, di crudeltа, riceva, dal vostro giudizio, la degna ricompensa di una tale vita e di tali imprese, e la repubblica ed i miei impegni siano paghi di questa unica mia accusa, e possa io d'ora in poi piuttosto difendere i buoni che esser costretto ad accusare i malvagi>>.

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