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martedì 9 giugno 2015

Ed ecco il quarto racconto di Calogero Restivo

Ed ecco il quarto racconto di Calogero Restivo, di questo immalinconito signore, aduso ormai al nulla, a quel che non c'è, a quello  da fare, a quello da  non fare. Nella notte, nel silenzio, nel caldo: in agosto. Prepararsi per un viaggio, con paratattica meticolosità, ormai prono alla estranea società dei consumi anche se non molto opulenta. Lezioni antiche ma rivisitazione tutta nuova , toccante, coinvolgente. Chi quelle notti di solitudine le ha trascorse capisce, si commuove, partecipe. Tutto pronto per partire domani. Ma domani non arriverà mai. Noia, languore, accidia, ormai disincantato esistere  impongono un giaciglio, sul letto, per il salutare salvifico ritorno nel nulla.
Calogero Taverna

La partenza

Calogero Restivo


Era il caldo eccessivo che creava quel silenzio quasi innaturale o il caldo e il silenzio erano due cose distinte e separate? Forse si erano trovati assieme come due che non si conoscono ma viaggiano sullo stesso treno. Si incontrano per caso andando verso il vagone ristorante o ritornando. Buongiorno Caio, piacere Sempronio! Stava divagando un po’ troppo. Forse era effetto del silenzio che gli rintronava dentro come un martello pneumatico. Lo sentiva nelle orecchie o era il cuore che pulsava e il battito gli creava quello strano rimbombo nelle orecchie? Si alzò dal letto, dove stava disteso semplicemente a guardare il soffitto. Nient’altro che guardare, intensamente, senza pensieri, come se temesse che quel tetto gli potesse cadere addosso da un momento all’altro. Si diresse verso la porta-finestra che introduceva in un cortile interno per fare un po’ di luce e per fare entrare un poco d’aria. Si fermò come se fosse stato colpito da qualche cosa, capì che aprire la finestra non serviva a niente. Bisognava fare qualche cosa di più concreto, di più decisivo. Ma cosa? Che fai in una giornata di caldo asfissiante già di prima mattina… quattordici di agosto dell’anno mille e novecento e … ore quindici e trenta di uno di quei pomeriggi in cui il caldo esaurisce anche la capacità di volere, la capacità di pensare. Se lo ripeté dentro un paio di volte, come se fosse una cosa importante che bisognava memorizzare non avendo niente a portata di mano per annotarlo. Si riscosse. Come un brivido percorse la sua schiena: che faceva in mezzo alla stanza, mezzo nudo? Si chiese. Stava rimbecillendo o che? Fu a questo punto che, come risvegliandosi da un sonno profondo, prese la decisione. Alle quindici e trenta dell’anno eccetera eccetera, aveva deciso di partire, non poteva continuare così…
Ancora non sapeva per dove ma sapeva che doveva partire. Per prima cosa bisognava preparare la valigia. Ancora una decisione da prendere ma non era tutto. Bisognava decidere: tanti vestiti o pochi, camicie leggere o quelle a quadri di flanella. Ce n’era una in particolare che gli piaceva, l’aveva usata come pigiama, qualche volta quando arrivava a casa molto stanco e non gli andava di andare in giro per la casa a cercare un pigiama, accordare i colori della parte inferiore con quella superiore. Che c’era di male, mica doveva fare una sfilata notturna. Gli serviva solo per andare a letto. Ancora una divagazione. Ritorniamo al punto di partenza. Sì, partire, va bene. Ma bisogna stabilire per dove si parte. Altrimenti non serve a niente, la decisione. Non ha significato. E’ come la corsa che fanno fare ai soldati in addestramento. “Avanti, marsh, correre sul posto.” Che vuol dire: fai finta di correre ma sta fermo. Un gioco di bambini che fatto dai grandi è ridicolo, si disse. Ancora fermo in mezzo alla stanza, a riflettere. Bisognava prendere una decisione chiara, precisa in modo che poi non era necessario tornare indietro e cambiarla e magari pentirsi ed entrare in uno di quei vortici di domande risposte e confusione da cui non è facile uscire. Con questo caldo era meglio evitare. Se sei brillo e aggiungi un bel bicchiere di vino, diventi ubriaco, meglio non aggiungere altri pensieri. Si rallegrò con se stesso di aver trovato quel bell’esempio per non decidere… A Roma, no, non era il caso, troppo caldo e poi quel caldo era come un fiume, impetuoso, anche se in superficie sembrava calmo, specie se si doveva oltrepassare quel fiume… immaginario si capisce, con una macchina chiusa. Magari avesse avuto il tetto apribile ma no, con il tetto apribile era peggio. Il sole, quel sole ti cuoceva la testa come un uovo. No, era stata giusta la decisione, niente tetto apribile, ma almeno l’aria condizionata… Questo, sì, questo era stato un errore; ma errore, si fa per dire, errore, bisognava aspettare almeno altri quindici giorni per avere il modello giusto e in quindici giorni, quanti pensieri e quanti ripensamenti e poi finisce che non compri più la macchina nuova e sei costretto ad andare in giro con quel catorcio che è un miracolo se ancora cammina. Cammina, bisogna precisare, non corre. E ancora potresti scoprire che quel modello sta andando fuori produzione e quindi dover ricominciare ad andare in giro per agenzie e concessionari. Meglio una decisione chiara e definitiva. Come piaceva a lui, d’altronde. Tu guardi la vita, ti piace, ne fai un quadro così che te lo puoi guardare di notte e di giorno senza dover cambiare. Un punto fermo, lì, sempre uguale, sempre lo stesso senza doverti costringere a guardare di nuovo, controllare e magari cambiare posizione o quadro che poi devi accordare con gli altri, con i colori della parete, con gli spazi a disposizione, che se non sono studiati a puntino, gli spazi, diventa una Babele… la parete. Divagazioni!  Ti rendi conto che questo è un modo strano di pensare, si direbbe da uomo nato stanco o da siciliano incallito? Ma che vuoi… con questo caldo e questi chiari di luna che puoi aspettarti! No, aveva fatto bene, quel modello era quello giusto. Sta fermo in mezzo alla stanza in balia  del caldo che non dà requie. Sì, partire era la decisione giusta ed era giusto anche preparare la valigia. Abiti eleganti o sportivi. Dipende, dipende dalla meta, dai luoghi, dalle intenzioni e dalla volontà di andare in cerca di avventure o quanto meno andare incontro alle avventure. Con questo caldo, si sorprese a pensare, non era il caso di mettersi a fare giochetti come era solito fare con quelli del circolo. Circolo di cultura, si chiamava, ma era meglio chiamarlo circolo delle bocce perché i discorsi che vi si facevano non si discostavano tanto da “ il punto era mio, bisognava prendere la misura giusta e non spostare le bocce, così non era più il caso di continuare la partita”. Allora è deciso, si parte. La valigia, bisogna preparare la valigia, ma al buio non si può. Accendere la luce con questo caldo, meglio aprire la finestra. Se non fosse per l’umidità questo caldo forse non sarebbe diverso da quello dell’anno scorso. I vecchi dicono che il tempo una volta era diverso, poi le cose sono cambiate, per colpa dei pali del telefono, per colpa delle ferrovie e dei treni che guastano l’aria con il fumo di carbone bruciato. Non sarà colpa delle pale eoliche? Ecco, le pale eoliche a che servono? E se si combinassero al punto da fare un po’ di fresco così come l’aspirapolvere che se ci metti la mano davanti aspira, lo senti che è come se volesse inghiottirti la mano. Ma se la mano la metti dall’altra parte senti un’ondata di aria fresca, forse con un po’ di polvere ma fresca. Ancora fermo in mezzo alla stanza a far che? Di là, nello sgabuzzino a prendere la valigia di pelle, quella rossa, la grande così ci si può mettere dentro il vestito pesante e quello leggero, le camicie e quant’altro per un … quanti giorni? Facciamo cinque… beh forse è meglio una settimana. Vediamo: due paia di pantaloni leggeri, uno di quelli pesanti basta, un vestito intero e uno blu a doppio petto… Nero no, che scherziamo… non siamo mica a lutto oppure bisogna andare a un grande ricevimento a cui si partecipa con l’abito oscuro… In montagna, poi… Allora è deciso, si va in montagna?
Aggiungere due pantaloncini corti e il costume… non si sa mai.  Se per strada uno sente entrare dal finestrino della macchina aria fresca e odore di salsedine e gli viene la voglia di un bel tuffo… sì, bisogna aggiungere anche il costume e bisogna ricordarsi di portare gli occhiali da sole, quelli di marca… Oh, non ricordo che marca. Comunque quelle con i vetri a specchio che sono più riposanti. Antiriflesso, ha detto l’ottico. Cioè non ti puoi guardare allo specchio? Si mise a ridere, a ridere fino a quando si disse che non c’era niente da ridere, non si ride delle cretinate, anche se non dette, solo pensate… La situazione non cambia, bisogna… A un tratto si accorse di essere stanco, di non avere più voglia di fare niente. Alla fin fine, mica te lo ha ordinato il medico di partire. Si diresse verso il letto al buio, piano piano a tentoni fin quando andò a sbattere le ginocchia contro i piedi di ferro che sporgevano un po’ troppo, lo sapeva, bisognava fare qualche cosa ma se lo ricordava solo quando ci andava a sbattere, specie di notte. Stese la mano fino a toccare il morbido del materasso, ultimo grido, morbido di quelli che ti ci corichi e resta come una stampa nel materasso, ma morbido. Girandosi piano piano si sedette in punta, quasi sospeso,poi si aggiustò e infine si distese sul letto con un sospiro di sollievo. Non c’era bisogno di andarsi a chiudere nello stanzino con quel caldo, cercare la valigia, prepararla. Che fretta c’è? Si può rimandare a domani… domani… domani… come in una culla si sentiva leggero… quasi volava. Chiuse gli occhi e si rivide bambino e una mano lo spingeva, lo cullava. Era sua madre ? No, era solo una mano che piano piano piano… e non senti altro, non pensò altro… Dormiva.

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