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sabato 30 maggio 2015

testimonianze che aspettano rassicuranti spiegazioni


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QUASI UNA PROFEZIA

 Leggendo questa relazione di sintesi sulla geologia e geotecnica dell'autostrada PA-CT, scritta dal geologo di chiara fama prof. S. Motta, e pubblicata sul n. 2, giugno 1970, della rivista SiciliaTempo, risulta chiaro che chi la costruì aveva una documentazione attendibile della situazione dei suoli, li conosceva molto bene e mise in atto una progettazione adeguata, con un'esecuzione all'altezza dei problemi: le opere hanno resistito per 45 anni, praticamente prive di manutenzione.

 In questo passo della relazione - circa la metà del testo completo - c'è anche la chiara testimonianza che l'alta franosità dei versanti lungo il viadotto Imera era ben nota già da tempo. Un fatto che sarebbe dovuto constare obbligatoriamente a qualunque responsabile e funzionario, a qualunque livello, della Protezione Civile e dell'ANAS, come suo patrimonio di conoscenza e come suo compito d'ufficio. Un fatto che invece è stato lasciato a se stesso, nonostante le segnalazioni puntuali e ripetute nel tempo, fino al disastro. L'autore di questo testo, prof. Motta, descrive con molta precisione ciò che sarebbe potuto succedere e che, per incuria degli uomini, purtroppo, dopo 45 anni, è davvero successo.

 Il testo completo della relazione apparirà sul prossimo numero di E.JOURNAL/palermo architettura.

 Ringrazio la titolare dei diritti di riproduzione, signora G. Maugeri, per averne generosamente concesso la pubblicazione.

 Nota: il brano alla fine del testo è qui riportato in maiuscolo per sottolinearne il valore di avviso e "profezia".

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 UN TRACCIATO ARDITO SU TERRENI IN FRANA

 Il parere del prof. Motta, geologo di chiara fama, sulla natura dei territori attraversati

 

 

Di solito, parlando di un tracciato stradale o ferroviario, si è soliti dire ch'esso è ardito quando, lungo il suo corso, raggiunge altezze eccezionali sul livello del mare e la mente corre subito a certe strade o strade ferrate delle nostre Alpi.

 Dovere attribuire l'epiteto di ardito al tracciato autostradale della Palermo-Catania, che scorre, si direbbe pigramente, in banalissimi fondi-valle, sembrerebbe perciò, a primo acchito, improprio o certamente eccessivo.

 Eppure quest'Autostrada merita una qualifica del genere se si considerano le caratteristiche così esasperantemente sfavorevoli dei terreni, su cui, con artifizi di ogni genere, essa è stata o sarà stesa.

 In tal senso i primi due tratti eseguiti, e ormai quasi da un lustro già in esercizio, Palermo-S. Nicola Arena, da una parte, e Catania-Stazione F.S. Motta S. Anastasia, dall'altra, avrebbero potuto ben trarre in inganno iI profano circa la facilità di portare a termine, un giorno, l'opera autostradale di cui ci stiamo occupando.

 Il primo di tali tratti è infatti steso sulle formazioni, stabili e indenni da frane, sabbioso-calcarenitiche del Pliocene-Quaternario, in cui è compreso il “piano" Siciliano, famoso per la sua straordinaria ricchezza di fossili, che dal golfo di Palermo si estende fino alla baia di Sòlanto.

 Il tratto invece da Catania a Staz. F. S. Motta S. Anastasia si svolge ai margini delle “terre forti", basse colline costituite in gran parte da con-glomerati sciolti, ottimi allo stesso tempo come area di sedime della strada e come terreno di riporto.

 Ma già le prime avvisaglie sulle difficoltà da affrontare si ebbero quando, ripresa la costruzione dell'Autostrada da S. Nicola Arena a Scillato, si trattò d'incidere il cosiddetto “ginolfo”, ubiquitario nella fascia di terreno che accompagna la costa settentrionale della Sicilia, da Bagheria a Termini Imerese ed oltre.

 È questo ginolfo un complesso prevalentemente argilloso, di età terziaria, spesso dall'aspetto varicolore, ma sempre e dovunque profondamente tettonizzato, ridotto a minute scagliette e pronto a scatenare collassi franosi ad ogni più piccola alterazione del labile naturale equilibrio del terreno.

 I nostri antenati, in tutta l'indicata fascia di terreno, hanno abilmente e pazientemente sistemato tale ginolfo a terrazzi, che, in virtù delle abbondanti acque qui disponibili, sono poi diventati preziosi “giardini” di aranci, mandarini, nespoli, ecc. Ma chi potrà sufficientemente illustrare le pene per trovare la giusta e, a volte, molto sofisticata soluzione per effettuare i necessari tagli in questi terreni così sensibili!

 E lo stesso quando si tratta di passarvi sopra ad una certa quota: gran parte dei rilevati, anche modesti, si sono dovuti trasformare in viadotti, spesso striscianti sul terreno, come nella discesa di Brocato, ad ovest di Termini, allo scopo di poter trasferire, con l'appoggio su pali, nelle profondità più salde del terreno, i carichi della sede autostradale, incompatibili con la parte più superficiale del terreno stesso.

 Ardito, in ogni senso, è poi il passaggio del Vallone S. Leonardo, tra sponde subverticali o anche strapiombanti di “calcare rupestre” che a luoghi aggetta dai fiancheggianti o sottostanti "scisti silicei”.

Enormi tagli hanno potuto qui mettere in piena luce, sia nella zona alta in destra che in sinistra di questo vallone, una magnifica serie continua di termini geologici, che vanno dalle dolomie de Mesozoico antico alle brecciole nummulitiche dell'Eocene, quale un geologo non potrebbe meglio augurarsi in una sua campagna d'indagini.

 Allontanandosi dalla costa e penetrando verso l'interno dell'isola, lungo l'alveo dell'Imera Settentrionale, l'Autostrada si può dire che non ha più alcun contatto diretto con termini mesozoici.

 Dopo un lungo tratto che si sviluppa al margine delle piane alluvionali di detto fiume, l'Autostrada incontra un robusto sperone di conglomerati ed arenarie rubefatte, tortoniani, che è stato necessario superare con una breve galleria. La strada scorre quindi ai piedi dell'abitato di Scillato, ove il solito ginolfo ha posto, anche qui, problemi non indifferenti, e penetra nella parte più montana dell'asta dell'lmera, passando tra due caratteristiche strutture geologiche ad abside, costituite in gran parte da terreni mesozoici: su una di esse è ubicato l'abitato di Caltavuturo, mentre l'altra, che culmina nel M. Fanusi, costituisce l'angolo più occidentale delle Madonie, ai cui piedi emergono le fresche acque della più famosa delle sorgenti che alimentano la metropoli palermitana.

 Ma, come già detto, l'Autostrada non viene a contatto con detti lembi di Mesozoico. Stando sul fondo valle del fiume essa deve procurarsi la sua sede strisciando cautamente sui terreni che affiancano il fondo valle stesso: TALI TERRENI SONO IN GRAN PARTE COSTITUITI DA ARGILLE SCAGLIOSE, NON MOLTO DISSIMILI DAL GINOLFO, MA QUI FRANOSISSIME.

 IN EFFETTI I VERSANTI DI QUESTA VALLE SONO PROFONDAMENTE AGGREDITI DA FRANE VERAMENTE APOCALITTICHE, CHE NON SOLO RENDONO DIFFICILE IL PIAZZAMENTO DELLA SEDE AUTOSTRADALE, MA CHE DESTANO PREOCCUPAZIONI CIRCA LA QUOTA A CUI SISTEMARLA, PERCHÉ MAI NON AVVENGA CHE, A SEGUITO DI UN RIATTIZZARSI DI DETTI MOVIMENTI, LA STRADA STESSA, IN TOTO, POSSA RIMANERE INGHIOTTITA.

 Comunque per superare queste frane e per affrancare da esse l'Autostrada, specialmente da quelle che scendono dal versante in destra, si sono dovute ideare strutture portanti originali, che hanno richiesto appoggi di grandi dimensioni, inseriti bensì nella massa dei terreni argillosi, ma ad una profondità tale, al di sotto dell'alveo, da escludere ogni loro possibilità di dissesto.

 È dunque con tecniche molto specializzate che viene risalito l'Imera Settentrionale, che prima di raggiungere la linea di spartiacque, a Tre Monzelli, cambia nome, per assumere quello di Vallone Fichera.

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