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martedì 7 luglio 2015

dai Chiaramonte ai Del Carretto

[articoletto n.° 19ter]
FEDERICO II CHIARAMONTE ALLA CONQUISTA DI RACALMUTO - L’EREDITA’ DEI DEL CARRETTO
di Calogero TAVERNA

I Chiaramonte si sono impossessati di Racalmuto all’inizio del secolo XIII. Federico Chiaramonte - un cadetto della famiglia - aveva fatto costruire, secondo il Fazello, nel primo decennio, l’attuale fortezza,  forse una, forse tutte e due le torri oggi esistenti. Il territorio era divenuto ‘terra et castrum Racalmuti’. Vi giunsero preti e monaci forestieri. Nel 1308 e nel 1310 costoro vennero tassati dal lontano papa: un piccolo prelievo - si dirà - dalle pingue rendite che un prete ed un monaco riuscivano a cavare dai poveri coloni infeudati dai Chiaramonte. Sono certo pagine non gloriose della storia ecclesiastica racalmutese. Ma basta ciò per essere obbligati al silenzio omertoso, sia pure in tema di verità storica?
Nel 1392 giunge in Sicilia il duca di Montblanc. E’ un  cinico, infido, ma astuto e determinato personaggio, protagonista in Sicilia ed in Spagna di grandi svolte storiche. Martino, secondogenito di Pietro IV e duca di Montblanc, viene dagli storici siciliani indicato come Martino il vecchio; ebbe la ventura non comune - scrive Santi Corrente - di succedere al proprio figlio sul trono di Sicilia. Resta l’artefice della sconcertante condanna a morte del vicario ribelle Andrea Chiaramonte, e non cessò di combattere la nobiltà siciliana, salvo a remunerarla oltremisura appena ciò gli fosse tornato utile.
Ne approfitta Matteo del Carretto per farsi riconoscere il titolo di barone di Racalmuto, naturalmente a pagamento. L’intrigo della genesi della baronia di Racalmuto dei Del Carretto è tuttora scarsamente inverato dagli storici. All’inizio del secolo XIII un marchese di Finale e di Savona - a quanto pare titolare di quel marchesato solo per un terzo - scende in Sicilia e sposa la figlia di Federico Chiaramonte, Costanza. Ha appena il tempo di averne un figlio cui si dà il suo stesso nome, Antonio, e muore. La vedeva convola, quindi, a nozze con un altro ligure, il genovese Brancaleone Doria - un personaggio che Dante colloca nell’Inferno - e ne ha diversi figli, tra cui Matteo Doria che morrà senza prole e pare che abbia lasciato i suoi beni (in tutto o in parte, non si sa) agli eredi del suo fratellastro Antonio del Carretto. Questi frattanto si era trasferito a Genova. Aveva procreato vari figli, tra cui Gerardo e Matteo. Matteo, in età alquanto matura, scende in Sicilia: rivendica i beni dotali di Agrigento, Palermo, Siculiana e soprattutto Racalmuto. Parteggia ora per i Chiaramonte ora per Martino, duca di Montblanc ed alla fine gli torna comodo passare integralmente dalla parte dell’Aragonese.  In cambio ne ottiene il riconoscimento della baronia. Certo dovrà vedersela con le remore del diritto feudale. Inventa un negozio giuridico transattivo con il fratello primogenito Gerardo, che se ne sta a Genova, ove ha cointeressenze in compagnie di navigazione, e finge di acquistare l’intera proprietà della “terra et castrum Racalmuti”.
Martino il vecchio si rende subitoconto del senso e della portata dell’istituto tutto siculo della cosiddetta Legazia Apostolica. Deteneva il beneficio racalmutese di Santa Margherita l’estraneo canonico “Tommaso de Manglono, nostro ribelle al tempo della secessione contro le nostre benignità” - come scrive Martino da Siracusa, l’anno del Signore VII^ Ind. 1398. Gli viene tolto per assegnarlo ad un altro estraneo “al reverendo padre GERARDO DE FINO arciprete della terra di Paternò, cappellano della nostra regia cappella, predicatore e familiare nostro devoto”. Altra ignominia della storia ecclesiastica racalmutese, che ci guardiamo bene dall’oscurare.


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