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martedì 29 settembre 2015

SEMPRE SUGLI USI CIVICI

MA LA DOTTRINA SI ADDENTRA SULL'ARGOMENTO E ALMENO A ME CONFONDE LE IDEE. QUALCHE RICHIAMO TESTUALE:
Premessa: gli usi civici come materia di studio
 2.Uso civico, urbanistica, governo del territorio dopo la riforma del Titolo V
 3. Usi civici e tutela paesistica
 4. Usi civici, parchi ed aree protette
 5.Usi civici e pianificazione urbanistica
 6.Usi civici e condono edilizio
 7. Usi civici ed espropriazione per pubblica utilità
 Bibliografia

1. Premessa: gli usi civici come materia di studio
 La disciplina più generale nella quale rientra la materia “usi civici” è quella del diritto amministrativo, nei cui manuali si ritrovano delle sintetiche definizioni[1].
 La conferma del profilo pubblicistico della trattazione dei beni d’uso civico viene dagli indirizzi normativi emersi a partire dalla legge 8 agosto 1985, n. 431 (cosiddetta legge Galasso), che riconosce ai medesimi carattere ambientale e paesaggistico. Tale indirizzo è stato confermato fino all’art. 142, comma 1, lett. h) del Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, il “Codice dei beni culturali e del paesaggio”, che considera aree tutelate per legge, fino all’approvazione del piano paesaggistico previsto dall’art. 156 del medesimo decreto “le aree assegnate alle università agrarie e le zone gravate da usi civici”[2].
 L’accoglimento degli usi civici nella più ampia nozione di beni ambientali segna un elemento forte di discontinuità con il passato. In questo modo gli usi civici trovano una tutela di natura costituzionale: infatti i beni ambientali sono normalmente ricompresi nell’ambito di applicazione dell’art. 9, comma 2 della Costituzione, relativo alla tutela del paesaggio, che la Corte Costituzionale interpreta in modo assai ampio.[3]
 E’ stato giustamente notato[4] che “in questo modo si è verificata una sorta di inversione logica nella giustificazione delle finalità dell’uso civico: questo era nato e si era mantenuto per primarie esigenze di vita della popolazione, quando questa traeva dalla terra i frutti del proprio sostentamento. Ai nostri giorni, quando la popolazione non ha più questa necessità, si vuole giustificare l’uso civico in

 chiave di mantenimento dell’ambiente naturale, attribuendo a questo mantenimento il valore di un bene della collettività in contrasto con le deturpazioni ambientali dell’uomo.[…] allorquando l’uso civico venga considerato nella prospettiva di tutela dell’ambiente, viene effettuato uno spostamento dalla collettività del luogo a tutta la collettività nazionale. In altre parole, è come se il terreno non serva più soltanto alla popolazione del luogo, ma all’intera collettività nazionale, cioè a tutti coloro che, passando per quel terreno, potrebbero essere soddisfatti nell’esigenza di mirare un paesaggio bucolico.”.
Forse però la trasformazione che ha comportato l’inserimento degli usi civici nei beni ambientali deve essere ancora indagata a pieno dalla dottrina, anche perché troppo recente è la novità, e forse deve ancora dispiegare tutti i suoi effetti. Tornando alla concezione più tradizionale, la stessa definizione di “usi civici” non vede d’accordo tutti gli studiosi. Uno dei pionieri della rinascita recente dello studio scientifico sugli usi civici, Guido Cervati, si è espresso in proposito in questo modo:
“Invero preferisco parlare di diritti e terre civiche, piuttosto che di usi, perché, come ho più volte scritto, l’espressione usi civici è una espressione relativamente recente, che serve a porre quasi una cortina di nebbia su diritti che in molte regioni d’Italia, pur nel quotidiano loro esercizio mai prima del 1927, o meglio del 1924, erano stati chiamati in tal modo. Dopo l’entrata in vigore della legislazione sugli usi civici è avvenuto poi uno strano silenzio nelle scuole italiane. E mentre ai principi del secolo i maggiori giuristi approfondivano l’analisi dei diritti collettivi, e nei fori si vantavano trattarne magistrati e avvocati insigni, sembrò poi materia da accantonare e solo rari Maestri l’affrontarono, anche se con contributi notevoli. Se ne ridiscute oggi dopo oltre mezzo secolo.”[5]. Nello stesso convegno tuttavia, Cerulli Irelli affermava che[6]: “ “Usi Civici” è espressione probabilmente imprecisa dal punto di vista storico (come noterebbe Guido Cervati), ma ormai generalmente accettata nella prassi e
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[1] Si indicano a titolo esemplificativo: A. M.Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, Jovene, Napoli, ed.1984, pag.793 e seg.; V.Cerulli Irelli, Corso di diritto amministrativo, Giappichelli, Torino, ed.2002, pag.630; M.S.Giannini, Istituzioni di diritto amministrativo, Giuffrè, Milano, ed.2000, pag. 615.
[2] L.Fulciniti, I beni d’uso civico, Cedam, Padova, 2000,pag.263.
[3] Confronta in tal senso la sentenza della Corte Costituzionale n.210 del 28 maggio 1987, citata in M.Renzulli, Tutela dell’ambiente e proprietà privata, in www.lexitalia,it.
[4] Commerciabilità dei terreni soggetti ad uso civico, Studio n.777 della Commissione Studi del Consiglio Nazionale del Notariato, in www.notarlex.it, pag.2
[5] G.Cervati, Ancora dei diritti delle popolazioni, usi e terre civiche e competenze regionali, in: Terre Collettive ed usi civici tra Stato e Regione, Atti del convegno della Regione Lazio, Fiuggi 25-26-27 ottobre 1985, cit., pag.62

[6] V.Cerulli Irelli, Terre Collettive ed usi civici tra Stato e Regione , in: Terre Collettive ed usi civici tra Stato e Regione, Atti del convegno della Regione Lazio, Fiuggi 25-26-27 ottobre 1985, cit., pag.11

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